IL CONSIGLIO DI STATO CONFERMA L’OBBLIGO DI INDIRE LE ELEZIONI NEL LAZIO, CON INTERESSANTI PRECISAZIONI SULLA NOZIONE DI ATTO POLITICO E SULLE AZIONI ATIPICHE NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

1. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sulle determinazioni regionali aventi ad oggetto l’indizione delle elezioni. Si tratta, infatti, di un procedimento amministrativo caratterizzato dall’esercizio di potestà pubbliche vincolate sulla scorta di precetti legislativi puntuali relativi all’an e al quando dell’atto di indizione della procedura elettorale, in guisa da escludere il suum dell’atto politico di cui all’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, dato dalla sussistenza di una libertà nel fine che impedisce, in ragione dell’assenza del necessario parametro giuridico, l’estrinsecazione del sindacato giurisdizionale.  La previsione di canoni di legalità che scandiscono l’indizione del procedimento elettorale introduce un requisito di legittimità idoneo a limitare l’esercizio del potere di indizione delle elezioni da parte dell’organo regionale, imponendo la soggezione a controllo giurisdizionale delle relative determinazioni e condotte amministrative.

 

2. La mancata previsione di una norma esplicita sull’azione generale di accertamento non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta allo stato puro. Ne deriva, di contro, che, ove, come nel caso di specie, dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n. 69/2009.

 

3. L’art. 5 della legge regionale del Lazio n. 2/2005 va interpretata nel senso che nel termine di tre mesi ivi previsto le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale non devono solo essere indette, ma devono anche concretamente svolgersi, atteso che una diversa interpretazione che non imponesse un vincolo temporale per la celebrazione delle elezioni, rimettendo detta scelta all’incondizionata discrezionalità del Presidente dimissionario della Regione, non assicurerebbe il rinnovo in tempi ragionevolmente brevi degli organi e, con esso, il soddisfacimento dei valori costituzionali sottesi all’espressione della volontà popolare secondo il meccanismo della democrazia elettorale.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8083 del 2012, proposto da:
Regione Lazio, in pesona del Presidente pro tempre della Giunta Regionale, rappresentato e difeso dall’avv. Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;

contro

Movimento Difesa del Cittadino, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Antonio Longo, rappresentati e difesi dall’avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II BIS n. 09280/2012, resa tra le parti, concernente la mancata indizione delle elezioni regionali a seguito delle dimissioni del presidente – mcp;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Movimento Difesa del Cittadino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini e Pellegrino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1 – Con la sentenza gravata il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso proposto dall’associazione “Movimento difesa del cittadino” e dal suo presidente Antonio Longo, anche in proprio quale elettore del Consiglio regionale del Lazio, al fine di provvedere senza indugio all’ indizione delle elezioni in guisa da garantirne la celebrazione nel termine di novanta giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale e, comunque, nella prima data utile successiva a tale termine.

La Regionepropone il ricorso in appello in epigrafe specificato con il quale contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum.

Resistono l’associazione e l’elettore originariamente ricorrenti.

Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

Con decreto monocratico n. 4505 del 16 novembre 2012 è stata sospesa provvisoriamente l’efficacia della sentenza appellata.

Alla camera di consiglio del 27 novembre 2012, fissata con il suddetto decreto monocratico per la trattazione dell’incidente cautelare, la causa, previo avviso ai difensori presenti, è stata trattenuta per la decisione ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo.

2. L’appello è infondato.

2.1. Non coglie nel segno, innanzitutto, il primo motivo di appello con cuila Regione Laziocontesta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo facendo leva sulla caratterizzazione politica delle determinazione regionali aventi ad oggetto l’indizione delle elezioni.

A confutazione della prospettiva interpretativa sviluppata dalla parte appellante si pone l’assorbente considerazione che la vigente normativa, sulla quale ci si soffermerà in seguito, connette allo scioglimento del Consiglio regionale l’obbligo di indire le elezioni ponendo una puntuale disciplina dei relativi adempimenti e, segnatamente, enucleando i confini temporali che scandiscono il dipanarsi della procedura (art. 5 della legge regionale 13 gennaio 2005, n. 2).

