SCIA E TUTELA DEL TERZO: ALLA CORTE COSTITUZIONALE LA MANCATA PREVISIONE DI UN’AZIONE DI ADEMPIMENTO PUBBLICISTICO

Roberto Giovagnoli

 

SCIA e tutela del terzo: alla Corte costituzionale la mancata previsione di un’azione di adempimento pubblicistico

 

Si segnale questa interessante pronuncia (ordinanza 22 gennaio 2019, n. 12), con la quale il T.a.r. Parma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, L. n. 241 del 1990, nella parte in cui preclude al terzo che si ritenga leso da una SCIA illegittima l’esercizio di un’azione di annullamento o di condanna al rilascio di un provvedimento dal contenuto inibitorio-repressivo.

Il T.a.r. ricostruisce in maniera puntuale il vigente quadro normativo, chiarendo che:

  1. a) il potere inibitorio-repressivo di natura vincolata si estingue decorso il termine perentorio di sessanta giorni (o trenta in caso di SCIA edilizia) e tale termine opera anche nel caso in cui a sollecitare l’esercizio del potere sia il terzo;
  2. b) ne discende che l’unico potere che il terzo può realisticamente sollecitare è quello c.d. di autotutela impropria, che sopravvive all’estinzione del potere vincolato (e soggiace ai limiti temporali previsti per l’annullamento d’ufficio dall’art. 21-nonies);
  3. c) quest’ultimo potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale (perché soggiace agli stessi presupposti dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, in caso di inerzia dell’Amministrazione, il ricorso avverso il silenzio-inadempimento (che l’art. 19, comma 6-ter individua come l’unico mezzo di tutela a favore del terzo) non potrà avere ad oggetto l’accertamento della fondatezza della pretesa;
  4. d) conseguentemente il giudice amministrativo non potrà predeterminare il contenuto del provvedimento, ma soltanto ribadire l’obbligo per l’amministrazione di rispondere all’istanza del terzo.

Ad avvisto del T.a.r., il  sistema così delineato è tale da comprimere l’esplicazione di tutte le facoltà giurisdizionali normalmente connesse alla posizione soggettiva di interesse legittimo pretensivo del soggetto leso da un comportamento illegittimo dell’amministrazione, escludendo la possibilità, tramite il rinvio ad un successivo esercizio del potere sempre e comunque discrezionale, che la violazione di tale interesse legittimo ottenga un’efficace e satisfattiva riparazione già dinanzi al Giudice adito.

L’ordinanza evidenzia come, per una tutela piena ed effettiva della loro posizione giuridica, i terzi interessati dovrebbero avere la possibilità di azionare gli ordinari rimedi giurisdizionali azionabili avverso le iniziative illecite altrui, qualunque sia la modalità di acquisizione del titolo legittimante, senza essere costretti a dovere richiedere, prima di agire, l’intermediazione dell’autorità pubblica, e senza essere soggetti, dopo avere agito in giudizio – per il mero decorso del tempo concesso all’amministrazione per attivare il potere inibitorio – ai forti limiti di tutela giurisdizionale derivanti dall’intermediazione aleatoria dell’esercizio del potere discrezionale di autotutela.

 

Va evidenziato che la premessa interpretativa da cui muovo il T.a.r. emiliano è opposta a quella che aveva già indotto il T.a.r. Toscana (ordinanza n. 667/2017) a sollevare, per ragioni diametralmente opposte, una questione di costituzionalità riguardante sempre l’art. 19 della legge n. 241 del 1990. Il T.a.r. Toscana, infatti, muoveva dall’assunto secondo cui il terzo potrebbe sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del potere vincolato di natura inibitoria, non essendo nei suoi confronti applicabile il termine perentorio (di sessanta o trenta giorni) previsto dalla legge (che riguarderebbe, quindi, solo l’ipotesi in cui il potere viene esercitato d’ufficio dall’Amministrazione). Seguendo tale prospettiva ermeneutica, quini, il T.a.r. Toscana aveva dubitato della costituzionalità della norma, nella parte in cui non prevedrebbe un limite temporale all’iniziativa del terzo, esponendo così la SCIA, sine die, ad una irragionevole instabilità.

Non può non rilevarsi come, l’opzione esegetica accolta dal T.a.r. Parma è quella che meglio rispecchia lo “stato dell’arte” della giurisprudenza amministrativa.

 

 

Sul tema dei rapporti tra SCIA e tutela del terzo sia consentito rinvia a Chieppa-Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2018, 549 e ss. ; A. Berti Suman, Scia e tutela del terzo, in R. Giovagnoli, (a cura di) Approfondimenti di diritto amministrativo, Itaedizioni, 208139 e ss.

Sulle azioni atipiche nel processo amministrativo cfr. R. Giovagnoli, Effettività della tutela e atipicità delle azioni nel processo amministrativo, in R. Giovagnoli (a cura di) Approfondimenti di diritto amministrativo, Itaedizioni, 2018, 491 e ss.

 


 

 

T.a.r. Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, ordinanza 22 gennaio 2019, Pres. Conti – Est. Lombardi

 

È rilevante e non manifestamente infondata la questione d’illegittimità costituzionale del comma 6-ter dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990 (ai sensi del quale “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”), per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, nella misura in cui impedisce ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di ottenere dal Giudice amministrativo una pronuncia di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, con conseguente condanna o comunque effetto conformativo all’adozione dei corrispondenti provvedimenti, anche nel caso in cui sia decorso il termine concesso all’amministrazione per azionare il potere inibitorio di cui al comma 3 dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990.

