AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE LA COMPETENZA FUNZIONALE DEL T.A.R. LAZIO

1. È impugnato, con richiesta incidentale di sospensione cautelare della sua efficacia, un provvedimento del Direttore dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, con sede in Reggio Calabria, con il quale è ordinato alla ricorrente, Zoccali Carmela, di rilasciare un appartamento sito in Sinopoli, c.da Santa Maria, al fg. 9, p.lla 387, bene che l’Agenzia assume essere oggetto del provvedimento di confisca disposto in via definitiva dalla Cassazione, con sentenza n. 1371 del 5 ottobre 2011, in danno di Alvaro Giuseppe.

Si è costituita l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria nell’interesse dell’intimata Agenzia, eccependo preliminarmente l’incompetenza territoriale del Tar adito, appartenendo la controversia alla competenza del Tar Lazio, ai sensi dell’art. 135, lett. p), c.p.a..

Nel merito la difesa dell’Agenzia ha contestato la fondatezza dell’impugnativa, concludendo per il suo rigetto.

2. Occorre preliminarmente prendere in esame l’eccezione di incompetenza, espressamente formulata dalla parte resistente.

Stabilisce, infatti, l’art. 15 c.p.a. (“Rilievo dell’incompetenza”), come novellato dal D.lgs. 14 settembre 2012 n. 160, che “in ogni caso il giudice decide sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare e, se non riconosce la propria competenza ai sensi degli artt. 13 e 14, non decide sulla stessa”. Parallelamente il co. 4 dell’art. 13, anch’esso novellato nel 2012, statuisce che “la competenza di cui al presente articolo e all’articolo 14 è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari”.

La presente controversia rientra, in effetti, nel novero degli affari ricompresi nella competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, di cui all’art. 14 c.p.a., che vi include tutte “le controversie indicate dall’articolo 135 e dalla legge” e fra queste quelle concernenti l’azione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che già la legge istitutiva dell’Agenzia del 2010, ora confluita nel D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, c.d. Codice antimafia, devolveva alla competenza del Tar Lazio.

Segnatamente la lett. p) del co. 1 dell’art. 135 c.p.a. – nella sua attuale formulazione – assegna alla competenza funzionale inderogabile del Tar Lazio “le controversie attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo derivanti dall’applicazione del Titolo II del Libro III del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, relative all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, Agenzia che, fra i suoi compiti, include l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati (art. 110, co. 2, D.lgs. n. 159 cit.). All’art. 135, lett. p), fa ora richiamo anche l’art. 114, co. 1, D.lgs. n. 159/11, intitolato “Foro esclusivo”.

Prima dell’emanazione del Codice antimafia la lett. p) dell’art. 135 faceva comunque riferimento alle controversie derivanti dall’applicazione del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, istitutivo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che all’art. 9 (soppresso dell’art. 3, co. 24, dell’Allegato 4, D.lgs. n. 104/10) già disponeva che “Per tutte le controversie attribuite alla cognizione del giudice amministrativo derivanti dall’applicazione del presente decreto, ivi incluse quelle cautelari, è competente il tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma. Le questioni di competenza di cui al presente comma sono rilevabili d’ufficio.”

In definitiva, a far data dalla istituzione dell’Agenzia, le controversie derivanti dalla normativa che la riguarda, se rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo, devono essere conosciute dal Tar Lazio, con sede in Roma.

3. Tuttavia il Tribunale dubita della legittimità costituzionale di questa previsione con riferimento agli artt. 3, 25, 125, 24 e 111 Cost.

3.1. Occorre premettere che le leggi processuali anteriori al codice, e segnatamente la legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, non contenevano una disciplina generale sulla competenza funzionale inderogabile del Tar Lazio.

La l. 6 dicembre 1971 n. 1034, all’art. 3, ripartiva, infatti, la competenza per territorio fra i vari tribunali regionali, prevedendo, al co. 3, una competenza residuale del Tar con sede a Roma, per gli atti statali. Contenuto analogo presenta oggi l’art. 13 c.p.a., eccezion fatta per gli effetti scaturenti dalla proposizione della lite presso un giudice incompetente, atteso che innovativamente il Codice ha optato per il regime della inderogabilità della competenza territoriale.

L’introduzione di ipotesi di competenza (intesa come) funzionale a favore, pressoché esclusivamente, del Tar Lazio, sede di Roma, prende avvio negli anni ’90 ed avviene per la prima volta ad opera della l. 12 aprile 1990, n. 74, il cui art. 4, sostituendo l’art. 17, l. 24 marzo 1958, n. 195 sul Consiglio superiore della magistratura (che nella sua originaria formulazione disponeva: Contro i predetti provvedimenti , è ammesso ricorso al Consiglio di Stato per motivi di legittimità), così disponeva: Contro i predetti provvedimenti è ammesso ricorso in primo grado al tribunale amministrativo regionale del Lazio per motivi di legittimità. Contro le decisioni di prima istanza è ammessa l’impugnazione al Consiglio di Stato.

Questa normativa, che per prima ha introdotto una significativa deroga al principio della territorialità, stabilendo una vera e propria ipotesi di competenza funzionale, non derogabile su accordo delle parti, è stata ritenuta dalla Corte costituzionale – cui la questione era stata rimessa dal Tar Sicilia – non contraria al dettato costituzionale (sent. n. 189 del 22 aprile 1992).

In particolare la Corte, nell’escludere il contrasto della norma con gli artt. 3, 24 e 125 Cost., valorizzò la particolare posizione che il Consiglio superiore della Magistratura occupa nell’ordinamento costituzionale della Repubblica e nell’organizzazione dei pubblici poteri ed il peculiare status rivestito dai magistrati ordinari, particolare e differenziato, rispetto alla categoria degli altri pubblici dipendenti.

La Corte ebbe, altresì, a rilevare che la norma censurata risponde anche ad “un’esigenza largamente avvertita circa l’uniformità della giurisprudenza fin dalle pronunce di primo grado” e comunque non si pone in contrasto con l’art. 125, co. 2, Cost., perché “il Tribunale amministrativo regionale del Lazio è parte, … , del sistema processuale amministrativo che consta di numerosi gangli periferici e di uno centrale, che con quelli è collegato – in base alle regole proprie della giurisdizione amministrativa – ben oltre il caso oggetto dell’impugnativa in esame”.

Avveduta dottrina, rilevato fra l’altro che la Corte non aveva compiutamente percepito gli esatti termini delle argomentazioni giuridiche prospettate dal giudice a quo sulla competenza funzionale, profeticamente osservò che il legislatore, dal dictum della Corte, avrebbe ricevuto spinte tese al rafforzamento ed all’ampliamento di quella inderogabilità così inaugurata con la norma riconosciuta legittima.

Già poco dopo la normativa concernente i magistrati ordinari, la l. 10 ottobre 1990 n. 287, all’art. 33, riconduceva alla competenza funzionale del Tar centrale i provvedimenti emessi dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato.

È bene osservare incidentalmente che in ambedue le ipotesi sarebbe comunque individuabile anche una competenza “originaria” del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sia il CSM che l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato hanno sede a Roma), donde la particolarità starebbe piuttosto nella sua natura non derogabile.

Successivamente numerose e variegate tipologie di controversie sono state ascritte alla competenza funzionale del Tar Lazio (anche a prescindere dalla sede dell’autorità emanante), sino a giungere alla positivizzazione, con l’art. 14 c.p.a., di un’autonoma categoria concettuale, cui fa da pendant un lungo elenco di controversie contenuto nell’art. 135 c.p.a., composto da ben diciotto punti (dalla lett. a) alla lett. q-quater).

L’art. 135 c.p.a. ricomprende così una congerie nutritissima di fattispecie (una delle quali, quella in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB, prevista da una parte della lett. c), dichiarata già incostituzionale con sent. n. 162 del 27 giugno 2012), posto che – a parte l’evenienza della connessione fra controversie, non legislativamente affrontata, che ha portato ad un ulteriore incremento delle liti da incardinare presso il Tar Lazio – sotto le varie lettere del catalogo sono spesso incluse più tipologie di controversie (così, ad esempio, sub lett. a), insieme alle controversie relative ai provvedimenti riguardanti i magistrati ordinari, vi sono quelle relative ai provvedimenti riguardanti i magistrati amministrativi adottati dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa).

3.2. In questo modo ricostruita brevemente la genesi ed il contenuto della competenza (oggi testualmente) “funzionale inderogabile” del Tar Lazio, questo giudice dubita, in primo luogo, della legittimità costituzionale della previsione codicistica nella parte riguardante l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (lett. p).

Deve segnalarsi che l’Agenzia ha la sua sede principale proprio in Reggio Calabria (art. 110 D.lgs. n. 159/11; con DPR 15 dicembre 2011 n. 235 sono state previste anche sedi secondarie, in un numero massimo di sei).

Si tratta di una scelta politica, peculiare ed innovativa, funzionale a radicare la presenza delle istituzioni in una zona periferica da un punto di vista geografico, ma centrale e nodale da un punto di vista delle attività di contrasto alle organizzazioni criminali, rendendo così viepiù concreta e, al contempo, maggiormente condivisa e percepita la lotta contro l’illegalità.

Come è riportato nella relazione per l’anno 2010 della stessa Agenzia (accessibile dal relativo sito istituzionale) “il giorno 16 marzo 2010, dando attuazione all’art.1, comma 2, della legge istitutiva, è stata inaugurata e resa operativa la sede di Reggio Calabria. Erano presenti il Ministro dell’Interno e le Autorità regionali e locali. Presso la sede di Reggio Calabria sono state incardinate e si sono svolte, nel corso dell’anno, le funzioni operative principali ed il coordinamento di interventi di amministrazione e destinazione dei beni”, ciò a testimoniare la rilevanza della scelta operata in sede di istituzione di questo nuovo ente e l’impegno che ne è conseguito.

La scelta di devolvere al Tar Lazio la cognizione su tutti gli atti dell’Agenzia che, invece, in base ai criteri ordinari ex art. 13 c.p.a., poggianti sugli indici di collegamento territoriale (tanto quello della sede dell’ente, quanto, nel caso di specie, persino quello degli effetti del provvedimento), spetterebbe in primis al Tar per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, lede il canone, desumibile dall’art. 3 Cost., di ragionevolezza e di coerenza dell’ordinamento giuridico, in mancanza di una ragione giustificatrice, valida (ossia compatibile con la Costituzione) e sufficiente per disporre la deroga.

Anziché, infatti, valorizzare un peculiare legame del giudice decentrato con la realtà del luogo, in sintonia, ed anzi in auspicabile sinergia, con quanto fatto sul piano sostanziale, si è optato per un totale accentramento delle (sole) liti amministrative presso un unico giudice, non prossimo alla vicenda contenziosa (e, quindi, alle autorità amministrative, di polizia e giudiziaria che se ne sono occupate nelle fasi preliminari alla confisca), pur in assenza di speciali esigenze di giustizia, quali quelle che la Corte costituzionale ha enucleato, ad esempio, con riferimento al CSM o alla materia di cui all’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania), commi aggiunti dalla legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, scrutinata con la sentenza n. 237 del 26 giugno 2007, esigenze che sole giustificano un siffatto eccezionale spostamento.

Non assume, infatti, l’Agenzia una particolare posizione nell’ordinamento costituzionale della Repubblica e nell’organizzazione dei pubblici poteri, né i destinatari dei provvedimenti in questione presentano un peculiare status, meritevole di un diverso trattamento.

Neppure vi è una situazione di straordinaria emergenza, come nel caso delle misure dettate per il settore dei rifiuti, posto che l’Agenzia in nessun caso può essere intesa come una misura eccezionale, né la c.d. “emergenza mafiosa” costituisce un problema di carattere temporaneo.

Sembra a tal proposito opportuno rammentare che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 34 del 23 febbraio 2012, nel dichiarare incostituzionale l’intera legge della Regione Calabria 7 marzo 2011, n. 7 (Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria), per contrasto con l’art. 117 Cost., ha tratteggiato i caratteri ed i compiti dell’Agenzia nazionale – avente sede principale in Reggio Calabria –, valorizzandone precipuamente il suo ruolo di contrasto all’illegalità rispetto alle collettività territoriali.