Sotto i profili dedotti in giudizio, viene quindi in rilievo un procedimento amministrativo caratterizzato dall’esercizio di potestà pubbliche vincolate sulla scorta di precetti legislativi puntuali relativi all’an e al quando dell’atto di indizione della procedura elettorale, in guisa da escludere il suum dell’atto politico di cui all’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, dato dalla sussistenza di una libertà nel fine che impedisce, in ragione dell’assenza del necessario parametro giuridico, l’estrinsecazione del sindacato giurisdizionale (cfr., da ultimo, sulla nozione di atto emanato nell’esercizio del potere politico, anziché nell’esercizio di attività meramente amministrativa”, Cons. Stato sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588).

Si deve, al riguardo, rimarcare che, ad avviso della giurisprudenza costituzionale, la presenza di un vincolo giuridico comporta l’attrazione delle determinazioni in materia assunte da organi politici nell’alveo dell’azione amministrativa sottoposta, alla stregua dei principi costituzionali, al controllo di legalità da parte dell’autorità giurisdizionale all’uopo preposta. Particolarmente significativa si appalesa la sentenza della Corte Costituzionale 5 aprile 2012, n. 81, resa su conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Campania avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, confermativa della sentenza del Tribunale amministrativo regionale perla Campania, sezione I, n. 1985 del 7 aprile 2011, con cui era stato annullato il decreto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore, per violazione dell’ art. 46, comma 3, dello Statuto della Regione Campania.

Nella specie i giudici costituzionali hanno osservato che “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo”, con la conseguenza che “quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto”. Ne consegue che, laddove l’ambito di estensione del pur ampio potere discrezionale che connota un’azione di governo sia circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.

Facendo applicazione di tali coordinate al caso di specie, si deve concludere che la previsione di canoni di legalità che scandiscono l’indizione del procedimento elettorale introduce un requisito di legittimità idoneo a limitare l’esercizio del potere di indizione delle elezioni da parte dell’organo regionale, imponendo la soggezione a controllo giurisdizionale delle relative determinazioni e condotte amministrative.

In armonia con siffatta impostazione concettuale si pone la pronuncia resa da questa Sezione (Ord. 19 aprile 2011, n. 1736), con la quale, in materia di referendum abrogativo, si è respinta l’eccezione svolta dalla difesa erariale in merito alla natura politica della scelta delle date di celebrazione della consultazione referendaria, osservando che vengono in rilievo atti applicativi dei precetti legislativi posti, proprio con riguardo alla cornice temporale di svolgimento della consultazione, dall’ art. 34 della legge 25 maggio 1970, n. 312, id est atti di alta amministrazione soggetti alla giurisdizione amministrativa in quanto non sussumibili nel novero degli atti e provvedimenti adottati emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico ai sensi del comma 1 dell’art. 7 del codice del processo amministrativo (cfr., in materia, anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19 maggio 2000, n. 2413, che ha ritenuto sindacabili in linea di principio gli atti del procedimento referendario, segnatamente con riferimento ai profili lesivi della libertà e della segretezza delle scelte degli elettori).

In definitiva, le determinazioni adottate e le condotte tenute dall’amministrazione in asserita violazione dei precetti legislativi che regolano in modo specifico l’indizione delle elezioni regionali afferiscono alla sfera dell’esercizio della potestà amministrativa naturaliter sottoposta al sindacato giurisdizionale amministrativo.

2.2. Non merita accoglimento neanche il secondo motivo d’appello con il quale si deduce l’inammissibilità dell’azione pubblicistica di adempimento mettendo in evidenza la mancata formulazione, da parte dei ricorrenti in prime cure, di una richiesta indirizzata alla Regione Lazio per l’adozione dell’atto di indizione delle elezioni e il mancato perfezionamento di un rifiuto ad opera del Presidente della Regione.

La Sezioneosserva che il ricorso di prime cure conteneva un’azione dichiarativa dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione intimata rispetto al comportamento ad essa imposto dalla vigente normativa, con la connessa domanda di condanna ad un facere doveroso per il quale era prospettato l’esaurimento dei residui margini di discrezionalità legislativamente attribuiti ai fini dell’individuazione della data di celebrazione delle elezioni.

2.2.1 L’ammissibilità dell’invocata tutela schiettamente dichiarativa trova conferma nel condivisibile insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (cfr. decisioni 23 marzo 2011, n 3 e 29 luglio 2011, n. 15).

Secondo tale orientamento interpretativo l’assenza di una previsione legislativa espressa non osta all’esperibilità di un’azione di mero accertamento quante volte detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell’interesse legittimo (cfr. da ultimo sez. V, 31 gennaio 2012, n. 472).

In adesione a detto indirizzo si deve ribadire che, nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo, dell’azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela che rinviene il suo fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 111 e 113).

Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui siffatta azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente.

A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicità delle azioni, in quanto corollario indefettibile dell’effettività della tutela è proprio il principio della atipicità delle forme di tutela.

In questo quadro la mancata previsione di una norma esplicita sull’azione generale di accertamento non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta allo stato puro. Ne deriva, di contro, che, ove, come nel caso di specie, dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44 della legge n. 69/2009.

In definitiva, il principio dell’interesse a ricorrere di cui all’art. 100 c.p.c., operante nel processo amministrativo in virtù del rinvio esterno recato dall’art. 39 del codice del processo amministrativo, funziona non soltanto come presupposto processuale dell’azione di annullamento e di condanna ma, ai sensi dell’articolo 24 Cost, come fattore di legittimazione generale ad agire, che abilita il soggetto all’azione di mero accertamento.

Giova soggiungere che nella specie l’interesse a ricorrere era in concreto corroborato dalla nota 12 ottobre 2012, n. 520, con la quale il Presidente della Regione aveva manifestato l’adesione ad un’interpretazione della tempistica fissata dalla legislazione regionale incompatibile con la pretesa sostanziale azionabile in giudizio. Nel rispetto del limite di cui all’articolo 34, comma 2, del codice del processo, la pronuncia ha inoltre accertato la violazione dell’obbligo di indizione del procedimento elettorale, ossia il mancato esercizio qualificato del potere amministrativo sottoposto alla giurisdizione amministrativa ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del medesimo codice.

2.2.2.Discorso non dissimile può essere svolto con riguardo alla connessa azione di condanna pubblicistica.

La rammentata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 23 marzo 2011 n.3, con affermazione ribadita dalla successiva sentenza n. 15/2011, ha definitivamente sancito la generale esperibilità dell’azione di condanna quale strumento di tutela attivabile dal ricorrente innanzi al G.A. al fine di ottenere il riconoscimento del bene della vita che gli compete.

Secondo la condivisibile parabola motivazionale svolta dalle pronunce in esame, l’ammissibilità, in via generale, di un’azione di condanna pubblicistica (c.d. azione di esatto adempimento) tesa ad una pronuncia che, per le attività vincolate, costringala P.A. ad adottare il provvedimento satisfattorio, è ricavabile dall’applicazione dei principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, dall’interpretazione della portata espansiva delle specifiche ipotesi previste dall’art. 31 comma 3 del codice, in materia di silenzio, dall’art.124 in materia di contratti pubblici, oltre che dall’art. 4 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n.198, in materia di azione collettiva di classe, e, soprattutto, dalla dizione ampia dell’art. 30, comma 1 del codice, che non tipizza i contenuti delle pronunce di condanna, e, quel che più conta, non limita dette statuizioni ai soli casi privatistici del risarcimento del danno e della lesione di diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L’ammissibilità, anche in assenza di una disciplina legale, dell’azione di esatto adempimento trova poi conforto nella circostanza che l’art. 2908 c.c. e l’art. 113, ultimo comma, Cost, prevedono una riserva di legge solo per le sentenze costitutive mentre risulta pacifica la caratterizzazione geneticamente atipica delle tutele dichiarative e di condanna.

Le ricordate opzioni ermeneutiche sono state da ultimo cristallizzate, sul versante positivo, dalle modifiche di recente apportate con il decreto legislativo 14 settembre 2012, n. 160 al disposto dell’ art. 34, comma 1, lettera c, del codice del processo amministrativo, mediante l’aggiunta di un ultimo periodo alla stregua del quale “l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’art. 31, comma 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio”.

Viene in tal guisa codificata la domanda di condanna ad un facere specifico avente ad oggetto l’emanazione del provvedimento doveroso omesso. Infatti, la disposizione, nella misura in cui detta i limiti processuali e sostanziali dell’azione di condanna pubblicistica, presuppone e, quindi, riconosce la sperimentabilità di siffatta tecnica di protezione dell’interesse legittimo pretensivo anche al di fuori del caso, già codificato dall’art. 31, della maturazione di un silenzio-rifiuto.

Nella specie sono rispettati i limiti, di portata sostanziale e processuale, posti dal codice del processo alla praticabilità di tale tecnica di protezione.

Quanto al limite sostanziale, rappresentato dalla permanenza di margini di discrezionalità amministrativa o tecnica o dalla necessità di attività istruttorie riservate alla p.a. (vedi l’art. 31, comma3, intema di rito del silenzio, a cui si fa rinvio l’art. 34, comma 2, anche con riguardo al caso del diniego esplicito), è sufficiente ribadire che nella specie viene dedotta la consumazione del potere discrezionale spettante all’amministrazione in ragione della violazione dei precetti puntuali che perimetrano, sul piano cronologico, la celebrazione della tornata elettorale. La contestuale proposizione, in sede di ricorso originario, dell’azione di condanna e dell’azione di accertamento atipica, assicura altresì il rispetto del limite processuale, rappresentato dalla necessità che detta azione di condanna, non esperibile in via autonoma, si accompagni ad altra azione di cui rappresenti il completamento nell’ambito dello stesso processo.

Va soggiunto che non osta alla praticabilità del rimedio in esame la dedotta assenza di una richiesta, da parte dei ricorrenti originari, di indizione delle elezioni e la formazione del correlativo silenzio amministrativo secondo la procedura di cui al combinato disposto dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo, in quanto viene nella specie in rilievo l’omessa adozione di un atto nei tempi imposti dalla legge, ex se idonea a ledere l’interesse dei ricorrenti e a legittimare alla proposizione del generale rimedio volto ad ottenere una pronuncia che imponga all’ amministrazione l’esercizio doveroso del potere.

2.2.3. La portata atipica delle azioni di accertamento e di condanna fuga ogni dubbio in merito alla relativa proponibilità anche in materia elettorale.

Si deve, infatti, ritenere che l’elettore, legittimato, ex art. 130 del codice del processo amministrativo, a dedurre l’ illegittimità degli atti del procedimento elettorale, sia a fortiori facultizzato – secondo un’ interpretazione costituzionalmente orientata sensibile ai principi di pienezza, effettività e tempestività della tutela giurisdizionale – a contrastare le condotte che illegittimamente impediscono o ritardano lo stesso avvio del procedimento elettorale.

2.3. Non meritano, infine, positiva valutazione le censure di merito con le qualila Regione Lazio, deduce che:

a) l’obbligo di indire le elezioni nei novanta giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale, così come disciplinato dall’art. 5 della l.r. n. 2 del 2005, si applica, testualmente, nei “casi di scioglimento del Consiglio regionale previsti dall’art. 19, comma 4 dello Statuto”, ossia nella sola fattispecie di dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio;

b)secondo l’avviso espresso da precedenti sentenze dello stesso Tar Lazio, convalidato dal raffronto con altre leggi regionali, l’indizione delle elezioni è fase distinta da quella delle elezioni, con la conseguenza che la citata legge regionale n. 2 del 2005, impone la sola indizione, stricto sensu intesa, delle elezioni nel termine di novanta giorni dallo scioglimento;

c) la perdurante mancata indizione trova, in ogni caso, giustificazione nella triplice esigenza di dare attuazione con legge regionale alla riduzione di seggi del Consiglio prevista dalla normativa statale, di attendere l’entrata in vigore del d.l. 5 novembre 2012, n. 188 di riordino e riduzione delle Province e di rispettare l’obbligo posto dall’art. 7 del d.l. 6 luglio 2011, n.98, conv. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, inmateria di concentrazione in un’unica data delle elezioni del Parlamento e degli organi di governo regionali e locali (c.d.“ election day”).

2.3.1. Il Collegio conviene con il Primo Giudice circa l’applicabilità dell’art. 5 della l.r. del Lazio n. 2/2005 alla fattispecie in esame.

Detta disposizione fa riferimento, in via generale, all’ art. 19, comma 4 dello Statuto della Regione Lazio, norma che, a sua volta, facendo rinvio anche agli articoli 43 e 44, annovera tutti i casi di scioglimento anticipato, ivi incluso quello delle dimissioni volontarie del Presidente.

A sostegno dell’assunto si pone, in una con il dato letterale, che richiama sia il contenuto autonomo che la portata relazionale della norma, il rilievo sistematico che una diversa lettura, volta a differenziare il rinnovo degli organi regionali con la fissazione di una tempistica certa solo per alcune ipotesi di scioglimento del Consiglio, produrrebbe un’ingiustificata diversità di disciplina a dispetto dell’identica esigenza, ricorrente in tutti i casi di dissoluzione, di assicurare il celere ripristino della piena legittimazione democratica e dell’ordinaria funzionalità dell’ente regionale.

2.3.2. Tanto detto sull’applicabilità dell’articolo 5 della legge regionale n. 2/2005 al caso in esame, la Sezionenon reputa meritevole di condivisione l’assunto sostenuto da parte appellante secondo cui l’espressione “indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”, contenuta in tale normativa, andrebbe intesa nel senso che le elezioni possano essere semplicemente convocate entro tale lasso di tempo senza che sia necessario il loro svolgimento nell’ambito di siffatto spatium temporis.

Sul piano strettamente letterale, la tesi dell’appellante non è l’unica possibile alla stregua del dato positivo. La norma in esame stabilisce, infatti, che “nei casi di scioglimento del Consiglio regionale, previsti dall’art. 19, comma 4, dello Statuto, si procede all’indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”. Come correttamente rimarcato dal Tribunale di primo grado in forza di una prospettiva ricostruttiva volta expressis verbis a superare l’interpretazione sostenuta in precedenza dallo stesso organo giudicante, la collocazione del complemento di specificazione temporale “entro tre mesi”, in posizione successiva e contigua, senza soluzione di continuità, alle parole “nuove elezioni”, anziché alla locuzione “si procede” o alle parole “all’indizione”, non consente di riferire, sul versante schiettamente semantico, la previsione del termine allo svolgimento delle elezioni piuttosto che alla sola indizione. Inoltre, l’uso del termine “procede”, invece di “provvede”, rafforza il richiamo legislativo non ad un atto puntuale di indizione ma all’inizio di una procedura amministrativa che reclama la certezza temporale della definizione in forza dei canoni di cui all’articolo 2 della legge 2 agosto 1990, n. 241, e ai sottostanti canoni costituzionali di efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa.

La sussistenza di aspetti di equivocità testuale rende decisivo il ricorso al canone teleologico e al principio della preferenza per l’esegesi costituzionalmente orientata.

Sul versante della ratio, la norma si prefigge l’obiettivo di assicurare una tempestiva ricostituzione degli organi di governo regionale, in conformità al principio della sovranità popolare sancito dall’art. 1 della Carta Fondamentale e ai canoni costituzionali di efficacia e buon andamento. Viene, quindi, perseguito lo scopo di garantire la restaurazione del pieno funzionamento delle pubbliche istituzioni in modo da ripristinarne la piena legittimazione democratica e l’assolvimento della funzione legislativa garantita e ampliata a seguito della riforma del titolo V della parte seconda della Carta Fondamentale.

In questa prospettiva si appalesa incongrua l’interpretazione che, imponendo una puntuale tempistica solo per la fase dell’indizione delle elezioni, di per sé inidonea a soddisfare le esigenze sopra prospettate, non ancori ad alcun limite temporale il loro effettivo svolgimento, ossia il segmento della procedura che effettivamente assicura la piena investitura dell’ente e ne suggella l’integrale ripristino operativo.

Venendo all’esigenza di privilegiare la lettura armonizzabile con il dettato costituzionale, assume un particolare rilievo la sentenza 5 giugno 2003, n. 196, della Corte Costituzionale, che – pronunciandosi sull’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1 (Disposizioni sulla durata degli Organi e sull’indizione delle elezioni regionali), che sancisce l’indizione delle elezioni entro tre mesi- ha interpretato la disposizione nel senso che le elezioni debbano aver luogo, e non semplicemente essere indette, entro tale lasso di tempo. Sulla scorta di detta premessa la Consulta, pur osservando che non è chiaro se detto termine ad quem decorra, nel caso di scadenza del mandato, da tale scadenza, ovvero dalla quarta domenica antecedente, ha concluso che tale termine non è da ritenersi eccessivamente lungo, tenuto conto anche che esso, pur se fatto decorrere dalla scadenza del Consiglio, supera di soli venti giorni il periodo massimo di settanta giorni dalla fine del mandato delle Camere, entro il quale devono essere elette le nuove camere, ai sensi dell’art. 61, primo comma, della Costituzione.

Traendo le fila delle considerazioni fin qui svolte, si deve reputare che una lettura che non imponesse un vincolo temporale per la celebrazione delle elezioni, rimettendo detta scelta all’incondizionata discrezionalità del Presidente dimissionario della Regione, non assicurerebbe il rinnovo in tempi ragionevolmente brevi degli organi e, con esso, il soddisfacimento dei valori costituzionali sottesi all’espressione della volontà popolare secondo il meccanismo della democrazia elettorale.

Stante l’interpretazione accolta, risulta acclarata la violazione, nel caso in esame, del termine legale. Non è, infatti, controversa fra le parti la circostanza secondo cui il Presidente uscente della Regione Lazio, a seguito delle sue dimissioni in data 27.9.2012 e dello scioglimento del Consiglio regionale in data 28.9.2012, non ha indetto le nuove elezioni in tempo utile ai fini del loro svolgimento entro i tre mesi dallo scioglimento del Consiglio, tenendo conto che, che ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, applicabile per rinvio recettizio da parte della legge elettorale del Lazio, i Sindaci danno notizia dell’indizione dei comizi elettorali con manifesti affissi almeno 45 giorni prima della data di svolgimento.

2.3.4. Venendo, poi, agli impedimenti dedotti come causa giustificativa della mancata indizione delle elezioni, si deve osservare, a confutazione degli argomenti svolti dall’appellante, che:

– l’obbligo legale sancito dalla puntuale norma precettiva fin qui scrutinata non è derogabile, specie alla luce dei cogenti valori costituzionali in rilievo, in forza di argomentazioni che riposano su profili di opportunità;

-i pretesi aspetti di incertezza adombrati in merito alla determinazione dei collegi elettorali e al numero dei seggi consiliari, afferiscono all’enucleazione, in via interpretativa, delle regole ratione temporis applicabili al procedimento elettorale senza poter procrastinare il termine fissato dalla legge per la fase del procedimento elettorale successiva all’indizione;

-non sono in ogni caso gravate da puntuale censura le argomentazioni svolte dal primo Giudice per confutare la dedotta incidenza delle sopravvenienze normative statali quali motivi ostativi al rispetto del termine legale;

-non è del pari gravata da specifica censura la statuizione di primo grado nella parte in cui esclude che l’obbligo di cui all’art. 7 del d.l. 6 luglio 2011, n.98, conv. con mod. dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, inmerito all’ accorpamento delle date di svolgimento delle diverse consultazioni elettorali (c.d.“ election day”), operi nella fattispecie in esame, anche in relazione alla dichiarata finalità di riduzione dei costi della politica, non invocabile con riferimento a tornate elettorali da svolgersi in altre Regioni;

-in ogni caso l’accorpamento, in un’unica data dell’anno, delle consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei Presidenti delle province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, è subordinato al limite della compatibilità con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, limite nella specie non rispettato in ragione del non derogabile precetto relativo alla tempistica della consultazione elettorale.

3. L’appello deve in definitiva essere respinto.

Ne consegue, in assenza di specifica censura, la conferma della sentenza di prime cure nella parte in cui si è accertato l’obbligo del Presidente dimissionario della Regione Lazio di provvedere all’immediata indizione delle elezioni in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla normativa vigente in materia di operazioni elettorali, con la nomina di un commissario ad acta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 34, comma 1, lett.e), del codice del processo amministrativo.

La peculiarità delle questioni dedotte giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e conferma integralmente la sentenza appellata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.