 

 

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 5 del 2018, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Piva e Antonio Andreoli, domiciliati presso lo studio del primo in Parma, viale Toschi, 4

contro

Comune di Fidenza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Masi, domiciliato presso il suo studio in Parma, via Mistrali, 4

nei confronti

-OMISSIS-, non costituita in giudizio

per l’annullamento

– della comunicazione del Comune di Fidenza del 06/11/2017, a firma del responsabile del servizio Geom. Frazzi, avente ad oggetto “Trasmissione verbale di sopralluogo in immobile sito in Via Calatafimi n. 5”;

– del presupposto verbale di sopralluogo del 03/11/2017 del Comune di Fidenza relativo all’immobile sito in via Calatafimi n. 5, sottoscritto dal Funzionario responsabile Arch. Ferrandi;

– della SCIA n. 256/2016 del 06/12/2016 avente ad oggetto un intervento di ristrutturazione di unità immobiliare sita a Fidenza in Via Calatafimi n. 5 di proprietà della sig.ra -OMISSIS- Sara;

– della SCIA n. 31/2017 del 21/02/2017 avente ad oggetto un intervento di ristrutturazione edilizia di unità immobiliari site a Fidenza in Via Calatafimi n. 5 di proprietà dei sigg.ri -OMISSIS- Sara e -OMISSIS- Matteo;

– della comunicazione del Comune di Fidenza 31/10/2017 a firma del Dirigente Arch. Gilioli (per quanto occorrer possa);

– di ogni altro atto o provvedimento comunque connesso, dipendente o conseguente rispetto ai provvedimenti espressamente impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Fidenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2018 il dott. Roberto Lombardi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto l’art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso collettivo depositato in data 9 gennaio 2018 i signori-OMISSIS-, proprietari di un appartamento al piano terreno dell’immobile condominiale descritto in epigrafe, hanno chiesto l’annullamento delle due SCIA presentate in data 6 dicembre 2016 e 21 febbraio 2017 dalla loro condomina signora -OMISSIS-, evidenziandone l’asserita illegittimità e censurando la condotta del Comune di Fidenza, per il mancato annullamento dei titoli edilizi in autotutela.

I ricorrenti hanno chiesto altresì l’annullamento del verbale di sopralluogo effettuato in data 31 ottobre 2017 presso l’immobile interessato (sito in Fidenza, alla Via Calatafimi n. 5) e della comunicazione con cui il Comune convenuto, in data 6 novembre 2017, aveva trasmesso detto verbale.

Tali atti erano stati adottati dall’amministrazione a seguito della “segnalazione di presunto abuso edilizio e di irregolarità nella presentazione di SCIA edilizie” trasmessa in data 26 ottobre 2017 al Comune di Fidenza per conto dei signori -OMISSIS-

Nel merito, i ricorrenti hanno proposto i seguenti motivi di ricorso:

  1. il progetto edilizio contestato avrebbe previsto una sopraelevazione della gronda e del colmo di circa 16 centimetri, in contrasto con quanto prescritto dall’art. 80 del RUE del Comune di Fidenza;
  2. la modificazione dell’altezza interna di 16 centimetri avrebbe comportato anche un aumento dell’altezza esterna, in contrasto con quanto previsto dall’art. 2 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 11 del 1998;
  3. la distanza, inferiore a dieci metri, esistente tra il fabbricato oggetto del progetto edilizio e il fabbricato adiacente, avrebbe dovuto impedire ogni maggiore altezza ai sensi dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968;
  4. la giustificazione dell’amministrazione resistente – secondo cui la maggiore altezza accertata di circa 12 cm rientrerebbe nella possibilità di realizzare un cordolo strutturale di 25 cm senza che questo possa costituire aumento di altezza – sarebbe erronea, in quanto, da un lato, il d.m. del 14/01/2008 impedirebbe la considerazione dell’inserimento del cordolo sommitale quale sopraelevazione soltanto per ciò che riguarda la tipologia di verifica da applicare ai fini sismici, dall’altro, il richiamo al contenuto del d.P.R. n. 380/2001 non consentirebbe comunque di derogare alle altre normative edilizie ma potrebbe essere applicato solamente nei casi in cui sia rispettata la distanza dai confini, la visuale libera e il distacco tra i fabbricati;
  5. entrambi i titoli edilizi si esporrebbero ad alcuni rilievi sotto il profilo delle autorizzazioni condominiali, rilievi consistenti, per quanto riguarda la SCIA n. 256/2016, in variazioni non consentite su tipologia e inclinazione del cornicione e in un’opera complessiva di intervento non qualificabile come manutenzione straordinaria, e, per quanto riguarda la SCIA n. 31/2017, in variazioni costituenti novazione prospettica che avrebbero potuto essere eseguiti soltanto con l’autorizzazione della totalità dei condomini;
  6. l’intervento progettato costituirebbe una vera e propria sopraelevazione, come tale non attuabile tramite una mera presentazione di SCIA, cosi come avallato a seguito del sopralluogo dal Comune di Fidenza, ma autorizzabile soltanto una volta verificato il rispetto delle distanze e acquisite le necessarie certificazioni sulla sicurezza e sulla sismica.

Si è costituita l’amministrazione convenuta, che ha chiesto il rigetto del ricorso, e la Sezione, dopo la rinuncia alla proposta domanda cautelare, ha disposto una verificazione tecnica, affidando l’incarico al Servizio controllo abusi edilizi del Comune di Parma, e sottoponendo al verificatore i seguenti quesiti:

