Sono rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni:
a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990;
b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis c.p.c.me 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);
c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della l. n. 241 del 1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente – concorrendo con le stesse;
d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990;
e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica.
1. Il ricorrente -nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minorenne ed al fine di dimostrare, nel giudizio instaurato dinanzi al Tribunale per i minorenni ai sensi degli artt. 316-bis e 330 del cod. civ., la situazione reddituale e patrimoniale dell’ex convivente- ha chiesto all’Agenzia delle Entrate di accedere e di estrarre copia, anche in via telematica:
a) della dichiarazione dei redditi presentata dall’ex convivente relativamente agli ultimi tre anni o della certificazione reddituale dei dati presenti nell’archivio dell’Anagrafe tributaria;
b) dei contratti di locazione di beni immobili a terzi;
c) delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’Anagrafe tributaria – Sezione archivio dei rapporti finanziari, relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria ed ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili all’ex convivente, anche in qualità di delegante o di delegato;
d) di tutta la ulteriore documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale riconducibile all’ex convivente.
1.1. L’interessato ha ottenuto un riscontro soltanto parziale alla propria istanza (segnatamente, ha avuto accesso alla certificazione reddituale), mentre si è visto opporre dall’Agenzia delle Entrate un sostanziale diniego in relazione alla richiesta delle informazioni contenute nell’Archivio dei rapporti finanziari, motivato –è dato leggere nel provvedimento impugnato- “alla luce del mutato orientamento della giurisprudenza, con particolare riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 3461 pubblicata il 13 luglio 2017” (…) “tali dati potranno essere resi dalla Direzione Regionale della Campania solo in base ad un’istanza di accesso proposta ai sensi del comb. disp. degli artt. 155-sexies disp. att. c.p.c. e 492-bis c.p.c., istanza che dovrà essere previamente autorizzata dal Tribunale competente”.
2. Il ricorrente ha agito, pertanto, per ottenere l’annullamento del silenzio rigetto formatosi sulla sua istanza e la condanna dell’Amministrazione finanziaria a consentire l’accesso agli atti richiesti, ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990.
2. Il Tar della Campania, con la sentenza di cui in epigrafe, ha in parte dichiarato inammissibile il ricorso (quanto alla richiesta di accedere a “tutta la ulteriore documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale riconducibile all’ex convivente”, reputandola genericamente formulata); in parte lo ha accolto (quanto alla richiesta di accedere ai documenti di natura finanziaria), consentendo sia l’accesso che l’estrazione di copia dei documenti, ove possibile con modalità telematica; ha compensato le spese di lite tra le parti, in considerazione della mancanza di una giurisprudenza consolidata in materia.
3. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza, affidandosi ad un unico complesso motivo di appello “Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli articoli 22 L. 241/90, art. 492 bis del c.p.c. e 155 quinquies e sexies disp. att. c.p.c.”.
La decisione di primo grado sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto “accessibili” i dati finanziari contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria, senza l’autorizzazione di cui all’art. 492-bis, cod. proc. civ. e senza considerare la specialità della normativa contenuta negli artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ., da ritenersi norme speciali rispetto a quelle relative all’accesso agli atti di cui alla legge n. 241 del 1990, e dunque ostative all’applicazione di quest’ultima disciplina.
4. La parte appellata non si è costituita nel grado di appello.
5. Con l’ordinanza n. 3642 del 19 luglio 2019, la Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata ed ha fissato la discussione del merito all’udienza camerale del 21 novembre 2019. A questa udienza, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
6. La Sezione, atteso il contrasto giurisprudenziale in atto sulla questione giuridica sottesa alla soluzione della controversia, deferisce il presente ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del cod. proc. amm.
7. La questione è quella di chiarire i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi (ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990) e le norme processuali civilistiche previste per acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod proc. civ; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.).
Va stabilito, in altri termini,
a) se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22 cit. sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse;
b) ovvero se -all’opposto- la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990.
8. Il contrasto interpretativo è sorto all’interno della Sezione remittente ed è ancora in atto, perché con la sentenza n. 2472 del 2014 si è aderito all’impostazione sub a); successivamente, con la sentenza n. 3461 del 2017, si è preferita l’opposta tesi sub lettera b); di recente, con le sentenze nn. 5910 e 5347 del 2019, si sta ritornando al vecchio orientamento.