Anche la giustificazione, introdotta dalla Corte in maniera incidentale nella sentenza n. 189 del 1992, ossia l’uniformità della giurisprudenza fin dalle pronunce di primo grado, ammesso che in un ordinamento di civil law possa essere considerato un valore cardine, non è di certo qui pertinente.

È chiaro, infatti, intanto che essa non può essere invocata ex se e così sorreggere autonomamente una deroga al criterio ordinario per la precostituzione del giudice, perché anche il rispetto del criterio base, più chiaro ed oggettivo, della sede dell’autorità emanante, garantirebbe l’obiettivo della stabilità delle soluzioni giurisprudenziali; inoltre, proprio l’individuazione del Tar Lazio quale unico giudice funzionalmente competente si presenta antitetica rispetto all’obiettivo indicato dalla Corte, poiché l’ampliamento della struttura del Tar romano, in parte dovuto anche allo smisurato aumento, nel corso degli anni, delle sue competenze (tribunale oggi composto da ben dodici sezioni, con circa cinque – sei magistrati per sezione), unitamente al problema dell’efficiente organizzazione del lavoro (compresa la necessaria rotazione delle materie e dei giudici fra le sezioni), fa sì che esso non si presenti neppure in astratto idoneo ad assicurare l’ambìta uniformità o, paradossalmente, si presenti addirittura come il meno idoneo.

Tra l’altro, nel processo amministrativo, la funzione nomofilattica appartiene al giudice di appello ed oggi in special modo all’Adunanza Plenaria (art. 99 c.p.a.), né peraltro sembra ipotizzabile, a tal fine, una diversa qualità del Tar Lazio insediato nella capitale, con la configurazione di una sorta di supremazia rispetto agli altri Tribunali amministrativi, posto che la selezione dei magistrati che lo compongono non presenta alcun profilo di differenziazione rispetto a quella degli altri Tar.

3.3. All’irragionevolezza in termini di contraddizione interna della stessa legge disciplinante l’Agenzia, si accompagna una sua irrazionalità estrinseca, rispetto ad altra norma costituzionale, ossia all’art. 125 Cost..

Questa norma sancisce il principio del decentramento a livello regionale della giurisdizione amministrativa, nell’ottica di una necessaria prossimità del giudice ai fatti di cui è chiamato a conoscere.

Come è noto, dai lavori preparatori dell’art. 125 (originario co. 2), si ricava l’intenzione dei Costituenti di adeguare l’organizzazione della giustizia amministrativa alla mutata articolazione del decentramento politico territoriale e, in particolare al ruolo centrale che l’ente Regione era destinato ad assumere, nella piena convinzione che “la giustizia amministrativa quanto è più periferica tanto più risponde alle esigenze popolari” (A.C., 4363, intervento di Musolino nella seduta del 4 dicembre 1947).

Se pure, dunque, si vuole escludere – come la giurisprudenza costituzionale ha già più volte fatto: da ult. sent. n. 117/12 –, con riferimento alla magistratura in genere, che il termine “giudice naturale” di cui all’art. 25 Cost. presenti una valenza autonoma rispetto al carattere della sua precostituzione per legge, dovendosi piuttosto l’espressione ritenersi in tutto corrispondente a quella di “giudice precostituito per legge” con la quale si salda in endiade, per la giustizia amministrativa il concetto di “giudice naturale” non può che assumere una portata diversa per lo speciale assetto dei giudici di primo grado sul territorio voluto dal titolo V della Costituzione.

Ne consegue che la competenza dei giudici amministrativi deve essere non solo predeterminata dalla legge, ma deve rispettare il principio di naturalità come desumibile dal comb. disp. dell’art. 25 e dell’art. 125, nel senso di una sicura maggiore idoneità del giudice individuato su base regionale a fornire una risposta di giustizia adeguata.

Tra l’altro il sistema della giustizia amministrativa non gode – come quello della giustizia ordinaria – di una capillare diffusione degli organi giudicanti sull’intero territorio nazionale, ma si articola appunto, per espresso dettato costituzionale, su base regionale, con un solo ufficio situato nel capoluogo di ogni Regione e con la possibilità di istituzione di alcune sedi staccate (tra cui, appunto, quella di Reggio Calabria). La deroga al criterio della competenza territoriale in favore di un unico altro Tribunale, individuato in base alla sua allocazione nella capitale della Repubblica muta allora totalmente la prospettiva di un sistema articolato su base regionale, id est non verticistico ed accentrato, ed altera profondamente l’equilibrio del controllo sugli atti amministrativi, pensato dai Costituenti sicuramente in maniera svincolata dalla specializzazione per singole materie (contrariamente a quanto, invece, consentito per l’autorità giudiziaria ordinaria: art. 102, co. 2, Cost.).

Quanto argomentato a tal proposito dalla Corte nel 1992 appare, dunque, a questo giudice meritevole di una rinnovata riflessione, soprattutto alla luce dell’evoluzione subita sia dal sistema delle autonomie locali (in dipendenza della riforma del Titolo V, attuata con L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), sia dal sistema processuale amministrativo: l’affermazione secondo cui il sistema della giustizia amministrativa “consta di numerosi gangli periferici e di uno centrale, che con quelli è collegato” non riflette adeguatamente il dettato dell’art. 125 Cost., il quale non prevede, invero, differenziazione di sorta tra gli organi di giustizia amministrativa di primo grado e non contempla un tribunale centrale, di diversa o maggiore importanza, cui contrapporre “gangli periferici” (in verità, di fatto, neppure particolarmente numerosi, dato anche il notevole aumento del contenzioso, specie in primo grado), ma piuttosto riconosce pari, oltre che piena, dignità a tutti i Tribunali amministrativi regionali.

Si aggiunga, con riferimento al canone della ragionevolezza appena vagliato, che i due aspetti, interni ed esterni, ad avviso di questo giudice, si intersecano e si compensano: se il Tar Lazio fosse da qualificare come un giudice di competenza centrale, sì da ritenere legittime le norme che ne accrescono la competenza (generalizzando una sorta di legittima suspicione che porti a ritenere inidoneo il Tribunale territoriale a decidere talune tipologie di cause), dovrà assumere maggior pregnanza il fondamento giustificativo di queste scelte derogatorie in base agli interessi che esse coinvolgono, specie laddove la competenza del Tar Lazio non dovesse venire comunque in rilievo secondo il criterio della competenza territoriale (come è evidentemente nel caso che qui si esamina, vista la sede dell’ente e il luogo di produzione degli effetti dell’atto), pena una grave incoerenza sistematica dell’istituto della competenza funzionale inderogabile ex art. 14, co. 1, c.p.a..

3.4. Ritiene, inoltre, questo Tribunale che la scelta del legislatore di incardinare (anche) le controversie sugli atti dell’Agenzia presso il Tar della capitale si ponga in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost..

La concentrazione in un unico ufficio giudiziario (il Tar con sede in Roma) rende assai più difficoltoso l’esercizio concreto del diritto di difesa e confligge con il canone della ragionevole durata del processo.

Per un verso, infatti, si costringe colui che intende agire (o resistere) a tutela della propria posizione soggettiva ad affrontare spese ulteriori ed aggiuntive, rispetto a quelle già molto elevate richieste comunque per l’accesso alla giustizia (anche a causa dei continui aumenti del contributo unificato), rendendo così gravoso ed ostacolando in modo eccessivo l’utile esercizio del diritto di difesa, specie se si considera che la nuova disciplina premette la verifica della competenza anche alla decisione sulla domanda cautelare, ma soprattutto si rende più difficoltosa e meno tempestiva la difesa processuale dell’Amministrazione resistente, che, si ripete, ha la sua sede principale a Reggio Calabria.

Dall’altro, l’incremento smisurato di vario contenzioso presso un unico Tar, presso il quale si concentrano già numerose liti “ordinarie”, rende inevitabilmente sempre più lungo il tempo medio di durata dei relativi processi, con gravi ricadute sull’efficienza dell’intero Paese e sulla spesa pubblica, sulla quale pure gravano i costi dei risarcimenti ex lege Pinto.

4. Unitamente alla questione così come fin qui prospettata, il Tribunale ritiene di prospettare una diversa e più ampia questione di legittimità costituzionale – di cui la Corte ad quem,d’ufficio, potrà cogliere l’eventuale «pregiudizialità logico-giuridica» – che, muovendo dalla nuova configurazione, in termini ormai generali, della competenza funzionale e inderogabile del Tar Lazio (artt. 14 e 135 c.p.a.), coinvolge l’intera disciplina della competenza contenuta nel codice del processo amministrativo, adottato in attuazione della delega contenuta nell’art. 44 l. 18 giugno 2009 n. 69.

Ad avviso di questo giudice la normativa (artt. 13, 14, 15 e 16) contenuta nel Capo IV, titolo I, del libro I del codice è in contrasto con l’art. 76 Cost.

La Corte costituzionale ha sempre precisato e rimarcato che in caso di deleghe che abbiano ad oggetto la revisione, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti, quale è certamente quella contenuta nell’art. 44 cit., «l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente è (…) ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato», giacché quest’ultimo non può innovare «al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega» (sentenza n. 293 del 2010), specificando che «per valutare se il legislatore abbia ecceduto – più o meno ampi – margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega» (sentenza n. 230 del 2010).

Questa precisazione è ribadita da ultimo nella sentenza 27 giugno 2012 n. 162, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 133, comma 1, lettera l), 135, comma 1, lettera c), e 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), per violazione dell’art. 76 Cost. nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del Tar Lazio – sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB.

Orbene, tra i criteri ed i principi direttivi contenuti nella delega dettata per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, che la Corte con la sent. n. 162/12 cit. ha, peraltro, ritenuto sufficientemente specifici, non ve ne era alcuno che abilitasse il legislatore delegato a riformare e innovare l’istituto della competenza e, ciò nonostante, il decreto legislativo n. 104/10, ha ribaltato totalmente il sistema vigente sin dal 1971, rendendo inderogabile la competenza per territorio, prima sempre derogabile.

L’unico cenno al tema della competenza riguarda un momento processuale a valle, ossia quello della riassunzione del giudizio, e si rinviene nella lett. e) che invita il legislatore delegato a “razionalizzare e unificare la disciplina della riassunzione del processo e dei relativi termini, anche a seguito di sentenze di altri ordini giurisdizionali, nonché di sentenze dei tribunali amministrativi regionali o del Consiglio di Stato che dichiarano l’incompetenza funzionale”, facendosi riferimento alle ipotesi di competenza funzionale già esistenti nell’ordinamento, ma senza voler introdurre un principio di inderogabilità della competenza territoriale o in genere altre novità in materia, del quale nella legge di delega non vi è traccia.

Che questa innovazione non trovi riscontro nella legge delega lo si desume indirettamente anche dalla relazione al Codice, la quale dà atto del cambiamento (“tutta la competenza del giudice amministrativo è divenuta inderogabile dalle parti”), anche in modo dettagliato (“Questo, in dettaglio, è il regime del rilievo dell’incompetenza”), senza tuttavia far mai riferimento alla legge di delega, ripetutamente citata invece in sede di illustrazione della disciplina di molti altri istituti, al fine di chiarire che essa è stata adottata in conformità all’art. 76 Cost., in ossequio o in puntuale applicazione dei criteri direttivi della delega.

D’altronde non è privo di significato il fatto che la modifica in senso radicalmente innovativo del regime della competenza non sia stata frutto del lungo e meditato lavoro della Commissione speciale nominata ai sensi del co. 4 dell’art. 44, la quale aveva, infatti, varato, in data 10 febbraio 2010, il progetto di codice (in questa, come in altre parti, ritoccato, nell’immediatezza della sua approvazione finale, e per di più al di fuori del dibattito parlamentare), mantenendo, da un lato, il regime ordinario della competenza territoriale sempre derogabile su accordo delle parti e, dall’altro, enunciando i casi di devoluzione di controversie al Tar Lazio (o al Tar Lombardia, sede di Milano, limitatamente alle controversie relative ai poteri esercitati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas) qualificandoli, però, in termini di “competenza territoriale inderogabile”.

