PER LE SEZIONI UNITE I DIRITTI EDIFICATORI NON SONO DIRITTI REALI NÉ OBBLIGAZIONI PROPTER REM

1. Il comune denominatore dei diritti edificatori è dato dalla loro riconosciuta scorporabilità dal terreno che li ha originati, e dalla conseguente loro autonoma cedibilità negoziale; intendendosi per tale la possibilità – oggi sancita dall’art. 2643, n. 2 bis c.c.. del loro trasferimento oneroso tra privati indipendentemente dal trasferimento del terreno. Proprio il loro totale distacco dal fondo di origine e la loro conseguente perfetta ed autonoma ambulatorietà rappresentano un ostacolo invalicabile nell’affermare la natura reale del diritto edificatorio.
2. Non può negarsi che la fattispecie presenti una necessaria duplice connessione fondiaria nel richiedere che il diritto edificatorio scaturisca da un terreno (di decollo) per poi essere esercitato su un altro terreno (di atterraggio); ma si tratta di una connessione funzionale estrinseca e non ricostruibile in termini di realità, dal momento che il diritto, o credito, edificatorio che dir si voglia non è inerente né immediatamente pertinente al fondo di partenza, di cui neppure costituisce una qualità intrinseca atta ad essere economicamente valorizzata solo nel trasferimento congiunto con esso.
3. Il difetto di inerenza in senso giuridico (tanto civilistico quanto tributario) si evidenzia in maniera addirittura eclatante in quello che è il segmento più critico, e rivelatore, della fattispecie, appunto quello del “volo”; allorquando il diritto di costruire non può più essere esercitato sul fondo di origine, e non può ancora essere esercitato sul fondo di destinazione perchè non ancora assegnato né, forse, individuato.
4. Un sostrato di natura reale non può essere recuperato nemmeno facendo ricorso alla figura della obbligazione “propter rem”: in primo luogo, fa difetto una adeguata ed univoca descrizione normativa che invece sarebbe necessaria per riconscere tale natura in quanto le obbligazioni “propter rem”, al pari dei diritti reali, dei quali sono estrinsecazione, non sono una categoria di rapporti innominati, ma sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge; in secondo luogo, nel caso del diritto edificatorio è escluso “per definizione”, il diritto di seguito con il terreno, a sua volta basato su una nozione di inerenza obbligatoria con esso qui non concepibile; inoltre l’obbligazione propter rem costituisce pur sempre un vincolo debitorio per il proprietario il quale nel caso del diritto edificatorio è, all’esatto contrario, non debitore ma creditore verso l’amministrazione comunale che gli ha promesso l’edificazione compensativa da un’altra parte.
5. Non rileva in senso contrario l’inserimento dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori nel regime generale di trascrivibilità degli atti relativi ai beni immobili, ex art. 2643 cit.. Il dato normativo in esame non è dirimente nel senso della realità dell’istituto, ove si consideri che da esso, eccezion fatta per l’ampia dizione di diritti suscettibili di divenire oggetto di contratti, non si trae alcun utile elemento definitorio di contenuto ed effetti in tal senso (si limita la norma a semplicemente rinviare a quanto previsto dalle corrispondenti discipline statali o regionali, ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale), e che, per altro verso, lo stesso regime in questione ben conosce la trascrivibilità anche di atti ad effetto meramente obbligatorio, quali la locazione ultranovennale o il contratto preliminare (art. 2645 bis c.c.).
6. Un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta, non è da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, dal momento che quest’ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso

 

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE
p. 1. La CO.GE.SAN. – Costruzioni Generali S. spa (incorporante la Pro Edificante 2005 srl) ha proposto due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 4323/14/15 del 21.7.2015, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento per Ici 2005 e sanzioni notificatole il 4 gennaio 2011 dal Comune di Roma – Roma Capitale; ciò con riguardo ad un’area di sua proprietà inserita nel comprensorio ivi ubicato in località (OMISSIS), dapprima edificabile, ma poi privata di questa caratteristica in quanto inclusa nel Parco Regionale (OMISSIS) in forza dell’ampliamento perimetrale di quest’ultimo da parte della L.R. Lazio 31 maggio 2002, n. 14.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, ha rilevato che:
– ancorchè privata della edificabilità, l’area in questione doveva purtuttavia assoggettarsi ad Ici, D.Lgs. n. 504 del 1992, ex artt. 1 e 2, come edificabile, poichè essa era stata fatta oggetto di un accordo di compensazione urbanistica ex art. 19 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG, con procedura confermata, ai sensi del nuovo Piano Regolatore del 2003, da Delib. Consiglio Comunale 28 maggio 2003, n. 53;
– in forza di questo intervento di compensazione urbanistica, l’edificabilità dell’area in questione (c.d di “decollo”) poteva infatti essere esercitata su altro terreno nell’ambito delle già individuate aree di assegnazione (c.d di “atterraggio”), con conseguente sua tassazione Ici secondo il criterio del valore venale.
p. 2. Con il primo motivo di ricorso la società deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 3; per avere la Commissione Tributaria Regionale erroneamente affermato la sussistenza nella specie del presupposto oggettivo dell’Ici, nonostante che l’edificabilità compensativa costituisse oggetto non già dell’avvenuta assegnazione di una diversa area, quanto soltanto di una promessa di futura ed incerta capacità edificatoria, su area ancora da individuarsi nell’ambito di quelle “di atterraggio”.
Con il secondo motivo di ricorso la società lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c.; per avere la Commissione Tributaria Regionale affermato la tassabilità Ici dell’area in questione come area “edificabile per compensazione”, salvo poi essa stessa riconoscere che l’assegnazione di quota di edificabilità compensativa non costituiva un diritto certo del proprietario, ma una mera legittima aspettativa, come tale non imponibile. Il che si risolveva in una motivazione a tal punto illogica e contraddittoria da risultare del tutto mancante.
p. 3. Con ordinanza interlocutoria n. 26016/19 la Sezione Tributaria di questa Corte di Cassazione ha rimesso agli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso, in quanto involgente questione di massima di particolare importanza, alle Sezioni Unite.
Osservano i giudici remittenti che:
– la Commissione Tributaria Regionale ha affermato l’imponibilità Ici dell’area in questione ancorchè quest’ultima fosse stata privata della propria originaria edificabilità, e nonostante che il programma di compensazione urbanistica adottato dal Comune non si fosse ancora completato mediante l’esatta individuazione dell’area di fruizione compensativa della volumetria; si verte, in sostanza, di imposizione Ici nel periodo (c.d. di “volo”), successivo all’imposizione del vincolo assoluto (parco pubblico) sull’area originaria, ma antecedente alla certa individuazione ed assegnazione dell’area di sfruttamento compensativo;
– pur in assenza di precedenti specifici di legittimità sull’imposizione Ici in caso di “compensazione urbanistica” sussistono taluni precedenti (Cass. n. 27575/18; 15693-15700/17) concernenti analogo problema in fattispecie di “perequazione urbanistica”, “per effetto della quale viene attribuito un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà destinate alla trasformazione di uno o più ambiti del territorio comunale, a prescindere dall’effettiva localizzazione dei diritti edificatori, trasferibili e negoziabili separatamente dal suolo (…)” (Cass. n. 27575/18 cit.), i quali hanno concluso per l’effettivo assoggettamento ad Ici dell’area di partenza, in applicazione del principio per cui il presupposto oggettivo di questo tributo può essere individuato anche soltanto nella “mera potenzialità edificatoria” dell’area, secondo quanto già stabilito da Cass. SS.UU. n. 25506/06 ed altre conformi;
– secondo quanto affermato dalla Sezione Tributaria fino al 2015 (Cass. nn. 25672/08; 5992/15) l’apposizione sull’area di un vincolo di destinazione a servizio pubblico o di interesse pubblico, ovvero a verde pubblico attrezzato, idoneo ad impedire ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, esclude la fabbricabilità ai fini del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2 (ad analoga conclusione è pervenuta Cass. Sez. I nn. 11408/12 e 13197/07 ai diversi fini della determinazione dell’indennità di espropriazione); ma, a partire dal 2015, è invece andato consolidandosi, all’interno della sezione, l’opposto orientamento, in base al quale l’apposizione di vincoli di destinazione, ancorchè indubbiamente incidente sul valore venale dell’immobile, non è tuttavia tale da farne venir meno l’originaria natura edificabile (Cass. n. 17764/18, 23814/16; 14763/15);
– a diversa conclusione, cioè nel senso della inedificabilità, si è pervenuti in presenza di strumenti di pianificazione paesaggistica ed ambientale regionale ostativi alla fabbricabilità, pur a fronte di edificabilità secondo il PRG; ciò in forza della affermata prevalenza, D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 145, delle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, comunque denominato, sulla pianificazione urbanistica comunale (Cass. n. 15726/14; 11080/19);
– la soluzione della imponibilità Ici in ragione della mera potenzialità edificatoria susciterebbe purtuttavia qualche perplessità, specie a fronte dei nuovi strumenti, variamente previsti dalle normative regionali, della perequazione, della compensazione e dell’incentivazione urbanistica, destinati a sostituire lo schema classico della c.d. “zonizzazione” ovviando alle discriminazioni tra proprietari di aree omologhe da quest’ultima spesso indotte, e ad ingenerare, in capo ai proprietari, dei “diritti edificatori” non disciplinati espressamente dalla legge statale (se non nei ristretti limiti della trascrivibilità di cui all’art. 2643 c.c., n. 2 bis, come introdotto dal D.L. n. 70 del 2011, conv. in L. n. 106 del 2011), e di qualificazione giuridica ancora incerta: se diritti reali di godimento, tipici o atipici; se diritti obbligatori riconducibili ad un rapporto di credito tra il privato e l’amministrazione comunale; se meri “frutti” del bene;
– qualora si attribuisse ai diritti edificatori in questione natura obbligatoria, ben difficilmente se ne potrebbe ammettere l’imponibilità Ici, essendo quest’ultimo un tipico tributo di natura reale che presuppone l’edificabilità in quanto qualità intrinseca del terreno; là dove, in fattispecie come quella dedotta nel presente giudizio: “il credito edificatorio compensativo farà eventualmente nascere, come una sorta di indennizzo o corrispettivo aggiuntivo, una capacità edificatoria (in altra sede) solo in forza della conclusione del procedimento compensatorio, sicchè fino a tale momento non esisterà l’edificabilità di alcuna area, ma soltanto una mera possibilità futura di edificabilità, neppure certa nell’an e nel quando”; sicchè “mancando i requisiti, richiesti dalla norma tributaria, dell’attualità, realità e localizzazione della capacità edificatoria, le aree di compensazione non sembrano poter essere assimilate a quelle fabbricabili indicate dalla normativa Ici, neppure sotto il profilo di una loro “potenzialità” (ord. rim. pag. 13);
un indirizzo interpretativo chiarificatore si imporrebbe anche in ragione delle diversità esistenti tra gli interventi di tipo “perequativo” e quelli di tipo “compensativo”, posto che nel primo caso viene pur sempre riconosciuta al fondo, quale strumento alternativo all’imposizione di un vincolo, una determinata frazione della cubatura complessiva fruibile su altre aree (contigue oppure no), mentre nel secondo caso si verifica l’attribuzione di un “credito” compensativo di natura indennitaria suscettibile di essere fruito su un’altra area (di “atterraggio”) la cui identificazione può tuttavia avvenire anche molto tempo dopo l’imposizione del vincolo sull’area di origine, con le conseguenti problematiche circa la configurabilità non soltanto del presupposto oggettivo dell’Ici, ma anche di quello soggettivo (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 3).
p. 4. Il ricorso è stato quindi dal Primo Presidente assegnato a queste Sezioni Unite, ex art. 374 c.p.c., comma 2, sulla questione “se un’area, prima edificabile e poi assoggettata con legge regionale ad un vincolo di inedificabilità assoluta, sia da considerare edificabile ai fini Ici ove inserita in un programma di cd. compensazione urbanistica adottato dal Comune, ancorchè il procedimento compensatorio non si sia ancora concluso, non essendo stata specificamente individuata ed assegnata al proprietario la cd. area di atterraggio, ossia l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilità già cessata sull’area cd. di decollo.
Il Comune di Roma si è costituito al fine di partecipare alla discussione, nel corso della quale ha eccepito vizio di notificazione del ricorso per cassazione.
Il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
p. 5. Come eccepito dal Comune di Roma, la notificazione nei suoi confronti del ricorso per cassazione deve ritenersi invalida, siccome eseguita presso la sede dell’Avvocatura Capitolina, in (OMISSIS), invece che presso l’Ufficio Tributi dove il Comune aveva dichiarato domicilio nell’atto di appello (presso il funzionario Dott.sa Sb.Pa., Via (OMISSIS)).
E tuttavia si verte di ipotesi non di inesistenza ma di nullità, non essendo in discussione che la notificazione in questione sia stata eseguita da soggetto a ciò qualificato (ufficiale giudiziario UNEP – Corte di Appello di Roma) e presso una ripartizione interna, quella avente competenza legale, dell’amministrazione comunale.
Ricorre quindi quanto già stabilito da Cass. SSUU n. 14916/16, secondo cui: “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”; e, inoltre: “il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c..”
In applicazione di questo indirizzo, ha osservato Cass. n. ord. 7703/18 che l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a renderla riconoscibile come tale, che, per la fase di consegna, consistono nel raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali la stessa debba comunque considerarsi eseguita; sicchè la notificazione in un luogo diverso dal domicilio eletto, ove l’atto risulti consegnato al destinatario e non restituito al mittente, non è pertanto inesistente, ma nulla ed è suscettibile di sanatoria per effetto della costituzione in giudizio dell’intimato, ancorchè effettuata al solo fine di eccepire la nullità.
Nel caso di specie, la rilevata nullità risulta pertanto sanata dalla costituzione in giudizio del Comune di Roma, il quale ha partecipato alla discussione in udienza, senza neppure chiedere termini a difesa.
p. 6.1 La questione di fondo si pone in un punto di sovrapposizione fra tre distinti ambiti giuridici.
Se l’individuazione dei presupposti impositivi Ici tanto soggettivo (proprietario o titolare di diritto reale su area fabbricabile) quanto oggettivo (possesso di area fabbricabile) deriva dalla interpretazione delle norme tributarie di riferimento e delle relative definizioni legali (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1-3), la nozione di fabbricabilità o edificabilità di un’area, seppure applicata ad esclusivi fini tributari, pone invece un problema, se non di obbligata uniformità, quantomeno di raffronto e raccordo sistematico con i principi propri della disciplina amministrativa ed urbanistica che regolano la sorte dei suoli. Ma neppure il diritto civile può dirsi estraneo al tema, là dove la capacità contributiva sulla quale la patrimonialità dell’imposizione si regge debba soppesarsi, ex art. 53 Cost., anche nella considerazione della natura giuridica di diritto privato delle posizioni soggettive coinvolte nella edificabilità o non-edificabilità dell’area, specialmente se si tratti – come nel caso degli interventi edilizi di natura compensativa di una soppressa edificabilità originaria – di posizioni che pur costituendo, tutte, forme di manifestazione e sfruttamento economico dello jus aedificandi, sono tuttavia suscettibili di separata cessione negoziale tra privati, e di più o meno libera circolazione sul mercato mobiliare dei c.d. “diritti edificatori”, per ora indistintamente intesi.
Un altro motivo di interferenza riguarda poi specificamente questi ultimi, ed attiene alla fonte normativa della loro disciplina.
Si tratta infatti di istituti che trovano una regolamentazione estremamente variegata, sul piano strettamente urbanistico, nella legislazione regionale (a solo titolo di esempio: L.R. Lombardia n. 12 del 2005, art. 11, sulla compensazione, perequazione ed incentivazione urbanistica quali strumenti di governo del territorio; L.R. Veneto n. 11 del 2004, artt. 35-37, sulla perequazione e compensazione urbanistica nonchè sull’attribuzione di credito edilizio in ipotesi di riqualificazione ambientale; L.R. Toscana n. 65 del 2014, artt. 100 e 101, sulla perequazione urbanistica; L.R. Emilia Romagna n. 24 del 2017, art. 26, sull’attribuzione dei diritti edificatori ed il principio di perequazione urbanistica; L.R. Campania n. 16 del 2004, art. 32, sulla equa distribuzione di diritti edificatori ed obblighi in funzione di perequazione urbanistica tra i proprietari interessati dalla trasformazione; L.R. Calabria n. 19 del 2002, art. 31, sui comparti edificatori con finalità di perequazione, e così via); talvolta essi sono previsti, senza neppure una specifica copertura da parte della Legge regionale, direttamente dagli strumenti regolatori generali, così come accade nella presente fattispecie, caratterizzata da una compensazione urbanistica introdotta nel Piano Regolatore Generale del Comune di Roma (adottato nel 2003 ed approvato con Delib. Consiliare 12 febbraio 2008, n. 18), a sua volta inscrivibile tra i procedimenti di perequazione urbanistica di natura consensuale e concordata, come definiti dalle Delib. Consiglio Comunale di Roma n. 176 del 2000 e Delib. Giunta Capitolina n. 811 del 2000, e già ritenuti legittimi dal giudice amministrativo (Cons. Stato Sez.IV 13 luglio 2010 n. 4545). E tuttavia, la disciplina di fonte regionale, limitata al governo del territorio ed alle relative prescrizioni conformative, non potrebbe in alcun modo spingersi a riempire di contenuto civilistico o dominicale gli istituti in questione, così da sovrapporsi alla potestà legislativa esclusiva ed unitaria dello Stato in materia di ordinamento civile e di diritto di proprietà; ciò secondo quanto dettato dall’art. 117 Cost., come più volte inteso dal giudice delle leggi, nel senso che la limitazione conformativa del diritto di proprietà volta ad assicurarne la funzione sociale ben può essere esercitata, nelle materie di competenza, dalla legge regionale, ferma però restando la preclusione per il legislatore regionale di interferire sulla disciplina dei diritti soggettivi per quanto riguarda “i profili civilistici dei rapporti da cui derivano, cioè i modi di acquisto e di estinzione, i modi di accertamento, le regole sull’adempimento delle obbligazioni e sulla responsabilità per inadempimento, la disciplina della responsabilità extracontrattuale, i limiti dei diritti di proprietà connessi ai rapporti di vicinato, e via esemplificando” (C.Cost. sent. n. 391/89 ed altre).
Sennonchè, la disciplina statuale su tali contenuti è, in materia, del tutto carente e di mero richiamo.
A parte talune disposizioni di settore che prevedono la possibilità di attribuzione di “diritti edificatori” in funzione premiale ed incentivante di interventi edilizi di rilevanza sociale e di riqualificazione (L. n. 308 del 2004, art. 1, commi 21-22, di delega ambientale; L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 259, di bilancio 2008; L. n. 133 del 2008, art. 11, comma 5, sul “Piano Casa”), la norma di più generale portata è costituita dall’art. 2643 c.c., n. 2 bis (introdotto dal D.L. n. 70 del 2011, conv. L. n. 106 del 2011, c.d. “decreto sviluppo”), secondo cui si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione anche “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”. Disposizione, questa, che certamente riconosce meritevolezza e diritto di cittadinanza ai “diritti edificatori” (con ciò rivendicando all’ordinamento statuale la legiferazione privatistica in materia), senza però definirli nè tipizzarli, ed al solo dichiarato fine di garantirne “certezza nella circolazione” (art. 5, comma 3 D.L. cit.).
La natura al contempo multilivello e polimorfa della fattispecie è poi resa evidente – una volta di più – anche sul piano linguistico, stante la frequente adozione, da parte non solo della dottrina e della giurisprudenza, ma anche della stessa normativa, di terminologie diverse (da qui l’avvertita esigenza del “comunque denominati” di cui all’art. 2643 cit.), discutendosi ora di “diritti edificatori”, ora di “crediti edilizi”, ora di “crediti compensativi”, ora di “titoli volumetrici” o altre simili locuzioni. E ciò in maniera non casuale e fungibile, ma a seconda della sostanza giuridica che in tali istituti si voglia vedere: se di diritto soggettivo o di interesse legittimo; se di natura reale di godimento ovvero obbligatoria; se meramente identificativi di una “cosa” oggetto di diritti ovvero di una “utilità” o “chance” ingenerante un’aspettativa giuridicamente tutelata. Il tutto, sempre con riguardo al bene della vita costituito dalla pratica possibilità, riconosciuta dalla PA, di sfruttare altrove una determinata volumetria (o cubatura che dir si voglia) a vario titolo riconducibile ad un suolo-sorgente.
p. 6.2 I diritti edificatori, di progressiva diffusione nelle procedure e nelle prassi di pianificazione urbanistica a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, si pongono – come anche evidenziato dall’ordinanza di rimessione – quale strumento di evoluzione e superamento della metodica della c.d. “zonizzazione”.
Per quanto anche quest’ultima (associata al regime degli standard edilizi di cui all’art. 17 della “L. Ponte” n. 765 del 1967, modificativa della L. urbanistica fondamentale del 1942) costituisse una tappa evolutiva di modernizzazione e razionalizzazione della pianificazione urbanistica – mediante la suddivisione del territorio comunale in varie zone di qualificazione, intervento e destinazione d’uso – rispondente ad un governo territoriale il più possibile ordinato, oggettivo e satisfattivo di tutte le complesse esigenze facenti capo alle comunità locali, se ne sono di essa al contempo riconosciuti i limiti. Rappresentati, da un lato, dalla disparità di trattamento riservata ai proprietari di fondi del tutto omogenei a seconda della casualità della loro ubicazione (tanto da determinare, in condizioni analoghe di partenza, ora effetti sostanzialmente ablativi ed ora vere e proprie rendite di posizione correlate alla edificabilità della zona di assegnazione ed alla sua misura) e, dall’altro, dai costi e dai tempi gravanti sugli enti pubblici attuatori per l’acquisizione espropriativa di determinate aree e la loro trasformazione a destinazione pubblica.
Si tratta di controindicazioni che la c.d. urbanistica consensuale e postvincolistica – a sua volta espressione d’ambito della più ampia nozione definita di amministrazione per accordi – intende evitare o attenuare proprio attraverso il riconoscimento ai proprietari chiamati a concorrere alla pianificazione generale di una posizione giuridica qualificata a fronte della cessione pattizia dei suoli, ovvero della imposizione su di essi di restrizioni o anche di vincoli assoluti di inedificabilità.
E’ appunto l’insieme indistinto di queste posizioni giuridiche qualificate che viene riassuntivamente indicato con il sintagma “diritti edificatori”.
I quali, va detto fin d’ora, non negano, ma anzi presuppongono – consentendone variamente l’esercizio delocalizzato – che lo jus aedificandi costituisca una naturale estrinsecazione del diritto di proprietà del suolo, sebbene sottoposto alle condizioni conformative e di utilità sociale previste dalla legge e dagli strumenti urbanistici, secondo quanto già affermato, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, dalla Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza n. 5/1980, ed ancora recentemente ribadito da queste stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 7454/20.
Il comune denominatore dei diritti edificatori in questione è dato – al di là dei menzionati obiettivi di politica generale nel governo del territorio – dalla loro riconosciuta scorporabilità dal terreno che li ha originati, e dalla conseguente loro autonoma cedibilità negoziale; intendendosi per tale la possibilità – oggi sancita dall’art. 2643, n. 2 bis cit. del loro trasferimento oneroso tra privati indipendentemente dal trasferimento del terreno. E questa autonomia, in assenza di previsioni normative ostative, viene talora concepita ed attuata in termini estremamente ampi, perchè estesi fino alla possibilità di cartolarizzazione del diritto edificatorio (con circolazione assimilabile a quella dei titoli di credito), ovvero anche di sua dematerializzazione (con circolazione attestata dalle annotazioni sui “registri dei diritti edificatori” tenuti dai Comuni così come previsto da talune leggi regionali).
p. 6.3 Nel caso dell’urbanistica perequativa, si ha distribuzione paritetica e proporzionale – tra tutti i proprietari di un determinato ambito territoriale o lotto tanto del vantaggio costituito dalla edificabilità, quanto dell’onere di contribuzione ai costi di riqualificazione, urbanizzazione e realizzazione di aree a servizi di pubblica utilità o verde. In questo modo, a tutti i suoli dell’ambito territoriale di intervento viene riconosciuto un valore edificatorio costante, indipendentemente dalla effettiva e specifica collocazione, all’interno di esso, dei fabbricati assentiti; collocazione che, stante appunto l’effetto distributivo-perequativo, risulta in definitiva indifferente per i singoli proprietari, i cui terreni saranno comunque destinatari di una quota uguale di edificabilità.
Ha osservato Cass. n. 27575/18 (che si è pronunciata proprio sulla tassabilità Ici dei diritti edificatori rinvenienti dalla perequazione, come tra breve si dirà) che: “il meccanismo consiste nell’assegnazione all’insieme delle aree, pur con diverse destinazioni, pubbliche e private costituenti un comparto, di un indice perequativo, inferiore all’indice fondiario attribuito alle aree destinate all’edificazione. Nella sostanza il privato non subisce un vincolo e non è gravato dall’obbligo di soggiacere all’esproprio, ma sarà titolare dell’onere previsto dal piano perequativo il cui assolvimento gli permetterà di partecipare ai vantaggi del piano stesso”.
La perequazione limitata ad un ambito territoriale omogeneo e composto da terreni contigui trova radice in un istituto – quello del comparto edilizio – non nuovo, perchè già previsto nell’art. 870 c.c. e nell’art. 23 della L. urbanistica del 1942.
Accanto a questa modalità di perequazione, c.d. “ristretta”, le legislazioni regionali conoscono tuttavia anche una tecnica di perequazione estesa, in forza della quale l’effetto distributivo, sia della edificabilità sia degli oneri di trasformazione, può coinvolgere anche ambiti territoriali non contigui (dunque non di comparto in senso stretto), eventualmente riferiti all’intero territorio comunale (o anche, come pure talvolta previsto, intercomunale) interessato dalla trasformazione stessa.
I diritti edificatori provenienti da interventi perequativi sono assegnati direttamente dal piano urbanistico e sono negoziabili a seguito dell’approvazione di quest’ultimo, ferma restando la possibilità della PA di procedere ad una successiva revisione del potere di pianificazione.
p. 6.4 Nel caso della compensazione urbanistica (ovvero, come talvolta anche si legge, della perequazione compensativa) la PA attribuisce al proprietario un indice di capacità edificatoria (credito edilizio o volumetrico) fruibile su altra area di proprietà pubblica o privata, non necessariamente contigua e di anche successiva individuazione; ciò a fronte della cessione gratuita dell’area oggetto di trasformazione pubblica, ovvero di imposizione su di essa di un vincolo assoluto di inedificabilità o preordinato all’esproprio.
La compensazione urbanistica – che può prevedere anche diverse forme attuative, ad esempio di permuta tra aree, ovvero di mantenimento in capo al privato della proprietà dell’area destinata alla realizzazione di servizi pubblici, dati al medesimo in gestione convenzionata – può fungere da strumento della pianificazione generale tradizionale (compensazione infrastrutturale), ovvero dipendere dall’esigenza di tenere indenne un proprietario al quale venga imposto un vincolo di facere o non facere per ragioni ambientali-paesaggistiche (compensazione ambientale), come nel caso qui dedotto, segnato da imposizione di vincolo assoluto di inedificabilità ai sensi della L.R. Lazio n. 14 del 2002, concernente l’ampliamento della perimetrazione del parco regionale (OMISSIS).
Il diritto edificatorio proveniente da interventi compensativi può trovare fondamento, ad esempio in ordine alla sua quantificazione, nel piano regolatore generale, ma viene assegnato (ed è dunque trasferibile tra privati) solo all’esito della cessione dell’area o dell’imposizione del vincolo; trattandosi di un istituto con funzione corrispettiva o indennitaria di un’edificabilità soppressa, esso risulta indifferente alle successive variazioni di piano.
Inoltre, mentre il diritto edificatorio di origine perequativa viene riconosciuto al proprietario del fondo come una qualità intrinseca del suolo (che partecipa fin dall’inizio di un indice di edificabilità suo proprio, così come prestabilito e “spalmato” all’interno di un determinato ambito territoriale di trasformazione), il diritto edificatorio di origine compensativa deriva dall’adempimento di un rapporto sinallagmatico in senso lato, avente ad oggetto un terreno urbanisticamente non edificabile, ristorato con l’assegnazione al proprietario di un quid volumetrico da spendere su altra area.
Nel caso del diritto edificatorio di origine compensativa, particolarmente evidente è la progressività dell’iter perfezionativo della fattispecie, dal momento che quest’ultima si articola – seguendo la metafora aviatoria utilizzata in materia dagli urbanisti – in una fase (o area) di “decollo”, costituita dall’assegnazione del titolo volumetrico indennitario al proprietario che ha subito il vincolo; di una fase (o area) di “atterraggio”, data dalla individuazione ed assegnazione del terreno sul quale il diritto edificatorio può essere concretamente esercitato; di una fase di “volo” rappresentata dall’arco temporale intermedio durante il quale l’area di atterraggio ancora non è stata individuata, e pur tuttavia il diritto edificatorio è suscettibile di circolare da sè.
p. 6.5 Va detto che entro il frastagliatissimo contorno dei diritti edificatori rientra anche la fattispecie (del resto, l’unica ad essere specificamente prevista da legge dello Stato: L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 259, che espressamente parla di “aumento di volumetria premiale” da parte dei Comuni) nella quale al privato viene dalla PA attribuito – a titolo straordinario ed aggiuntivo rispetto a quanto già previsto dagli strumenti di pianificazione – un indice edificatorio con scopo di premio, ovvero di incentivo, a fronte dell’esecuzione di interventi di riqualificazione ambientale, architettonica, urbanistica o residenziale reputati virtuosi, perchè eccedenti gli standard minimi e di interesse generale. Nel qual caso si evidenzia la creazione di nuova volumetria, cioè di una volumetria ulteriore e del tutto slegata da quella previgente, invece essenziale alla vicenda compensativa.
Esterna al perimetro dei diritti edificatori propriamente detti deve invece ritenersi la fattispecie, di più risalente vaglio dottrinale e giurisprudenziale, della cessione di cubatura.
In tal caso il trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo avviene – tra privati – a favore di un’area fin dall’inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea.
Non vi è incidenza sulla pianificazione generale, attesa l’invarianza della cubatura complessiva, l’omogeneità delle aree coinvolte e l’estraneità alla cessione in sè della PA (per questo la si ritrova talvolta definita come intervento di “micropianificazione urbanistica ad iniziativa privata”), alla quale sarà tuttavia demandato di assentire il rilascio, a favore del cessionario, del permesso di costruire maggiorato della quota di cubatura trasferita.
Dibattuta è la natura giuridica dell’istituto – rilevante per varie imposte, dirette ed indirette – tra realità ed obbligatorietà; ma si tratta di questione sulla quale queste SSUU dovranno prossimamente tornare ex professo a seguito dell’ordinanza di rimessione recentemente emessa dalla Sezione Tributaria (n. 19152 del 15 settembre 2020), alla cui ampia ricostruzione interamente qui si rinvia.
p. 7.1 Venendo allo specifico quesito posto dall’ordinanza di rimessione, deve escludersi la imponibilità Ici, come area edificabile, del terreno dal quale origina il diritto edificatorio compensativo.
Premesso che la disciplina Ici funge, nell’ambito della fiscalità locale, da matrice di riferimento anche per i tributi che si sono ad essa succeduti (D.Lgs. n. 23 del 2011, Imu; L. n. 147 del 2013, Iuc-Tasi; L. n. 160 del 2019, nuova Imu) e che hanno accolto la medesima nozione di area fabbricabile, la fattispecie impositiva è incentrata, da un lato, sulla tassativa ed esaustiva elencazione dei beni immobili colpiti (fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli) e, dall’altro, su una relazione di realità con tali immobili.
E’ vero che la disciplina dell’Ici conosce anche sconfinamenti tanto in senso personalistico (come nel regime delle esenzioni di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, talvolta facente richiamo non alle caratteristiche oggettive del bene immobile ma alla qualità soggettiva del suo possessore), quanto in senso obbligatorio (come nell’imposizione a carico dell’utilizzatore in leasing, ex art. 3, comma 2 L. cit.), e tuttavia si tratta di previsioni di natura eccezionale e derogatoria rispetto agli elementi costitutivi generali del tributo che, dal punto di vista tanto della legittimazione soggettiva passiva (proprietario o titolare di diritto reale su l’immobile), quanto del presupposto obiettivo (possesso di fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli) fanno inequivoco riferimento al sostrato reale dell’imposta (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1,2,3).
E questo sostrato reale fa certamente difetto nel caso del diritto edificatorio compensativo.
Si sono già posti in evidenza (p. 6.1) gli ostacoli di “decentramento” normativo alla individuazione di un diritto assoluto di natura reale – i cui elementi identificativi andrebbero poi riferiti ad uno dei diritti reali già disciplinati dal codice civile, salvo che ci si voglia avventurare, ma senza alcuna sicura guida legislativa, nel definirne uno nuovo, in deroga al numero chiuso che impronta la materia – sulla base di una normazione di fonte non statuale che sfugge a qualsiasi pratica possibilità di riconduzione ad unitaria definizione e compattezza caratteristica. E ciò, va notato, con riguardo non solo alla legge di circolazione dei diritti in esame, rispetto alla quale l’eterogeneità di discipline è spinta al massimo grado, ma anche al loro nucleo contenutistico.
Del resto, evidente è la distanza dei diritti in esame dai diritti reali tipici che più potrebbero ad essi teoricamente avvicinarsi, quali la servitù o la superficie.
Quanto alla prima, non si riscontra nella fattispecie in esame alcun rapporto di dominanza-asservimento, quanto di scambiabilità, tra i fondi correlati; nè le nozioni qualificanti di utilità e vicinitas (sebbene valutate nella massima ampiezza di accezione, funzionale e non topografica, tradizionalmente accolta dalla giurisprudenza) potrebbero riferirsi ad un’area, quella di arrivo, ancora da individuarsi.
Quanto alla seconda, difetta l’elemento essenziale dell’esercizio del diritto reale su cosa altrui mediante superamento del vincolo dell’accessione, venendo qui in discussione l’alterità oggettiva dei luoghi di produzione e di esercizio dello jus aedificandi in capo ad un medesimo titolare, e non l’alterità soggettiva tra proprietario del fondo e proprietario dell’edificio che ad esso acceda.
Ciò che tuttavia sembra rappresentare un ostacolo davvero invalicabile nell’affermare la natura reale del diritto edificatorio in questione, è il suo totale distacco dal fondo di origine e la sua conseguente perfetta ed autonoma ambulatorietà.
Caratteri, questi, che ben si accordano con la funzione da esso assolta, costituita appunto – come si è detto – dall’attribuzione al proprietario del fondo, alternativa all’esproprio, di un’utilità giuridica ed economica che lo tenga indenne dalla decurtazione subita per effetto dell’imposizione del vincolo su un terreno originariamente edificabile. Sicchè, da questo necessitato punto di vista, il diritto edificatorio compensativo non costituisce nulla di diverso da una indennità ripristinatoria – in moneta urbanistica – di un patrimonio inciso, che il proprietario può valorizzare sul mercato indipendentemente dal suolo generatore; il quale, del resto, potrebbe risultare ormai privo di qualsivoglia appetibilità commerciale e, anzi, nemmeno più appartenergli, come nel caso in cui il diritto gli fosse attribuito a fronte della cessione spontanea dell’area.
Non può negarsi che la fattispecie presenti una necessaria duplice connessione fondiaria nel richiedere che il diritto edificatorio scaturisca da un terreno (di decollo) per poi essere esercitato su un altro terreno (di atterraggio); ma si tratta di una connessione funzionale estrinseca e non ricostruibile in termini di realità, dal momento che il diritto, o credito, edificatorio che dir si voglia – proprio per lo scopo compensativo e l’autonomia che gli sono coessenziali – non è inerente nè immediatamente pertinente al fondo di partenza, di cui neppure costituisce una qualità intrinseca atta ad essere economicamente valorizzata solo nel trasferimento congiunto con esso.
Il difetto di inerenza in senso giuridico (tanto civilistico quanto tributario) si evidenzia in maniera addirittura eclatante in quello che è il segmento più critico, e rivelatore, della fattispecie, appunto quello del “volo”; allorquando il diritto di costruire non può più essere esercitato sul fondo di origine, e non può ancora essere esercitato sul fondo di destinazione perchè non ancora assegnato nè, forse, individuato.
Un sostrato di natura reale non può essere recuperato nemmeno facendo ricorso alla figura della obbligazione “propter rem”. A tacere delle incertezze dogmatiche che ancora gravano sull’istituto, basterà osservare come faccia anche in tal caso difetto una adeguata ed univoca descrizione normativa, sul presupposto che: “le obbligazioni “propter rem”, al pari dei diritti reali, dei quali sono estrinsecazione, non sono una categoria di rapporti innominati, ma sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge” (Cass. n. 25673/18, così Cass. n. 4572/14 ed altre).
Ma poi, non sfugge come nel caso del diritto edificatorio sia escluso, potremmo dire “per definizione”, il diritto di seguito con il terreno, a sua volta basato su una nozione di inerenza obbligatoria con esso qui non concepibile; inoltre l’obbligazione propter rem costituisce pur sempre un vincolo debitorio per il proprietario il quale nel caso del diritto edificatorio è, all’esatto contrario, non debitore ma creditore verso l’amministrazione comunale che gli ha promesso l’edificazione compensativa da un’altra parte.
Resta da valutare l’incidenza dell’inserimento dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori nel regime generale di trascrivibilità degli atti relativi ai beni immobili, ex art. 2643 cit..
Il dato normativo in esame, pur ideologicamente assai significativo per le già evidenziate ragioni di recepimento e valutazione di meritevolezza da parte dell’ordinamento statuale, non è tuttavia dirimente nel senso della realità dell’istituto, ove si consideri che da esso, eccezion fatta per l’ampia dizione di diritti suscettibili di divenire oggetto di contratti, non si trae alcun utile elemento definitorio di contenuto ed effetti in tal senso (si limita la norma a semplicemente rinviare a quanto previsto dalle corrispondenti discipline statali o regionali, ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale), e che, per altro verso, lo stesso regime in questione ben conosce la trascrivibilità anche di atti ad effetto meramente obbligatorio, quali la locazione ultranovennale o il contratto preliminare (art. 2645 bis c.c.).
Con la disposizione in questione, in definitiva, i diritti edificatori vengono sì enunciati quali istituti dell’ordinamento giuridico, ma non riempiti di sostanza reale.
p. 7.2 Come ricordato, le sezioni unite della Corte di Cassazione si sono già occupate della nozione di edificabilità ai fini Ici, affermando il seguente principio di diritto (Cass. SSUU n. 25506/06): “in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. f). L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”.
In primo luogo, la pronuncia in questione rende nitida l’autonomia della nozione di edificabilità in senso tributario da quella in senso urbanistico: “diverse, infatti, sono le finalità della legislazione urbanistica rispetto a quelle della legislazione fiscale. La prima tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e, quindi, lo jus aedificandi non può essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilità degli interessi individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello jus aedificandi, fino al perfezionamento dello stesso. Ne consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi possono essere legittimamente differenti”.
In secondo luogo, essa svolge, proprio in nome di quell’autonomia e della referenzialità economica sempre sottesa al diritto tributario ex art. 53 Cost., un’analisi appunto economica del diritto di edificare, attribuendo rilevanza impositiva anche al solo avvio della procedura amministrativa finalizzata alla edificabilità, posto che questo solo avvio costituisce, da un lato, motivo di interesse ed apprezzamento da parte del mercato (dunque fattore di incremento patrimoniale) e, dall’altro, manifestazione di ricchezza e capacità contributiva: “non bisogna confondere lo jus aedificandi con lo jus valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull’avvio di tali procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si può valutare un suolo considerato a vocazione edificatoria, anche prima del completamento delle relative procedure. Anche perchè i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al ribasso. In definitiva, la equiparazione legislativa di tutte le aree che non possono considerarsi “non inedificabili”, non significa che queste abbiano tutte lo stesso valore. Con la perdita della inedificabilità di un suolo (cui normalmente, ma non necessariamente, si accompagna un incremento di valore) si apre soltanto la porta alla valutabilità in concreto dello stesso”.
Certo rimane il nodo di misurare l’incremento patrimoniale così determinato dall’avvio della procedura amministrativa di edificazione, ma questo non è un problema giuridico, bensì economico di mera determinazione della base imponibile secondo il valore venale; esso va risolto con una formula (ripresa anche da C.Cost. ord. 41/2008) che è solo in apparenza un ossimoro, là dove implica che si prenda in considerazione, in una con l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, la “minore o maggiore attualità” della “potenzialità edificatoria” espressa dal terreno.
Orbene, ferma restando la rilevanza concettuale della distinzione tra edificabilità in senso tributario ed edificabilità in senso urbanistico, quanto stabilito dalle sezioni unite nel 2006 (innumerevoli volte ribadito dalla giurisprudenza successiva) non fornisce, a ben vedere, elementi interpretativi utili a risolvere il quesito che ci interessa.
Ciò perchè in quel caso le sezioni unite si occuparono di una problematica del tutto diversa dalla presente perchè segnata, per un verso, dal dubbio sul momento (anche prima dell’approvazione regionale e degli strumenti urbanistici attuativi) nel quale un’area interessata da un intervento di pianificazione urbanistica debba considerarsi edificabile (in senso tributario) e, per altro, dalla pacifica esercitabilità in situ della edificabilità così individuata (costituente senz’altro, in quel caso, una qualità caratteristica ed intrinseca del bene); dunque, si era di fronte ad un fenomeno di ordinaria fruizione della edificabilità sullo stesso suolo oggetto di tassazione, mentre la peculiarità del caso qui in esame è proprio data dallo scorporo di questa fruizione, altrove rivolta.
E’ ben vero che quanto allora stabilito dalle sezioni unite in ordine alla rilevanza tributaria della mera “potenzialità edificatoria” ed anche al metro della sua quantificazione, paiono poter esercitare qualche suggestione anche sul problema di oggi. Ciò perchè anche la sola attribuzione di un diritto edificatorio compensativo incrementa (alla stessa maniera del solo avvio della procedura amministrativa di edificabilità) il patrimonio del proprietario del suolo con l’obiettivo di reintegrarlo in tutto o in parte al livello antecedente alla inedificabilità, e può risultare essa stessa dotata di minore o maggiore appetibilità di mercato. In ottica di imposizione, anche in tal caso il problema dovrebbe risolversi con la misurazione di questo incremento patrimoniale.
Si tratta di un profilo messo in evidenza anche dall’ordinanza di rimessione la quale osserva che, specialmente nella fase del “volo”, questa misurazione può però risultare addirittura impossibile, essendo il più delle volte ignota l’area di destinazione, ed imprevedibili i tempi (spesso notoriamente assai lunghi) della sua effettiva assegnazione da parte della PA.
E tuttavia, ciò che osta alla tassazione Ici non è la difficoltà di stima – e neppure la non irragionevole eventualità che, in considerazione dell’alto grado di indeterminatezza della fattispecie di assegnazione sostitutiva dell’edificabilità, il valore economico del diritto edificatorio possa risultare per molte annualità di fatto pari o prossimo allo zero – quanto, ed a differenza del tema già affrontato dalle sezioni unite, proprio l’ontologica autonomia giuridica ed economica del diritto edificatorio rispetto al suolo dal quale emana.
In altre parole, mentre là il problema era di base imponibile, qui è di presupposto dell’imposizione.
Tanto che nella fattispecie oggi in esame non si giungerebbe ad una soluzione diversa dalla non tassabilità neppure in quei casi nei quali (come pure è ipotizzabile) il controvalore economico del diritto edificatorio risultasse invece di fatto facilmente accertabile ed anche di significativa consistenza perchè, al contrario, intercettato in una annualità di avvenuta o imminente individuazione di tutti gli elementi satisfattivi della compensazione edificatoria (area di atterraggio; volumetria edificabile; tempi di edificazione, oneri di urbanizzazione ecc…).
Si dirà che l’effetto compensativo o indennitario è tale proprio perchè in grado di sostitutivamente reintegrare il patrimonio del proprietario del terreno, privato della edificabilità; il che, per un’imposta di tipo patrimoniale qual è l’Ici, non può risultare del tutto ininfluente (sempre che, ovviamente, permanga la legittimazione passiva al tributo perchè il diritto edificatorio non è stato ceduto a terzi ma si rinviene ancora, abbinato al terreno, all’interno di quel patrimonio).
Questa obiezione non convince. Ciò non perchè si dubiti che il diritto di edificare altrove, proprio in quanto utilità patrimoniale economicamente apprezzabile, costituisca in effetti un indice di ricchezza e, in definitiva, una manifestazione di capacità contributiva che può tenere luogo della edificabilità soppressa, ma perchè la sola espressione di ricchezza e la sola capacità contributiva – colte in natura non possono bastare, evidentemente, a legittimare il prelievo senza il filtro di una fattispecie normativa che lo contempli e lo regoli; per giunta, con i caratteri di legalità, certezza, determinatezza, tassatività, prevedibilità propri della norma tributaria di tipo impositivo. Là dove, altrimenti ragionando, si verrebbe a creare in via interpretativa – e con riguardo ad un’imposta patrimoniale speciale, in quanto strutturata sul possesso di certi beni soltanto – una fattispecie impositiva altra rispetto a quella concepita dal legislatore del D.Lgs. n. 504 del 1992, perchè estesa ad un bene (il diritto edificatorio) diverso da quelli espressamente lì considerati (fabbricati, terreni edificabili, terreni agricoli).
Si tratterebbe di soluzione certo portatrice di seri dubbi di compatibilità anche ex art. 23 Cost..
Come si è detto, alcuni recenti precedenti di legittimità (Cass.nn. 15693/17, 15700/17, 27575/18 cit.) hanno affermato – con riguardo ad una fattispecie oggettivamente più vicina a quella qui in esame – la tassabilità Ici di terreni fatti oggetto di perequazione urbanistica, ciò proprio con richiamo al criterio della rilevanza tributaria della mera potenzialità edificatoria di cui alle sezioni unite del 2006; potenzialità edificatoria ravvisata nell’attribuzione di un indice perequativo costante di edificabilità ai suoli ricompresi nel comparto o, comunque, nell’area interessata dal piano di intervento.
Si osserva nella già citata Cass. n. 27575/18 che: “la perequazione è una tecnica urbanistica volta ad attribuire un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà che possono concorrere alla trasformazione urbanistica di uno o più ambiti del territorio comunale. La caratteristica di tale tecnica risiede nel fatto che si prescinde dall’effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà e dalla imposizione di vincoli di inedificabilità apposti, al fine di garantire all’amministrazione la disponibilità di spazi da destinare ad opere collettive. Ne deriva che i proprietari partecipano in misura uguale alla distribuzione dei valori e degli oneri correlati alla trasformazione urbanistica”; e, inoltre, che “(…) il meccanismo della perequazione urbanistica deve essere coniugato con il presupposto di applicazione del tributo. Va, infatti, condivisa la consolidata giurisprudenza per la quale, ai fini Ici, ciò che rileva è l’edificabilità in astratto del suolo, ovvero la sua potenzialità edificatoria, anche non immediatamente attuabile, purchè il suolo sia incluso in un PRG anche semplicemente adottato”.
Ancora, si legge in Cass. n. 15693/17 cit. che: “lo strumento attuativo comunale del piano di comparto, con indice di fabbricabilità omogeneo, consente al proprietario di una specifica porzione di suolo, compreso nel perimetro del medesimo comparto, di concorrere alla formazione di volume edificabile, indipendentemente dalla destinazione d’uso prevista sull’area specifica, così come dei vincoli su quest’ultima esistenti, (…)”; e che “quanto sopra esposto appare del tutto coerente con l’istituto del comparto che, nell’ambito della c.d. urbanistica perequativa (cfr. L. n. 662 del 1996), mira a soddisfare l’insopprimibile esigenza di legare tra loro i singoli proprietari entro un ambito spaziale più ampio di quello dei singoli lotti, al fine di consentire la realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, permettendo così ai proprietari di territori di accordarsi tra di loro riguardo alla concentrazione di volumetrie all’interno di una determinata area, in modo tale da non creare svantaggi per alcuno”.
Neppure quanto osservato in questi precedenti di legittimità sembra attagliarsi appieno al tema in esame, essendosi già anticipati (p. 6.4) – assieme alla impraticabilità, a fronte di una così marcata diversificazione fenomenica, di una soluzione unitaria del problema sia della natura giuridica sia della imponibilità dei diritti edificatori globalmente considerati – i fattori di distinzione ed autonomia, posti in luce anche dalla dottrina, tra urbanistica perequativa ed urbanistica compensativa.
La prima è avulsa da qualsiasi obiettivo restitutorio di una originaria edificabilità, si produce direttamente e preventivamente dal piano urbanistico (e non in contropartita della specifica assegnazione o cessione volontaria dell’area al Comune come nel caso di compensazione) e comporta la generalizzata, preordinata e diffusa attribuzione di un indice perequativo con effetto diretto sul terreno interessato in quanto facente parte del comparto di intervento. Ancorchè si verta, in entrambi i casi, di volumetria non esercitabile direttamente sul fondo, resta che solo nella perequazione l’indice di edificabilità viene attribuito “al fondo” divenendo una qualità intrinseca di questo, e solo nella perequazione la fattispecie di edificabilità può dirsi perfetta fin dall’origine, non necessitando di successiva individuazione ed effettiva assegnazione di aree surrogatorie di atterraggio.
E’ dunque nella compensazione – e non nella perequazione – urbanistica che si assiste alla massima volatilità dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo.
Ed è su questi presupposti, ed in forza di una nozione di inerenza reale e non virtuale, che il ricordato indirizzo di legittimità giunge a qualificare come edificabile ai fini Ici il terreno assegnatario dell’indice perequativo, così da sussumere la fattispecie ancora all’interno della previsione impositiva tipica.
p. 7.3 In definitiva, va stabilito che “un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta, non è da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, dal momento che quest’ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso”.
In applicazione di questo principio di diritto risulta fondato il primo motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale si è da esso discostata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario della società contribuente ed annullamento dell’atto impositivo. La controvertibilità della questione depone per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e decide nel merito mediante accoglimento del ricorso originario della società contribuente ed annullamento dell’atto impositivo; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 22 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020