8.1. La diversità degli orientamenti sta incidendo in senso negativo e disomogeneo anche sull’esercizio della funzione giurisdizionale da parte dei giudici di primo grado, a seconda dell’adesione all’una o all’altra opzione interpretativa, con grave vulnus per il soddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Adunanza plenaria n. 6 del 2006).
8.2. Inoltre, tale diversità sta orientando e conformando l’agire amministrativo in senso sempre sfavorevole al richiedente l’accesso agli atti, poiché l’Agenzia delle Entrate nella prassi sta emanando dinieghi, basati unicamente sul mutamento di indirizzo interpretativo da parte del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3461 del 2017, rispetto a quanto precedentemente stabilito con la sentenza n. 2472 del 2014, senza tenere conto del fatto che, come sopra si è evidenziato, di recente sono state emanate due pronunce di segno opposto proprio al precedente giurisprudenziale sulla cui base l’Amministrazione ha negato e continua a negare l’accesso.
9. In punto di fatto, la Sezione osserva che:
A) il richiedente l’accesso agli atti non è un quisque de populo, ma è titolare di una posizione qualificata, trattandosi dell’ex convivente nonché padre esercente la potestà genitoriale sul figlio minorenne;
B) l’istanza di accesso agli atti ex lege n. 241/1990 è stata motivata per la necessità di tutelare e difendere gli interessi giuridici propri, ma soprattutto quelli del figlio minorenne, nell’ambito del giudizio civile pendente dinanzi al Tribunale per i minorenni ai sensi degli artt. 316-bis (mantenimento del figlio) e 330 (casi di decadenza dalla potestà genitoriale) del cod. civ.. L’istanza è funzionalmente e strumentalmente intesa a dimostrare la complessiva capacità reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’ex convivente e genitore anch’esso esercente la responsabilità genitoriale sul figlio, in modo da giungere -mediante il concorso al mantenimento- ad una ripartizione giudiziale quanto più possibile giusta, equa e solidale delle risorse economiche del disciolto nucleo familiare tra gli ex conviventi, anche nell’interesse del figlio minorenne; ovvero, in modo da sanzionare, mediante la decadenza dalla potestà genitoriale, il comportamento del genitore che ingiustamente si sottrae al concorso nell’obbligo di mantenimento del figlio.
C) Il diniego di accesso agli atti ha riguardato unicamente la documentazione relativa ai dati finanziari contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria, mentre da subito è stata ostesa la documentazione reddituale e patrimoniale dell’ex convivente (la certificazione reddituale e patrimoniale ha escluso la sussistenza di redditi dichiarati e di contratti di locazione immobiliare a terzi).
D) L’accesso alla documentazione reddituale e patrimoniale è stata consentita dall’Agenzia delle Entrate indipendentemente dalla richiesta (da parte della medesima) o dal deposito (da parte dell’istante) della previa autorizzazione del Tribunale per i minorenni.
Dai documenti versati agli atti di causa, infatti, emerge che:
– il ricorso al Tribunale è stato depositato il 9 maggio 2018; l’istanza di accesso agli atti è stata inviata via pec all’Agenzia il 28 agosto 2018;
– il Presidente del Tribunale ha fissato con decreto del 17 maggio 2018 l’udienza di prima comparizione delle parti per il giorno 4 ottobre 2018, senza disporre alcun incombente istruttorio;
– l’Agenzia ha riscontrato positivamente l’istanza di accesso agli atti –come già detto- soltanto in relazione alla documentazione reddituale e patrimoniale, in data 2 ottobre 2018, e dunque prima dell’udienza di comparizione ed in assenza di previa autorizzazione del giudice competente.
10. In punto di diritto, la Sezione espone che:
A) la questione del rapporto esistente tra la disciplina generale dell’accesso agli atti amministrativi (ex lege n. 241 del 1990) e le norme processuali civilistiche previste per acquisizione dei documenti amministrativi (in generale, ex artt. 210 e 213 del cod proc. civ; e, per la ricerca telematica dei beni nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia, sulla base del combinato disposto di cui agli artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.) postula –in via prioritaria- la positiva affermazione che i documenti ai quali il richiedente vuole accedere siano qualificabili come atti e documenti amministrativi, accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge generale n. 241 del 1990.