Né, ancora, la ratio complessiva sottesa alla legge di delega – che pure la giurisprudenza della Corte esorta a tener presente – potrebbe giustificare una simile scelta innovativa: se, infatti, obiettivo principale della delega per il riassetto di una normativa stratificata e caotica, che risultava in parte anche antecedente al testo della Costituzione, era quello di assicurare maggiore effettività della tutela, trasfondendo in un corpus unitario anche gli approdi pretori e gli esiti della giurisprudenza della Corte costituzionale, in ossequio all’art. 111 Cost., non c’è dubbio che l’innovativa opzione per la inderogabilità della competenza, fin dalla sede cautelare, unitamente all’articolazione di complessi rimedi (invero in parte ridotti col secondo correttivo del settembre 2012) per far valere l’incompetenza, non solo non trova addentellati nel sistema previgente, ma ha pure irrigidito e reso più vischiosa la risposta di giustizia, in contrasto con la primaria finalità di snellire l’attività giurisdizionale e rendere maggiormente congrui i tempi del processo.

L’eccesso di delega ha sicura rilevanza anche rispetto alla competenza funzionale che qui interessa: essa, infatti, da sempre ritenuta, in via interpretativa, una competenza inderogabile, in opposizione alla “ordinaria” e sempre derogabile competenza per territorio, da eccezione è così divenuta espressione di altro parallelo principio generale, operante per le controversie indicate dall’art. 135 e, più in generale, “dalla legge”, che fiancheggia quello della competenza per territorio, concorrendo con esso a delineare le modalità di radicamento delle controversie.

Ne discende un sistema del tutto nuovo, dove il regime della competenza (art. 16) è indifferenziato, con ogni forma di competenza, sia quella per territorio che quella c.d. funzionale, inderogabile (La competenza di cui agli articoli 13 e 14 è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari), – donde la rilevanza, anche nella presente controversia, della questione rispetto a tutto il capo sulla competenza -, complessivamente illogico e incoerente, atteso che l’attribuzione di controversie alla cognizione del Tar Lazio, sede di Roma, avviene, nella buona sostanza, in ragione del criterio della materia (o perfino, se si vuole, dell’importanza della materia), che non solo, come si è già detto, non ha copertura costituzionale, ma non trova neppure riscontro nella legge delega, con evidente violazione dell’art. 76 Cost..

In conclusione, questo Tribunale ritiene rilevanti e non manifestamente infondate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 e dell’art. 135, co. 1, lett. p) per violazione degli artt. 3, 25, 125, 24 e 111 Cost.; in subordine, quella degli artt. 13, nella parte in cui qualifica inderogabile la competenza territoriale, 14, 15 e 16 c.p.a. per violazione dell’art. 76 Cost.

Circa la rilevanza delle questioni prospettate, va ribadito che la domanda cautelare proposta dalla parte ricorrente può essere esaminata da questo Tribunale solo in quanto risulti fondata la questione di legittimità costituzionale prima illustrata. Con separata ordinanza, adottata in pari data, per non pregiudicare irreversibilmente la posizione della parte ricorrente, il Tribunale dispone la sospensione dell’esecuzione in via interinale del provvedimento impugnato, rinviando l’ulteriore trattazione delle domanda cautelare alla prima camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti del presente ricorso da parte della Corte Costituzionale

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

visti l’art. 134 della Costituzione e l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale

dell’art. 135, comma 1, lett. p) e dell’art. 14 c.p.a., per violazione degli artt. 3, 25, 125, 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 13, nella parte in cui qualifica inderogabile la competenza territoriale, 14, 15 e 16 c.p.a., per violazione dell’art. 76 Cost., dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati;

dispone la immediata trasmissione degli atti, a cura della stessa Segreteria, alla Corte costituzionale.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati: