RIDIMENSIONATA LA SOGGETTIVITÀ GIURIDICA DEL CONDOMINIO: I SINGOLI CONDOMINI LEGITTIMATI AD AGIRE A TUTELA DELLE PARTI COMUNI

Nonostante la crescente configurabilità del condominio come “centro di imputazione” di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale nelle controversie aventi ad oggetto un diritto comune, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, nèé di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore. Questo orientamento, salvi i poteri di rappresentanza dell’amministratore di cui all’art. 1131 c.c., trova il suo perdurante ancoraggio nella natura degli interessi in gioco nelle cause relative ai diritti dei singoli sulle parti comuni o sui propri beni facenti parte del condominio. Né potrebbe essere diversamente, poiché: a) si discute di diritti reali; b) sussistono molteplici realtà condominiali in cui non è imposta obbligatoriamente la nomina di un amministratore (art. 1129 c.c., comma 1); c) difetta una precisa scelta del legislatore che investa esplicitamente ed esclusivamente il condominio (e il suo amministratore) del potere di difendere le parti comuni (e i riflessi sulla proprietà dei singoli).

 

 

Fatti di causa

1) Il giudizio ha avuto origine nel luglio 2004 dalla azione del Condominio di (omissis) , volta alla riduzione in pristino delle opere realizzate dalla condomina P. , proprietaria degli ultimi tre piani dell’edificio, in violazione dell’art. 3 del regolamento condominiale, nonché alla tutela della servitù di passaggio in favore di parti comuni, esercitata mediante una scala esterna corrente tra il quarto ed il quinto piano.
Il Tribunale ha accolto integralmente le domande del Condominio.
In particolare ha ritenuto che il Regolamento vietava le opere che avevano inciso sulle facciate, sui prospetti e sull’estetica del fabbricato a prescindere dalla lesione del decoro architettonico; che la convenuta, in violazione della servitù esistente in favore del Condomino, aveva illecitamente rimosso la scala esterna che dal quarto piano conduceva al locale pulegge di rinvio dell’ascensore e al terrazzo di copertura del super attico, realizzando una scala interna tra quarto e quinto piano internamente all’abitazione, così rendendo più difficoltoso l’esercizio della servitù, dovendo i condomini accedere all’abitazione per raggiungere il terrazzo.
Sull’appello di P.M.L. , la Corte d’Appello di Roma ha confermato che l’art. 3 del regolamento di condominio, vietando “qualsiasi opera che modifichi le facciate, i prospetti e l’estetica degli edifici”, precludeva ogni modifica. I giudici di secondo grado hanno altresì negato la legittimità del distacco della P. dall’impianto centrale di riscaldamento, in forza degli artt. 3 e 10 del medesimo regolamento.
La Corte di Roma ha per contro accolto l’appello della condomina quanto al difetto di prova di un aggravamento della servitù conseguente allo spostamento all’interno dell’appartamento della scala di accesso al piano quinto.
1.1) Avverso la sentenza del 21 novembre 2014, n. 7179, la signora P. ha proposto ricorso con due motivi, cui il Condominio ha resistito con controricorso.
La condomina A.A. ha proposto ricorso incidentale, articolato in due motivi.
P. si è difesa con controricorso al ricorso incidentale.
La causa, trattata con rito camerale davanti alla Sesta sezione è stata rinviata alla pubblica udienza davanti alla Seconda sezione e successivamente è stata rimessa, con ordinanza 27101 del 15 novembre 2017, al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.
L’ordinanza ha rilevato che è controversa la configurabilità del diritto della condomina A. , che non aveva svolto difese nei gradi di merito, di interporre ricorso incidentale tardivo volto a far rimuovere l’opera in quanto contraria al Regolamento condominiale.
Sono state depositate memorie.

 

Ragioni della decisione

2) L’ordinanza di rimessione n. 27101/17 dubita della ammissibilità del ricorso incidentale tardivo della condomina A. , che non era stata parte nei gradi di merito.
Essa ricorda che secondo un insegnamento tradizionale, documentato dai precedenti ivi citati, è stata costantemente reputata ammissibile “l’impugnazione, da parte del singolo partecipante, della sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio, sull’assunto che il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto le cose comuni nella loro interezza, non rilevando, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione da parte dell’amministratore, senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti (o non ricorrenti), nè intervenienti, e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo (o di secondo) grado nei confronti di questi ultimi”.
Le perplessità della Seconda sezione sono state indotte dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 19663/2014, con la quale si è stabilito che la legittimazione ad agire per l’equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea dei condomini.
La sentenza citata, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza della legittimazione ad agire del singolo condomino per conseguire l’indennizzo ex L. n. 89 del 2001 in controversia in cui era stato parte il solo condominio, ha sviluppato due ordini di considerazioni. Una prima linea di ricerca volta ad individuare la configurabilità in capo al condominio di una “soggettività giuridica autonoma”; la seconda intesa a verificare quale sia stato il trattamento riservato dalla legge e dalla giurisprudenza ad altre situazioni di soggetti collettivi in riferimento al diritto di cui sopra.
Sotto il primo versante le Sezioni unite 19663/14 hanno verificato che anche con la riforma dell’istituto condominiale di cui alla L. n. 220 del 2012 è stato escluso il “riconoscimento della personalità giuridica” del condominio, pur avendo esse rintracciato elementi che “vanno nella direzione della progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pure attenuata personalità giuridica”. Hanno dato conto della giurisprudenza che fa salvo il diritto dei singoli condomini di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale. Hanno preso atto della acuta distinzione giurisprudenziale con riguardo alle controversie che, avendo ad oggetto non diritti su un bene comune ma la sua gestione, sono intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, controversie per le quali non trova applicazione la salvaguardia dei poteri processuali del singolo (di agire, intervenire, impugnare) in difesa dei diritti connessi alla sua partecipazione.
Infine le Sezioni Unite del 2014 si sono spinte a registrare che questa impostazione “entra in crisi” in relazione alla crescente configurabilità del condominio come “centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale”.
2.1) Posta questa base ricognitiva circa la possibilità che in relazione a talune situazioni giuridiche il condominio si atteggi come autonomo soggetto giuridico, il secondo versante della sentenza è risultato decisivo in ordine alla legittimazione dei singoli circa i procedimenti relativi all’equa riparazione. Si è concluso, grazie a una puntuale analisi del rapporto tra diritto all’indennizzo ex L. n. 89 del 2001 e formale assunzione della qualità di parte processuale nel giudizio presupposto, che in assenza di quest’ultima non sorge il diritto del condomino a pretendere “il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole di detto giudizio”.
Secondo i primi commentatori, nonostante le aperture manifestate verso l’estensione della soggettività condominiale, la sentenza qui riassunta, che pure registra un inizio di crisi del sistema, è rimasta nel solco della “impostazione tradizionale”. Questa condivisibile lettura sorregge il convincimento odierno che la portata di SU 19663/14 vada circoscritta alla peculiare situazione giuridica esaminata, cioè a quel diritto all’equa riparazione regolato dalle disposizioni sovranazionali prima ancora che da quelle nazionali di impronta applicativa. A questo complesso normativo la sentenza del 2014 ha infatti prestato speciale attenzione.
3) Quanto alla impostazione tradizionale, va subito detto che essa valorizza l’assenza di personalità giuridica del condominio e la sua limitata facoltà di agire e resistere in giudizio tramite l’amministratore nell’ambito dei poteri conferitigli dalla legge e dall’assemblea e per questa via giunge ad attribuire ai singoli condomini la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti comuni e di quelli personali.
Dello stesso segno è la giurisprudenza successiva a SU 19663/14, giurisprudenza che ha continuato a ritenere che nelle controversie aventi ad oggetto un diritto comune, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, nè di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore (cfr, anche argomentando a contrario, Cass. 29748/17; n. 1208 del 18/01/2017; n. 26557 del 09/11/2017, Rv. 646073; n. 22856/17; n. 4436/2017; n. 16562 del 06/08/2015; 10679/15).
3.1) Questo orientamento, salvi i poteri di rappresentanza dell’amministratore di cui all’art. 1131 c.c., trova il suo perdurante ancoraggio nella natura degli interessi in gioco nelle cause, come quella odierna, relative ai diritti dei singoli sulle parti comuni o sui propri beni facenti parte del condominio.
Una volta riscontrato che il legislatore ha respinto in sede di riforma dell’istituto – lo testimonia il confronto tra testo provvisorio e testo definitivo della L. n. 220 del 2012 – la prospettiva di dare al Condominio personalità giuridica con conseguenti diritti sui beni comuni, è la natura dei diritti contesi la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella difesa in giudizio dei diritti vantati su tali beni.
Sebbene la riflessione corrente e anche la massimazione delle sentenze più rilevanti in argomento giungano all’affermazione dei poteri processuali dei singoli condomini muovendo dalla formula descrittiva di successo secondo cui il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, e dall’analisi dei poteri dell’organo rappresentativo unitario (amministratore), si può osservare che questi rilievi valgono solo ad escludere che da queste fonti (natura del condominio e poteri dell’amministratore) derivino limiti alle facoltà dei singoli.
La ratio dei poteri processuali dei singoli condomini risiede tuttavia – è possibile coglierlo nella giurisprudenza più risalente – nel carattere necessariamente autonomo del potere del condomino di agire a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, e di resistere alle azioni da altri promosse anche allorquando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio (Cass. 8479/99).
Si diceva infatti – non a caso – che è il diritto dell’amministratore che si aggiunge a quello dei naturali e diretti interessati ad agire per il fine indicato a tutela dei beni dei quali sono comproprietari, insidiati da azioni illegittime di altri condomini o di terzi (Cass. n. 11106 del 12/12/1996; 9629/91).
Nè potrebbe essere diversamente, poiché: a) si discute di diritti reali; b) sussistono molteplici realtà condominiali in cui non è imposta obbligatoriamente la nomina di un amministratore (art. 1129 c.c., comma 1); c) difetta una precisa scelta del legislatore che investa esplicitamente ed esclusivamente il condominio (e il suo amministratore) del potere di difendere le parti comuni (e i riflessi sulla proprietà dei singoli).
Tale scelta non è allo stato rinvenibile ed anzi il quadro normativo di riferimento evidenzia, come nota la dottrina a commento di SU 19663/14, la complessità della “dialettica tra interesse condominiale ed interesse del singolo condomino”, che si pone talvolta in termini di “reciproco contemperamento” tal’altra in termini di contrapposizione o “di prevalenza dell’uno sull’altro”. Basti qui ricordare che anche il nuovo art. 1117 quater c.c., in tema di tutela delle destinazioni d’uso, non solo non esclude ma addirittura contempla esplicitamente un potere di iniziativa dei singoli condomini.
4) Il mantenimento della tradizionale facoltà dei singoli condomini è coerente con alcuni insegnamenti in materia provenienti dalle Sezioni Unite.
Occorre richiamare Cass. SU 18331 (e 18332) del 2010, la quale ha configurato i poteri rappresentativi processuali dell’amministratore coordinandoli, per subordinazione, con quelli dell’assemblea. Si è in quell’occasione chiarito che il potere decisionale in materia di azioni processuali spetta “solo ed esclusivamente all’assemblea” che può anche ratificare ex tunc l’operato dell’amministratore, “organo meramente esecutivo” del condominio”, che abbia agito senza autorizzazione.
Al di là dell’ambito di applicazione di questa pronuncia, che non è qui necessario indagare, mette conto evidenziare che allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non può negarsi la legittimazione alternativa individuale.
Non sarebbe concepibile la perdita parziale o totale del bene comune senza far salva la facoltà difensiva individuale.
Le Sezioni Unite con la sentenza 25454 del 2013 relativa ad azione di un condomino volta all’accertamento della natura condominiale di un bene hanno già avuto modo di affermare, con un esame approfondito della questione, che occorre integrare il contraddittorio nei riguardi di tutti i condomini qualora il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva formulando un’apposita domanda riconvenzionale volta ad ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato che mette in discussione la comproprietà degli altri soggetti (più di recente v. Cass. n. 6649 del 15/03/2017).
Altrettanto vale allorché vi sia espressa azione in tal senso contro il condominio o qualora l’amministratore condominiale introduca un’azione che esula dalle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c. e dalla sfera di rappresentanza attribuitagli dall’art. 1131 c.c., come nel caso di una domanda diretta alla declaratoria di esistenza di una servitù di passaggio su fondo limitrofo, la quale introduce una controversia concernente l’estensione del diritto di ciascun condomino in dipendenza dei rispettivi acquisti (così Cass. 12678/2014 in Arch. Loc., 2014, 546).
Se è configurabile il litisconsorzio necessario in questi casi, non può dubitarsi che per il singolo condomino sussista l’interesse ad agire o a resistere – e quindi la facoltà di affiancarsi all’amministratore per far valere in sede processuale le ragioni del condominio – ogniqualvolta la contesa involga la consistenza dei beni comuni.
La regola sulla rappresentanza di cui al 1131 c.c. ha il fine di agevolare l’instaurazione del contraddittorio, dal lato attivo e passivo, e va letta dunque alla luce del predominante potere assembleare nella vita del condominio e della titolarità dei diritti controversi.
5) In considerazione di quanto sopraesposto è configurabile la legittimazione concorrente della condomina A. , che ha svolto ricorso incidentale tardivo.
I ragionamenti svolti circa la legittimazione dei singoli condomini in relazione ai diritti reali che fanno capo alle parti comuni del Condominio vanificano anche il dubbio secondario posto dall’ordinanza 27101/17.
Essa ha interpellato le Sezioni unite circa il potere della condomina in relazione al principio della consumazione della impugnazione (tra le altre v. Cass. 4249/15), situazione che potrebbe essersi configurata con il deposito del mero controricorso da parte della difesa del condominio.
L’ipotesi muove dal presupposto che condominio e condomino siano proprio “la stessa parte”, dovendo invece più esattamente parlarsi di legittimazione concorrente, pur se, si badi, il condomino che sopraggiunga in giudizio si giova e subisce i limiti delle difese spese fino a quel momento in giudizio dal Condominio stesso.
Il ricorso incidentale ha nella specie ad oggetto precipuo l’unico capo della sentenza di appello favorevole alla ricorrente principale (già appellante) P. . Detto capo è relativo alla servitù di passaggio che gravava sulla scala esterna di collegamento tra quarto e quinto piano eliminata dalla ricorrente principale. La Corte di appello ha escluso che sussista un aggravamento della servitù di passaggio e ha rigettato sul punto la domanda di riduzione in pristino.
Ne consegue, in relazione al peculiare atteggiarsi dei rapporti condominiali, che, essendo oggetto del ricorso incidentale un diritto afferente alla sfera di ogni singolo condomino, ciascuno di essi può autonomamente far valere la situazione giuridica vantata. A tal fine può avvalersi personalmente dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio (Cass. 10717/11; 3900/2010; 21444/10; 9213/05;), inserendosi nel processo, delimitato quanto all’oggetto dall’evoluzione maturata, cioè nello stato in cui vi interviene, ma con intatta la facoltà di spiegare il mezzo di impugnazione. Al controricorso individuale può dunque accedere il ricorso incidentale che, nei limiti della materia del contendere incorniciata in fase di merito, risponda alla autonoma facoltà azionata, senza risentire dell’analoga difesa già svolta dal condominio e dunque dei limiti ventilati dall’ordinanza.
6) Conviene a questo punto soffermarsi sul ricorso incidentale, che si articola in due motivi e risulta in parte inammissibile e in parte infondato.
Con il primo motivo la ricorrente incidentale lamenta violazione dell’art. 3 del Regolamento di condominio e dell’art. 1117 c.c. lamentando che la Corte di appello abbia escluso un aggravamento della servitù di passaggio costituita in favore di talune porzioni condominiali a causa dello spostamento all’interno dell’appartamento della scala esterna di collegamento al piano quinto.
Secondo parte A. questa decisione sarebbe in contraddizione con la statuizione, confermata dalla Corte territoriale, di riduzione in pristino delle opere abusive realizzate dalla P. in violazione del regolamento condominiale.
Il motivo si rivela per più profili non meritevole di accoglimento. Esso non si confronta con i fatti e l’inquadramento della domanda che si desumono dalla sentenza della Corte di appello. Essa ha riferito (pag. 1 in fondo e inizio pag. 2) che il Condominio aveva agito – oltre che per il ripristino delle trasformazioni effettuate in violazione del Regolamento – anche per lamentare che l’eliminazione della scala esterna tra il piano quarto e il piano quinto si poneva in violazione della servitù di passaggio anzidetta. Ha riferito anche che la domanda relativa alla servitù era stata accolta dal tribunale perché lo spostamento all’interno “rendeva più difficoltoso l’esercizio della servitù di passaggio spettante al Condominio”; che l’atto di appello della P. aveva contestato la configurabilità di detto aggravamento.
La Corte di appello ha accolto questo capo di impugnazione perché di per sé lo spostamento della scala dall’esterno all’interno non configura un aggravamento di servitù e perché non erano state allegate dal Condominio circostanze tali da “configurare come pregiudizievole il transito attraverso locali interni piuttosto che salendo anche sulla pregressa scala esterna”.
In relazione a questa domanda, che, stando alla sentenza impugnata, poneva rispetto alla prima domanda un profilo autonomo di illegittimità della sola parte di opere afferente la scala, la decisione è congrua e non è in contraddizione con l’esito – favorevole al condominio (non a caso acquetatosi) – della domanda di rispristino, giacché esse si muovevano su piano separato, ancorché convergente quanto allo scopo finale.
Parte P. aveva interesse a censurare in appello, unitamente alla statuizione relativa alla illegittimità delle opere per violazione del Regolamento, anche la pronuncia relativa alla violazione della servitù, violazione che è stata riconosciuta insussistente.
6.1) Rispetto a tale decisione risultano peraltro non pertinenti le censure di violazione di legge che sono state svolte.
Parte A. denuncia infatti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 3 del Regolamento di condominio, come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto (per tali intendendosi soltanto quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico), e non di disposizione avente, piuttosto, natura organizzativa o contrattuale. L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, per contro, sindacabile in cassazione soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per difetti logici sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 23/01/2007, n. 1406; Cass.14/07/2000, n. 9355).
Parimenti inconferente è il richiamo alla violazione dell’art. 1117 c.c., in quanto la ricorrente incidentale non deduce alcuna erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta in tema di oggetto della proprietà comune, nè quindi pone alcun problema interpretativo dell’art. 1117 c.c., in quanto lamenta, forse, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, da intendersi, a suo dire, come innovazione illegittima delle cose comuni.
Del tutto non esaminabili sono infine le deduzioni svolte in memoria circa l’esito della sanatoria amministrativa che sarebbe stata negata dal Comune di Roma, trattandosi di profili che attengono al lato amministrativo della vicenda e non rifluiscono sul giudizio relativo alla sussistenza dell’aggravamento di una servitù di accesso al piano più alto di un edificio.
Il motivo è quindi inammissibile.
6.2) Infondato è il secondo motivo del ricorso incidentale, che denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c..
La Corte d’Appello di Roma ha compensato le spese sulla base della valutazione dell’esito della lite, conseguente al parziale accoglimento delle domande del Condominio (OMISSIS) . È noto che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, e restano perciò sottratte al sindacato di legittimità, essendo questo limitato ad accertare soltanto che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (cfr. Cass. Sez. 2, 31/01/2014, n. 2149). Dunque nel caso di specie la configurabilità di soccombenza reciproca (per l’accoglimento dell’appello relativamente alla domanda sulla servitù) rendeva conto a sufficienza della statuizione sulle spese, giacché la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. 30592/17).
Complessivamente il ricorso incidentale va quindi rigettato.
7) Il primo motivo del ricorso di P.M.L. denuncia violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., in relazione all’art. 3 del regolamento di condominio, nella parte in cui la sentenza della Corte d’Appello di Roma ha interpretato letteralmente la clausola asserendo l’esistenza di un divieto di modifica dei prospetti del fabbricato a prescindere dall’eventuale violazione del limite del decoro architettonico.
Il motivo risulta infondato.
La Corte d’Appello ha affermato che l’art. 3 del regolamento di condominio, vietando “qualsiasi opera che modifichi le facciate, i prospetti e l’estetica degli edifici”, preclude ogni modifica, dando luogo ad un impedimento ben più ampio del limite del decoro architettonico.
Ora, l’interpretazione della clausola di regolamento “contrattuale” di condominio operata dal giudice del merito, nell’ambito dell’apprezzamento di fatto ad esso spettante, è incensurabile in sede di legittimità, a meno che non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici, che non si possono ravvisare nella piana lettura data dalla Corte di appello a conferma della sentenza di primo grado (cfr. Cass.1406/2007; 17893/2009).
È poi costante l’orientamento di questa Corte secondo cui un regolamento di condominio cosiddetto “contrattuale”, ove abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria “facies” architettonica dell’edificio condominiale, comprimendo il diritto di proprietà dei singoli condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, stabilisce in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero “decoro architettonico” dall’art. 1120 c.c., comma 2 (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), e art. 1138 c.c., comma 1, con la conseguenza che la realizzazione di opere esterne integra di per sé una modificazione non consentita dell’originario assetto architettonico dell’edificio (cfr. Cass.12/12/1986, n. 7398; anche Cass. n. 1748/13; Cass. n. 14898/2013), che giustifica la condanna alla riduzione in pristino in caso di sua violazione.
7.1) Il secondo motivo del ricorso principale deduce violazione degli artt. 1363 e 1366 c.c. in relazione agli artt. 3 e 10 del regolamento di condominio, nella parte in cui la sentenza impugnata desume da tali clausole il divieto regolamentare del distacco del condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
La censura è fondata.
La Corte di appello ha ritenuto che la inefficienza dell’impianto e gli effetti migliorativi derivati dal distacco dall’impianto non giustificavano la violazione dei divieti previsti dagli artt. 3 e 10 del regolamento di condominio.
Parte ricorrente nello svolgere la censura si duole, come in sostanza aveva fatto in grado di appello (i passaggi salienti del quale sono riportati), della portata che i giudici di merito hanno attribuito alle due clausole regolamentari e della interpretazione letterale che ha condotto a giudicare impossibile qualsiasi modifica e irrilevanti le circostanze, sopraaccennate, relative alle ragioni e alle caratteristiche del proprio distacco.
Per quanto la ricorrente P. specifica, l’art. 3 del regolamento di condominio, oltre a vietare le innovazioni di cui si è detto al paragrafo precedente, contiene il divieto di modificare gli “impianti idraulici, termici, idrici, di energia (…)”; mentre l’art. 10 del medesimo regolamento prescrive che “nessun condomino può sottrarsi al pagamento del contributo nelle spese mediante abbandono o rinuncia alla proprietà delle cose anzidette o ai servizi comuni”. La Corte d’Appello di Roma ha sostenuto che le due clausole regolamentari risultassero automaticamente violate dall’operato distacco della condomina P. dall’impianto centrale, ma non si è interrogata sul nesso tra le due disposizioni regolamentari (art. 1363), nè sul senso che l’interpretazione letterale deve avere anche per non contrastare con il principio di buona fede (1366).
In proposito, a fronte della apodittica conclusione affermata dalla sentenza impugnata, parte ricorrente ha buon gioco ad evidenziare che le due disposizioni non sembrano collimanti, in quanto la seconda lascia ipotizzare che un eventuale abbandono o rinuncia alle cose o ai servizi comuni dia luogo soltanto all’obbligo di sottostare comunque al pagamento delle spese (secondo la ricorrente di sola manutenzione e conservazione) e quindi che implicitamente sia consentito il distacco.
A questo rilievo che attiene, si badi, alla portata della clausola -la cui applicazione era contestata in appello proprio svolgendo argomenti circa gli effetti del distacco -, la sentenza impugnata non dà risposta.
E altrettanto vale per il profilo della interpretazione – letterale e secondo buona fede – fatto valere per evidenziare che il rigore della lettura data alla limitazione di cui all’art. 3 non può spingersi fino a ritenere impedite le modifiche attinenti la parte privata (financo una presa elettrica, esemplifica il ricorso) degli impianti collegati a quelli comuni.
In proposito mette conto ricordare che i divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l’individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l’ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti. (Cass. n. 21307 del 20/10/2016).
Da queste considerazioni scaturisce l’accoglimento del motivo di ricorso, restando estranee all’esame della censura le considerazioni svolte da parte resistente circa l’illegittimità del distacco in relazione a profili che sono rimasti assorbiti nell’esame della Corte di appello e che spetta al giudice di rinvio esaminare, poiché involgono accertamenti di fatto che non sono scrutinabili in sede di legittimità.
8) Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso incidentale e del primo motivo del ricorso principale; l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale.
La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che si atterrà ai canoni interpretativi esposti nell’accogliere il secondo motivo di ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate tra tutte le parti atteso che vi è soccombenza reciproca anche con parte A. , soccombente sul ricorso incidentale, la quale ha spiegato controricorso adesivo che ha avuto esito in parte positivo.
A carico della ricorrente incidentale va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso incidentale e il primo motivo del ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso principale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Dichiara compensate tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.
Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato a carico di parte ricorrente incidentale.