Il comma 1 dell’art. 22 cit. prevede, in particolare, che si intende:
a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;
b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;
c) per “controinteressati”, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;
d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;
e) per “pubblica amministrazione”, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
Diversamente opinando, nemmeno si porrebbe un problema di rapporto tra le due discipline, sia esso inteso nel senso della concorrenza e della complementarietà delle tutele (è la tesi propugnata dalle sentenze della Sezione IV n. 2472 del 2014 e nn. 5910 e 5347 del 2019) o, all’opposto, dell’esclusività e della specialità delle norme processualcivilistiche rispetto alla legge generale n. 241/1990 (è la tesi affermata dalla sentenza n. 3461/2017).
In altri termini, se l’atto richiesto non fosse qualificabile come atto accessibile ai sensi della legge n. 241/1990, il privato non avrebbe altra tutela se non quella prevista dalle menzionate disposizioni del codice di procedura civile e delle relative disposizioni di attuazione.
La Sezione, pur consapevole del fatto che la controversia non riguarda i documenti reddituali e patrimoniali perché indiscutibilmente ostesi prima ancora dell’introduzione del ricorso introduttivo del giudizio (in relazione ai medesimi, dunque, difetterebbe in astratto ed in concreto l’interesse al ricorso), rimette all’esame della Adunanza Plenaria l’esame della questione controversa tra le parti, lperché riguardante la natura giuridica di tutti i documenti richiesti dal privato, al lume del fatto che:
la questione giuridica riguarda, a livello sistematico, il rapporto tra l’acquisizione ex lege n. 241 del 1990 ed i metodi di acquisizione processualcicilistici;
l’Agenzia ha operato un netto discrimine tra i documenti richiesti (considerando atti amministrativi ostensibili quelli reddituali e patrimoniali senza autorizzazione del giudice, e atti amministrativi ostensibili quelli finanziari solo previa autorizzazione del giudice), e ciò sull’evidente presupposto logico-giuridico che entrambi i tipi di atti richiesti avrebbero natura amministrativa, sebbene accessibili secondo diverse modalità. Diversamente, avrebbe negato l’accesso per quelli finanziari sulla base di una diversa motivazione.
Nell’ipotesi in cui l’Adunanza Plenaria ritenesse tutti i documenti richiesti quali atti amministrativi accessibili ai sensi della legge n. 241/1990, sarebbe infine utile approfondire l’aspetto concernente la ratio iuris della distinzione operata dall’Agenzia: il perché, cioè, se di atti amministrativi si tratterebbe in entrambi i casi, gli uni necessiterebbero della previa autorizzazione del giudice competente, e gli altri invece no.
La Sezione segnala, a tal proposito, che il quadro normativo vigente – in relazione alle acquisizioni documentali secondo le norme processualcivilistiche – parrebbe invece necessitare -in tutti i casi- della previa intermediazione del potere acquisitivo del giudice civile: tanto a livello di previsione generale (artt. 210 e 213 del cod. proc. civ.), quanto di previsione particolare per gli accessi telematici alle banche dati (art. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.).
11. Anche a prescindere da questo approfondimento di sistema, e volendo –dunque- limitare l’analisi ai soli atti per cui è causa (documenti finanziari), la questione giuridica posta implicherebbe comunque sia la definizione del rapporto tra le due richiamate discipline (pubblicistica e processualcivilistica).
Va stabilito, in altri termini:
b.1) se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22 cit. sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse.
Ciò equivarrebbe ad affermare tre principi:
– il primo, che il diritto di accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato –come è accaduto nel caso di specie- prima ed indipendentemente dal fatto che il giudice del procedimento autorizzi la produzione di determinati documenti (si veda quanto già esposto dalla Sezione alla lettera D) del numerato punto 9: l’accesso agli atti è stato azionato ed in parte consentito prima ancora che si svolgesse l’udienza di prima comparizione);
– il secondo, che l’accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato anche cumulativamente, rispetto alle previsioni sulle acquisizioni secondo la normativa processualcivilistica;
– il terzo, che l’accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato anche quando il giudice del procedimento civile non abbia disposto il deposito della documentazione a carico delle parti o non abbia autorizzato le istanze istruttorie formulate dalle parti.
b.2) All’opposto, se la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, con l’attribuzione dei relativi poteri istruttori ad un giudice avente giurisdizione sulla controversia ‘principale’, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990.
Ciò equivarrebbe a dire che il privato non potrebbe mai azionare il diritto di accesso agli atti richiesti, pur se qualificati in senso sostanziale come atti amministrativi, dovendosi sempre rimettere, per la tutela delle proprie situazioni giuridiche, all’esercizio dei poteri istruttori del giudice civile, quando dunque il procedimento civile già pende.
12. Ciò premesso, la Sezione segnala che, a favore della prima tesi, militano gli argomenti variamente articolati dalla Sezione nelle sentenze n. 2472/2014, n. 5347/2019 e n. 5910/2019, e che di seguito più o meno testualmente si riportano.
La disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce -ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge n. 241 del 1990- “principio generale dell’attività amministrativa”.
La ratio dell’istituto può essere ravvisata sia sull’esigenza di rendere l’Amministrazione una ‘casa di vetro’ per l’attuazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, rilevanti per l’art. 97 della Costituzione (cfr. Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6; Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093), sia sull’esigenza di agevolare agli interessati di ottenere gli atti il cui esame consente di valutare se sia il caso di agire in giudizio, a tutela di una propria posizione giuridica (cfr. Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1455), non potendosi ravvisare ‘zone franche’ in cui non rilevino i principi sopra richiamati (Ad. Plen., 24 giugno 1999, n. 16).
La specialità che connota la disciplina processualistica non può ritenersi tale da giustificare la presenza di una deroga, al punto da rimettere alla (eventuale ed esclusiva) positiva valutazione del giudice – titolare del potere di decidere la controversia ‘principale’ – la reale conoscibilità di documentazione di rilievo e, per altro verso, la concretizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale.
L’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in quanto nei procedimenti in materia di famiglia sono spesso presenti sia gli interessi confliggenti dei coniugi o dei conviventi, che gli interessi dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall’art. 5 del settimo Protocollo Addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione.
Il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza dei giudizi civili.
In questo senso, è stato più volte affermato come “non possa ritenersi che l’accesso ai documenti sia automaticamente precluso dalla pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal g.o., mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. l. n. 241 cit. rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale” (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444; id., 21 marzo 2018, n. 1805).
La tutela dei diritti fondamentali non troverebbe eguale garanzia mediante l’utilizzo degli strumenti previsti dal codice di procedura civile, i quali rimettono all’apprezzamento del giudice l’ingresso nel giudizio di documenti, di atti e di informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione.
L’ampliamento delle prerogative del giudice civile nell’acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia, rispetto ai poteri istruttori già previsti dall’art. 210 c.p.c., introdotte dal combinato disposto degli artt. 155-sexies delle disposizioni di attuazione del cod. proc. civ. e dell’art. 492-bis del cod. proc. civ., non può costituire un ostacolo all’accesso difensivo, soprattutto laddove le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte.
Dall’ampliamento delle menzionate prerogative non potrebbe trarsi in via diretta, né desumersi in via indiretta, alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della Pubblica Amministrazione.
Diversamente opinando, l’implementazione dei poteri istruttori del giudice ordinario nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia si tradurrebbe in un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento.
Tra le due discipline non sussisterebbe un rapporto di specialità, nel senso che la norma speciale derogherebbe a quella generale, escludendone l’applicazione, bensì di concorrenza e di complementarietà, poiché il giudice che tratta la vicenda di famiglia può utilizzare i poteri di accesso ai dati della Pubblica Amministrazione genericamente previsti dall’art. 210 cod. proc. civ., come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una sua facoltà e non un obbligo.
Deve conservarsi la possibilità, per il privato, di avvalersi degli ordinari strumenti offerti dalla l. n. 241 del 1990, per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare di consegnare all’Amministrazione.
La piena esplicazione del diritto di difesa non potrebbe dipendere dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice. Mentre l’esercizio dell’accesso non incontrerebbe limiti se non rispetto alla delibazione dei presupposti che consentono l’ingresso dell’azione ostensiva e alla verifica dell’inesistenza delle preclusioni di cui all’art. 24 della l. n. 241/1990, l’ammissibilità dell’acquisizione probatoria processualcivilistica (ordine di esibizione tradizionale o autorizzazione alla ricerca telematica) sarebbe soggetta al principio del convincimento del giudice del procedimento, il quale potrebbe non consentire l’accesso in ragione della scarsa attendibilità delle allegazioni della parte e dei documenti probatori offerti a loro sostegno, elidendo così alla radice ogni prospettiva di piena esplicazione del diritto di difesa.
L’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima ed indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, anche allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso “al buio”.
L’ordine di esibizione o l’autorizzazione all’accesso telematico da parte del giudice del procedimento, infatti, potrebbe rimediare alle eventuali lacune di allegazione e di prova dei fatti contenute negli atti introduttivi del giudizio, ma non potrebbe sortire effetti sulla decisione –che spetta alla parte soltanto- di valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del procedimento.
Come ha già osservato questo Consiglio (Sez. VI, 18 dicembre 1997, n. 1591; Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158), «se esercitato ante causam, l’accesso può avere anche esiti di prevenzione della lite: la conoscenza dei documenti rilevanti, infatti, o corroborando la legittimità degli atti amministrativi o comunque ingenerando il convincimento dell’inopportunità dell’impugnazione, può dissuadere l’amministrato dall’azione giurisdizionale»: tali considerazioni sono state formulate in fattispecie in cui si è considerata rilevante l’esigenza degli interessati di accedere agli atti, per valutare se proporre un ricorso nei confronti di una pubblica Amministrazione, ma possono essere considerate rilevanti anche per i casi in cui l’acquisizione degli atti possa indurre a valutare se agire o meno nei confronti di un soggetto privato, per controversie di ‘natura civilistica’.
È stato anche osservato –ma non riguarda nello specifico il caso di specie, perché si tratta di soggetti che hanno convissuto di fatto- che il diritto del richiedente al pieno accesso ai documenti fiscali del coniuge in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio, ed indipendentemente dall’esercizio discrezionale del potere di ammissione o di autorizzazione probatoria da parte del giudice civile, si pone anche in sintonia con le recenti tendenze della giurisprudenza civile sviluppatesi in ordine alla tematica della individuazione dei criteri di determinazione dell’assegno divorzile, sempre più vicine ad ammettere la funzione sia assistenziale, che equilibratrice, che perequativo-compensativa (Cass. civ., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18827).
Indipendentemente dal caso specifico della strumentalità dell’accesso agli atti ai fini della quantificazione dell’assegno di separazione o di divorzio, l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali -siano essi coniugi o conviventi di fatto- sarebbe da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia.
Sono oramai pacificamente acquisiti a livello legislativo e giurisprudenziale i principi sulla pari dignità e sull’uguaglianza sostanziale di tutti i nuclei familiari, sia quelli fondati sul matrimonio, che quelli consistenti in rapporti di convivenza di fatto, soprattutto a tutela e a garanzia dei figli minorenni o di quelli maggiorenni economicamente non indipendenti.
Ai fini dell’accertamento della complessiva situazione economico-patrimoniale, non avrebbe senso la distinzione, operata dall’Agenzia, tra i documenti immediatamente accessibili (quelli reddituali e patrimoniali) e quelli che necessitano della previa autorizzazione del giudice competente (quelli finanziari): sia perché potrebbe difettare, nei singoli casi, la pendenza di una controversia civile; sia perché i documenti finanziari consentirebbero di ricostruire fedelmente le condizioni economico-patrimoniali in cui versano le parti -soprattutto a garanzia dei figli minorenni- perché provenienti, il più delle volte, da terzi estranei, quali gli operatori finanziari.
L’istituto dell’accesso rivestirebbe anche una posizione di assoluta rilevanza al fine di consentire la massima trasparenza, tra le parti ed a tutela soprattutto dei figli minorenni, delle condizioni economiche nel momento della crisi delle relazioni familiari.
L’ordinamento nel suo complesso aspirerebbe alla massima protezione possibile delle situazioni giuridiche soggettive, a prescindere dalla loro consistenza (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) e dalla loro natura (a seconda che si tratti, cioè, di una situazione finale o di una situazione strumentale), secondo i principi generali dell’unitarietà, della concorrenza e della complementarietà delle tutele.
In base all’ordinamento medesimo, non vi sarebbe dubbio sul fatto che le comunicazioni relative ai rapporti finanziari, stando alla terminologia propria della disciplina sull’accesso di cui all’art. 22, comma 1, lett. d) della l. n. 241 del 1990 e all’art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, costituiscono “documenti”, in quanto l’Amministrazione finanziaria, sebbene non sia essa a formarli, può utilizzarli per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, come previsto nel dettaglio dall’art. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605.
Sussisterebbe l’interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato richiesto l’accesso, ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990, attesa la pendenza del giudizio di volontaria giurisdizione.
Il divieto contenuto nella circolare dell’Agenzia delle entrate del 10 ottobre 2017, relativo all’accesso alle “risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari”, in assenza dell’autorizzazione del Tribunale, non troverebbe fondamento normativo, in mancanza di espressa previsione rinvenibile in tal senso.
L’art. 7 del d.P.R. n. 605 del 1973 (come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) ha previsto l’obbligo per ogni operatore finanziario di comunicare, in un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria denominata “Archivio dei rapporti finanziari”, l’esistenza e la relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto. L’art. 7 non ha previsto che queste informazioni, una volta riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate “unicamente” dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, ma si è limitato a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l’azione di contrasto all’evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell’eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono.
La questione andrebbe risolta facendo applicazione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Il bilanciamento degli interessi contrapposti andrebbe effettuato e risolto in applicazione del D.M. 29 ottobre 1996, nr. 603, recante “Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241”. L’art. 5, lettera a) del decreto menziona la “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa”; la sottrae all’accesso inteso come diritto alla copia, ma garantisce “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.
Con riguardo al rapporto tra accesso e privacy, rileverebbe il combinato disposto degli artt. 59 e 60 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (cd. Codice della privacy), e delle disposizioni di cui alla l. n. 241 del 1990, dal quale deriva un sistema connotato da tre livelli di protezione dei dati dei terzi e, in maniera corrispondente, tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso.
Il bilanciamento investirebbe il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso ai documenti “sensibili” dell’ex convivente e, dall’altro, la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi del figlio minorenne, presente nella controversia in questione.
Occorrerebbe, infine, affrontare gli argomenti finora esposti, al lume del complessivo e vigente quadro normativo all’interno del quale si inserisce la previsione di cui all’art. 492-bis del cod. proc. civ., e dal quale sembrerebbe emergere -oltre alla forte discrezionalità del potere istruttorio del giudice civile, sopra evidenziata – anche la obiettiva difficoltà incontrata dalle parti processuali nel sollecitare la supplenza istruttoria del giudice.
Le lacune istruttorie spesso si verificano –come nel caso di specie- a causa del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, ed il superamento delle medesime postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (es. Guardia di Finanza).
Tali indagini –peraltro- difficilmente sono autorizzate dal giudice civile, in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi (ex multis, Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2013, n. 14336; Id., sez. I, 20 settembre 2013, n. 21603; Id., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263; Id., sez. I, 4 aprile 2019, n. 9535).
L’accesso agli atti, dunque, sotto quest’angolo prospettico, consentirebbe di conoscere in anticipo le informazioni utili alla difesa dei propri interessi; di acquisire le informazioni senza dispiegamento della forza pubblica; di non gravare eccessivamente l’Amministrazione finanziaria, attraverso l’eventuale autonomo accesso telematico alle banche dati; comunque sia, nel bilanciamento degli interessi, di gravare l’Agenzia delle Entrate -che per sua funzione istituzionale è l’ente depositario di tutti questi atti- rispetto alla polizia fiscale e tributaria, deputata allo svolgimento di altre funzioni istituzionali.
L’accennato quadro normativo è così sintetizzabile.
1) L’art. 337-ter, comma 6, del cod. civ., prevede, nell’interesse dei figli, che “ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
2) L’art. 5, comma 9, l. n. 898/1970 prevede il potere del Tribunale, in caso di contestazione sulle emergenze reddituali e patrimoniali, di disporre “indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”.
3) L’art. 736-bis, comma 2, del cod. proc. civ., allorquando è richiesto un ordine di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342-bis e 342-ter c.c.), demanda al giudice ampi poteri istruttori, ivi inclusa l’acquisizione, per mezzo della polizia tributaria, di informazioni “sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti”.
4) L’art. 7, comma 9, del d.P.R. n. 605 del 1973 – sopra richiamato – stabilisce che le informazioni comunicate all’agenzia tributaria sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria nei procedimenti in materia di famiglia.
13. Militano, invece, a favore della seconda opzione interpretativa, gli argomenti articolati dalla sentenza n. 3461 del 13 luglio 2017, e di seguito ripercorsi.
In primo luogo, viene premessa l’impostazione di sistema accolta dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6 del 18 aprile 2006, che ha qualificato il “diritto di accesso” come una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi).
Sempre secondo l’Adunanza plenaria, “il carattere essenzialmente strumentale” di tale posizione “si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità dell’azione correlata e concentra l’attenzione del legislatore, e quindi dell’interprete, sul regime giuridico concretamente riferibile all’azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la tutela dell’interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati”.
In secondo luogo, viene perimetrato l’ambito oggettivo di efficacia della posizione giuridica soggettiva preesistente, cui strumentalmente inerisce il diritto di accesso, la quale non potrebbe essere individuata nel mero ed autonomo “diritto all’informazione”, né nell’accesso civico a dati e documenti dell’Amministrazione, il quale disciplina situazioni non ampliative, né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241/1990.
Si contesta, di conseguenza, l’esistenza di un diritto fondamentale ed autonomo rispetto a qualsiasi altro tipo di azione, che non incontrerebbe limiti se non nella delibazione dei presupposti che consentono l’ingresso dell’azione ostensiva e nell’inesistenza delle preclusioni di cui all’art. 24 della l. n. 241/1990.
Configurato entro tali termini, il diritto di accesso ai documenti amministrativi porrebbe il problema del suo “ambito di applicazione” e dei suoi rapporti con altri “metodi” di acquisizione documentale in funzione probatoria previsti dall’ordinamento.
In altri termini, si tratterebbe di stabilire se, “allorché l’ordinamento giuridico prevede particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, ciò risulta “prevalente” se non “escludente” rispetto all’acquisizione di documenti mediante esercizio del diritto di accesso; se, in altre parole, tale diritto di accesso sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali”.
Affrontare il tema dei rapporti tra il diritto di accesso e le norme processuali di acquisizione di documenti amministrativi, limitandolo all’ottica del “bilanciamento” tra il diritto di accesso e la tutela della riservatezza, si tradurrebbe in un’operazione giuridica scorretta, perché ci sarebbero due aspetti che non potrebbero non essere considerati.
Di seguito, si riporta testualmente il percorso logico-argomentativo seguito dalla Sezione.
“- in primo luogo, il diritto alla tutela giurisdizionale, per il tramite della acquisizione di documenti amministrativi al processo, è assicurato e disciplinato dal relativo codice di rito (codice di procedura civile);
– in secondo luogo, il giudizio nell’ambito del quale una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da pubbliche amministrazioni, è un giudizio tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea.
5.1. Appare, dunque, evidente come non vi sia, nel caso di specie, alcun vulnus per il diritto alla tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24 Cost., poiché l’ordinamento, lungi dall’escludere la possibilità di utilizzazione (mediante acquisizione al giudizio) di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, ben prevede tale possibilità, puntualmente disciplinandola.
E ciò, per quanto in particolare riguarda il processo civile, fin dagli artt. 211 e 213 c.p.c., disciplinanti, rispettivamente, il primo di essi l’ordine di esibizione di documenti rivolto al terzo; il secondo di essi, la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione “relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo”.
Anzi, è da aggiungere che – proprio in quanto i documenti da utilizzare nel processo (e detenuti dalla Pubblica Amministrazione), riguardano una delle due parti private in giudizio – al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto che intende avvalersi dei documenti amministrativi, occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte.
Proprio per questo, le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211, 492-bis cpc). Ciò perché l’acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio; ed inoltre perché il giudice “deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo”, se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cpc).
La possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio si traduce in una forma di singolare “aggiramento” delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituisce un vulnus per il diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì innanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di controinteressato.
D’altra parte, se l’accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto in funzione di una “situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, co. 1, lett. b), l. n. 241/1990), appare evidente come l’esigenza di tutela risulti già ampiamente assicurata attraverso i mezzi tipici previsti nel processo instaurato.
Nei sensi ora esposti, l’indispensabilità del documento ai fini di tutela giurisdizionale (cui la giurisprudenza – v. sent. n. 2472/2014 di questo Consiglio di Stato, già citata – ricollega la possibile ostensione), deve essere intesa anche come impossibilità di acquisire il documento, anche attraverso forme processuali tipiche, già previste dall’ordinamento.
Né è secondario sottolineare – come si è già innanzi richiamato – che, nel caso di specie, l’accesso ai documenti amministrativi non costituisce “rilevante finalità di pubblico interesse”, né è volto a “favorire la partecipazione” del privato all’attività dell’amministrazione, né ad “assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, co. 2, l. n. 241/1990), ma, ben diversamente, esso, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della pubblica amministrazione, tende a definirsi come un utilizzo improprio di uno strumento assicurato dall’ordinamento, in modo da alterare – nella misura in cui aggira gli strumenti processuali tipici – la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita (anche) dalla previa valutazione del giudice..
5.2. E’ appena il caso di sottolineare che ciò che si è ora affermato con riferimento ad un giudizio tra privati (e, dunque, con riferimento a norme processualcivilistiche), non è immediatamente applicabile al processo amministrativo; né, per converso, la possibilità di instaurare un giudizio avverso la pubblica amministrazione e, in parallelo, esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce elemento per contraddire le conclusioni alle quali si è innanzi pervenuti.
Ed infatti, nel giudizio amministrativo è espressamente enunciato l’obbligo gravante sulla pubblica amministrazione (v. ora art. 46 Cpa) di produrre, nel costituirsi in giudizio, “l’eventuale provvedimento impugnato, nonché gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati e quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio”.
Ciò significa che la pubblica amministrazione, evocata in giudizio come parte, con riferimento ad una pluralità di atti, non ha “libertà” di articolare una propria linea difensiva, sottraendo i documenti al giudizio. Il che rende sia possibile il contestuale diritto di accesso, sia l’acquisizione, anche di ufficio, di documenti amministrativi al giudizio (artt. 63, 64, co. 3, 65, co. 3, Cpa)”.
14. Per il caso in cui l’Adunanza Plenaria aderisse alla prima opzione interpretativa, la Sezione prospetta che andrebbe esaminata anche la questione delle modalità attraverso le quali l’accesso agli atti va esercitato, sussistendo diversità di vedute anche su questo aspetto.
In particolare, la Sezione segnala che la sentenza n. 2472 del 2014 ha consentito l’accesso nella sola forma della visione, negando invece l’estrazione della copia.
Diversamente, le sentenze n. 5347 e n. 5910 del 2019 -confermando sul punto le rispettive sentenze di primo grado- hanno consentito l’accesso anche mediante l’estrazione della copia e, ove possibile, anche mediante la modalità telematica.
15. Per tutte le considerazioni che precedono, si rimettono, pertanto, all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del cod. proc. amm., le seguenti questioni:
a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;
b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod proc. civ; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);
c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse;
d) ovvero se -all’opposto- la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990;
e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica.
16. Valuterà l’Adunanza Plenaria se affermare i rilevanti principi di diritto o se definire il secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, non definitivamente pronunciando sul ricorso in appello n. 5344 del 2019 di cui in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al Segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte appellata, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il procedimento di cui la stessa è parte.
Così deciso in Roma, nel palazzo di piazza Capo di Ferro, nelle camere di consiglio del giorno 21 novembre 2019 e del giorno 18 dicembre 2019, con l’intervento dei magistrati: