FINANZA PUBBLICA E RISARCIMENTO DEL DANNO DA RITARDO: IL VINCOLO DI BILANCIO GIUSTIFICA UN’INTERPRETAZIONE RESTRITTIVA DELLA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.?

Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni: a) se si configuri o meno una interruzione del nesso di causalità della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 c.c. di tipo omissivo se, successivamente all’inerzia dell’Amministrazione su istanza pretensiva del privato, di per sé foriera di ledere il solo bene tempo, si verifichi una sopravvenienza normativa che, impedendo al privato di realizzare il progetto al quale l’istanza era preordinata, determini la lesione dell’aspettativa sostanziale sottesa alla domanda presentata all’Amministrazione, che sarebbe stata comunque soddisfatta, nonostante l’intervenuta nuova disciplina, se l’Amministrazione avesse ottemperato per tempo; b) se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ovvero da inerzia e/o ritardo) sia costituito dalla responsabilità contrattuale piuttosto che da quella aquiliana; c) in caso di risposta al quesito sub b) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, se la sopravvenienza normativa occorsa intervenga, all’interno della fattispecie risarcitoria, in punto di quantificazione del danno (art. 1223 c.c.) o di prevedibilità del medesimo (art. 1225 c.c.); d) in caso di risposta al quesito sub b) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, se deve o meno essere riconosciuta la responsabilità dell’Amministrazione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati; e) in via subordinata, in caso di risposta al quesito sub b) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità, se in ipotesi di responsabilità colposa da lesione dell’interesse legittimo pretensivo integrata nel paradigma normativo di cui all’art. 2043 c.c. la Pubblica amministrazione sia tenuta o meno a rispondere anche dei danni derivanti dalla preclusione al soddisfacimento del detto interesse a cagione dell’ evento – per essa imprevedibile – rappresentato dalla sopravvenienza normativa primaria preclusiva e, in ipotesi di positiva risposta al detto quesito, se tale risposta non renda non manifestamente infondato un dubbio di compatibilità di tale ricostruzione con il precetto di cui all’art. 81, comma 3, Cost.; f) sempre in via subordinata, in caso di risposta al quesito sub b) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità se debba o meno essere riconosciuta, nel caso all’esame del Cga, la responsabilità della Regione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati.

 

FATTO
1. La società Iris Impianti Energia Rinnovabile Siracusa s.r.l. (di seguito “Iris”) ha presentato, in data 30 giugno 2009, quattro distinte istanze all’Assessorato regionale territorio e ambiente di valutazione di impatto ambientale e all’Assessorato energia di autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per la costruzione e la gestione di altrettanti impianti fotovoltaici, da realizzarsi nel Comune di Siracusa.
Successivamente, in data 29 luglio 2009, la Società ha provveduto “ad integrare la documentazione depositata contestualmente all’istanza di autorizzazione unica depositando, tra l’altro, copia del contratto preliminare di vendita registrato avente ad oggetto i terreni necessari per la realizzazione del progetto”.
In data 26 luglio 2010 Iris ha provveduto a “rinnovare la richiesta di rilascio di autorizzazione unica depositando un aggiornamento della documentazione richiesta dall’art. 2 del P.E.A.R.S. In particolare, la Società depositava: a) dichiarazione aggiornata del 23 luglio 2010 emessa di primario istituto di investimento ; b) dichiarazione del 21 luglio 2010 emessa da primaria compagnia di assicurazione attestante la disponibilità alla copertura assicurativa ; c) copia di due contratti di proroga della durata dei contratti preliminari di vendita comprovanti l’attuale disponibilità giuridica dell’area”.
2. In mancanza di riscontro, la medesima ha agito, con ricorsi al Tar Sicilia – Palermo dell’aprile 2011 distinti per ciascuna istanza, per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dalle amministrazioni, proponendo altresì domanda di risarcimento del danno causato dalla ritardata conclusione del procedimento di VIA e di autorizzazione unica, che avrebbe dovuto concludersi entro 180 giorni, identificandolo nelle seguenti voci:
a) danno emergente, consistente nei maggiori costi sostenuti per il pagamento delle imposte e per la stipula dei contratti in forma di atto pubblico e per il corrispettivo preteso dal promittente venditore a causa della maggiore durata dei preliminari, quantificati in misura diversa per ciascuno dei quattro impianti, da provare in corso di giudizio;
b) lucro cessante, consistente: – nell’ipotesi in cui al momento del rilascio dell’autorizzazione unica, permanesse l’interesse all’attuazione del progetto, nel minor guadagno, pari alla differenza tra l’importo della tariffa incentivante prevista dal d.m. 6.8.2010 (“Terzo Conto Energia”) e quello della tariffa incentivante al tempo del rilascio dall’autorizzazione unica, da calcolare su un arco temporale di 20 anni, corrispondente al periodo di assegnazione delle tariffe incentivanti ai sensi dell’art. 8 d.m. citato; – nell’ipotesi in cui, al contrario, al momento del rilascio dell’autorizzazione unica, fosse venuto meno l’interesse alla attuazione del progetto, in ragione del notevole lasso di tempo trascorso ovvero, a causa di norme di legge sopravvenute, fossero venute meno le condizioni di fattibilità tecnica e di convenienza economico-finanziaria del progetto, l’intera utilità patrimoniale, pari all’importo della tariffa incentivante stabilita dal Terzo Conto Energia, oltre a tutte le spese e i costi sostenuti per la progettazione e la predisposizione tecnica necessaria, da provare in corso di giudizio.
3. Con quattro sentenze dell’ottobre 2011, le n. 1705, n. 1706, n. 1707 e n. 1708, confermate dal C.G.A. rispettivamente con le sentenze n. 663, n. 664, n. 665 e n. 666 del 2012, il Tar ha accolto le domande di declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Assessorato regionale dell’energia in ordine alle richieste di autorizzazione unica, acclarando il superamento del termine massimo per la conclusione del procedimento, stabilito dall’art. 12 d.lgs. citato, senza che fosse stato adottato un provvedimento espresso sulle istanze.
Il Tar ha stabilito l’obbligo della Regione Sicilia di pronunciarsi espressamente sulle istanze predette e stralciato il capo di domanda per il risarcimento del danno da mancato rilascio dell’autorizzazione entro il termine di conclusione del procedimento, con rimessione sul ruolo ordinario per la trattazione in pubblica udienza, ai sensi dell’art. 117, comma 6, c.p.a..
4. Facevano seguito quattro sentenze del T.a.r. per la Sicilia, -Sede di Palermo- di accoglimento, nn. 822/2012, 824/2012, 823/2012 e 825/2012, dei separati ricorsi per l’ottemperanza alle sentenze predette.
5. Con tre decreti di data 18 febbraio 2013 sono state rilasciate alla società le autorizzazioni uniche per la realizzazione degli impianti fotovoltaici denominati, “Iris Siracusa 01”, “Iris Siracusa 02”, “Iris Siracusa 03”.
In relazione all’impianto “Iris Siracusa 04” il procedimento avviato con l’istanza di autorizzazione unica presentata da Iris si è arrestato in seguito al verbale 19 settembre 2012 e al parere negativo 31 gennaio 2013, n. 5183 dell’Assessorato territorio e ambiente. A seguito di richiesta di riesame presentata dalla società la conferenza di servizi è stata poi riconvocata con nota dell’Assessorato all’energia 14 maggio 2013, n. 25146 per addivenire, in seguito alla “modifica del progetto originario volta a eliminare le cause che hanno determinato l’iniziale incompatibilità ambientale” (così il consulente di parte nella relazione 11 giugno 2013 e il ctu nella prima relazione) al verbale positivo della conferenza di servizi del 23 settembre 2013, comunicato a Iris in data 2 ottobre 2013.
6. Con le sentenze (quasi) gemelle nn. 1182, 1183, 1184 e 1185 del 2014 il Tar ha dichiarato inammissibili le domande di risarcimento di cui ai quattro anzidetti ricorsi.
7. Ciascuna delle sentenze predette è stata impugnata, per il medesimo ordine di ragioni, da parte della società soccombente (ricorso n. 72/2015 avverso la sentenza n. 1185/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “SIRACUSA 1”; ricorso n. 73/2015 avverso la sentenza n. 1183/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “SIRACUSA 2”; ricorso n. 74/2015, avverso la sentenza n. 1182/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “SIRACUSA 3”; ricorso n. 75/2015, avverso la sentenza n. 1184/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “SIRACUSA 4”).
8. Questo CGARS, riuniti i predetti ricorsi con ordinanze n. 901 del 2019 e n. 296 del 2020, ha disposto incombenti istruttorii (consulenza tecnica). Gli incombenti istruttorii sono stati adempiuti con relazioni depositate in data 17 febbraio 2020 e 21 settembre 2020.
9. Nel corso del giudizio di appello si sono costituiti la presidenza della Regione Siciliana, l’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità e l’Assessorato regionale territorio e ambiente.
10. All’udienza del 12 novembre 2020 le riunite cause sono state trattenute in decisione.

 

DIRITTO
(AMMISSIBILITA’)
11. Sono riuniti i quattro ricorsi in epigrafe stante la connessione soggettiva ed oggettiva esistente tra i medesimi.
12. Gli identici appelli nn. 72/2015, 73/2015, 74/2015 sono accoglibili in parte nei sensi di cui alla motivazione che segue, (dovendosi affermare, in riforma delle impugnate decisioni, l’ammissibilità della domanda risarcitoria proposta in primo grado, sia con riferimento al danno emergente che al lucro cessante) mentre l’appello n. 75/2015 deve essere parzialmente respinto, nei sensi di cui alla motivazione che segue (dovendosi confermare l’ impugnata decisione quanto alla inammissibilità della domanda risarcitoria proposta in primo grado con riferimento al lucro cessante mentre la stessa va riformata quanto al danno emergente dovendosi affermare la astratta ammissibilità della relativa domanda proposta in primo grado).
Si procede a scrutinare il primo motivo formulato in ciascuno dei distinti ed identici atti di appello come sopra indicati, avente a oggetto l’ammissibilità della domanda risarcitoria mentre si riserva la decisione delle altre censure alla fase processuale che seguirà la decisione all’Adunanza plenaria.
13. Con il primo motivo d’appello di ciascun ricorso Iris ha dedotto l’erroneità della declaratoria di inammissibilità del ricorso, la nullità ed erroneità della sentenza per violazione del giudicato formatosi sulla precedente sentenza parziale intervenuta nel medesimo giudizio, la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 c.p.a., l’eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento dei presupposti, manifesta illogicità, carenza di motivazione.
13.1. Il Tar ha ritenuto la domanda inammissibile per genericità, in quanto sarebbe stata articolata nelle sue componenti specifiche con la memoria difensiva depositata il 21 giugno 2013 e non notificata alle controparti, ed in quanto costruita su mere probabilità. Quanto all’ultimo profilo, il presunto lucro cessante non si configurerebbe come conseguenza automatica del comportamento illegittimo di cui si discute (ritardo nel rilascio dell’autorizzazione unica) e sarebbe mancata l’allegazione di elementi di fatto, idonei a far presumere (con carattere di gravità, precisione e concordanza) che il tempestivo rilascio dell’autorizzazione unica avrebbe comportato, ex se, l’applicazione della tariffa incentivante prevista dal Quarto Conto Energia (d.m. 5 maggio 2011). Parimenti non potrebbe essere corrisposta alcuna somma derivante dalla mancata vendita dell’energia che l’impianto avrebbe potuto produrre se l’autorizzazione fosse stata rilasciata per tempo poiché la ricorrente, in assenza delle predette tariffe incentivanti ha manifestato l’intenzione di non voler più realizzare l’impianto fotovoltaico in questione. Peraltro, sempre quanto al lucro cessante, l’ipotesi formulata da parte ricorrente della presunta data di entrata in esercizio dell’impianto entro 6 mesi, ossia entro il 22 luglio 2011, comporterebbe l’impossibilità di configurare i primi due scenari, l’1 e il 2, prospettati da Iris.
13.2. Secondo l’appellante la domanda risarcitoria non sarebbe generica e lo denoterebbe la sentenza già pronunciata sul distinto capo del ricorso concernente il silenzio, che ha rimesso sul ruolo ordinario la domanda risarcitoria così riconoscendone l’ammissibilità.
La sentenza impugnata sarebbe nulla per contrasto col giudicato formatosi su tale precedente pronuncia, e comunque errata, in quanto la domanda risarcitoria già nel ricorso introduttivo è stata ampiamente argomentata e circostanziata contenendo l’illustrazione sia dei fatti specifici che dei presupposti costitutivi della responsabilità risarcitoria delle Amministrazioni regionali appellate, inclusi i criteri per la liquidazione del lucro cessante preteso.
13.3. Il Collegio ritiene, in disparte ogni considerazione sulla fondatezza della richiesta di tutela e sul quantum del danno, sia in termini di danno emergente e sia in punto di lucro cessante, che la domanda risarcitoria sia integralmente ammissibile in quanto formulata in termini sufficientemente specifici, almeno in relazione ai primi tre impianti, “Iris Siracusa 01”, “Iris Siracusa 02”, “Iris Siracusa 03”, (appelli r.g. n. 72/2015, 73/2015, 74/2015) e, come meglio si preciserà di seguito, ad eccezione della sola domanda risarcitoria relativa al lucro cessante riguardante il quarto impianto, “Iris Siracusa 04” e di cui al ricorso in appello r.g. n. 75/2015.
La domanda di risarcimento del danno causato dalla ritardata conclusione di autorizzazione unica, che avrebbe dovuto concludersi entro 180 giorni, è stata formulata con il ricorso introduttivo, contenente anche la domanda giudiziale di tutela avverso il silenzio, domanda che ha avuto l’esito processuale richiamato sopra.
In particolare, per il danno emergente ha indicato i maggiori costi sostenuti per il pagamento delle imposte e per la stipula dei contratti in forma di atto pubblico e per il corrispettivo preteso dal promittente venditore a causa della maggiore durata dei preliminari, quantificati in complessivi € 20.500,00, oltre gli interessi legali, da provare in corso di giudizio.
Quanto al lucro cessante, ha distinto due ipotesi così riassumibili: qualora, al momento del rilascio dell’autorizzazione unica, permanesse l’interesse all’attuazione del progetto, il minor guadagno, pari alla differenza tra l’importo della tariffa incentivante dal d.m. 6 agosto 2010 (“Terzo Conto Energia”) e quello della tariffa incentivante al tempo del rilascio dall’autorizzazione unica, da calcolare su un arco temporale di 20 anni, corrispondente al periodo di assegnazione delle tariffe incentivanti ai sensi dell’art. 8 del Terzo Conto Energia. Laddove, al contrario, al tempo del rilascio dell’autorizzazione unica, fosse venuto meno l’interesse all’attuazione del progetto in ragione del notevole lasso di tempo trascorso ovvero, a causa di norme di legge sopravvenute, fossero venute meno le condizioni di fattibilità tecnica e la convenienza economico-finanziaria del progetto, ha chiesto la condanna al pagamento dell’intera utilità patrimoniale, pari all’importo della tariffa incentivante stabilita dal Terzo Conto Energia, oltre a tutte le spese e i costi sostenuti per la progettazione e la predisposizione tecnica necessaria, da provare in corso di giudizio.
Al fine di quantificare il danno da lucro cessante asseritamente causato dalla condotta dell’Amministrazione, corrispondente alla progressiva riduzione dei ricavi netti d’impresa con l’allontanarsi del momento del rilascio dell’autorizzazione unica, in data 12 giugno 2013 Iris ha depositato in giudizio una relazione, con la quale il consulente di parte, dopo aver elaborato quattro possibili scenari alternativi basati sulle diverse ipotetiche date di rilascio dell’autorizzazione e sui tempi presumibili di entrata in esercizio dell’impianto (calcolati mediamente in circa sei mesi), indicati nei giorni 30 giugno 2010 (scenario 1), 30 aprile 2011 (scenario 2), 30 aprile 2012 (scenario 3) e 30 aprile 2013 (scenario 4), ha quantificato il danno emergente.
Con memoria non notificata alle parti avverse, depositata il 21 giugno 2013, in vista dell’udienza pubblica di trattazione della domanda risarcitoria, l’impresa ricorrente ha dedotto di non potere più procedere alla realizzazione del progetto a causa della sopravvenuta normativa, l’art. 65 del d.l. n. 1/2012, convertito con modificazioni, dalla l. n. 27 del 2012 che, a decorrere dal 25 maggio 2012, ha escluso gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in area agricola, come quello progettato, dall’accesso agli incentivi statali per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. In assenza degli incentivi statali predetti, l’iniziativa imprenditoriale, soltanto adesso autorizzata, sarebbe divenuta antieconomica perché si svolgerebbe in condizioni di costante perdita di esercizio non potendo i ricavi remunerare gli elevati costi della tecnologia da impiantare. Ha chiesto, pertanto, la condanna dell’Amministrazione regionale al risarcimento del danno da lucro cessante, così come quantificato nell’ipotesi denominata scenario 1 e, in linea via via subordinata, come da scenario 2 e poi 3, fino a giungere allo scenario 4 che concerne l’affermazione dell’impossibilità sopravvenuta di accedere agli incentivi pubblici, configurando un danno da perdita di chance da liquidarsi in via equitativa, oltre al risarcimento da danno emergente comprensivo di tutte le spese affrontate per l’ottenimento dell’autorizzazione unica, specificamente elencate (costo per l’elaborazione progettuale, per il rilascio dei pareri istruttori, per le pubblicazioni, per le spese legali, per la registrazione dei contratti preliminari).
Ne deriva che la parte ha individuato compiutamente la causa petendi, seppure sulla base di ipotesi prefigurate come alternative nel ricorso introduttivo, per poi specificarla con memoria successiva (comunque sulla base di una ipotesi già formulata con il ricorso introduttivo), e il petitum, anch’esso approfondito con la memoria 21 giugno 2013.
Può quindi ritenersi ammissibile la domanda di risarcimento del danno sia relativa al danno emergente che al lucro cessante per quanto attiene agli impianti “Iris Siracusa 01”, “Iris Siracusa 02” e “Iris Siracusa 03”.
Vanno pertanto accolti:
a) il ricorso n. 72/2015 avverso la sentenza n. 1185/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “Siracusa 01”;
b) il ricorso n. 73/2015 avverso la sentenza n. 1183/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “Siracusa 02”;
c) il ricorso n. 74/2015, avverso la sentenza n. 1182/2014 concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria con riferimento all’impianto c.d. “Siracusa 03”; e, per l’effetto, in riforma delle suindicate decisioni vanno dichiarate ammissibili le domande risarcitorie già prospettate in primo grado.
13.4. Contrariamente a quanto sinora affermato con riferimento ai ricorsi in appello nn. 72/2015, 73/2015 e 74/2015, in merito alla richiesta risarcitoria relativa all’impianto denominato dalla società “Iris Siracusa 04” (appello n. 75/2015) il Collegio osserva che le relative vicende amministrative e processuali la connotano in modo peculiare, in particolare in ordine alla richiesta di risarcimento danni per lucro cessante.
Dal punto di vista amministrativo il procedimento avviato con l’istanza di autorizzazione unica presentata da Iris si è arrestato in seguito al verbale 19 settembre 2012 e al parere negativo 31 gennaio 2013, n. 5183 dell’Assessorato territorio e ambiente. A seguito di richiesta di riesame presentata dalla società, la conferenza di servizi è stata poi riconvocata con nota dell’Assessorato all’energia 14 maggio 2013, n. 25146 per addivenire, in seguito alla “modifica del progetto originario volta a eliminare le cause che hanno determinato l’iniziale incompatibilità ambientale” (così il consulente di parte nella relazione 11 giugno 2013 e il ctu nella prima relazione) al verbale positivo della conferenza di servizi del 23 settembre 2013, comunicato a Iris in data 2 ottobre 2013.
Stante quanto sopra, dopo che la domanda di risarcimento danni presentata al Tar con il ricorso n. 864 del 2011 è stata inizialmente formulata in termini analoghi a quanto contenuto nei ricorsi relativi agli altri impianti, che hanno ricevuto il provvedimento positivo di autorizzazione unica in data 18 febbraio 2013, la relazione del consulente di parte depositata l’11 giugno ha illustrato due prospettazioni per la determinazione del mancato guadagno, una riguardante i soli primi tre impianti e una seconda comprensiva anche del quarto impianto, basate su quattro scenari temporali a seconda dell’entrata in esercizio degli impianti.
La prospettazione contenente anche la previsione di lucro cessante per il quarto impianto non tiene conto della vicenda amministrativa che ha connotato la relativa istanza di autorizzazione, che ha ricevuto, nella formulazione iniziale, un parere ambientale negativo, avente effetti, quanto meno (e a tacer d’altro) sulla tempistica.
Ne deriva che, quanto al lucro cessante, la relazione del consulente di parte non può essere considerata al fine di specificare la domanda di risarcimento del danno inizialmente presentata per il mancato guadagno.
Con memoria 21 giugno 2013, depositata quando ancora il progetto Iris Siracusa 04 era in corso di valutazione dopo aver ricevuto un iniziale diniego di parere ambientale, Iris ha individuato la causa petendi della relativa azione di risarcimento nella violazione del termine procedimentale, distinguendola espressamente dalla ragione del danno occorso relativamente agli altri tre progetti, indicata nel tardivo rilascio dei provvedimenti positivi, e ha chiesto, con riferimento a detto impianto e a differenza della domanda formulata in relazione agli altri impianti, la condanna al solo danno emergente.
Successivamente non risulta che siano state presentati ulteriori atti di parte o memorie (successive alla comunicazione 2 ottobre 2013 del verbale della conferenza di servizi tenutasi il 23 settembre 2013). E ciò, nonostante che l’udienza di merito inizialmente fissata per il 23 luglio 2013 sia stata rinviata al 7 febbraio 2014, a seguito di richiesta di Iris, proprio in attesa delle determinazioni amministrative riguardanti il quarto impianto. Né depone in senso contrario la mancata adozione del provvedimento finale posto che, nell’economia del caso in esame, il dato rilevante è costituito dal contenuto positivo della decisione dell’Ente regionale, comunque contenuto nel suddetto verbale.
Ne deriva che la società, nel corso del giudizio di primo grado, non ha compiutamente delineato la domanda di risarcimento in punto di lucro cessante con riferimento all’impianto “Iris Siracusa 04”.
Non vale in senso contrario la circostanza che il Tar, dopo aver deciso il ricorso avverso il silenzio, abbia rimesso la domanda risarcitoria sul ruolo ordinario senza rilevare l’inammissibilità della medesima posto che se è vero che, per ragioni di economia processuale, la manifesta inammissibilità della domanda avrebbe potuto essere rilevata dal giudice del giudizio avverso il silenzio, ciò non toglie che il Tar, nell’ambito del processo svolto con rito ordinario, abbia il potere di conoscere tutta la domanda, comprensiva di presupposti processuali e condizioni dell’azione. Pertanto la rimessione da parte del primo giudice sul ruolo ordinario della domanda risarcitoria non impedisce al secondo giudice di rilevarne l’inammissibilità, peraltro parziale (relativa al solo lucro cessante).
Né allo stesso fine può essere spesa la valutazione effettuata da questo CGARS con ordinanza n. 901 del 2019 circa l’ammissibilità della domanda risarcitoria proposta nel giudizio di primo grado. Si tratta, infatti, di un’ammissibilità considerata in astratto e nella completezza della domanda, che non esclude parziali pronunce di inammissibilità, a tacere del fatto che le statuizioni contenute nelle ordinanze istruttorie sono modificabili in ragione della natura non decisoria delle medesime (“sempre revocabili, reiterabili e soprattutto destinati ad essere cristallizzati solo con la sentenza”, Cons. St., sez. IV, 9 aprile 2018, n. 1759, conformemente a Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2019, n. 27842).
13.5. Alla luce delle suindicate considerazioni, ritiene il Collegio parzialmente e definitivamente pronunciando che l’appello n. 75/2015 (impianto c.d. “Siracusa 04”) vada respinto quanto all’ammissibilità del petitum relativo al lucro cessante, restando a questo punto da scrutinare, rispetto all’impianto “Siracusa 04”, unicamente la domanda concernente il danno emergente che, invece, è ammissibile per le analoghe considerazioni formulate quanto ai tre riuniti ricorsi.
(QUESTIONI POSTE ALL’ADUNANZA PLENARIA)
14. Così delineato l’ambito di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno formulata in primo grado ed accolti sul punto i restanti tre ricorsi in appello in epigrafe nn. 72/2015, 73/2015 e 74/2015 con conseguente riforma delle sentenze di primo grado rispettivamente distinte ai nn. 1185/2014, 1183/2014 e 1182/2014 il Collegio si appresta a scrutinare la fondatezza della medesima, con particolare riferimento al petitum concernente il lucro cessante.
14.1. Si premette al riguardo che i tre ulteriori motivi di appello (riguardanti la determinazione della data a quo del decorso del termine procedimentale in ragione della pluralità di istanze presentate per avviare il procedimento di autorizzazione unica e la conseguente individuazione del conto energia applicabile, la concreta quantificazione del lucro cessante e la mancata pronuncia riguardo alla subordinata richiesta di liquidazione equitativa del danno) saranno valutati a valle della decisione dell’Adunanza plenaria.
Ciò in quanto –ad avviso del Collegio, che meglio si diffonderà sul punto nel prosieguo della presente esposizione – risulta sufficientemente provato dagli esiti delle disposte consulenze che l’appellante sarebbe riuscita ad accedere ad uno dei predetti conti “energia”: la decisione del Collegio in merito a quale di essi fosse più fondatamente fruibile dall’impresa potrebbe assumere rilevanza unicamente in punto di quantum, e non di an della liquidazione del risarcimento da lucro cessante e pertanto i quesiti che il Collegio si accinge a formulare non sono condizionati nella loro rilevanza da tali profili.
15. Venendo al merito del giudizio, il caso di specie si è dipanato, per quanto di interesse ai fini della decisione qui in trattazione, nei seguenti accadimenti:
– la società Iris Impianti Energia Rinnovabile Siracusa s.r.l. (di seguito “Iris”) ha presentato all’Assessorato regionale tre distinte istanze di autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per la costruzione e la gestione di altrettanti impianti fotovoltaici, da realizzarsi nel Comune di Siracusa e denominati “Iris Siracusa 01”, “Iris Siracusa 02”, “Iris Siracusa 03”;
– le istanze di autorizzazione unica sono state presentate una prima volta il 30 giugno 2009 e poi successivamente sono state presentate ulteriori note, il 29 luglio 2009 e 26 luglio 2010 (sul punto, concernente la data di decorrenza del termine di conclusione del procedimento, si è già detto che il Collegio si riserva di decidere a valle della pronuncia dell’Adunanza plenaria dal momento che la circostanza non si riflette sui quesiti formulati con la presente pronuncia);
– nel corso del procedimento la società ha depositato la documentazione necessaria per ottenere l’autorizzazione, ivi inclusa compresa quella prevista dal P.E.A.R.S. (Piano Energetico Ambientale Regionale Siciliano), così come accertato dal Tar e non contestato;
– la conclusione del procedimento è stata più volte sollecitata da Iris (note 14 ottobre 2009, 14 gennaio 2011, 24 aprile 2012 e 29 maggio 2012);
– le autorizzazioni uniche per la realizzazione degli impianti fotovoltaici sono state rilasciate in data 18 febbraio 2013;
– l’Amministrazione ha, quindi, concluso il procedimento con notevole ritardo, cioè oltre i termini procedimentali previsti, circostanza accertata con due pronunce giurisdizionali di cognizione, attivate a seguito di altrettanti ricorsi avverso il silenzio dell’Amministrazione, dell’ottobre 2011, (le sentenze del Tar n. 1705, n. 1706, n. 1707 e n. 1708, confermate da questo CGARS rispettivamente con le sentenze n. 663, n. 664, n. 665 e n. 666 del 2012, che hanno altresì condannato l’Ente a provvedere), ed altresì dalle sentenze del Tar di ottemperanza, nn. 822/2012, 824/2012, 823/2012 e 825/2012.
– all’epoca della presentazione dell’istanza, e successivamente, era in vigore un regime incentivante per promuovere la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici introdotto in applicazione dell’art. 7, comma 2 lettera d), del d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (“per l’elettricità prodotta mediante conversione fotovoltaica della fonte solare una specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio”), che ha attuato la direttiva 2001/77/CE; in considerazione della progressiva riduzione del costo degli impianti e dei moduli fotovoltaici il sistema incentivante ha avuto cinque diverse versioni, denominate, nel lessico corrente, primo conto energia, introdotto con d.m. 28 luglio 2005, secondo conto energia, introdotto con d.m. 19 febbraio 2007, terzo conto energia, introdotto con d.m. 6 agosto 2010, quarto conto energia, introdotto con d.m. 5 maggio 2011, e quinto conto energia, di cui al d.m. 5 luglio 2012 (in vigore dal 27 agosto 2012), che ha terminato di produrre effetti il 6 luglio 2013, quando è stato raggiunto il tetto di 6,7 miliardi di euro;
– nelle more dell’adozione delle autorizzazioni uniche l’art. 65 d.l. n. 1/2012, convertito con modificazioni, dalla l. n. 27/2012, ha escluso, a decorrere dal 25 marzo 2012, gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in area agricola, come quelli progettati nel caso di specie, dall’accesso agli incentivi statali per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. In particolare i commi 1 e 2 dell’appena richiamato art. 65 hanno disposto che agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non è consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al d. lgs. 3 marzo 2011, n. 28 a far data dal 25 marzo 2012, a meno che abbiano conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Nella formulazione del d.l., poi convertito con modificazioni, i commi 1 e 2 dell’art. 65 stabiliscono una disciplina transitoria analoga, con decorrenza della regola generale dell’inaccessibilità agli incentivi statali dal 24 gennaio 2012, data di pubblicazione ed entrata in vigore del decreto, e subordinazione dell’eccezione al conseguimento del titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del decreto o alla presentazione della richiesta per il conseguimento del titolo entro la medesima data, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto;
– il quinto conto energia, introdotto con d.m. 5 luglio 2012 e in vigore dal 27 agosto 2012, ha terminato di produrre effetti il 6 luglio 2013, quando è stato raggiunto il tetto di 6,7 miliardi di euro;
– successivamente non è stata adottata altra specifica incentivazione degli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica;
– ai sensi del d. lgs. n. 79 del 1999 è possibile vendere sul mercato elettrico energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili attraverso la vendita diretta (in borsa, a cliente finale libero o a grossista) oppure attraverso il ritiro dedicato (cessione regolamentata dell’energia elettrica prodotta dall’impianto e immessa in rete ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 4, del d. lgs. n. 387 del 2003).
16. In ragione dei fatti sopra riportati e del disposto dell’art. 2 bis della l. n. 241 del 1990 Iris ha presentato, con il ricorso introduttivo del presente giudizio, domanda risarcitoria al fine di vedersi ristorare i danni (in tesi) provocati colposamente dall’Amministrazione in seguito all’inosservanza del termine di conclusione del procedimento di autorizzazione unica.
In particolare la domanda, formulata a titolo di responsabilità extracontrattuale, ha a oggetto, oltre al danno emergente, il lucro cessante.
Quest’ultimo è individuato quale mancato guadagno derivante dal fatto che il lasso di tempo illegittimamente prolungato dall’Amministrazione prima dell’adozione del provvedimento di autorizzazione unica avrebbe fatto venir meno le condizioni di realizzabilità del progetto, così impedendo a Iris di acquisire, per un ventennio (fino al 2030), le utilità patrimoniali connesse a esso, individuate negli introiti prodotti dal regime incentivante e dalla vendita dell’energia elettrica prodotta, mentre solo in via subordinata è stato chiesto il danno da perdita di chance.
Secondo la prospettazione attorea, specificata con la memoria 21 giugno 2013, il rilascio tempestivo del provvedimento autorizzatorio avrebbe consentito alla società di accedere, per un ventennio (fino al 2030), agli incentivi per energia prodotta con impianti fotovoltaici nel regime vigente al momento della realizzazione del progetto, la cui determinazione dipende dalla tematica oggetto del secondo motivo d’appello, che il Collegio si riserva di valutare successivamente, così individuando il regime incentivante applicabile (nel corso del tempo si sono succeduti, con riferimento alla tipologia di progetto presentato da Iris, il primo, il secondo, il terzo e il quarto conto energia).
La domanda è fondata, in particolare, sui seguenti requisiti della fattispecie risarcitoria:
– la condotta dell’Amministrazione, di cui è accertato, con statuizione passata in giudicato (sentenze n. 1705 del 2011, n. 1706 del 2011, n. 1707 del 2011 e n. 1708 del 2011, confermate dal C.G.A. rispettivamente con le sentenze n. 663, n. 664, n. 665 e n. 666 del 2012), l’illegittima violazione dell’obbligo di provvedere nel rispetto dei termini stabiliti per la conclusione del procedimento di autorizzazione unica di cui alla presente controversia (180 giorni);
– la qualificazione della medesima in termini colposi in ragione della presunzione, non superata, discendente dalla violazione del termine procedimentale, dei solleciti presentati dalla società e del contenzioso avente a oggetto il silenzio;
– il rilascio del provvedimento di autorizzazione unica in ritardo, cioè in data 18 febbraio 2013, che comprova la fondatezza della pretesa della società;
– la sopravvenienza normativa contenuta nell’art. 65 del d.l. n. 1 del 2012, che ha posto fine, per gli impianti della tipologia di quelli progettati da Iris, al sistema incentivante del quarto conto energia, all’epoca vigente, e comunque il venir meno il 6 luglio 2013 del meccanismo incentivante del quinto conto energia, introdotto a far tempo dal 27 agosto 2012, rispetto al quale il consulente ha affermato che “per i sistemi fotovoltaici tradizionali, come sarebbero risultati classificati quelli oggetto di consulenza che sono di potenza dell’ordine dei megawatt di picco, non prevedeva l’accesso ai meccanismi di incentivazione in modo diretto ma piuttosto previa iscrizione degli impianti in appositi registri” e che “gli impianti poi sarebbero dovuti rientrare in graduatorie i cui criteri di priorità avrebbero visto gli impianti IRIS certamente sfavoriti”;
– la circostanza, attestata altresì dal consulente d’ufficio, oltre che avallata dal perito di parte, che, se le autorizzazioni fossero state rilasciate per tempo, “Iris avrebbe avuto una “seria e qualificata possibilità” di accedere ai conti energia” (così il consulente d’ufficio); in particolare, dal consulente d’ufficio sono stati configurati tre scenari alternativi costruiti a partire dalle tre possibili date di presentazione dell’istanza di autorizzazione unica, 30 giugno 2009, 29 luglio 2009 e 26 luglio 2010, dalla quale far decorrere i 180 giorni entro i quali concludere il procedimento e ulteriori 180 giorni per la realizzazione e l’allaccio dell’impianto, così da individuare rispettivamente la data finale del 30 giugno 2010, 29 luglio 2010 e 27 luglio 2011, con conseguente accesso, nei primi due casi, al secondo conto energia e, nel terzo caso, al quarto conto energia mentre dal perito di parte sono stati illustrati, con risultati non dissimili, tre prospettazioni alternative basati sulle diverse ipotetiche date di rilascio dell’autorizzazione (rispettivamente indicate nel 31 dicembre 2009, nell’ottobre 2010 e nell’agosto 2011) e sui tempi presumibili di entrata in esercizio dell’impianto (calcolati mediamente in circa sei mesi), indicati nei giorni 30 giugno 2010 (scenario 1), 30 aprile 2011 (scenario 2) e 30 aprile 2012 (scenario 3), oltre a un quarto scenario, quello che si è verificato, con entrata in esercizio degli impianti oltre il limite temporale introdotto dal richiamato art. 65;
– l’attestazione del consulente d’ufficio, approfondita dal perito di parte, che, in mancanza di incentivazione, non sarebbe stato conveniente implementare l’attività imprenditoriale (“dopo la fine del processo di incentivazione in conto energia del fotovoltaico in Italia la realizzazione degli impianti a terra di taglia di qualche megawatt (quali sono quelli ipotizzati da IRIS) non è stata più in alcun modo incentivata, non risultando di fatto economicamente conveniente”); la prova (della mancata convenienza) sarebbe costituita dai grafici del settore solare fotovoltaico risultanti dal rapporto 2018 edito dal GSE mentre il perito d’ufficio ha argomentato in ordine alla circostanza che in mancanza di incentivi l’iniziativa imprenditoriale avrebbe subito una perdita di 6.709.000 euro (scenario 4 della relazione peritale); nella seconda relazione istruttoria il consulente d’ufficio ha affermato altresì che, se la vendita dell’energia prodotta fosse stato l’unica fonte di introito, “nessun imprenditore avrebbe investito nel settore essendo l’investimento antieconomico”;
– il possesso, da parte di Iris, delle condizioni per realizzare gli impianti e la connessione alla rete elettrica in tempo utile per accedere agli incentivi nazionale; in particolare è stata documentata la disponibilità giuridica dei terreni (contratto preliminare di vendita stipulato il 3 giugno 2010 avente effetti fino al 31 dicembre 2010, che riporta la sussistenza di un precedente contratto 27 novembre 2008, prorogato fino al 30 giugno 2010, fra i proprietari del terreno e due società, che hanno stipulato un preliminare di vendita con Iris il 23 febbraio 2009, con effetti fino al 31 gennaio 2010, e successiva appendice, sottoscritta il 10 gennaio 2013 e avente effetti fino al 30 giugno 2013, nella quale si fa riferimento a precedenti appendici stipulate, il 3 giugno 2010, 12 dicembre 2011 e 4 giugno 2012), la soluzione tecnica di connessione di Enel Distribuzione s.p.a. (note 7 febbraio 2009 e 17 giugno 2010), la proposta dell’appaltatore Siemens s.p.a. per la realizzazione “chiavi in mano” degli impianti; disponibilità del fondo di investimenti Gottex Real Asset Fund 1 (Solar SG) s.r.l. all’erogazione del finanziamento a copertura dei lavori di realizzazione degli impianti (dichiarazione 23 luglio 2010, priva di termine di efficacia e subordinata ad approvazione da parte del comitato di investimento) e la disponibilità della copertura assicurativa di ACE European Group Limited (dichiarazione 21 luglio 2010) mentre non vale di per sé sola in senso contrario, considerato anche il risultato della ctu, la condizione apposta al contratto stipulato con S.A.T.I. s.r.l. per l’attività tecnico-progettuale svolta fino al conseguimento dell’autorizzazione unica, in forza della quale, secondo quanto riferito dal consulente (il quale l’ha quindi valutata nel rispondere ai quesiti), alcuni pagamenti erano subordinati alla circostanza “che gli impianti saranno ceduti dal punto di vista legale agli investitori con le relative autorizzazioni ottenute” da parte di Iris;
– un regime di accesso agli incentivi che è stato qualificato dal perito di parte in termini di “accesso diretto”, essendo subordinato all’entrata in esercizio dell’impianto fotovoltaico (art. 5 del d.m. 19 febbraio 2007 in relazione al secondo conto energia e combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lett. v, dell’art. 6, comma 2, e dell’art. 8 del d.m. 5 maggio 2011 con riferimento al quarto conto energia);
– Iris ha, in più occasioni, partecipato l’Amministrazione regionale della propria intenzione di accedere, dopo aver ottenuto l’autorizzazione unica, al regime incentivante (nota 15 novembre 2011, etc);
– la configurazione del lucro cessante in termini non solo di danno da ritardo ma di danno al bene della vita al quale aspirava (in tesi) la società, da intendersi in termini di impianto/i incentivato/i;
– la quantificazione del lucro cessante riguardante il ventennio di riferimento, calcolato, in termini di quale VAN (Valore Attuale Netto), dal consulente d’ufficio, considerando gli incentivi e gli introiti della vendita e i costi dell’attività, in 5.328.100 euro per lo scenario 1 (data iniziale di calcolo 30 giugno 2009, data di entrata in esercizio impianti 30.6.2010, accesso agli incentivi di cui al secondo conto energia), in 5.077.500 euro per lo scenario 2 (data iniziale di calcolo 29 luglio 2009, data di entrata in esercizio impianti 29.7.2010, accesso agli incentivi di cui al secondo conto energia) e in 2.549.300 euro per lo scenario 3 (data iniziale di calcolo 26 luglio 2010, data di entrata in esercizio impianti 26 luglio 2011, accesso agli incentivi di cui al quarto conto energia) e dal perito di parte, in relazione alle tre diverse scansioni temporali dal medesimo ipotizzate (e riferite sopra), in euro 11.389.000 per lo scenario 1, in euro 9.662.000 per lo scenario 2 e in euro 4.584.000 per lo scenario 3.
L’Amministrazione nel corso del giudizio di primo grado non ha contestato le circostanze addotte da controparte, pur essendosi costituita, mentre in appello ha controdedotto in ordine all’ascrivibilità alla sola società Iris della mancata costruzione degli impianti in ragione di una sopravvenuta non convenienza economica dell’operazione e in punto di finanziabilità dell’operazione prospettata da Iris, affermando il difetto di capacità tecnica, economica e finanziaria dell’impresa appellante a realizzare l’impianto.
All’esito dell’istruttoria e sulla base degli atti acquisiti al processo, pertanto, e sulla scorta delle sentenze che già hanno avuto modo di pronunciarsi sulla vicenda il Collegio valuta il positivo ricorrere di numerosi elementi della fattispecie risarcitoria (che secondo quanto prospettato dall’appellante avrebbe natura extracontrattuale), quali:
a) la condotta dell’Amministrazione posta in essere in violazione della regola di conclusione del procedimento amministrativo nella tempistica prescritta;
b) la fondatezza della pretesa concernente il bene della vita (come testimoniato dalla adozione, seppur in ritardo, dei provvedimenti autorizzatori);
c) la sopravvenienza normativa ostativa all’ottenimento degli incentivi, che Iris avrebbe ottenuto se l’Amministrazione avesse provveduto per tempo;
d) la colpa dell’Amministrazione (nessuna esimente è stata da quest’ultima prospettata per giustificare il proprio non modesto ritardo nel provvedere);
Il Collegio ritiene invece che sussistano ragioni di incertezza in relazione all’applicazione del requisito del nesso di causalità e alla misura e ampiezza del danno da risarcire, che dipendono dalla qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione, e dalla conseguente applicabilità del canone della prevedibilità di cui all’art. 1225 c.c., e dalla nozione di danno quale conseguenza immediata e diretta della condotta.
In ordine alle suddette tre variabili (nesso di causalità, natura della responsabilità amministrativa, danno quale conseguenza immediata e diretta) il Collegio intende sottoporre all’Adunanza Plenaria alcune questioni, gradate fra di loro innanzitutto in relazione alla prima problematica, nel senso che le questioni successive alla prima sono subordinate all’accertamento del nesso di causalità fra condotta dell’Amministrazione e evento di danno (oggetto della prima questione) e sono fra loro ulteriormente gradate nei termini illustrati infra.
La rimessione a codesta Adunanza plenaria si rende necessaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1 c.p.a. e dell’art. 10, comma 4 del d. lgs. 24 dicembre 2003, n. 373, in quanto i punti di diritto sottoposti all’esame di questo CGARS hanno dato luogo in passato a contrasti giurisprudenziali (come è noto, e come meglio ci si propone di illustrare di seguito, talune decisioni del Consiglio di Stato hanno ricondotto la responsabilità dell’Amministrazione allo schema negoziale, ovvero da “contatto qualificato” e, per altro verso, talaltre hanno ritenuto che seppur la stessa sia invece sussumibile sub art. 2043 cc non troverebbe applicazione, quantomeno in materia di interessi legittimi, il combinato-disposto di cui agli artt. 2056 e 1325 cc): sebbene non ci si possa nascondere che la giurisprudenza prevalente sia allo stato orientata in misura largamente maggioritaria su posizioni difformi da quelle prima enunciate, ritiene il Collegio che sussistano elementi per potere pervenire ad una rivisitazione di tali orientamenti in ultimo affermatisi (orientamenti i quali, è bene comunque sottolineare, a loro volta sono pregni di sfumature differenziate, in quanto di volta in volta si è affermato trattarsi di “una forma speciale di responsabilità” – cfr Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5611- ovvero di “natura peculiare e lato sensu extra contrattuale” – cfr Cons. St., sez. IV, 3 gennaio 2020, n. 61- ovvero ancora si è ricondotta ad una “responsabilità c.d. contrattuale da inadempimento di una obbligazione di protezione” la responsabilità precontrattuale – cfr Cons. St., sez. V, 2 maggio 2017, n. 1979).
17. La prima questione attiene alla nozione di causalità materiale.
Essa si pone nel solco della domanda di parte, nella quale il danno richiesto è inquadrato nella prospettiva dell’art. 2043 c.c., che si applica secondo le coordinate generalmente applicate dalla giurisprudenza amministrativa nel solco delle linee direttrici tracciate dalla giurisprudenza civile in ordine alla responsabilità aquiliana.
Si anticipa che le successive questioni, subordinate alla prima, mirano ad una revisione critica del regime consolidato di scrutinio della responsabilità dell’Amministrazione in una duplice direzione, assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale e apprezzamento del ruolo del rapporto di diritto pubblico sotteso alla nascita dell’obbligazione risarcitoria.
17.1. Nella dimensione generale della responsabilità della pubblica amministrazione, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo – c.d. “causalità materiale” – consiste nel verificare se l’attività illegittima dell’Amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. Il relativo giudizio attiene al nesso di causalità tra il vizio che inficia il provvedimento ed il contenuto del provvedimento stesso e – declinando il principio nella dimensione del danno da ritardo – al nesso fra l’inerzia dell’amministrazione e la frustrazione di una situazione giuridica o interesse di natura pretensiva vantato dal privato (Cons. St., sez. V, 2 aprile 2020, n. 2210).
Esaurito positivamente il vaglio sulla causalità materiale a fronte d’un evento dannoso causalmente riconducibile alla condotta illecita, a sua volta l’obbligazione risarcitoria richiede, sul piano dimostrativo, l’allegazione e la prova delle conseguenze dannose, secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ.
17.2. Si riassumono gli elementi di fatto rilevanti sul punto.
La condotta (in tesi) causativa del danno è una condotta omissiva, il silenzio serbato dall’Amministrazione sulle istanze di autorizzazione unica presentate dal privato, indipendentemente dalla determinazione della data di presentazione delle medesime, che il Collegio, come anticipato, si riserva di individuare a posteriori fra il 30 giugno 2009, il 29 luglio 2009 e il 26 luglio 2010.
Il procedimento di autorizzazione unica avrebbe dovuto concludersi, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003, entro 180 giorni dalla presentazione dell’istanza, quindi rispettivamente (tenuto conto della pluralità delle istanze presentate, siccome si è riferito in precedenza) il 31 dicembre 2009, la fine di febbraio 2010 e la fine di febbraio 2011.
Una volta ottenuta l’autorizzazione unica Iris, secondo quanto comprovato dalla parte e quanto attestato dal consulente d’ufficio, avrebbe completato l’impianto nei successivi sei mesi, quindi rispettivamente nei giorni 30 giugno 2010 (scenario 1), 30 aprile 2011 (scenario 2) e 30 aprile 2012 (scenario 3), potendo così accedere al secondo conto energia nei primi due scenari e al quarto conto energia nel terzo scenario.
In seguito sono intervenuti l’art. 65 del d.l. n. 1/2012, convertito con modificazioni, dalla l. n. 27/2012, che ha escluso, a decorrere dal 25 marzo 2012, gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in area agricola, come quelli progettati nel caso di specie, dall’accesso agli incentivi statali per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. In particolare i commi 1 e 2 dell’appena richiamato art. 65 hanno disposto che agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non è consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al d. lgs. 3 marzo 2011, n. 28 a far data dal 25 marzo 2012, a meno che abbiano conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.
Anche il quinto conto energia, introdotto con d.m. 5 luglio 2012 e in vigore dal 27 agosto 2012, al quale il consulente d’ufficio ha ritenuto che Iris difficilmente avrebbe potuto accedere, ha terminato di produrre effetti il 6 luglio 2013.
Le autorizzazioni uniche sono state rilasciate il 18 febbraio 2013, rendendo quindi impossibile, per Iris, accedere al regime incentivante, considerati i sei mesi necessari per realizzare gli impianti, e comportando la rinuncia all’intero progetto in ragione delle caratteristiche del settore di mercato che, secondo quanto affermato dal perito di parte e dal consulente d’ufficio, avrebbero reso la complessiva iniziativa imprenditoriale antieconomica in assenza di contribuzione pubblica.
A tale ultimo proposito, il Collegio ritiene che gli esaustivi esiti della verificazione abbiamo dimostrato che la impossibilità dell’accesso al sistema incentivante rendesse antieconomico l’avvio del progetto imprenditoriale e che, pertanto la “rinuncia” della società appellante a proseguire nell’intrapresa economica non sia ascrivibile alla libera scelta della medesima, ma consegua – in termini materialistici- ala situazione venutasi a determinare.
17.3. Posti gli elementi di fatto sopra riassunti, si tratta, innanzitutto, di verificare la sussistenza del nesso di causalità nel caso in esame.
Il giudizio relativo all’efficacia causale di una condotta omissiva postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto (Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2013, n. 1871), nel caso di specie contenuto nell’art. 2 bis, comma 1, della l. n. 241 del 1990, e nell’individuazione del bene della vita leso (realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e accesso al regime incentivante).
Il “risarcimento del danno da ritardo o inerzia dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo; il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione” (Cons. St., sez. V, 2 aprile 2020, n. 2210).
In forza della teoria condizionalistica deve considerarsi causa ogni antecedente senza il quale il risultato non si sarebbe verificato, ciò sulla base del giudizio controfattuale (o contrario ai fatti), basato sul criterio del “più probabile che non”.
Espressione di tale giudizio è la “doppia formula” (positiva e negativa), da adattare alla causalità omissiva, che ne richiede l’applicazione “a rovescio”, secondo la quale: la condotta umana è causa dell’evento se senza di essa (rectius “con la condotta obbligatoria”) l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva), mentre non può ritenersi causalmente rilevante quando, senza di essa (con essa), l’evento si sarebbe verificato ugualmente (formula negativa).
Nel presente giudizio si avverano entrambe le ipotesi: senza la condotta omissiva dell’Amministrazione (quindi con l’adozione del provvedimento autorizzatorio entro i termini di legge) la lesione al bene della vita di cui Iris è titolare non si sarebbe verificata (formula positiva) e l’evento non si sarebbe verificato se si elimina idealmente il silenzio serbato dall’Ente per lungo tempo (formula negativa).
Sulla base del giudizio controfattuale, la (teorica) sostituzione del comportamento corretto di adozione del provvedimento richiesto nel termine di legge alla condotta omissiva effettivamente tenuta avrebbe, pertanto, impedito il verificarsi dell’evento lesivo, inteso nel senso ampio sopra delineato.
Se l’Amministrazione avesse autorizzato per tempo Iris, la società avrebbe, infatti, realizzato l’impianto secondo il giudizio del “più probabile che non” basato sugli elementi probatori raccolti, così accedendo agli introiti conseguenti (in tesi da incentivazione e da vendita).
Nondimeno, pur in presenza della suddetta condotta omissiva, la lesione sarebbe stata prodotta nei confronti del solo bene tempo (leso dal ritardo) se la sopravvenienza normativa sopra citata (l’art. 65 del d.l. n. 1/2012) non avesse posto fine al regime contributivo pubblico e conseguentemente (in tesi) alla complessiva iniziativa imprenditoriale.
Alla condotta dell’Amministrazione si affianca, pertanto, una causa successiva, da sola non sufficiente a produrre l’evento di danno nell’ampiezza configurata da Iris.
17.4. Il Collegio sottopone alla Plenaria, al riguardo, la seguente questione: “se il nesso di causalità della fattispecie risarcitoria di tipo omissivo sia interrotto o meno se, successivamente all’inerzia dell’Amministrazione su istanza pretensiva del privato, di per sé foriera di ledere il solo bene tempo, si verifica una sopravvenienze normativa che, impedendo al privato di realizzare il progetto al quale l’istanza era preordinata, determina la lesione dell’aspettativa sostanziale sottesa alla domanda presentata all’Amministrazione, che sarebbe stata comunque soddisfatta, nonostante l’intervenuta nuova disciplina, se l’Amministrazione avesse ottemperato per tempo”.
Si tratta di valutare se l’elemento sopravvenuto svolge una funzione causale rilevante nell’ambito del presente giudizio di responsabilità considerando il tema del concorso di cause o del nesso causale, che intercettano, con diversa terminologia, il medesimo problema, osservandolo in una diversa prospettiva ex post con riguardo al concorso di cause e ex ante con riferimento all’interruzione del nesso di causalità. Ciò considerando la lesione posta alla base della domanda risarcitoria, che comprende il bene della vita della realizzazione degli impianti, con i conseguenti introiti, derivanti, in tesi, dagli incentivi e dagli introiti della vendita.
La teoria condizionalistica, richiamata dalla stessa Adunanza plenaria ai fini della valutazione del nesso di causalità (12 maggio 2017, n. 2), non distingue fra le cause che determinano l’evento, potendo espandersi potenzialmente senza limiti. La giurisprudenza ha quindi introdotto meccanismi correttivi volti a porre un freno alla forza espansiva della teoria condizionalistica, specie nel caso in cui il decorso causale vede la presenza, come nel caso di specie, di concause (comunque sempre nella prospettiva della causa interruttiva del nesso di causalità mentre risulta meno esplorata, almeno a livello giurisprudenziale, la possibilità che l’evento sopravvenuto spieghi efficacia riduttiva del danno).
Considerato che “i principi generali che regolano la causalità di fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, in assenza di altre norme nell’ordinamento in tema di nesso eziologico ed integrando essi principi di tipo logico e conformi a massime di esperienza” (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581) è stato elaborato un procedimento per l’accertamento del nesso causale che si articola in due fasi. Nella prima si individuano, mediante la teoria della conditio sine qua non, tutte le cause di un determinato evento. Nella seconda fase si provvede a circoscrivere di esse la possibile responsabilità dello stesso.
In ordine al criterio da utilizzare ai fini della limitazione del nesso causale sono state elaborate varie teorie, la più utilizzata delle quali risulta essere quella della causalità adeguata o regolarità causale.
La teoria della causalità adeguata consiste in un’elaborazione per cui non ogni antecedente storico dell’evento ne rappresenta la causa, ma solo quello rispetto al quale l’evento, sulla base di un giudizio ex ante e in astratto, ne costituisca uno sviluppo adeguato, oggettivamente probabile, normale, o secondo alcuni solo possibile, sulla base dell’id quod plerumque accidit.
Secondo la diversa teoria della causalità umana il nesso di causalità tra la condotta e l’evento sussiste in presenza di due elementi, uno positivo ed uno negativo: quello positivo è che la condotta costituisca conditio sine qua non dell’evento; quello negativo che l’evento stesso non sia dovuto all’intervento di fattori eccezionali. La premessa da cui muove la teoria in esame è che esiste una “sfera di signoria” in cui l’uomo può dominare gli accadimenti in virtù dei suoi poteri conoscitivi e volitivi. Solo i risultati che rientrano nella sfera di controllo del soggetto possono dirsi da lui causati, mentre non possono esserlo quelli che, al contrario, sfuggono al suo potere di dominio.
In base alla teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento, la condotta umana può considerarsi causa dell’evento quando, oltre a costituire condizione dello stesso, crei o aumenti un rischio non consentito dall’ordinamento (teoria dell’aumento del rischio), ovvero, secondo altro angolo visuale, abbia determinato un evento che costituisca concretizzazione dello specifico rischio che la norma incriminatrice mirava a prevenire (teoria dello scopo della norma violata).
Considerato quanto sopra all’interprete si pone l’alternativa fra due scelte.
In forza della prima scelta il giudizio controfattuale esaurisce, nel caso di specie, lo scrutinio sulla sussistenza del nesso causale dal momento che la sostituzione della condotta rispettosa della regola procedimentale sul termine di conclusione del procedimento comprova la sussistenza del nesso di causalità senza che si determini l’esigenza di valutare altre cause, estranee alla linearità causale.
Se l’Amministrazione avesse provveduto per tempo Iris avrebbe, secondo quanto risulta agli atti e quanto motivato dal perito di parte e dal consulente d’ufficio e considerando il criterio del “più probabile che non”, soddisfatto la propria aspettativa sostanziale costruendo gli impianti e essendo ammessa al regime incentivante.
La sopravvenienza normativa sarebbe stata rilevante solo se fosse intervenuta nell’ideale arco temporale fra domanda di autorizzazione e realizzazione del progetto (corso delle cose che si sarebbe verificato, nel giudizio controfattuale, se il fatto antigiuridico dell’inosservanza del termine procedimentale non si fosse prodotto) mentre sul punto la consulenza tecnica d’ufficio ha attestato che il progetto sarebbe stato realizzato, e l’accesso agli incentivi sarebbe avvenuto prima dell’introduzione dell’art. 65 del d.l. n. 1 del 2012 ed il Collegio giudica detta tesi sostenibile sulla base della regola del “più probabile che non”.
Anche la regola causale dell’aumento del rischio tipico consente di addivenire allo stesso risultato, posto che il ritardo dell’Amministrazione ha aumentato il rischio che si verificassero situazioni ostative rispetto alla realizzazione del progetto.
Ponendosi, invece, nella prospettiva alternativa la sopravvenienza normativa spiega un ruolo interruttivo del nesso fra condotta e evento di lesione del bene giuridico della realizzazione dell’impianto progettato in quanto la teoria condizionalistica applicata a una condotta omissiva necessita di individuare la condotta positiva da sostituire all’omissione considerando l’obbligo di azione violato (nel caso di specie di conclusione del procedimento nel termine prescritto) e l’evento lesivo verificatosi, nel caso di specie offensivo dell’aspettativa intesa nel senso ampio sopra delineato, non del solo bene tempo.
Considerando i due estremi rileverebbe anche la sopravvenienza normativa, senza la quale non sarebbe leso il bene della vita relativo all’an dell’iniziativa imprenditoriale ma il solo bene tempo.
Inoltre, sulla base del criterio di valutazione del nesso causale introdotto dalla teoria della causalità adeguata, il decorso causale in esame (condotta, sopravvenienza normativa e lesione della pretesa sostanziale alla realizzazione di un impianto “incentivato”) non può essere complessivamente considerato regolare dal momento che la sopravvenienza normativa non costituisce un decorso normale del corso degli avvenimenti che possono accadere in seguito al mancato rispetto del termine procedimentale, rappresentando tipicamente un factum principis che interrompe il nesso di causalità.
Anche secondo la diversa teoria della causalità umana la sopravvenienza normativa non rientra nella sfera di competenza dell’Amministrazione che ha tenuto la condotta omissiva nel caso di specie.
La diversa teoria dello scopo della norma violata può avvalorare entrambe le tesi esposte a seconda della finalità che si riconosce all’art. 2 della l. n. 241 del 1990.
Se si considera che l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro il termine predeterminato costituisca un mero canone generale all’attività amministrativa, che prescinde dai diversi e numerosi beni della vita che ciascun procedimento è volto ad amministrare, allora nello scopo dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990 non rientra la finalità di evitare le vicende normative che intervengono sul bene della vita finale nel periodo di inottemperanza dell’Amministrazione.
Il discorso cambia se invece si ritiene che la disciplina dei tempi di conclusione dei procedimenti sia stata posta dal legislatore nella consapevolezza del valore economico del tempo e dei rischi al medesimo connessi.
Del resto, l’evoluzione normativa ha progressivamente fluidificato l’azione amministrativa, neutralizzando gli effetti negativi e paralizzanti del silenzio, dapprima nei rapporti con i privati (art. 2 e art. 20 della l. n. 241 del 1990) e poi anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni (art. 17 bis della l. n. 241 del 1990).
Il substrato della disciplina del silenzio nei rapporti di diritto pubblico si fonda sulla natura “patologica” e la valenza fortemente negativa che connota il silenzio amministrativo in una triplice prospettiva, eurounitaria, costituzionale e sistematica (Cons. St., Comm. spec., parere 13 luglio 2016, n. 1640).
Sotto il profilo del diritto eurounitario la direttiva 2006/123/CE sui “Servizi nel mercato interno” (c.d. direttiva Bolkestein), al fine di prevenire gli effetti negativi sul mercato derivanti dall’incertezza giuridica, anche sotto il profilo dell’incertezza temporale, delle procedure amministrative, opera nella duplice direzione di limitare il regime della previa autorizzazione amministrativa ai casi in cui essa è indispensabile e di introdurre il “principio della tacita autorizzazione” (ovvero la regola del silenzio-assenso) “da parte delle autorità competenti allo scadere di un termine determinato” (considerando 43; art. 13, par. 4, della direttiva), dimostrando la diretta incidenza dell’inerzia dell’Amministrazione sulle esigenze imprenditoriali del mercato interno.
Sotto il profilo costituzionale, il fondamento degli obblighi di rispetto dei tempi procedimentali “deve rinvenirsi nel principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., letto ‘in un’ottica moderna’, che tenga conto dell’esigenza di assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico rispetto a qualsiasi forma di mero dirigismo burocratico” e nella “qualificazione, desumibile dalla stessa giurisprudenza costituzionale, dell’attività amministrativa come “prestazione” diretta a soddisfare diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m) Cost.), il cui livello essenziale può essere unitariamente predeterminato dallo Stato mediante la previsione di adeguati meccanismi di semplificazione” (Cons. St., Comm. spec., parere 13 luglio 2016, n. 1640).
Sotto il profilo sistematico, infine, il riferimento è al principio di trasparenza (anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost.) che, specie dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 25 maggio 2016, n. 97, ormai informa come principio generale l’intera attività amministrativa.
L’Amministrazione trasparente è un’Amministrazione che, ancor prima di rendere ostensibili ai cittadini dati e documenti, evita qualsiasi forma di opacità o di ambiguità, assumendo decisioni espresse, così mettendo il destinatario della propria azione nella condizione di poter orientare i propri intendimenti, evitando quindi quei comportamenti opachi che creano danni a tutti gli operatori coinvolti.
La disciplina del procedimento amministrativo non è quindi fine a sé stessa ma è funzionale a consentire il governo del bene della vita sotteso a ogni singolo procedimento.
L’accelerazione impressa al termine di conclusione del procedimento dall’art. 2 della l. n. 241 del 1990 si spiega con la consapevolezza del legislatore in ordine alla rilevanza del bene tempo, sia in punto di progressiva ed economicamente valutabile perdita (di tempo), sia in punto di rischi che il passare del tempo comporta, specie quando intercorre un intervallo rilevante fra istanza e provvedimento (nel caso di specie quasi 3 anni e otto mesi).
Non può, infatti, negarsi che un arco temporale così ampio aumenti il generico rischio di frustrazione della pretesa sostanziale. E ciò indipendentemente dal fatto che, nel caso di specie, l’impossibilità (in tesi) di conseguire il bene della vita anelato da Iris (realizzazione di impianti “incentivati”) sia da imputare a una sopravvenienza normativa, perché avrebbe potuto derivare anche da un altro accadimento. Il passare del tempo aumenta infatti, in termini generali, il rischio del fallimento dell’operazione programmata.
Anche il giudizio di adeguatezza, a ben vedere, non comporta necessariamente che la sopravvenienza normativa interrompa il nesso causale posto che “il principio della regolarità causale diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento ed evento dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata” (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576), cosicché divengono rilevanti quest’ultimo (scopo della norma), da un lato, e, dall’altro lato, l’astrattezza del giudizio di regolarità (poiché non si tratta di accertare l’elemento soggettivo ma quello oggettivo), che non richiede, al fine di individuare il nesso causale, di considerare l’evento ostativo concretamente verificatosi ma l’attitudine della condotta a creare un rischio della tipologia che la regola violata mira a evitare, così addivenendo al risultato di confortare la tesi della sussistenza del nesso di causalità, che non sarebbe interrotto da una sopravvenienza normativa. Ciò in quanto quest’ultima costituisce una delle possibili concretizzazioni del rischio di fallimento di un progetto, rischio che aumenta al prolungamento del tempo che si frappone rispetto alla sua realizzazione.
In ultimo, non sembra superfluo rammentare che la giurisprudenza penale (ex aliis Cassazione penale, sez. I 12 settembre 2017, n. 5306) ha dilatato la portata dell’art. 41, comma 3 c.p. in punto di cause “da sole sufficienti a determinare l’evento” estendendo la disciplina delle “sopravvenute” alle preesistenti e concomitanti, attraverso il collegamento di tale disposizione con l’art. 45 c.p. (caso fortuito).
18. Qualora l’Adunanza plenaria ritenga che la sopravvenienza normativa non interrompa il nesso di causalità materiale fra condotta omissiva colposa dell’Amministrazione ed evento di danno nei termini prospettati da Iris, neppure si può affermare, quanto alla causalità giuridica, che la sopravvenuta normativa interrompa il nesso fra evento lesivo e conseguenze dannose.
Nel corso del giudizio è stato, infatti, attestato dal consulente tecnico d’ufficio che, se le autorizzazioni fossero state concesse nei tempi prescritti, Iris avrebbe potuto accedere al regime incentivante prima che entrasse in vigore la sopravvenienza normativa ostativa alla contribuzione pubblica, contrariamente a quanto accaduto nel giudizio concluso con sentenza 2 aprile 2020, n. 2210 (Cons. St., sez. V), resa su un caso analogo.
19. A questo punto – come prima fatto presente -, scrutinati in senso positivo numerosi elementi della fattispecie della responsabilità extracontrattuale, residua la valutazione del danno sub specie di lucro cessante.
Si premette che il lucro cessante riguardante il ventennio di riferimento, è stato calcolato, in termini di VAN (Valore Attuale Netto), dal consulente d’ufficio (dopo che Iris ha presentato apposita perizia di parte), considerando gli incentivi e gli introiti della vendita e i costi dell’attività, in 5.328.100 euro per lo scenario 1 (data iniziale di calcolo 30 giugno 2009, data di entrata in esercizio impianti 30.6.2010, accesso agli incentivi di cui al secondo conto energia), in 5.077.500 euro per lo scenario 2 (data iniziale di calcolo 29 luglio 2009, data di entrata in esercizio impianti 29.7.2010, accesso agli incentivi di cui al secondo conto energia) e in 2.549.300 euro per lo scenario 3 (data iniziale di calcolo 26 luglio 2010, data di entrata in esercizio impianti 26 luglio 2011, accesso agli incentivi di cui al quarto conto energia).
20. Fino a questo punto del ragionamento, la responsabilità dell’amministrazione è stata valutata sulla base degli ordinari criteri utilizzati dalla giurisprudenza amministrativa.
Il Collegio ritiene che lo strumentario a disposizione del Giudice amministrativo in tale materia meriti di essere approfondito, modificando, almeno in parte, il regime consolidato di scrutinio della responsabilità dell’Amministrazione, lungo due linee direttrici, quella della qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione e quella del ruolo da attribuirsi al rapporto di diritto pubblico nella fattispecie risarcitoria, che daranno luogo ad altrettanti quesiti
Si premette che la seconda prospettiva (ruolo del rapporto di diritto pubblico) che il Collegio intende proporre all’Adunanza plenaria può potenzialmente impattare sul regime della responsabilità dell’Amministrazione indipendentemente dalla qualificazione di questa. Nondimeno il Collegio ritiene di trattarla congiuntamente alla prima prospettiva in ragione del rilievo sistematico che si attribuisce all’inquadramento giuridico della responsabilità, salvo poi formulare quesiti ulteriormente subordinati nel caso in cui l’Adunanza plenaria ritenga di non poter assimilare la responsabilità del soggetto pubblico alla responsabilità contrattuale.
La rilevanza dei due temi che saranno affrontati deriva dal potenziale impatto di essi sulla quantificazione del lucro cessante in punto di applicabilità del criterio della prevedibilità (connesso alla qualificazione in termini contrattuali della natura della responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interesse legittimo) e di quantificazione del danno nei termini che saranno di seguito illustrati (dipendenti dal ruolo attribuito al rapporto di diritto pubblico).
Si precisa che, nell’ambito della presente pronuncia, si attribuisce alla locuzione “responsabilità contrattuale” il significato di responsabilità per inadempimento di un’obbligazione derivante da una delle fonti citate dall’art. 1173 c.c. fatta esclusione per il fatto illecito (contratto e ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico), fattispecie tutte accomunate dalla disciplina di cui al libro IV del codice civile.
Si anticipa che è opinione del Collegio che la responsabilità dell’Amministrazione per l’esercizio, o il mancato esercizio, dei poteri autoritativi alla medesima intestati, sia assimilabile alla responsabilità contrattuale e che gli effetti di tale inquadramento si debbano apprezzare in relazione al rapporto di diritto pubblico sotteso alla nascita dell’obbligazione risarcitoria.
La formulazione delle questioni sottoposte alla Plenaria è preceduta dai suddetti approfondimenti, che si articolano nei seguenti paragrafi:
I. Focus sulla responsabilità dell’Amministrazione
II. Focus sul rapporto di diritto pubblico
III. Regime attualmente applicato alla responsabilità dell’Amministrazione
IV. Principali ragioni dell’assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale
V. Riflessi della situazione giuridica lesa sulla responsabilità dell’Amministrazione
VI. Conseguenze
21. I. Focus sulla responsabilità dell’Amministrazione
In termini generalissimi:
– il rimedio risarcitorio inizialmente non è stato approntato in relazione ai rapporti di diritto pubblico;
– la tutela risarcitoria si è aggiunta a un presidio dell’interesse leso assicurato in forma specifica dal giudice amministrativo attraverso un processo esecutivo di incisiva efficacia, idoneo a garantire una tutela piena anche ai numerosi diritti fondamentali della persona interessati dall’attività amministrativa;
– la ricorrenza, nei rapporti di diritto pubblico, di due particolarità, l’unicità, e l’assoluta infungibilità della prestazione pubblica (erogabile solo dall’Amministrazione), da un lato, e, dall’altro lato, la fungibilità del soggetto che materialmente la svolge, il dipendente pubblico, comunque deputato a perseguire un interesse alieno rispetto alla sua sfera giuridica, rendono, infatti, possibile l’inserimento del Commissario ad acta, così potendo assicurare la soddisfazione della situazione giuridica soggettiva attraverso la prestazione specificamente deputata a farlo;
– all’introduzione e all’evoluzione della tutela risarcitoria quale rimedio alle patologie dell’attività amministrativa possono aver contribuito diversi fattori:
a) la rilevanza che il fattore tempo riveste nella società attuale, che depone nel senso di evitare annullamenti che allunghino la tempistica di svolgimento dell’azione pubblica;
b) la possibilità, indagata e messa a punto in ambito privatistico, di assicurare la tutela risarcitoria anche nell’ambito dei diritti della persona, sia in campo extracontrattuale che in campo contrattuale;
c) la tendenza di matrice europea volta a rendere gli Stati responsabili dei danni prodotti ai cittadini dall’inottemperanza al diritto dell’Unione europea;
d) le difficoltà incontrate dall’Amministrazione nel suo complesso e dai funzionari pubblici nello specifico ad assicurare un livello accettabile di prestazioni a fronte del moltiplicarsi delle esigenze da soddisfare e delle funzioni da svolgere hanno indotto ad aumentare le forme di responsabilità individuale del singolo dipendente pubblico, agevolando la tutela in tal senso del privato (si veda la vicenda della responsabilità medica e della responsabilità del magistrato fra tutte) e determinando anche un ampliamento della corrispondente responsabilità dell’Amministrazione in quanto tale;
– il rimedio risarcitorio sconta, nel settore di diritto pubblico, un tema di inefficienza in quanto non assicura la soddisfazione degli interessi lesi nei termini “pieni” che deriverebbero da un esercizio del potere secondo i canoni di legge e un tema di scarsità e programmazione delle risorse, nel senso che la spesa affrontata per la riparazione del danno azionato si aggiunge alla già prevista spesa per l’esercizio della funzione pubblica e ciò è tanto più rilevante a fronte un pesante indebitamento consolidato.
22. Le sentenze gemelle n. 500 e 501 del 1999 hanno costituito uno spartiacque dal momento che, nello stabilire la risarcibilità dei danni correlati alla lesione degli interessi legittimi anche di tipo pretensivo, hanno delineato il sistema della responsabilità civile al quale l’unico giudice chiamato all’epoca ad assicurare il rimedio risarcitorio avrebbe dovuto attenersi.
In tale sede la responsabilità dell’Amministrazione è stata qualificata in termini di responsabilità ex art. 2043 c.c.
22.1. Fino a quando la giurisdizione generale in punto di responsabilità risarcitoria non è stata attribuita al Giudice amministrativo, poteva dirsi affermata una uniformità di pensiero secondo cui:
a) l’affermazione della sottoposizione dell’Amministrazione alla rule of law impediva di disegnare un “diritto speciale” a questa applicabile;
b) il Giudice amministrativo doveva essere considerato “speciale” in quanto deputato a scrutinare le controversie in cui era parte un’amministrazione e caratterizzate dalla spendita di un potere pubblicistico (Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204) e non di controversie “speciali” quanto alle disposizioni applicabili;
c) la specificità dell’Amministrazione (e della spendita del potere destinato alla cura dell’interesse pubblico ad essa riconducibile) comportava un’indagine in punto di sussistenza in capo alla stessa della piena capacità negoziale con riferimento a peculiari fattispecie (per tutte: la certosina perimetrazione della giurisprudenza in punto di ammissibilità del negozio giuridico ex art. 769 c.c.) ed inoltre giustificava talune “devianze” rispetto alle disposizioni processuali generali contenute nel c.p.c. (per tutte: la non applicabilità degli istituti dell’interrogatorio formale e del giuramento decisorio).
23. Allorché la giurisdizione sulla domanda risarcitoria da lesione di interesse legittimo è stata stabilmente attribuita al giudice amministrativo in quanto “strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio” (Corte cost. n. 204 del 2004), rectius, a monte, una volta svincolata la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo, e riconosciuto, dapprima dall’art. 35 commi 3 e 4 d.lgs. n. 80 del 1998, per le materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, poi, dall’art. 7 l. n. 1034 del 1971 come novellato dalla l. n. 205 del 2000 per tutto l’ambito della sua giurisdizione e oggi dal c.p.a.:
a) né il Legislatore ha dettato una specifica disciplina della responsabilità dell’Amministrazione;
b) neppure la giurisprudenza amministrativa (con poche ed isolate eccezioni) si è sforzata di verificare se la sistematica dell’illecito civile si attagliasse in toto a tale “nuova” fattispecie.
24. Sulla scorta delle sentenze gemelle n. 500 e 501 del 1999 la giurisprudenza amministrativa, in mancanza di un chiaro indice normativo, ha ricostruito in termini di responsabilità aquiliana la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ma anche da silenzio e da ritardo dell’Amministrazione): sia con riferimento agli interessi legittimi oppositivi che a quelli pretensivi è tuttora prevalente nella giurisprudenza amministrativa il paradigma dell’art. 2043 c.c. (Cons. St., sez. III, 10 luglio 2019, n. 4857 e Cons. St., sez. II, 25 maggio 2020, n. 3318). E’ invece minoritario l’orientamento che la qualifica come contrattuale, da contatto sociale (Cons. St., sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1467, Tar Liguria, sez. I, 9 gennaio 2020, n. 6 si veda anche, in termini “possibilisti” Cons. St., sez. III, 21 giugno 2017, n. 3058), pur permanendo talune posizioni dissonanti prospettate da qualificata giurisprudenza di primo grado limitatamente a posizioni attive di natura pretensiva (di recente, Tar Liguria, sez. I, 9 gennaio 2020, n. 6). Alla luce della ricostruzione della natura della responsabilità in termini di responsabilità extracontrattuale, da un lato, la condanna al risarcimento dell’Amministrazione per lesione dell’interesse legittimo presuppone la positiva verifica di tutti gli elementi che caratterizzano l’illecito aquiliano (l’illegittimità del provvedimento causativo del danno o dell’inerzia, la sussistenza della colpa o del dolo della P.A., la lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, il nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della P.A all’evento dannoso, la sussistenza dei pregiudizi subiti e il nesso che li lega all’evento dannoso (Cons. St., sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217, e sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815) e, dall’altro lato, trovano applicazione i criteri di cui all’art. 2056 c.c., e, quindi, in particolare, l’art. 1223 c.c., (recante il criterio di integrale riparazione del danno, lucro cessante e danno emergente), la regola residuale della quantificazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., laddove non sia possibile determinare in modo compiuto l’ammontare dei pregiudizi subiti, e l’art. 1227, comma 2 c.c., in punto causalità giuridica e concorso colposo del danneggiato mentre non è applicabile il canone della prevedibilità di cui all’art. 1225 c.c.
25. Una rivisitazione della natura della responsabilità dell’Amministrazione si deve alla Corte di cassazione.
In particolare essa, in tempi recenti, ha ritenuto la responsabilità dell’Amministrazione assimilabile alla responsabilità da inadempimento dell’obbligazione (per contatto sociale qualificato) e ciò indipendentemente dalla valutazione dello sforzo ermeneutico versato, al fine di individuare il giudice munito di giurisdizione, per sostenere che la fonte della medesima sia da rinvenire nel contatto sociale, piuttosto che negli obblighi di condotta normativamente definiti (art. 1173 c.c.).
La tesi della responsabilità da contatto sociale qualificato è stata applicata dalla giurisprudenza delle sezioni unite, oltre che alla responsabilità dell’Amministrazione, con riferimento alla responsabilità del medico (Cass., sez. un., 15 gennaio 2008, n. 577), alla responsabilità dell’insegnante per il danno cagionato dall’alunno a sé stesso (Cass., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346) nonché alla responsabilità della banca per il danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario (Cass., sez. un., 21 maggio 2018, n. 12478), cioè nelle ipotesi di responsabilità inerente un rapporto professionale non sorto sulla base di un contratto.
Secondo la Corte di cassazione la responsabilità dell’Amministrazione non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti – la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia entrato in relazione – che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione.
Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, “da inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale”, con l’avvertenza che tale inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto (Cass. civ., sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236).
Nella prospettiva delle Sezioni unite assume una particolare rilevanza, al fine dello scrutinio sulla giurisdizione, la situazione giuridica soggettiva tutelata, individuata nell’affidamento del privato alla correttezza dell’Amministrazione. In particolare, l’affidamento della società attrice in quel caso (che mostra analogie con il caso in esame) sarebbe stato riposto non in un provvedimento (mai emesso) ma nel comportamento dell’amministrazione, la quale avrebbe protratto per anni l’esame della pratica.
Come si è prima accennato, anche il Consiglio di Stato ha ritenuto, in qualche passata occasione di far riferimento alla nozione di contatto sociale.
26. In mancanza di un’autonoma elaborazione della responsabilità dell’Amministrazione questo CGARS chiede se la responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interesse legittimo, alla luce dei più recenti orientamenti della Corte di cassazione, dell’avvicinamento delle due tipologie di responsabilità di cui all’ordinamento civilistico e del regime dei termini di azionabilità della pretesa risarcitoria di cui all’art. 30 c.p.a., possa essere assimilata alla responsabilità da inadempimento dell’obbligazione, con applicazione del relativo regime disciplinare (terzo quesito).
Ciò, considerando l’intero portato dell’art. 1173 c.c., ai sensi del quale fonti delle obbligazioni sono non soltanto il contratto e il fatto illecito ma altresì il fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento giuridico.
27. Non è estranea all’argomentare di seguito esposto l’evoluzione ricevuta, in seno alla giurisprudenza della Corte di cassazione e della dottrina civilistica, dalla responsabilità precontrattuale. La situazione di chi sta trattando con un’altra parte presenta, infatti, numerosi profili di assimilabilità alla posizione del cittadino di fronte all’Amministrazione. In entrambi casi vi è un soggetto che aspira al raggiungimento del bene della vita anelato ma di cui l’ordinamento non assicura l’ottenimento e confida (rectius, si affida) alla correttezza di controparte.
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato per lungo tempo ancorato alla tradizionale concezione della responsabilità precontrattuale come responsabilità di tipo aquiliano, con la conseguenza che la prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, nonché del dolo o della colpa del danneggiante, è a carico del danneggiato e che il termine di prescrizione del diritto azionato è quinquennale, ai sensi dell’art. 2947 c.c. Da ultimo, peraltro, la bipartizione fondamentale
delle fonti delle obbligazioni, da atto lecito, ossia da contratto, e da fatto illecito, ossia da delitto, si è arricchita della valorizzazione riservata alla terza fonte delle obbligazioni, rappresentata da “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico; il che non ha consentito di dare il giusto rilievo, sul piano giuridico’, alla peculiarità di talune situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, e – tuttavia – singolarmente assimilabili più alla seconda fattispecie, che non alla prima” (Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188).
In particolare, la Corte di cassazione ha, in ambito civilistico, valorizzato la posizione della parte che non ha ancora stipulato il contratto preliminare (così ottenendo il bene della vita considerato il disposto dell’art. 2932 c.c.) ma ha raggiunto con la controparte una puntuazione vincolante su alcuni profili, restando da concordare secondo buona fede ulteriori punti.
Si tratta di una situazione ancora riconducibile alla fase precontrattuale, in cui la formazione del vincolo è limitata a una parte del regolamento negoziale, e dove quindi non garantisce la soddisfazione della pretesa sostanziale, così come avviene, nei termini che saranno illustrati nel prosieguo, al privato nell’ambito del procedimento amministrativo, ma alla quale è stata ricondotta una responsabilità ai sensi dell’art. 1218 c.c.
“La violazione di queste intese, perpetrata in una fase successiva rimettendo in discussione questi obblighi in itinere che erano già determinati, dà luogo a responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell’art. 1173 c.c., cioè alle obbligazioni derivanti da ogni fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (Cass. civ., sez. un., 6 marzo 2015, n. 4628).
La riconducibilità di detta situazione alla fase precontrattuale rende sostenibile, fra l’altro, la correlazione del quantum risarcibile all’interesse negativo, in quanto il bene leso è comunque la libertà di autodeterminazione, con la conseguenza che, se, sul piano probatorio, l’allegazione della puntuazione svolge il ruolo dell’allegazione del contratto in sede di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione negoziale, non altrettanto è a dirsi in punto di danno risarcibile.
28. II. Focus sul rapporto di diritto pubblico
Si premette che il quesito che si intende porre attiene alla natura della responsabilità dell’Amministrazione nell’esercizio, o mancato esercizio, dell’attività autoritativa (espressione del potere precettivo capace di regolamentare unilateralmente gli interessi coinvolti) e doverosa (potestà), nell’ambito della quale si creano rapporti di diritto pubblico.
Non è esclusa dalla dinamica del rapporto di diritto pubblico l’inerzia dell’Amministrazione (come nel caso di specie), pur consistendo, essa, in un comportamento e non in un atto in quanto, anche in questo caso, la responsabilità discende (in tesi) dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo.
Il riscontro a un’istanza del privato costituisce esercizio diretto del potere/dovere pubblico di decidere la domanda (in senso difforme Cass. civ., sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236 ai fini di decidere una questione di giurisdizione) ed è infatti presidiato anche a livello penale. Del resto la giurisdizione amministrativa postula che sia in questione “l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo” e non viene meno quando la controversia riguarda meri comportamenti, come nel caso di specie, purché essi siano “riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere” (Corte cost. 3 maggio 2006, n. 191 e art. 7, primo comma, c.p.a.).
Una diversa impostazione introdurrebbe un vulnus nel sistema (precisamente in punto di doverosità dell’azione amministrativa) consentendo il dilagare di condotte omissive, che eviterebbero, in quanto tali, la tutela accordabile dal giudice amministrativo rispetto a comportamenti commissivi, recando così danno non solo al privato ma anche al buon andamento dell’Amministrazione che presuppone non solo il riconoscimento del potere autoritativo ma anche il dovere di esercitarlo.
29. Si riassumono di seguito le caratteristiche del rapporto di diritto pubblico (rilevanti ai fini della qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione).
Nel rapporto di diritto pubblico:
a) l’interesse legittimo attribuisce veste giuridica alla pretesa del privato a che l’Amministrazione faccia quanto l’ordinamento giuridico le consente per soddisfare le esigenze sostanziali, meritevoli di tutela, di cui è portatore (il bene della vita); all’interesse legittimo sottostà quindi una situazione di base (diritto costituzionalmente protetto, diritto soggettivo, diritto potestativo, aspettativa, situazione di fatto meritevole di tutela), che trova, spesso, fonte, almeno indiretta, nella Costituzione, assurgendo, non di rado, a diritto fondamentale della persona;
b) non vi è interesse legittimo se non in quanto collegato a una situazione di base e, più precisamente, non vi è riconoscimento di interesse legittimo se non in quanto il titolare abbia, in base all’ordinamento giuridico, la chance di ottenere la soddisfazione della pretesa sostanziale;
c) il potere pubblico che si interfaccia con l’interesse legittimo è funzionale al raggiungimento del bene della vita sotteso all’intervento pubblico; nondimeno il potere pubblico si relaziona con l’interesse legittimo, non potendosi pretendere che l’Amministrazione soppesi, in ogni decisione, la connessa situazione di base: è a dire che l’Amministrazione considera la situazione del privato nei limiti di quanto alla stessa demandato, in conformità al principio di legalità, ai diritti costituzionali di libertà e alle garanzie dello Stato di diritto;
d) l’imposizione di limiti all’intervento pubblico è funzionale alla tutela del privato (storicamente le libertà costituzionali costituiscono un argine all’esercizio dell’autorità) e, specie in una fase fortemente caratterizzata dalla scarsità delle risorse, anche a presidio dell’Amministrazione; il principio di legalità non solo non impone ma impedisce all’Ente pubblico di spingersi a intervenire in ambiti al medesimo non attribuiti;
e) l’interesse legittimo si è storicamente affermato nell’epoca in cui il riconoscimento delle libertà da un lato e l’avvento del principio di legalità dall’altro lato hanno impresso alla posizione del privato connotazioni di garanzia a presidio dei diritti costituzionali, derivando dalla trasformazione e dall’emancipazione della mera soggezione attraverso l’imposizione di limiti agli ambiti di intervento pubblico e di regole finalizzate a considerare la posizione e l’esigenza dei destinatari dell’azione pubblica;
f) l’interesse legittimo si misura con il potere pubblico: il rapporto fra i due termini, potere e interesse, si connota per essere di collegamento funzionale e necessario dal momento che l’interesse legittimo ha bisogno del potere pubblico che costituisce il contenuto (quel fascio di diritti e facoltà di cui alla più autorevole dottrina civilistica) della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo in quanto il potere pubblico costituisce l’unica risorsa a disposizione del privato per ottenere soddisfazione piena e in forma specifica;
g) non può ritenersi che la situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo abbia quale unico contenuto le prerogative procedimentali di partecipazione al procedimento amministrativo in quanto esse, neppure “in potenza”, sono idonee a offrire soddisfazione all’esigenza del privato, che può, invece, trovare (non sempre ma potenzialmente) soddisfazione (almeno in potenza) nell’agire pubblico;
h) a differenza del diritto soggettivo, connotato da una corrispondenza fra soggetto portatore dell’interesse e soggetto titolare dei poteri per soddisfarlo nel rapporto di diritto pubblico gli interessi coinvolti nell’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione trovano solo in quest’ultima la possibilità di venire appagati, con la conseguenza che, a fronte di un interesse incardinato in una determinata soggettività giuridica, vi è un altro attore, quello pubblico, avente il potere (eventualmente) di soddisfare quell’interesse;
i) la relazione fra interesse legittimo e potere pubblico non è esclusiva in quanto l’interesse di cui è portatore il privato non esaurisce il novero degli interessi che l’Amministrazione deve considerare nel decidere; l’interesse sostanziale al bene della vita del privato è tutelato compatibilmente con gli altri interessi, pubblici e privati, che l’Amministrazione è tenuta a considerare;
l) la persona giuridica pubblica è connotata proprio dal fatto che il suo statuto soggettivo è fisiologicamente permeato dalla pluralità di interessi da perseguire e bilanciare e financo, in caso di interesse pubblico, da individuare nella loro compiuta conformazione; mentre in ambito privatistico è la relazione il motore della soddisfazione dei vari operatori del sistema (portatori degli interessi che si confrontano), in ambito pubblicistico è lo statuto soggettivo e comportamentale dell’Amministrazione ad assicurare l’appagamento dei consociati;
m) l’Amministrazione è tenuta a considerare tutti gli interessi coinvolti dalla sua azione nell’ambito del procedimento amministrativo, considerata anche l’attitudine di quest’ultimo a coinvolgere tutti gli interessi possibili, non conoscendo, a differenza di quanto avviene nei rapporti di diritto privato, la nozione di terzo; ciò emerge in modi evidente nel caso, come quello in esame, nel quale l’istanza del privato sia volta alla soddisfazione di un interesse pretensivo, con la conseguenza che l’aspetto autoritativo del provvedimento finale si apprezza in particolar modo nei confronti dei non destinatari;
n) l’Amministrazione, allorquando agisce utilizzando la posizione di autorità (che, si è detto, è l’unica che rileva ai fini della presente pronuncia), ha i poteri per decidere unilateralmente la regolamentazione dei vari interessi coinvolti, nel rispetto del principio di legalità e sulla base delle prerogative di partecipazione al procedimento, pur potendo all’occorrenza utilizzare moduli consensuali che si inserisco comunque nell’esercizio delle proprie potestà pubbliche;
o) nell’ambito del rapporto di diritto pubblico sono stati nel corso del tempo, prima solo dalla giurisprudenza e poi successivamente anche dal legislatore, definiti numerosi e incisivi obblighi comportamentali dell’Amministrazione, che tengono conto del ruolo centrale rivestito da tale ultimo soggetto nell’interazione fra i vari interessi meritevoli di tutela che si confrontano nell’ambito del diritto amministrativo; la legge generale sul procedimento amministrativo, la n. 241 del 1990, è espressione di tale consapevolezza;
p) mentre nell’ambito della relazione tipica del diritto le parti si trovano in una situazione ben definita, che consente di individuare l’esatto comportamento richiesto a ognuna, con la conseguenza che l’inadempimento di una delle parti diviene automaticamente, e senza bisogno di prova, ferimento dell’interesse a quella sotteso, quando viene coinvolta una situazione di interesse legittimo il mancato rispetto dei doveri di comportamento da parte del soggetto pubblico non è condizione necessaria e sufficiente della frustrazione della situazione sostanziale di base, posto che la soddisfazione della pretesa del privato potrebbe legittimamente essere negata anche rispettando le prerogative proprie del potere pubblico;
q) colui che vanta un interesse legittimo non necessariamente viene tutelato se non viene soddisfatta la sua pretesa; se infatti la possibilità di ottenere un provvedimento favorevole costituisce un requisito fondante della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, non è vero il contrario, nel senso che la titolarità della posizione di interesse legittimo non assicura il raggiungimento del bene della vita preteso, che è tutelato nei limiti delle regole di condotta dell’agire pubblico.
30. III. Regime attualmente applicato alla responsabilità dell’Amministrazione
La qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione in termini contrattuali o extracontrattuali determina l’applicazione di una differente disciplina (che, peraltro, va sempre più avvicinandosi) in ordine al regime probatorio degli elementi costitutivi, al termine di prescrizione, all’elemento soggettivo, al danno risarcibile inteso quale conseguenza di interessi lesi, il cui perimetro è diversamente definito anche in ragione dell’applicabilità, o meno, del canone della prevedibilità.
31. Di seguito si illustrano i tratti salienti del regime attualmente applicato dalla giurisprudenza alla responsabilità dell’Amministrazione, evidenziando come le modalità pratiche attraverso le quali vengono scrutinati i requisiti della fattispecie risarcitoria avvicinano la suddetta responsabilità alla categoria della responsabilità contrattuale, prima e senza che tale assimilazione venga sancita a livello teorico.
31.1. In relazione alla prova della condotta, del danno evento e del nesso di causalità materiale, il privato danneggiato prova il non iure allegando l’inadempimento dell’Amministrazione alla regola procedurale (è poi eventualmente l’Amministrazione a doversi giustificare) e prova il contra ius dimostrando la sussistenza dell’interesse legittimo e la seria lesione inferta al medesimo nei termini anzidetti. In particolare, nel caso di interesse pretensivo e di adozione del provvedimento positivo, sul privato grava l’onere di produrre il provvedimento positivo o dimostrando la spettanza del bene della vita mentre, nel caso di interesse pretensivo rispetto al quale non è stato adottato alcun provvedimento e rispetto all’interesse oppositivo, il privato danneggiato ha solo oneri di allegazione (l’inadempimento e i motivi di fondatezza della domanda o i motivi di illegittimità del provvedimento), rimanendo poi alla controparte pubblica il compito di giustificare la propria scelta.
Gli oneri di allegazione e di prova del privato non differiscono pertanto, quanto a portata e difficoltà integrativa, dagli oneri del contraente che si assume leso, che produce il contratto e allega l’inadempimento della controparte (Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533).
In termini più generali può affermarsi che dover comprovare la lesione dell’interesse meritevole di tutela non è situazione estranea alla responsabilità contrattuale. Invero il contraente che chieda la condanna della controparte al risarcimento del danno non patrimoniale deve comprovare l’interesse leso, dimostrando il risalto della posizione costituzionalmente protetta nella fonte contrattuale e come la violazione contrattuale abbia coinvolto l’interesse non patrimoniale con i requisiti di serietà dell’offesa richiesti dalla giurisprudenza.
31.2. Con riferimento al danno conseguenza, posto quanto sopra considerato e richiamata la portata dello scrutinio rigoroso sull’an e il quantum del danno (a cagione della posizione dell’Amministrazione all’interno dell’ordinamento), si aggiunge che la relativa prova sconta il fatto che nel rapporto di diritto pubblico il contenuto patrimoniale è spesso assente, salvo che in particolari ipotesi come quella in esame.
Il passaggio quindi fra l’inadempimento degli obblighi di natura pubblica e la nascita di un’obbligazione risarcitoria può essere agevolato dall’utilizzo della teoria normativa del danno, nata e sviluppata in relazione alla disciplina privatistica del danno, specie non patrimoniale, che lo determina avendo riguardo allo scopo della norma violata.
Le peculiarità sopra delineate dell’interesse legittimo delimitano le potenzialità della tutela risarcitoria nei limiti della situazione giuridica tutelata e del ruolo dell’agente pubblico nell’ambito dell’ordinamento ma prescindono dalla qualificazione della responsabilità (come si vedrà quando si formuleranno i quesiti).
31.3. Neppure in ordine all’elemento soggettivo il concreto regime della responsabilità dell’Amministrazione si differenzia in modo sensibile dalla responsabilità contrattuale.
In termini generali si può affermare che il criterio di ascrizione della responsabilità extracontrattuale è tradizionalmente di tipo soggettivo, fondato sulla colpa, seppur normativa, anche se sono andati aggiungendosi modelli diversi, fondati sulla sussistenza del nesso di causalità.
La responsabilità contrattuale, invece, è storicamente (all’epoca di redazione del libro IV del codice civile e, in particolare, dell’art. 1218 c.c.) caratterizzata da un criterio di tipo oggettivo, fondato sul parametro della possibilità/impossibilità (così anche l’Adunanza plenaria n. 2 del 2017).
Entrambe le suddette impostazioni hanno però subito, nel corso del tempo, delle mitigazioni.
I criteri di ascrizione della responsabilità civile sono andati diversificandosi, creando un sistema definito a doppio binario o comunque fondato su una pluralità di criteri di imputazione delle conseguenze negative della lesione ingiustamente inferta all’altrui sfera giuridica.
La ricorrenza della responsabilità da inadempimento dell’obbligazione è attualmente valutata considerando anche l’elemento soggettivo, ora attraverso un’individuazione del comportamento oggettivo atteso che tenga conto del canone di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., ora attraverso una dialettica fra l‘art. 1218 c.c. e l’art. 1176 c.c. che attribuisce un ruolo anche alla negligenza dell’agente. E ciò a tacere del fatto che comunque è ritenuta applicabile, quale limite ulteriore rispetto al riconoscimento della responsabilità, la regola della buona fede di cui all’art. 1175 c.c., che rende inesigibili prestazioni che, benché non impossibili, richiedano un sacrificio, per il debitore, sensibilmente sproporzionato rispetto alla regolamentazione degli interessi così come delineata nel contratto.
Nella giurisprudenza amministrativa si distingue la materia degli appalti dove, in seguito alla decisione della Corte di Giustizia Europea 30 settembre 2010 resa nella causa C-314/09 (Commissione c/Austria), la responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, a cagione di un modello di tipo oggettivo, disancorato dall’elemento soggettivo, coerente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio. In tale ambito l’assimilazione del regime della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale non pone particolari problemi.
Negli altri ambiti, invece, viene utilizzato lo schema tipico della responsabilità extracontrattuale o aquiliana, che richiede, ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni, la dimostrazione, oltre che del danno e del nesso di causalità, della colpa o del dolo (Cons. St., sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2429).
Nondimeno la concreta operatività del criterio soggettivo di ascrizione della responsabilità all’Amministrazione sconta l’orientamento giurisprudenziale prevalente che rinviene nell’illegittimità del provvedimento il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa in capo all’Amministrazione.
Il privato può, quindi, limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole della comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’ art. 2727 c.c., mentre spetta alla pubblica amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto.
Tale meccanismo concreto di operare dell’elemento soggettivo imprime un connotato oggettivo a un requisito per definizione soggettivo quale quello della colpa, secondo un processo logico che non è estraneo alla concezione normativa della colpa ma neppure alla modalità con la quale è attribuita rilevanza alla diligenza di cui all’art. 1176 c.c. nella definizione della condotta esigibile ai sensi dell’art. 1218 c.c.
31.4. La vicinanza fra responsabilità amministrativa e responsabilità contrattuale si apprezza anche nella prospettiva della modalità di tutela associate alla responsabilità dell’Amministrazione, così come nel tempo è stata disegnata dal legislatore e dalla giurisprudenza.
La responsabilità contrattuale tutela, infatti, l’interesse specifico all’adempimento. Il suo fondamento è rinvenibile nella forza del contratto, che viene meno solo a fronte dell’impossibilità di adempiere.
Davanti all’inottemperanza del debitore è rimessa al creditore la scelta fra chiedere l’adempimento o il risarcimento (art. 1453 c.c.), nel solco della prospettiva tipica delle regole di proprietà, che assicurano il godimento di un bene o di una utilità in forma incondizionata al soggetto, con la conseguenza che nessuno potrà contrastare quel godimento senza la volontà di esso.
Ciò a differenza della responsabilità extracontrattuale, che ha lo scopo di mantenere il soggetto indenne dal peso del danno subito nella propria sfera giuridica, nella dinamica tipica del combinato disposto dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2058 c.c., che sottrae al danneggiato la scelta ultima fra risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente, subordinata alla valutazione di eccessiva onerosità per il debitore.
Nella prospettiva della forma di tutela, la protezione riconosciuta al privato di fronte a un danno arrecato al medesimo dall’esercizio (o dal mancato esercizio) del potere pubblico è assimilabile a quella accordata al creditore in caso di inadempimento dell’obbligazione. Ciò in quanto la giurisprudenza accorda prevalenza allo svolgimento o alla rinnovazione dell’attività amministrativa rispetto al risarcimento per equivalente.
Laddove infatti si configuri come ancora possibile l’azione del pubblico potere diretta al perseguimento degli interessi dal medesimo coinvolti, il connotato di doverosità che discende dall’ordine giurisdizionale o dalla portata conformativa della pronuncia demolitoria impone all’Amministrazione di provvedere, così soddisfacendo l’interesse specifico di cui è portatore il privato. E’ solo in seguito all’accertata impossibilità di provvedere in tal senso che è accordata la tutela risarcitoria per equivalente (così l’Adunanza plenaria n. 2 del 2017).
Nell’ambito del rapporto che si instaura fra danneggiante e danneggiato le ragioni di quest’ultimo sono tutelate quindi con intensità analoga allorquando danneggiante è l’Amministrazione e allorquando danneggiante è la controparte contrattuale.
31.5. Anche in punto di funzione attribuita alla responsabilità dell’Amministrazione nell’ambito dell’ordinamento giuridico generale essa si può accostare alla responsabilità contrattuale piuttosto che alla responsabilità extracontrattuale.
Alla responsabilità contrattuale si riconosce una funzione compensativa (rispetto al danno provocato), presidiata dal divieto di locupletazione.
Nel vigente ordinamento alla responsabilità civile non è, invece, assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria. “Alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile” (Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601) e “l’evoluzione della tecnica di tutela della responsabilità civile verso una funzione anche sanzionatoria e deterrente, sulla base di vari indici normativi specialmente a fronte di un animus nocendi, pur restando la funzione risarcitoria quella immediata e diretta, cui l’istituto è teso, tanto da restare imprescindibile il parametro del danno cagionato” (Cass. civ. 15 aprile 2015, n. 7613). In particolare la funzione sanzionatoria è ancorata alla gravità della condotta del convenuto, alla natura colposa o dolosa dell’illecito, e ai vari gradi del dolo stesso e della colpa e la funzione di deterrenza attiene alla necessità di prevenire in futuro occorrenze simili.
L’Amministrazione, nel rispondere dei danni arrecati al privato, non può che collocarsi nella prospettiva esclusivamente compensativa.
La ragione è da rinvenirsi, innanzitutto, nella circostanza che un eventuale esborso aggiuntivo di risorse, non diretto a riparare il nocumento economico recato, potrebbe essere sopportato dalla comunità dei contribuente, non essendo assicurata la traslazione nei confronti del funzionario agente (ai sensi dell’art. 1 della l. 14 gennaio 1994, n. 20 la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, oltre a essere ancorata alla diminuzione patrimoniale subita dal privato, è limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’operatività del principio riduttivo).
D’altro canto la funzione afflittiva e di deterrenza è presidiata nei riguardi dei dipendenti pubblici che concretamente agiscono. Nei confronti di questi ultimi è disegnato un rilevante sistema compulsivo circa il rispetto degli obblighi di condotta, avente finalità sanzionatorie e preventive e composto dal codice disciplinare, munito delle relative sanzioni, dal sistema penalistico e dalla responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti.
L’attribuzione di uno scopo punitivo alla responsabilità dell’Amministrazione duplicherebbe pertanto un sistema articolato, che mira a esercitare pressione affinché i dipendenti pubblici rispettino le regole di condotta, e risulterebbe quindi non solo antieconomico ma anche inefficiente, specie considerando che le risorse pubbliche utilizzate per risarcire un danno in funzione punitiva sono contemporaneamente sottratte alla soddisfazione di altri interessi meritevoli di tutela.
32. IV. Principali ragioni dell’assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale.
Elencati i punti di contatto che si registrano già attualmente fra il regime concreto della responsabilità dell’Amministrazione, il Collegio si inoltra nei profili teorici di inquadramento giuridico dell’istituto, ritenendo che la responsabilità dell’Amministrazione nell’esercizio dei poteri autoritativi meriti di essere qualificata in termini contrattuali.
La responsabilità, sia essa aquiliana o contrattuale, si connota per la violazione di un obbligo/dovere di condotta, il verificarsi di un evento di danno e di un conseguente danno ingiusto, del nesso di causalità materiale e giuridica e della determinazione del quantum. L’elemento soggettivo è requisito della sola responsabilità extracontrattuale anche se svolge un ruolo, come si vedrà, anche nella responsabilità contrattuale. Tali requisiti della fattispecie risarcitoria ricevono un trattamento differente dal punto di vista probatorio a seconda della natura della responsabilità.
La distinzione tradizionale fra le due categorie di responsabilità, da inadempimento dell’obbligazione (di seguito “contrattuale”) ed extracontrattuale, ascrive a quella da inadempimento i danni riconducibili alla mancata attuazione di un’obbligazione assunta dal debitore e a quella aquiliana i danni derivanti dalla lesione ingiustificata di un interesse meritevole di tutela. Con la conseguenza, relativamente all’elemento oggettivo della fattispecie risarcitoria, che, nel primo caso, l’evento dannoso è provato sulla base della sola allegazione dell’inadempimento di controparte (Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533), già in sé violativo della regola contrattuale (non iure) e nel contempo lesivo dell’interesse sotteso all’obbligazione ai sensi dell’art. 1174 c.c. (contra ius).
Nel secondo caso devono essere comprovati la violazione della regola di azione, che, per quanto contenuta nell’art. 2043 c.c., richiede l’accertamento di una condotta in concreto posta in essere in spregio alla regola del neminem laedere o ad altra più specifica disciplina (non iure), la meritevolezza dell’interesse e l’offesa arrecata a quest’ultimo (contra ius), nonché il relativo nesso di causalità.
Nel rapporto obbligatorio, infatti, gli interessi in gioco hanno trovato una loro regolamentazione quanto a misura e modalità di soddisfazione.
La responsabilità civile, invece, interviene in ambiti dove la regolamentazione dell’interesse non è precedente al fatto dannoso e, anzi, trova composizione in quel frangente, nel confronto dialettico delle categorie del non iure e del contra ius.
33. La responsabilità che grava sull’Amministrazione sorge all’interno di un rapporto di diritto pubblico, nel quale, come sopra illustrato, sono indicate le regole di condotta che l’Ente deve osservare.
Dall’inizio del procedimento l’interessato diviene il beneficiario di obblighi che la stessa sentenza n. 500 del 1999 identifica nelle “regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi”.
Nella prospettiva del rapporto di diritto pubblico la responsabilità che si configura in capo all’Amministrazione si avvicina alla responsabilità contrattuale, nella quale, appunto, sono predeterminati in modo specifico le condotte da tenere. Del resto l’Adunanza plenaria ha definito la responsabilità da impossibilità di esecuzione del giudicato che riconosce la spettanza del bene della vita quale responsabilità da inadempimento dell’obbligazione (12 maggio 2017, n. 2).
Il rapporto che si instaura fra Amministrazione e privato si rivela distante dalla modalità tipica della responsabilità del passante, emblema del contatto casuale e occasionale, e quindi della responsabilità ex art. 2043 c.c., sotto un duplice punto di vista.
Le norme comportamentali dell’Amministrazione hanno un contenuto definito, essendo preordinate al contemperamento di quel crogiuolo di interessi di cui sopra, delineando così una relazione che non si connota per la sua episodicità, essendo, essa, necessitata. Violando le regole dell’azione amministrativa e del provvedimento amministrativo, la parte pubblica ignora norme ben più precise e circostanziate del generico dovere di neminem laedere.
Non solo. La relazione tra parte privata e parte pubblica è connotata nei termini illustrati sopra, che comprendono il dovere dell’Amministrazione di farsi carico dell’interesse del privato, cui peraltro non è assicurato il risultato finale.
Il contatto fra parte pubblica e parte privata (quindi l’an di quella relazione) è necessitato dall’infungibilità della prestazione resa dall’Amministrazione (il privato non ha alternative).
Sull’Amministrazione gravano pertanto precisi obblighi di protezione rispetto ai portatori degli interessi coinvolti dall’agire pubblico (cui non si accompagnano necessariamente obblighi satisfattivi), che non derivano soltanto dalla sussistenza degli obblighi comportamentali ma dall’obbligo del contatto (a fronte di un’istanza del privato, salvo casi specifici enucleati dalla giurisprudenza, l’Amministrazione ha l’obbligo di provvedere, così come sulla medesima grava un dovere di provvedere in caso di avvio d’ufficio del procedimento al ricorrere dei presupposti di legge).
La mancanza di occasionalità nel rapporto trova quindi smentita in modo ancora più incisivo di quanto avviene con riferimento alla responsabilità contrattuale e precontrattuale, nelle quali l’autonomia negoziale comprende anche la scelta della controparte.
Inoltre l’Amministrazione svolge professionalmente (oltre che infungibilmente) un’attività, così evocando quella responsabilità da contatto sociale riconosciuta dalla Corte di cassazione ogni qual volta si è trovata dinnanzi ad un soggetto che svolge in modo professionale la sua attività.
La stessa Corte di cassazione ha affermato che “la responsabilità che grava sulla pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa delle violazioni dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti – la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia entrato in relazione – che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione” (Cass. civ., sez. un., 28 aprile 2020, n. 8236).
La violazione delle norme comportamentali da parte dell’Amministrazione integra, pertanto, il requisito del non iure senza soluzione di continuità.
34. Il discorso diviene più complesso, ma non si allontana comunque dallo schema della responsabilità contrattuale, connotata da un automatismo nel rapporto non iure – contra ius, allorquando si affronta il profilo delle prerogative lese (contra ius), che è necessariamente permeato delle peculiarità tipiche della situazione giuridica che si riconosce al privato allorquando si interfaccia con un potere pubblico, cioè quella dell’interesse legittimo.
Si premette che la tematica del requisito del contra ius della condotta che si assume abbia causato un danno assorbe in sé il tema del nesso causale posto che impone di verificare che la condotta posta in essere abbia causato una lesione nella sfera giuridica del presunto danneggiato.
Si ritiene che la violazione, da parte dell’Amministrazione, di doveri di condotta (non iure) porti con sé la violazione della posizione del privato (al pari di quanto succede nella responsabilità contrattuale) nei limiti in cui è ravvisabile una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo.
Richiamata la sopra esposta considerazione che il potere pubblico costituisce lo strumento a disposizione del privato titolare dell’interesse legittimo per soddisfare il bene della vita cui aspira, allora un illegittimo, e a certe condizioni illecito, uso del medesimo si riverbera senza soluzione di continuità su quell’interesse, a prescindere, in questa fase, dalla presenza di ulteriori interessi coinvolti dall’esercizio di quel potere (diversamente è a dirsi per lo scrutinio del danno conseguenza, di cui si dirà nel prosieguo).
L’assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale si giustifica, quindi, anche nella prospettiva del contra ius, piuttosto connotata, come si vedrà di seguito, più che dalla natura extracontrattuale dell’Amministrazione dalla posizione di quest’ultima all’interno dell’ordinamento e dalla situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo.
35. Lo stesso è a dirsi con riferimento al danno conseguenza.
Esso, infatti, non è regolamentato in modo diverso in materia di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, soffrendo piuttosto di qualche aggravamento probatorio laddove il danno è conseguenza della lesione di un interesse non patrimoniale, circostanza che può verificarsi nell’ambito della responsabilità contrattuale, extracontrattuale e dell’Amministrazione (indipendentemente dall’inquadramento che riceve).
Nondimeno esso si connota, quanto alla responsabilità della parte pubblica, in ragione della posizione di quest’ultima (nel prosieguo l’approfondimento).
36. In ragione di quanto sopra esposto il Collegio ritiene che vi siano numerosi motivi per ritenere che la responsabilità dell’Amministrazione sia assimilabile alla responsabilità da inadempimento dell’obbligazione nei termini sopra delineati, connotati dalla situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo.
Né depongono in senso contrario le formulazioni testuali della disposizione di cui all’art. 2 bis, comma 1, della l. n. 241 del 1990, che fa riferimento all’ingiustizia del danno e al dolo o alla colpa dell’inosservanza del termine procedimentale, e della previsione contenuta negli artt. 30 e 133, comma 1, lett. a), n. 1) c.p.a. riguardante il risarcimento del danno ingiusto.
Invero il concetto di danno ingiusto non è proprio solo della responsabilità civile. In particolare, in entrambi i casi, il dato fondamentale da accertare è se vi è stata lesione di un interesse giuridicamente rilevante, solo che esso è assorbito, quanto alla responsabilità contrattuale, dal derivare dalla mancata esecuzione di una prestazione dovuta che costituisce la predeterminazione concreta del canone dell’ingiustizia (art. 1218 c.c.). Non necessita quindi di essere comprovato (contrariamente a quanto avviene nella responsabilità aquiliana). Nondimeno anche il regime probatorio dell’ingiustizia del danno in ambito contrattuale soffre alcune differenze di regime: si è già richiamato il fatto che la parte che chieda la condanna della controparte al risarcimento del danno contrattuale non patrimoniale deve comprovare, pur muovendosi in ambito contrattuale, l’interesse leso, oltre al conseguente danno, dimostrando il risalto della posizione costituzionalmente protetta nella fonte contrattuale e come la violazione contrattuale abbia coinvolto l’interesse non patrimoniale con i requisiti di serietà dell’offesa richiesti dalla giurisprudenza.
Mentre il richiamo all’elemento soggettivo dell’inosservanza del termine procedimentale può essere letto come misura del comportamento atteso sul piano oggettivo, non diversamente rispetto all’orientamento che ritiene che la diligenza di cui all’art. 1176 c.c. partecipi a delineare la prestazione dovuta in senso oggettivo.
Né può dirsi che il riferimento all’art. 2058 c.c., compiuto dall’art. 30, comma 2, c.p.a., imponga di ricondurre la responsabilità all’interno dello schema aquiliano perché il risarcimento in forma specifica, pur essendo previsto in tema di illecito extracontrattuale, è considerato utilizzabile anche nel regime contrattuale, rappresentando una delle possibili modalità di riparazione a un nocumento arrecato.
E ciò senza contare che sono numerosi i riferimenti contenuti nel codice del processo amministrativo al “danno”, non ulteriormente specificato: art. 7, comma 4, art. 34, comma 1, lett. c), art. 104, art. 123, comma 2, art. 124, art. 125, comma 3, art. 133, lett. s). Gli artt. 30, comma 3 e 124, comma 2 c.p.a., peraltro, richiamano l’art. 1227 c.c., applicabile ad entrambe le tipologie di responsabilità.
Si ritiene quindi che il dato letterale non sia dirimente quanto alla qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione.
37. V. Riflessi della situazione giuridica lesa sulla responsabilità dell’Amministrazione
Affrontato il tema della qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione, il Collegio ritiene che le particolarità della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo e del rapporto di diritto pubblico si riflettano sul regime di quella responsabilità producendo conseguenze che connotano in modo particolare la fattispecie risarcitoria applicabile a tale soggetto e ciò senza che sia necessario costruire una tipologia speciale di responsabilità.
Si anticipa che le seguenti considerazioni, seppur presentando aspetti di novità rispetto all’ordinario utilizzo della strumentazione civilistica per lo scrutinio della responsabilità dell’Amministrazione, potrebbero valere anche se si qualificasse quest’ultima in termini di responsabilità extracontrattuale (se ne terrà conto nella formulazione dei quesiti).
Si è già visto che l’Amministrazione si pone al crocevia di plurimi interessi, pubblici e privati, financo adespoti.
Quando il soggetto pubblico illegittimamente agisce e commette un illecito, questo si riverbera sul quel coacervo di interessi che, come si è sopra osservato, sono interessati dall’agire pubblico.
Tale circostanza si riflette tanto sul danno evento quanto sul danno conseguenza.
Nella prima prospettiva il potere pubblico è finalizzato al perseguimento di interessi che trovano, per la maggior parte, la loro fonte, diretta o indiretta, in situazioni giuridiche tutelate dalla Costituzione e volte, in ultima analisi, al soddisfacimento delle aspirazioni della persona fisica e al rispetto della medesima da ogni punto di vista, cui corrispondono obblighi dell’Amministrazione privi di contenuto patrimoniale.
In tal senso l’apparato amministrativo, quando agisce illecitamente, mette in pericolo le garanzie costituzionali della persona. La posizione di quest’ultima, quando chiede il risarcimento dei danni che patisce dal vedersi offesa in quelle prerogative, non è dissimile da quella in cui si trova il privato che domandi il risarcimento dei danni non patrimoniali (contrattuali o extra contrattuali).
Non solo. La varietà degli interessi coinvolti dall’azione pubblica, alcuni neppure predeterminati ma da riconoscere e perimetrare nel corso del procedimento, impongono di tenere in debita considerazione la particolarità che ne deriva e che impone di considerare la difficile posizione dell’Amministrazione, che, per natura, è esposta a un rischio elevato di violare situazioni giuridiche soggettive.
Si ritiene, quindi, che i principi di tolleranza e solidarietà impongano di valutare la gravità dell’offesa recata all’interesse (danno evento), così come stabilito dalla giurisprudenza civile in merito ai danni non patrimoniali (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972) e applicabile in questa sede per la duplicità di ragioni appena sopra riferite.
Ne deriva che difficilmente può ottenere tutela, già nella fase di scrutinio del danno evento, la violazione di meri canoni procedurali che non corrispondono, attraverso l’interesse legittimo, a una violazione della situazione di base. Ciò in quanto la posizione del privato, per essere risarcibile, deve essere incisa, al pari di quanto accade per il danno non patrimoniale, oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. Il filtro della gravità della lesione attua una prima modalità di bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza verso i plurimi interessi coinvolti nell’azione amministrativa, con la conseguenza che il risarcimento del danno è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile. Ciò di norma avviene, dinnanzi a un soggetto deputato a tutelare plurimi interessi, quando la sua condotta colpisca in modo serio l’interesse legittimo, intersecando la situazione di base.
La suddetta circostanza si verifica quando la fondatezza della pretesa sostanziale è accertata da un provvedimento amministrativo (come nel caso di specie) o da una pronuncia giurisdizionale, senza che sia più necessario, invece, l’annullamento del provvedimento amministrativo, essendo caduta la pregiudiziale.
Non si esclude però che, in determinate situazioni di particolare gravità dell’offesa, possano trovare tutela di situazioni di base non meritevoli di essere soddisfatte dal potere pubblico.
Accertato il danno evento, la particolarità del rapporto di diritto pubblico si interseca altresì con il requisito del danno conseguenza.
Quel composito insieme di interessi coinvolti dall’attività amministrativa impone di apprezzare il danno prodotto non solo rispetto al soggetto che pretende una riparazione al proprio interesse leso ma anche con riferimento alle ulteriori soggettività coinvolte dall’azione di amministrazione attiva e alla stessa Amministrazione in quanto portatori di interessi meritevoli di tutela (se l’Amministrazione illegittimamente rilascia un provvedimento, i suoi effetti negativi si riverberano a raggera).
La forza espansiva dell’azione illecita pubblica, non sempre visibile in ragione della tipologia di interessi coinvolti (pubblici, collettivi e adespoti), può essere estremamente incisiva.
Non solo. La scarsità delle risorse a disposizione dell’erario determina il fenomeno per il quale l’uso di mezzi finanziari per risarcire il danneggiato drena denaro pubblico dalle funzioni che deve perseguire per legge (e soprattutto dagli interessi sottesi) e che esiste nel processo amministrativo una fase esecutiva capace di assicurare, attraverso il giudizio di ottemperanza, un livello di tutela anche maggiore (rispetto a tutti gli interessi coinvolti) con un minor dispendio di risorse, non può non riverberarsi sulle considerazioni di seguito svolte. Specie laddove si applica il canone della più efficiente allocazione delle risorse (scarse) all’ordinamento in generale, senza enucleare, all’interno di esso, dei sottosistemi.
In ultima analisi, gli interessi pubblici intestati all’Amministrazione, già offesi dalla condotta illecita congiuntamente all’interesse privato di cui si chiede la riparazione, subiscono un ulteriore conseguenza sfavorevole dall’adempimento dell’obbligo risarcitorio, specie allorquando lo Stato, inteso in senso complessivo, è fortemente indebitato e il costo del debito è superiore al tasso di crescita del PIL.
Se, in ambito contrattuale, il risarcimento del danno assicura il danneggiato di essere posto, a seguito del ristoro, sulla stessa curva di indifferenza nella quale si sarebbe trovato in assenza dell’evento lesivo (Cass. civ., sez. un. 22 maggio 2018, n. 12567) e così anche per il danneggiante (che esborsa quanto non ha fatto prima), così non è in ambito pubblicistico, laddove il danneggiato aspira a posizionarsi sulla stessa curva di indifferenza ma non così il danneggiante (che normalmente, anche solo nella parziale prospettiva finanziaria, incontra una duplicazione di spesa).
Nella valutazione dell’an e del quantum del danno non può rimanere estranea la presenza di una pluralità di soggetti e di una pluralità di interessi che si relazionano fra loro e impongono sulla stessa fonte di risorse di essere compensati.
Come in tutte le occasioni nelle quali le posizioni giuridiche si confrontano non essendo assistite (nella fase del danno) da predeterminati canoni di relazione, con conseguenze che prescindono dagli specifici centri di interesse, vengono in evidenza i principi di solidarietà e di tolleranza di cui all’art. 2 della Costituzione (già richiamati in punto di danno evento). Essi sono utilizzati dalla giurisprudenza civile citata anche al fine di richiedere la serietà del danno quale requisito della fattispecie risarcitoria dei danni non patrimoniali.
Il danno deve eccedere una soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.
Ciò comporta che:
a) trovi una giustificazione sistematica la prospettiva assunta dall’Adunanza plenaria n. 3 del 2011, che ha ritenuto il meccanismo di cui all’art. 1227 c.c. potenzialmente idoneo a elidere l’an del danno (mentre in ambito privatistico interviene sul solo quantum), e il maggiore sacrificio richiesto dalla giurisprudenza al privato, anche in termini economici, per evitare l’aggravamento del danno (l’esercizio della tutela giurisdizionale): il principio di solidarietà impone che ai vari soggetti coinvolti nell’attività amministrativa sia imposto uno standard di comportamento tanto più alto quanto più potenzialmente foriero di conseguenze sugli altri consociati coinvolti;
b) debba essere assicurato un particolare rigore nello scrutinio dell’an (anche in punto di causalità giuridica) e del quantum;
c) non possa essere accollata al soggetto pubblico anche la prospettiva privatistica dell’interesse (con la portata patrimoniale che l’accompagna), cioè quella lasciata alla libertà individuale o imprenditoriale, rispetto alla quale è precluso, per i motivi sopra illustrati, l’intervento dell’Amministrazione, che interviene soltanto sulla portata pubblicistica dell’interesse del privato;
d) nei casi nei quali il danno si è verificato ma è volto a compensare un interesse che l’ordinamento nel suo complesso non ritengono più meritevole di tutela la scelta, imposta dalla dinamica degli interessi lesi e della scarsità delle risorse, è fra utilizzare risorse pubbliche per perseguire interessi del passato, non più meritevoli di tutela, o utilizzare quelle stesse risorse per agire sul futuro: il principio di solidarietà in senso generazionale o comunque temporale potrebbe imporre di rivolgere lo sguardo, fosse anche solo per un principio di autoconservazione, al futuro.
e) debbano essere evitate duplicazioni di danno, così distinguendo quello che è il danno occorso al privato che ha agito in giudizio dai danni derivati ad altri soggetti e risarcendo solo quello occorso al soggetto che ha esercitato l’azione risarcitoria, escludendo di ristorare al privato le conseguenze delle esternalità negative, che pur potendo produrre qualche effetto nell’ambito della specifica sfera giuridica soggettiva sono sopportati dal sistema nel suo complesso;
Le suddette considerazioni (che saranno poi utilizzate per porre gli ulteriori quesiti) sono volte a evidenziare come le particolarità delle nozioni di danno evento e danno conseguenza non derivano dall’inquadramento della responsabilità dell’Amministrazione (che si è visto essere assimilabile alla categoria contrattuale della responsabilità) ma dalla situazione giuridica lesa ma necessitino comunque di essere valorizzate intersecandosi con il regime della responsabilità dell’Amministrazione.
38. VI. Conseguenze
Di seguito si illustrano le conseguenze che derivano sulla concreta modalità di valutazione della responsabilità dell’Amministrazione in ragione dell’assimilazione di quest’ultima alla responsabilità contrattuale e della dinamica derivante dalle particolarità del rapporto di diritto pubblico.
38.1. Innanzitutto si elencano gli aspetti di sostanziale continuità (rispetto al regime concretamente applicato dalla giurisprudenza) circa i requisiti della fattispecie risarcitoria:
a) la prova della condotta non iure, del contra ius e del nesso di causalità è resa con la modalità illustrate sopra, che non differiscono in modo sostanziale dagli oneri di allegazione e di prova che si richiedono al contraente che vuole far valere in giudizio l’inadempimento della controparte, allegando l’inadempimento e il provvedimento positivo o l’inadempimento e i motivi di fondatezza della domanda o i motivi di illegittimità del provvedimento;
b) l’elemento soggettivo è presunto in forza dell’illegittimità del provvedimento adottato o del comportamento omissivo tenuto, con un meccanismo di inversione dell’onere della prova che non differisce, quanto alla concreta operatività, dal sistema di ascrizione della responsabilità contrattuale delineato dall’art. 1218 c.c.;
c) deve essere provato il danno sia in punto di an che di quantum, così come avviene per entrambe le tipologie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, con le peculiarità già evidenziate che derivano più dalla situazione giuridica lesa che dalla natura della responsabilità;
d) in punto di limiti temporali di esercizio dell’azione risarcitoria si applica (si applica comunque, indipendentemente dalla natura della responsabilità dell’Amministrazione) il regime speciale contenuto nel codice del processo amministrativo, in particolare il termine di decadenza indicato nell’art. 30, commi 3, 4 e 5 c.p.a., con regime temporale reputato legittimo dalla Corte costituzionale (sentenza 4 maggio 2017, n. 94); senonché le domande risarcitorie pendenti che ricadono nella precedente disciplina (Ad. plen. 6 luglio 2015, n. 6) ricadono nel regime prescrizionale delle obbligazioni da contratto.
38.2. Le novità che derivano dalla considerazione attribuita al rapporto di diritto pubblico nell’ambito della nascita e configurazione dell’obbligazione risarcitoria attengono al rigoroso scrutinio richiesto al fine di valutare il danno evento e il danno conseguenza (nei termini sopra illustrati).
38.3. Le novità che derivano dalla qualificazione della responsabilità in termini di responsabilità contrattuale attengono a:
– la costituzione in mora: in caso di inadempimento di obbligazioni derivanti da fatto illecito la mora è ex re mentre nel caso si qualifichi la responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interesse legittimo quale responsabilità contrattuale viene meno tale conseguenza automatica;
– l’applicabilità del canone della prevedibilità del danno (art. 1225 c.c.), nel senso che, in caso di colpa, è risarcibile solo il danno prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione.
Del resto, l’applicazione all’Amministrazione dell’istituto risponde alla ratio del medesimo.
Il suddetto criterio di determinazione del quantum risulta in primo luogo funzionale alle leggi di mercato, nel quale il prezzo è espressione non solo del valore della cosa compravenduta ma anche di altri fattori, fra i quali il rischio dell’operazione di mercato. Ne deriva che il rischio deve potersi predefinire in modo da calcolare il valore della prestazione in modo da consentire all’operatore che agisce in un contesto imprenditoriale di determinare un prezzo razionale rispetto alle variabili economiche e di soppesare le conseguenze di un inadempimento.
Il connotato, pertanto, si giustifica in una prospettiva nella quale l’inadempimento che genera danno si inserisce in un rapporto obbligatorio già sorto, nel quale appunto creditore e debitore hanno negoziato le proprie posizioni considerando le condizioni economiche dell’epoca e i rischi annessi.
In tale prospettiva si conferma l’assimilazione della responsabilità dell’Amministrazione alla prospettiva contrattuale, piuttosto che extracontrattuale.
L’amministrazione infatti, da un lato, costituisce uno dei principali operatori di mercato e, dall’altro lato, agisce organizzando risorse per definizione scarse. A tal fine pone in essere una programmazione tesa a consentire il perseguimento delle finalità pubbliche che le sono intestate in modo non dissimile dagli altri operatori di mercato (e anzi più pregnante). Per fare ciò necessita di essere messa nelle condizioni di soppesare le conseguenze delle proprie azioni.
Invero la gestione di bilancio e la contabilità pubblica sono proprio volte a far sì che l’Amministrazione possa contare su risorse certe e liquide per far fronte ai propri impegni finanziari e così soddisfare le esigenze della collettività.
In tale prospettiva il criterio della prevedibilità, ricompreso nel regime della responsabilità contrattuale, pare rispondere, se applicato all’Amministrazione, alla medesima funzione che svolge nel rapporto fra privati, anche amplificata dai vincoli derivanti dalla programmazione di bilancio.
39. Conclusivamente, si ritiene di porre all’Adunanza plenaria la seguente, seconda, questione: se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (o, ed è quel che più rileva nel caso di specie, da inerzia e/o ritardo) non debba essere ricondotto al disposto di cui all’art. 1218 c.c.
40. In tal caso si chiede (terza questione) all’Adunanza plenaria di stabilire se la sopravvenienza normativa occorsa intervenga, all’interno della fattispecie risarcitoria, in punto di quantificazione del danno (1223 c.c.) o di prevedibilità del medesimo (1225 c.c.).
Al riguardo si osserva, quanto al secondo profilo, che l’introduzione della sopravvenienza normativa sopra illustrata non è imputabile all’Amministrazione regionale e militerebbe per far ritenere il danno da essa prodotto “imprevedibile” ai sensi dell’art. 1225 c.c.
Quanto al primo profilo, quello del danno di cui all’art. 1223 c.c., il rigoroso scrutinio del danno conseguenza potrebbe imporre di attribuire rilevanza alla sopravvenienza normativa nei termini di seguito esposti:
a) in un dato momento storico, il Legislatore ritiene meritevoli di incentivazione gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole;
b) il privato presenta la richiesta: all’Amministrazione non spetta che accertare il ricorrere dei presupposti di legge per il rilascio dell’autorizzazione, così “obbedendo” al comando primario legislativo;
c) colposamente l’Amministrazione ritarda tale doverosa attività;
d) quando tuttavia essa provvede (positivamente, peraltro), il Legislatore ha (già) ritenuto non più meritevoli di incentivazione gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole (e ciò mercé una disposizione perentoria – “in ogni caso” – che neppure lascia spazio ad eventuali tardive iniziative del privato conseguenti alla retroattività di un giudicato favorevole sull’autorizzazione);
e) il ritardo dell’Amministrazione si è risolto nel soddisfacimento in massimo grado dell’interesse (nuovo) fatto proprio dal Legislatore e sfociato nella norma primaria preclusiva alla incentivazione;
f) è un evento, questo, non soltanto assimilabile – nella posizione dell’Amministrazione inadempiente – ad un caso fortuito ma, addirittura – se è consentita l’espressione – in un’ottica complessiva e di sistema ad un “caso fortunato”;
g) se il ristoro del danno non si arrestasse al momento in cui fa ingresso il factum principis preclusivo verrebbe tutelata una sua posizione contrastante con l’interesse primario come determinato dall’assetto di interessi rinnovato dal Legislatore, specie in ragione della scarsità delle risorse pubbliche (che quindi verrebbero indirizzate verso un interesse non più attuale a discapito di esigenze attuali);
h) siccome l’Amministrazione cura l’interesse pubblico come individuato dal Legislatore mercé la norma primaria sopravvenuta, costituirebbe inspiegabile antinomia quella per cui essa debba rispondere di danni cagionati al privato istante per avere (con la propria colposa inerzia) cagionato l’evento “voluto” – seppure ex post rispetto al momento in cui la stessa avrebbe dovuto deliberare – dal Legislatore.
Si dubita pertanto che, già in un’ottica di determinazione del danno conseguenza, questo Giudice, richiamando quanto sopra esposto in punto di danno conseguenza, rapporto di diritto pubblico e principio di tolleranza, non debba valutare in senso ostativo (alla risarcibilità) i danni verificatesi dopo che l’ordinamento nel suo complesso non ha ritenuto più meritevole di tutela l’interesse leso.
41. La quarta questione ha riguardo anch’essa al danno conseguenza, così come sopra inquadrato considerando la particolare natura della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, che si assume lesa, nei termini anzidetti, dalla condotta dell’Amministrazione, impedisca il risarcimento dei danni afferenti alle libere scelte imprenditoriali anche se è provato che le conseguenze dannose prodotte sul versante imprenditoriale abbiano quale fonte la condotta dell’Ente.
Se infatti l’inerzia dell’amministrazione risulta idonea a determinare la violazione dell’interesse pretensivo delle appellanti al conseguimento del bene della vita, coincidente con l’autorizzazione dell’impianto (autorizzazione infine rilasciata dalla Regione, a conferma della spettanza del suddetto bene, e dunque della sussistenza del nesso di causalità materiale fra la condotta inerte e l’evento dannoso) si chiede se tale lesione può essere ritenuta a sua volta – secondo canone di normalità o regolarità eziologica – causa del danno richiesto in termini di mancato utile d’esercizio da omessa realizzazione dell’impianto, utile che è calcolato dall’appellante in relazione all’impossibilità, causata dal ritardo, di accedere al regime incentivante e ai mancati introiti della vendita.
Si chiede, in particolare, se non si possa distinguere, a tale proposito, fra il danno da mancata percezione dell’incentivo (da liquidare) e il danno da mancata vendita dell’energia (di cui l’Amministrazione non po’ essere ritenuta responsabile).
Si è già illustrato sopra come attraverso il provvedimento l’Ente pubblico interviene soltanto sulla portata pubblicistica dell’interesse del privato.
In detta prospettiva non può essere accollata al soggetto pubblico anche la prospettiva privatistica (imprenditoriale) dell’interesse (con la portata patrimoniale che l’accompagna), cioè quella lasciata alla libertà individuale, rispetto alla quale è precluso l’intervento pubblico.
Si dubita pertanto che le conseguenze economiche e finanziarie delle scelte che costituiscono l’esplicazione di quella libertà possano essere imputate all’Amministrazione.
Si pone pertanto la seguente quarta questione: “se debba o meno essere riconosciuta la responsabilità della Regione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”.
42. La quinta e sesta questione vengono formulate in via subordinata, per il caso in cui l’Adunanza plenaria ritenga che la responsabilità dell’Amministrazione non possa essere qualificata in termini di responsabilità contrattuale, e riguarda la valorizzazione di quanto appena sopra esposto in relazione alla quantificazione del danno quale conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.):
42.1. Con la quinta questione si chiede, per le stesse motivazioni addotte sopra in riferimento alla qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione come responsabilità contrattuale (questione tre), se la determinazione del danno conseguenza escluda, per le ragioni sopra addotte, i danni prodotti dopo la sopravvenienza normativa. Si aggiunge che, posto che l’interesse pretensivo assai di frequente viene soddisfatto attraverso l’adozione di provvedimenti a contenuto durevole nel tempo, ad avviso del Collegio vi sarebbe da dubitare della compatibilità costituzionale di un simile quadro, sotto il profilo dell’art. 81, comma 3, Cost.: un’azione risarcitoria svincolata dal parametro del danno prevedibile comporterebbe un aggravio ed una imprevedibilità di costi, impedendo una corretta programmazione della spesa pubblica. Posto che è patrimonio acquisito quello secondo il quale “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte cost., sentenza 22 ottobre 1996, n. 356 e ordinanza 19 giugno 2019, n. 151), si sottopone pertanto all’Adunanza plenaria la seguente questione: “se in ipotesi di responsabilità colposa da lesione dell’interesse legittimo pretensivo integrata nel paradigma normativo di cui all’art. 2043 c.c. la pubblica amministrazione sia tenuta a rispondere anche dei danni derivanti dalla preclusione al soddisfacimento del detto interesse a cagione dell’evento – per essa imprevedibile- rappresentato dalla sopravvenienza normativa primaria preclusiva e, in ipotesi di positiva risposta al detto quesito, se tale risposta non renda non manifestamente infondato un dubbio di compatibilità di tale ricostruzione con il precetto di cui all’art. 81 terzo comma Cost.”.
42.2. Con la sesta questione si chiede, per le stesse motivazioni addotte sopra in riferimento alla qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione come responsabilità contrattuale (questione quattro), “se debba o meno essere riconosciuta la responsabilità della Regione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”.
43. In conclusione, il Collegio:
– riunisce i ricorsi in epigrafe;
– parzialmente e non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 75 del 2015: a) respinge il ricorso quanto al petitum relativo al lucro cessante, confermando per l’effetto, con le precisazioni di cui in motivazione, la impugnata sentenza n. 1184/2014; b) accoglie il ricorso quanto al danno emergente e per l’effetto dichiara ammissibile la relativa domanda di liquidazione, riservando la delibazione su quest’ultima all’esito della pronuncia dell’Adunanza plenaria.
– parzialmente e non definitivamente pronunciando sugli altri tre appelli:
a) decide in ciascuno dei ricorsi n. 72 del 2015 n. 73 del 2015 n. 74 del 2015 il primo motivo di ricorso accogliendolo nei sensi e termini di cui alla motivazione, e per l’effetto riformando le sentenze impugnate n. 1185/2014 n. 1183/2014 n. 1182/2014, e affermando l’astratta ammissibilità della domanda risarcitoria volta alla liquidazione sia del danno emergente che del lucro cessante;
b) in relazione ai restanti motivi di ricorso si sottopongono all’Adunanza Plenaria le questioni in dicate in dispositivo;
c) salvo che l’Adunanza plenaria intenda decidere per intero le riunite cause ex art. 99 comma 4 c.p.a. si riserva, all’esito della restituzione degli atti da parte dell’Adunanza plenaria la decisione – l’esame del merito alla luce dei principi di diritto che l’Adunanza plenaria enuncerà.

 

P.Q.M.
Il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, in sede giurisdizionale, visto l’art. 10 comma 4 del d. lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 e l’art. 99 c.p.a., in relazione agli appelli in epigrafe:
– li riunisce;
– parzialmente e non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 75 del 2015:
a) respinge il ricorso quanto al petitum relativo al lucro cessante, confermando per l’effetto, con le precisazioni di cui in motivazione, la impugnata sentenza n. 1184/2014;
b) accoglie il ricorso quanto al danno emergente e per l’effetto dichiara ammissibile la relativa domanda di liquidazione, riservando la delibazione su quest’ultima all’esito della pronuncia dell’Adunanza plenaria.
– parzialmente e non definitivamente pronunciando sugli altri tre ricorsi:
a) decide in ciascuno dei ricorsi n. 72 del 2015 n. 73 del 2015 n. 74 del 2015 il primo motivo di ricorso accogliendolo nei sensi e termini di cui alla motivazione, e per l’effetto riformando le sentenze impugnate n. 1185/2014 n. 1183/2014 n. 1182/2014, e affermando l’astratta ammissibilità della domanda risarcitoria volta alla liquidazione sia del danno emergente che del lucro cessante;
b) nella restante parte deferisce le seguenti questioni all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato:
1) “se si configuri o meno una interruzione del nesso di causalità della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 cc di tipo omissivo se, successivamente all’inerzia dell’Amministrazione su istanza pretensiva del privato, di per sé foriera di ledere il solo bene tempo, si verifichi una sopravvenienza normativa che, impedendo al privato di realizzare il progetto al quale l’istanza era preordinata, determini la lesione dell’aspettativa sostanziale sottesa alla domanda presentata all’Amministrazione, che sarebbe stata comunque soddisfatta, nonostante l’intervenuta nuova disciplina, se l’Amministrazione avesse ottemperato per tempo”;
2) “se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ovvero da inerzia e/o ritardo) sia costituito dalla responsabilità contrattuale piuttosto che da quella aquiliana”;
3) in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, “se la sopravvenienza normativa occorsa intervenga, all’interno della fattispecie risarcitoria, in punto di quantificazione del danno (1223 c.c.) o di prevedibilità del medesimo (1225 c.c.)”;
4) in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, “se deve o meno essere riconosciuta la responsabilità dell’Amministrazione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”;
5) in via subordinata, in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità, “se in ipotesi di responsabilità colposa da lesione dell’interesse legittimo pretensivo integrata nel paradigma normativo di cui all’art. 2043 c.c. la pubblica amministrazione sia tenuta o meno a rispondere anche dei danni derivanti dalla preclusione al soddisfacimento del detto interesse a cagione dell’ evento – per essa imprevedibile- rappresentato dalla sopravvenienza normativa primaria preclusiva e, in ipotesi di positiva risposta al detto quesito, se tale risposta non renda non manifestamente infondato un dubbio di compatibilità di tale ricostruzione con il precetto di cui all’art. 81 terzo comma Cost.”;
6) sempre in via subordinata, in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità “se debba o meno essere riconosciuta la responsabilità della Regione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”;
c) salvo che l’Adunanza plenaria intenda decidere per intero le riunite cause ex art. 99 comma 4 c.p.a. si riserva, all’esito della restituzione degli atti da parte dell’Adunanza plenaria la decisione del merito alla luce dei principi di diritto che l’Adunanza plenaria enuncerà;
– spese e compenso del consulente saranno liquidati al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal C.G.A.R.S. con sede in Palermo nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2020, tenutasi da remoto e con la contemporanea e continua presenza dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Nicola Gaviano, Consigliere
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore
Giuseppe Verde, Consigliere
Maria Immordino, Consigliere