  1. se il progetto edilizio contestato avesse effettivamente previsto una sopraelevazione della gronda e del colmo di circa 16 centimetri;
  2. se, ad ogni modo, tale progetto si sia posto in contrasto con quanto prescritto dall’art. 80 del RUE del Comune di Fidenza, nella versione vigente all’epoca dell’intervento;
  3. se la contestata modificazione dell’altezza interna di 16 centimetri ha comportato anche un aumento dell’altezza esterna, in ipotetico contrasto con quanto previsto dall’art. 2 della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 11 del 1998;
  4. se la distanza esistente tra il fabbricato oggetto del progetto edilizio e il fabbricato adiacente è effettivamente inferiore a dieci metri, e quale rilevanza abbia tale circostanza – qualora accertata – rispetto alle opere edilizie concretamente poste in essere;
  5. se la giustificazione dell’amministrazione resistente – secondo cui la maggiore altezza accertata di circa 12 cm rientrerebbe nella possibilità di realizzare un cordolo strutturale di 25 cm senza che questo possa costituire aumento di altezza – sia da considerarsi corretta;
  6. se risulti, in particolare, condivisibile l’interpretazione fornita dal Comune di Fidenza sulla disciplina contenuta nel d.m. del 14/01/2008, nel senso che tale decreto impedirebbe sempre di considerare l’inserimento del cordolo sommitale quale sopraelevazione, e non soltanto per ciò che riguarda la tipologia di verifica da applicare ai fini sismici;
  7. se risulti, più in generale, che siano state acquisite le necessarie autorizzazioni e certificazioni sulla sicurezza e sulla sismica.

Una volta depositata la relazione conclusiva del verificatore, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 21 novembre 2018.

 

DIRITTO

1.1. Il Collegio osserva, preliminarmente, che le considerazioni tecniche esposte dall’organismo pubblico incaricato della verificazione – nella persona, quale delegato, dell’Ing. Luciano Cervi – sono da ritenersi pienamente condivisibili in virtù dell’accurata ricostruzione della fattispecie esaminata e della corretta metodologia seguita, e sono così riassumibili:

  1. le misurazioni effettuate in sede di sopralluogo hanno consentito di rilevare che in gronda vi è stata una sopraelevazione media di 15-16 cm, mentre la sopraelevazione in colmo è stata pari a 14 centimetri;
  2. il progetto si pone in contrasto con le prescrizioni dell’art. 80 del RUE del Comune di Fidenza nella versione vigente al momento della presentazione della SCIA n. 256/2016;
  3. la modificazione dell’altezza interna ha comportato anche un aumento dell’altezza esterna, che, secondo definizione, sulla base della documentazione risultante agli atti per lo stato di fatto ante-intervento e delle misurazioni effettuate in sede di sopralluogo, è quantificabile in circa cm 20;
  4. la distanza esistente tra il fabbricato oggetto del progetto edilizio e il fabbricato adiacente sul lato est è inferiore a dieci metri, ma, nel caso di specie, l’intervento si sostanzia in un mero recupero della preesistenza, che legittimamente già non rispettava la prescrizione di distanza minima dal D.M. n. 1444/1968;
  5. la maggiore altezza accertata (circa 20 cm) è contenuta nello spessore del cordolo sommitale realizzato, per cui tale intervento, sia ai fini dell’applicazione della normativa in materia sismica, che della classificazione dell’intervento edilizio, non si configurerebbe quale sopraelevazione dell’immobile e rimarrebbe nell’ambito della ristrutturazione edilizia;
  6. il d.m. 14 gennaio 2008 (al paragrafo 8.4.1.) e il d.P.R. n. 380 del 2001 (ex art. 3, comma 1, lett. d), pur rimanendo ciascuno confinato nello specifico ambito di applicazione, risulterebbero di fatto coordinati nell’escludere la qualificazione di sopraelevazione per l’intervento di inserimento del cordolo sommitale, seppure con i limiti indicati espressamente nelle norme stesse, di modo che, nel caso di specie, il maggior volume dovuto all’aumento di sagoma in altezza pari a circa 30 cm non avrebbe dovuto essere computato ai fini della conformità urbanistica, e avrebbe potuto considerarsi compatibile con la classificazione dell’intervento in ristrutturazione edilizia – che non prevede aumenti di volumetria -, in quanto derivante completamente da innovazioni finalizzate al miglioramento del comportamento antisismico del fabbricato;
  7. sono state approntate le corrette procedure e prodotte le necessarie attestazioni e certificazioni sulla sicurezza e sulla sismica.

1.2. In diritto, occorre innanzitutto osservare che le due SCIA edilizie depositate dalla controinteressata sono equiparate dalla legge ad atti di iniziativa privata e non ad atti costitutivi, in quanto confluenti nel silenzio serbato su di essi dall’amministrazione, di corrispondenti provvedimenti autorizzatori impliciti; non sono pertanto provvedimenti di cui è possibile ottenere l’annullamento.

Gli altri due atti impugnati dai ricorrenti sono invece un verbale di sopralluogo e la comunicazione in via amministrativa di tale verbale; con essi il Comune convenuto ha verificato la conformità tra il progetto edilizio presentato e i lavori eseguiti, così come richiesto dai ricorrenti, decidendo di non intervenire in autotutela, posto che era già decorso il termine per l’esercizio dei poteri di inibitoria di cui ai commi 3 e 6-bis dell’art. 19 della L. n. 241/1990.

In particolare, nella segnalazione di presunto abuso edilizio del 26 ottobre 2017, e cioè a distanza di otto mesi dal deposito della seconda SCIA, i ricorrenti (terzi interessati) hanno denunciato le seguenti circostanze di rilievo:

– il rifacimento della copertura condominiale prevedeva anche la realizzazione di un lucernario da edificarsi in rialzo della copertura che non era stato autorizzato da tutti i condomini;

– l’altezza interna del fabbricato, come indicata nel progetto, non era documentalmente provata;

– l’altezza esterna realizzata era ben superiore a quella originaria del fabbricato;

– le modifiche dei prospetti delle parti condominiali non erano state autorizzate da tutti i condomini.

I ricorrenti chiedevano pertanto al Comune di annullare le segnalazioni certificate di inizio attività in quanto “frutto di dichiarazioni mendaci” e di eseguire un “immediato intervento di verifica delle altezze, in quanto notevolmente maggiorate, con richiesta di riduzione in pristino allo stato originario”.

A fronte delle richieste degli interessati, l’amministrazione procedente, per mezzo del suo Servizio tecnico, ha effettuato un sopralluogo, le cui conclusioni sono state di sostanziale conformità ai titoli abilitativi delle opere eseguite, con riserva di approfondire ogni altra tematica in merito alla conformità dello stato di fatto dichiarato rispetto a quello originariamente esistente.

Nella successiva comunicazione di tale verbale di sopralluogo agli interessati, il Comune convenuto ne ha espressamente condiviso i contenuti.

Orbene, la domanda di annullamento delle SCIA, come già anticipato, è da considerarsi inammissibile, in quanto si tratta di atto sia soggettivamente che oggettivamente privato; d’altra parte, la non impugnabilità diretta di tali atti è stata espressamente prevista dal legislatore, che, con l’inserimento del comma 6-ter nell’art. 19 della L. n. 241/1990, ha stabilito che la SCIA e, in generale, le dichiarazioni di inizio attività “non costituiscono provvedimenti taciti (…)”.

Occorre a questo punto verificare se gli altri due atti impugnati dai ricorrenti (verbale di sopralluogo e comunicazione di tale verbale) possono essere considerati alla stregua di veri e propri provvedimenti, come tali direttamente annullabili.

L’amministrazione convenuta è intervenuta su sollecitazione dei terzi a compiere le “verifiche” di cui al citato art. 19, comma 6-ter della L. n. 241/1990; tralasciando le contestazioni afferenti alle asserite mancate autorizzazioni condominiali – che sono state in ogni caso allegate alla SCIA e attengono, nella loro sostanza, a profili di natura privatistica che non risultano sindacabili in sede odierna -, gli interessati avevano denunciato, primariamente, che l’altezza esterna realizzata fosse ben superiore a quella originaria del fabbricato.

In risposta a tale denuncia, i tecnici incaricati dal Comune di Fidenza hanno dichiarato la conformità ai titoli abilitativi delle opere eseguite e l’amministrazione comunale ha condiviso tali risultanze, facendole dunque proprie; si può dunque affermare che la manifestazione di volontà contenuta nella comunicazione inviata ai ricorrenti in data 6 novembre 2017 costituisce un vero e proprio provvedimento di diniego rispetto all’intervento inibitorio o comunque in autotutela chiesto dai privati.

Sussiste peraltro anche un profilo di inerzia nella condotta tenuta dall’amministrazione, costituita dal rinvio ad ulteriori approfondimenti per ciò che concerne la conformità dello stato di fatto dichiarato rispetto a quello originariamente esistente.

Riguardo a tale profilo di inerzia questo Tribunale può astrattamente accertare nella presente sede la fondatezza della pretesa dei ricorrenti – con riqualificazione della proposta azione di annullamento -, seppure entro i limiti previsti dall’art. 31, comma 3 c.p.a., e in ossequio al disposto di cui all’ultimo periodo del citato comma 6-ter dell’art. 19 della L. n. 241/1990, come verrà meglio chiarito successivamente.

2.1. Venendo al merito, risulta corretta da un punto di vista meramente empirico la contestazione secondo cui l’accertata modificazione dell’altezza interna dell’immobile in esame ha comportato anche un aumento dell’altezza esterna, aumento che, sulla base della documentazione risultante agli atti per lo stato di fatto ante-intervento e delle misurazioni effettuate in sede di sopralluogo, è quantificabile in circa cm 20.

Tale maggiore altezza è peraltro contenuta nello spessore del cordolo sommitale realizzato, di modo che, qualora si voglia aderire alla tesi secondo cui l’intervento di inserimento del citato cordolo sommitale esclude la qualificazione di sopraelevazione, le opere eseguite dovrebbero considerarsi compatibili con la classificazione dell’intervento quale ristrutturazione edilizia (che non prevede aumenti di volumetria).

La difesa dei ricorrenti ha contestato le conclusioni del verificatore rimarcando l’aumento in altezza del cornicione di 65 cm e l’entità della variazione della sagoma in aumento che, anche a dire dello stesso verificatore, è quanto meno di 30 cm, quindi superiore rispetto all’aumento di altezza assorbito dal cordolo sommitale.

Nella relazione dell’ing. Cervi, peraltro, è stato spiegato – con motivazione congrua e ritenuta dal Collegio convincente, sia sotto un profilo razionale che sotto un profilo tecnico – che l’altezza della fronte o della parete esterna dell’edificio de quo, dovendosi considerare delimitata secondo quanto descritto dalle DTU di cui all’allegato II alla D.G.R. n. 922 del 2017, era variata in aumento dai precedenti 12 metri e 35 centimetri agli attuali 12 metri e 64 centimetri; i circa 30 cm di differenza sono a loro volta imputabili per cm 20 all’aumento di altezza del fronte del fabbricato e per cm 10 al maggior spessore delle travi della copertura, le quali, peraltro, secondo la definizione delle norme tecniche sopra richiamate, non rientrano nel computo del citato aumento di altezza.

Conseguentemente, la tesi dei ricorrenti, secondo cui l’esecuzione delle opere avrebbe determinato un’altezza esterna dell’edificio superiore a quella dovuta all’inserimento del cordolo sommitale, deve ritenersi infondata.

Sotto un profilo giuridico, invece, è fondata la contraria tesi esposta dal Comune di Fidenza, e ripresa dal verificatore, secondo cui l’aumento di volume causato dall’inserimento di un cordolo sommitale, in virtù della sua funzione migliorativa della tenuta antisismica dell’edificio, costituisce, ai sensi del combinato disposto costituito dal d.m. del 14 gennaio 2008 e dall’art. 3, comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, innovazione necessaria che non costituisce sopraelevazione in senso tecnico e che non inficia la definizione di ristrutturazione edilizia attribuibile, in conformità con il progetto presentato, alle opere eseguite.

Risulta pertanto definitivamente accertato che l’altezza esterna del fronte dell’edificio interessato dai lavori non ha comportato sopraelevazione dell’immobile ed è dunque restata entro i limiti per i quali è ammesso intervento edilizio tramite semplice SCIA.

Ne consegue anche che il fatto che la distanza esistente tra il fabbricato ristrutturato e quello adiacente sia effettivamente inferiore a 10 metri non rileva ai fini della presunta violazione del d.m. n. 1444 del 1968, sostanziandosi, come visto, l’intervento realizzato in un mero recupero della preesistenza.

Il divieto di realizzare tra gli edifici che si fronteggiano distanze inferiori a dieci metri riguarda infatti soltanto le nuove costruzioni, cui non è assimilabile, come visto, la struttura risultante dall’intervento edilizio in esame.

2.2. Risulta invece accertata, anche secondo il verificatore, la prospettata violazione dell’art. 80 del RUE vigente all’epoca della presentazione della SCIA, in quanto il recupero a fini abitativi del sottotetto esistente risulta avvenuto tramite illegittima modificazione in aumento sia dell’altezza di gronda (tra i 10 e i 13 cm) che dell’altezza di colmo (circa 10 cm).

2.3. E’ infine da considerarsi non sorretta da interesse la censura tecnica afferente alla previsione nel progetto di un abbaino emergente dal profilo di copertura, in contrasto con l’art. 80, comma 6 del citato RUE, in quanto in fase esecutiva è stata realizzata una soluzione tecnica diversa e conforme alle prescrizioni della norma di riferimento, che per le sue caratteristiche di realizzazione preclude qualsivoglia intervento successivo e conseguente al progetto presentato.

2.4. Riepilogando, dunque, il Collegio ritiene di dovere respingere tutti i motivi di ricorso, in quanto infondati o inammissibili, nei sensi sopra descritti, fatta eccezione per quello afferente alla violazione della norma regolamentare che vietava, all’epoca della presentazione della SCIA, la modificazione delle altezze di colmo e di gronda nel caso di interventi edilizi per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti.

Risulta dunque accertata l’illegittimità in parte qua della posizione negativa o comunque di inerzia tenuta dal Comune di Fidenza sulla richiesta di verifica degli interessati, cui consegue l’obbligo da parte dell’amministrazione convenuta di provvedere in merito.

3.1. Con riferimento peraltro al contenuto concreto dell’obbligo posto a carico del Comune di Fidenza a seguito dell’effetto conformativo derivante della presente sentenza, il Collegio deve specificarne natura e limiti.

Si tratta cioè di stabilire se l’accertamento giudiziale compiuto nel caso di specie costringa l’amministrazione resistente a rimuovere sic et simpliciter gli eventuali effetti dannosi dell’attività edilizia illegittimamente intrapresa, ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990, oppure le imponga l’obbligo di adottare i provvedimenti previsti dal citato comma 3 soltanto in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies della legge sul procedimento amministrativo.

Il Collegio ritiene che il dato normativo deponga inequivocabilmente nel secondo senso.

Invero, non è possibile per il Collegio accertare anche la fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio dai ricorrenti, nel senso di conformare la successiva attività dell’amministrazione ad un obbligo ineludibile di rimozione degli eventuali effetti dannosi derivanti dall’attività edilizia intrapresa, poiché risulta, ai sensi dell’art. 31, comma 3 c.p.a., che residuano ulteriori margini di discrezionalità esercitabili dal Comune convenuto.

Decorso, come avvenuto nel caso di specie, il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, come individuato dal comma 6-bis dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990, l’amministrazione competente, in effetti, può (e deve) adottare i provvedimenti volti alla rimozione degli effetti dannosi soltanto in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies della legge appena citata per procedere all’annullamento di ufficio.

Al riguardo, il Collegio ritiene corretto tale orientamento, espresso in plurimi arresti dal Consiglio di Stato (cfr., tra le altre, sent. n. 4610 del 2016), rispetto alla diversa tesi, secondo cui il potere sollecitato con l’azione del terzo avverso il silenzio sia sempre, in presenza di determinate condizioni, quello inibitorio e non quello di autotutela (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, sede di Milano, sent. n. 2274 del 2016).

Invero, tale orientamento, pur mosso dal lodevole intento di non diminuire la tutela dei terzi lesi dalla attività edilizia intrapresa, non ha un fondamento normativo testuale, nell’attuale formulazione dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990, e deve ricorrere ad una serie di “forzature” interpretative per delineare il complessivo regime impugnatorio di cui dispone il terzo che solleciti il potere inibitorio dell’amministrazione, una volta decorso il termine entro il quale l’amministrazione stessa avrebbe potuto intervenire senza essere costretta ad operare con i limiti dell’autotutela.

Sul punto, il Collegio condivide le perplessità espresse dal Tar Toscana, nell’ordinanza n. 667 del 2017, con cui è stato rimesso alla Corte costituzionale il vaglio di legittimità dell’art. 19, comma 6-ter della L. n. 241/1990, per assenza di previsione espressa di un termine entro il quale il terzo deve sollecitare il potere inibitorio dell’amministrazione.

Il problema, tuttavia, non riguarda soltanto il termine per sollecitare il potere dell’amministrazione, come condivisibilmente rilevato dall’ordinanza appena citata, ma anche il tipo di procedimento attivato dal terzo (ovvero le cd. verifiche).

Quanto al termine, non vi è nessuna soluzione, tra quelle proposte dalla giurisprudenza che si è occupata della questione, fondata su di un adeguato riferimento normativo.

In particolare, sono da ritenersi non idonee a risolvere la problematica de qua:

la tesi secondo cui il termine concesso al controinteressato per presentare l’istanza sollecitatoria sarebbe lo stesso che la norma assegna all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio ufficioso, in quanto il dies a quo di tale termine coincide con il “ricevimento della segnalazione” da parte dell’amministrazione, fase cui è del tutto estraneo il terzo;

la tesi che sostiene che la facoltà del controinteressato di proporre l’istanza inibitoria ex art. 19 comma 6 ter sarebbe soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni (prendendo in prestito il termine processuale di impugnazione), in quanto vi è diversità ontologica tra la disciplina invocata (termine per le proposizione di atto “processuale”) e l’ambito di attività in esame (ricerca di termine per attivazione del privato in sede “amministrativa”);

la tesi che richiama il termine annuale di cui all’art. 31, comma 2, c.p.a., in quanto anche in questo caso si confonde un termine processuale (quello dell’art. 31 c.p.a.) con un termine amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche da parte della p.a.).

Quanto alla sollecitazione del potere di verifica, risulta erronea, ad avviso del Collegio, la tesi secondo cui si tratterebbe dell’impulso all’avvio di un procedimento analogo a quello inibitorio di cui all’art. 19, comma 3 della L. n. 241/1990, per due ordini di motivi.

Invero, da un lato, l’amministrazione beneficerebbe inammissibilmente di una sorta di rimessione nei termini rispetto al procedimento attivato sulla base della segnalazione certificata, il cui limite temporale entro il quale intervenire con il potere repressivo (trenta giorni) è stato nel frattempo definitivamente superato.

Dall’altro, viene introdotto in via pretoria, seppure per apprezzabili motivi, un correttivo normativo per permettere al terzo controinteressato di sostituirsi all’amministrazione, tramite l’utilizzo in via mediata di un potere di azione non consentito al privato dall’ordinamento, in luogo dell’ordinario regime di impugnazione di un provvedimento lesivo.

La lettura del dato normativo testuale – e della ratio legis ad esso sottesa – induce invece ad arrivare ad altra ricostruzione del nuovo sistema di tutela del terzo attualmente vigente in materia di SCIA edilizia.

Innanzitutto, è pacifico ormai, a seguito dell’intervento esplicito del legislatore – che ha aderito alla tesi già in precedenza sposata sul punto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato -, che la segnalazione certificata non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.

Si tratta sostanzialmente di attività libera, sulla quale però l’amministrazione, in virtù dell’interesse tutelato, conserva un potere di controllo più penetrante di quello ordinariamente esercitato sulle libertà garantite ai privati.

Risulta connaturata a tale nuova prospettazione giuridica una correlativa rimodulazione della tutela dei terzi dinanzi al Giudice amministrativo; l’assenza di un provvedimento amministrativo, con il residuare di un mero potere di controllo ex post da parte dell’ente pubblico, condiziona espressamente la possibilità per i privati di paralizzare l’attività di altri privati radicando una controversia concernente l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, in aggiunta o in luogo degli ordinari rimedi esperibili dinanzi al Giudice ordinario a tutela della proprietà e del possesso.

Secondo la ratio legis, dunque, le iniziative spettanti ai terzi interessati si riflettono interamente nei poteri esercitabili dall’amministrazione: se entro trenta giorni dal deposito della SCIA edilizia l’amministrazione non si è attivata, i terzi hanno azione, entro i termini di prescrizione ordinaria, per l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di verificare e manifestare (tramite provvedimento espresso) la sussistenza o meno delle condizioni previste dall’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, una volta che il Giudice amministrativo abbia accertato l’astratta fondatezza delle censure tecniche avanzate dagli interessati.

Ne deriverà, a seconda delle conclusioni raggiunte ad esito della nuova verifica operata dall’amministrazione, l’adozione di un provvedimento che neghi motivatamente la possibilità di intervento in autotutela, oppure, al contrario, l’adozione di un provvedimento che ordini la rimozione degli effetti dannosi dell’attività edilizia intrapresa o diversa sanzione prevista dalle norme di settore.

Sotto altro profilo, il Collegio osserva che la disposizione di cui al comma 6-ter dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990 introduce per legge un’ipotesi di inerzia sanzionabile della p.a., ai sensi dell’art. 31, commi 1, 2 e 3 del codice del processo amministrativo; si rientra cioè in uno degli “altri casi previsti dalla legge”, in cui “chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere” (art. 31, comma 1, sopra citato).

E’ stato cioè previsto un caso di obbligatorietà della risposta pubblica rispetto alla sollecitazione dei poteri di autotutela da parte del privato.

L’obbligo di provvedere, peraltro, una volta accertato, non può che portare ad un esercizio del potere conforme alle norme che regolano tale esercizio.

Se, pertanto, come nel caso di specie, sia decorso, alla data della sollecitazione del potere di verifica da parte del terzo, il termine entro il quale l’amministrazione avrebbe potuto vietare la prosecuzione dell’attività edilizia intrapresa e ordinare la rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, l’accertamento dell’obbligo di provvedere non può che costituire il presupposto per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990.

Correlativamente, il Giudice non può conformare l’amministrazione ad una specifica condotta, né tanto meno condannarla all’emissione di un determinato provvedimento, dovendosi limitare ad accertare la sussistenza dell’inerzia e la necessità di un riesame, alla luce di un vaglio necessario e preliminare sulla fondatezza delle doglianze esposte dall’interessato, e in applicazione, per espresso rinvio legislativo, e seppure con i temperamenti del caso, dei primi tre commi dell’art. 31 c.p.a..

In altri termini, l’azione proposta dai terzi non cambia natura (azione di accertamento dell’obbligo di provvedere), qualunque sia il termine entro il quale viene proposta, e salvi gli effetti della prescrizione, ma a modificarsi sono i poteri successivamente esercitabili dall’amministrazione, e, prima ancora, i limiti di esercizio del potere di accertamento giurisdizionale.

D’altra parte, significativa conferma della correttezza della ricostruzione appena operata, è data proprio dalla circostanza che il legislatore abbia espressamente riconosciuto ai terzi interessati “esclusivamente” la possibilità di esperire l’azione di accertamento, con preclusione, dunque, non solo dell’accesso all’azione di annullamento, ma anche della possibilità di proporre l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento, ex art. 34, comma 1, lett. c) c.p.a..

Invero, se il procedimento attivato dal terzo leso da una SCIA illegittima fosse sempre e solo quello inibitorio e non quello di autotutela, sarebbe del tutto incomprensibile l’eliminazione dallo strumentario processuale a disposizione del ricorrente dell’unica azione che, una volta che non residuino margini di discrezionalità in favore dell’amministrazione procedente (come normalmente accade a seguito di riconoscimento giudiziale della doverosità dell’intervento repressivo), gli permetterebbe una tutela piena ed immediata.

Sotto altro, concorrente profilo, non è seriamente ipotizzabile uno scenario di tutela tanto asimmetrico da configurare da un lato l’eliminazione di ogni discrezionalità nella successiva esplicazione dei propri poteri da parte dell’amministrazione (intendendo il richiamo al comma 3 dell’art. 31 c.p.a. come limitato al potere giudiziale di accertamento della fondatezza della pretesa, sempre e comunque), e dall’altro l’impossibilità per il ricorrente di ottenere anche una sentenza di condanna al rilascio del provvedimento richiesto.

E’ evidente, invece, che il richiamo esplicito al terzo comma dell’art. 31 del codice del processo amministrativo costringe il Giudice ad interrogarsi, prima di procedere all’accertamento o meno della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, su quali sia la natura (discrezionale o vincolata) del potere ancora esercitabile dall’amministrazione.

In definitiva, il nuovo sistema di tutela del terzo leso da una SCIA edilizia illegittima è stato consapevolmente costruito nei termini di una ridotta forza processuale del controinteressato, e non può essere interpretato in modo diverso, e costituzionalmente orientato, se non tramite l’inammissibile costruzione pretoria di un regime impugnatorio sprovvisto di base normativa.

3.2. Questa soluzione, peraltro:

– da un lato ha il pregio di depotenziare i dubbi di incostituzionalità sollevati dal Tar Toscana con riferimento alla mancata previsione di un termine decadenziale per l’esercizio del potere sollecitatorio da parte del terzo – contemporaneamente evitando all’interprete la necessità di “forzare” altri dati normativi, previsti per differenti fattispecie, al fine di individuare il suddetto termine -, in quanto la sollecitazione “privata” delle verifiche non effettuate può avvenire in ogni tempo dal deposito della SCIA, ma l’intervento repressivo dell’amministrazione, ad eccezione degli abusi edilizi più gravi, sanzionati in via autonoma dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (secondo quanto condivisibilmente affermato dall’Adunanza plenaria n. 9 del Consiglio di Stato), e non legittimati dalla SCIA – la cui portata effettuale deve intendersi limitata ai soli interventi segnalati (cfr. al riguardo, da ultimo, Tar Campania, sede di Napoli, sent. n. 914 del 2018) -, deve sottostare a rigorosi limiti temporali e motivazionali, ex art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990; non si corre il rischio, così, di lasciare che il privato che avvia un’attività edilizia sottoposta a mera segnalazione certificata resti soggetto per un tempo indeterminato e a priori indefinibile ad un intervento repressivo dell’amministrazione;

– dall’altro, espone la nuova disciplina prevista dall’art. 19 della L. n. 241 del 1990 ad un dubbio di costituzionalità, nella misura in cui la stessa risulta non idonea a tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo.

Sotto questo profilo, infatti, il Collegio osserva che il terzo ha innanzitutto l’onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A., così subendo una procrastinazione del momento dell’accesso alla tutela giurisdizionale, e, quindi, un’incisiva limitazione dell’effettività della tutela giurisdizionale in spregio ai principi di cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost.

Inoltre, e soprattutto, l’istanza è diretta ad attivare – qualora, come normalmente accade, siano già decorsi trenta giorni dall’invio della segnalazione, di cui ovviamente il terzo non ha diretta conoscenza – non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di legge), ma il c.d. potere di autotutela cui fa riferimento l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale in quanto postula la ponderazione comparativa, da parte dell’amministrazione, degli interessi in conflitto, con precipuo riferimento al riscontro di un interesse pubblico concreto e attuale che non coincide con il mero ripristino della legalità violata.

Con il corollario, come detto, che nel giudizio conseguente al silenzio o al rifiuto di intervento dell’amministrazione, il giudice amministrativo non può che limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare. Evidente risulta, allora, la compressione dell’interesse del terzo ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale.

In definitiva, se la lesione dell’interesse pretensivo del terzo è ascrivibile alla mancata adozione di un provvedimento inibitorio doveroso, è incongruo che la tutela debba riguardare l’esercizio del diverso e più condizionato potere discrezionale di autotutela.

3.3. Ne consegue che non è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter della L. n. 241 del 1990, per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, nella parte in cui consente ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di esperire “esclusivamente” l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e, ciò, soltanto dopo aver sollecitato l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione.

Per una tutela piena ed effettiva della loro posizione giuridica, infatti, i terzi interessati dovrebbero avere la possibilità di azionare gli ordinari rimedi giurisdizionali azionabili avverso le iniziative edilizie illecite altrui, qualunque sia la modalità di acquisizione del titolo legittimante, senza essere costretti a dovere richiedere, prima di agire, l’intermediazione dell’autorità pubblica, e senza essere soggetti, dopo avere agito in giudizio – per il mero decorso del tempo concesso all’amministrazione per attivare il potere inibitorio – ai forti limiti di tutela giurisdizionale derivanti dall’intermediazione aleatoria dell’esercizio del potere discrezionale di autotutela.

Al contrario, come visto, è evidente che il legislatore del 2011, introducendo il comma 6-ter in coda all’art. 19, ha consapevolmente precluso al terzo interessato l’unica possibilità di intervenire, tramite declaratoria giudiziale di illegittimità, sulla conclusione negativa del procedimento di controllo dei presupposti avviato dall’amministrazione a seguito della segnalazione certificata.

Tale possibilità di tutela era stata enucleata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2011, proprio al fine di non esporre il sistema ai profili di incostituzionalità in sede odierna dedotti, mediante l’assimilazione ad un provvedimento negativo per silentiumdella condotta di inerzia mantenuta dall’amministrazione allo spirare del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio.

Ma la modifica legislativa, come visto, ha da un lato impedito al terzo la possibilità di esperire un’azione di natura impugnatoria o di condanna (gli interessati possono agire soltanto ex art. 31, comma 1, 2 e 3 del c.p.a.), dall’altro, mediante il richiamo espresso di tutti e tre tali commi, ha limitato la possibilità del Giudice di accertare la fondatezza della pretesa ai soli casi di attività vincolata.

Tuttavia, quando il termine per l’esercizio del potere inibitorio è nel frattempo decorso – come avvenuto nel caso oggetto della presente controversia -, l’obbligo accertabile in capo all’amministrazione è soltanto quello previsto dal comma 4 dell’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo, secondo cui “l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies”.

Conseguentemente, il Giudice adito non può predeterminare il contenuto del successivo provvedimento dell’amministrazione, con indubbia e inevitabile lesione del diritto del terzo ad una piena ed effettiva tutela giurisdizionale.

In altri termini, il legislatore ha congegnato un sistema tale da comprimere in giudizio l’esplicazione di tutte le facoltà giurisdizionali normalmente connesse alla posizione soggettiva di interesse legittimo pretensivo del soggetto leso da un comportamento illegittimo dell’amministrazione, escludendo la possibilità, tramite il rinvio ad un successivo esercizio del potere sempre e comunque discrezionale, che la violazione di tale interesse legittimo ottenga un’efficace e satisfattiva riparazione già dinanzi al Giudice adito.

3.4. Quanto alla rilevanza sull’esito del presente giudizio, come anticipato, la decisione sulla questione di costituzionalità sollevata risulta indispensabile per consentire al Collegio di accertare anche la fondatezza delle pretesa fatta valere in giudizio dai ricorrenti, nel senso di conformare la successiva attività dell’amministrazione ad un obbligo ineludibile di rimozione degli eventuali effetti dannosi derivanti dall’attività edilizia intrapresa.

Invero, se la disciplina dell’art. 19, comma 6-ter della L. n. 241 del 1990, così come ricostruita nella presente sentenza, è da ritenersi costituzionalmente legittima, il Collegio non può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, né tanto meno condannare l’amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto, residuando ulteriori margini di esercizio della discrezionalità in favore del Comune convenuto, derivanti dalle valutazioni da effettuare in sede di autotutela.

Se invece la disciplina dell’art. 19, comma 6-ter della L. n. 241 del 1990, così come ricostruita nella presente sentenza, è da ritenersi costituzionalmente illegittima – nel senso sopra indicato -, il Collegio può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, rientrandosi in un caso di attività vincolata o comunque non residuando ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e/o la necessità di adempimenti istruttori successivi alla pronuncia.

4.1. Conclusivamente, il Collegio ritiene rilevante ai fini del decidere, e non manifestamente infondata, la questione d’illegittimità costituzionale sollevata d’ufficio con riferimento al comma 6-ter dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990 (ai sensi del quale “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”), per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, nella misura in cui impedisce ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di ottenere dal Giudice amministrativo una pronuncia di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, con conseguente condanna o comunque effetto conformativo all’adozione dei corrispondenti provvedimenti, anche nel caso in cui sia decorso il termine concesso all’amministrazione per azionare il potere inibitorio di cui al comma 3 dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990.

4.2. In punto di rilevanza della questione di costituzionalità sollevata, ferme restando le considerazioni svolte al paragrafo 3.4., l’applicazione della norma ritenuta incostituzionale costringerebbe il Collegio a limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo dell’amministrazione di agire in autotutela, senza potere accertare la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio e predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare, dal momento che è ampiamente decorso il termine entro il quale l’amministrazione avrebbe potuto attivare il potere inibitorio.

4.3. Nel merito della questione di costituzionalità sottoposta a codesta Corte, ferme restando le considerazioni svolte ai paragrafi 3.2. e 3.3., il Collegio rimettente ritiene che il comma 6-ter dell’art. 19 della legge sul procedimento di amministrativo violi gli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, sotto il profilo dell’irragionevole limitazione del diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto i ricorrenti in un giudizio amministrativo, portatori di un interesse legittimo pretensivo, paiono subire una discriminatoria compressione delle facoltà giurisdizionali ordinariamente offerte loro dal codice del processo amministrativo.

Invero, nel caso di specie, l’unica azione riconosciuta dal legislatore ai terzi lesi da una SCIA illegittima (azione di accertamento) non ha una portata piena ed effettiva ma è a priori condizionata, secondo le regole processuali di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 104 del 2010, dal potere discrezionale che residua in capo al Comune resistente.

4.5. Sulla base delle su esposte considerazioni, il Collegio ritiene dunque necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione.

Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese resta riservata alla decisione definitiva.

 

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione di Parma, non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, riqualificata la domanda di annullamento delle SCIA in azione di accertamento ex art. 31 c.p.a., lo respinge parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter della L. n. 241 del 1990, in relazione agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione.

Dispone la sospensione del presente giudizio.

Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Ordina che, a cura della Segreteria della sezione, la presente sentenza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti normativi vigenti in materia di privacy, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ricorrenti e controinteressata.

Così deciso in Parma nelle camere di consiglio dei giorni 21 novembre 2018 e 16 gennaio 2019, con l’intervento dei magistrati: