DIRITTO AL SILENZIO NEI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI PUNITIVI: LA CORTE DI GIUSTIZIA RISPONDE ALLA CORTE COSTITUZIONALE

L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6 e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.

 

Nella causa C‑481/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte costituzionale (Italia), con ordinanza del 6 marzo 2019, pervenuta in cancelleria il 21 giugno 2019, nel procedimento

DB

contro

Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob),

nei confronti di:

Presidente del Consiglio dei ministri,

 

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, E. Regan, M. Ilešič, L. Bay Larsen, A. Kumin e N. Wahl, presidenti di sezione, T. von Danwitz, M. Safjan (relatore), F. Biltgen, K. Jürimäe, I. Jarukaitis e N. Jääskinen, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 luglio 2020,

considerate le osservazioni presentate:

– per DB, da R. Ristuccia e A. Saitta, avvocati;

– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili e P.G. Marrone, avvocati dello Stato;

– per il governo spagnolo, inizialmente da A. Rubio González, poi da L. Aguilera Ruiz, in qualità di agenti;

– per il Parlamento europeo, da L. Visaggio, C. Biz e L. Stefani, in qualità di agenti;

– per il Consiglio dell’Unione europea, da M. Chavrier, E. Rebasti, I. Gurov ed E. Sitbon, in qualità di agenti;

– per la Commissione europea, da V. Di Bucci, P. Rossi, T. Scharf e P.J.O. Van Nuffel, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni presentate dall’avvocato generale all’udienza del 27 ottobre 2020,

ha emesso la seguente

 

SENTENZA

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) (GU 2003, L 96, pag. 16), e dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6 e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione (GU 2014, L 173, pag. 1).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone DB alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) (Italia), vertente sulla legittimità di sanzioni inflitte a DB a motivo di illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di omessa collaborazione nell’ambito di un’indagine attivata dalla Consob.

 

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 2003/6

3 I considerando 37, 38 e 44 della direttiva 2003/6 sono così formulati:

«(37) Il conferimento all’autorità competente di ogni Stato membro di un insieme minimo comune di strumenti e poteri forti garantirà l’efficacia della sua opera di vigilanza. I gestori di mercato e tutti gli operatori economici dovrebbero parimenti contribuire, ai rispettivi livelli, all’integrità del mercato. (…)

(38) Al fine di garantire l’adeguatezza del quadro comunitario di contrasto agli abusi di mercato, ogni violazione dei divieti o degli obblighi fissati dalla presente direttiva dovrà essere tempestivamente scoperta e sanzionata. A tal fine le sanzioni dovrebbero essere sufficientemente dissuasive, proporzionate alla gravità della violazione e agli utili realizzati e dovrebbero essere applicate coerentemente.

(…)

(44) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla , in particolare l’articolo 11, nonché l’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. (…)».

4 L’articolo 12 di detta direttiva così dispone:

«1. All’autorità competente sono conferiti tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l’esercizio delle sue funzioni. (…)

2. Fatto salvo l’articolo 6, paragrafo 7, i poteri di cui al paragrafo 1 del presente articolo sono esercitati in conformità della legislazione nazionale e includono almeno il diritto di:

a) avere accesso a qualsiasi documento sotto qualsiasi forma e ottenerne copia;

b) richiedere informazioni a qualsiasi persona, incluse quelle che intervengono successivamente nella trasmissione degli ordini o nell’esecuzione delle operazioni in questione, e ai loro mandanti e, se necessario, convocare e procedere all’audizione di una persona;

(…)

3. Questo articolo non pregiudica le disposizioni del diritto nazionale in materia di segreto professionale».

5 L’articolo 14 della direttiva in parola recita:

«1. Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

2. La Commissione stila, in conformità della procedura di cui all’articolo 17, paragrafo 2, un elenco indicativo delle misure e delle sanzioni amministrative di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri fissano le sanzioni da applicare per l’omessa collaborazione alle indagini di cui all’articolo 12.

(…)».

Regolamento n. 596/2014

6 I considerando 62, 63, 66 e 77 del regolamento n. 596/2014, che ha abrogato e sostituito la direttiva 2003/6 con effetto al 3 luglio 2016, sono così formulati:

«(62) Il conferimento all’autorità competente di ogni Stato membro di una serie di strumenti, poteri e risorse adeguati garantirà l’efficacia della sua opera di vigilanza. Di conseguenza, il presente regolamento prevede, in particolare, una serie minima di poteri di vigilanza e di indagine che dovrebbero essere conferiti alle autorità competenti degli Stati membri conformemente al diritto nazionale. (…)

(63) Anche le imprese che operano sul mercato e tutti gli attori economici dovrebbero contribuire all’integrità del mercato. (…)

(…)

(66) Se il presente regolamento specifica una serie minima di poteri che dovrebbero essere conferiti alle autorità competenti, tali poteri devono essere esercitati nell’ambito di un sistema giuridico nazionale completo che garantisca il rispetto dei diritti fondamentali, compreso il diritto alla tutela della vita privata. (…)

(…)

(77) Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla . Il presente regolamento dovrebbe quindi essere interpretato e applicato conformemente a tali diritti e principi. (…)»

7 L’articolo 14 di tale regolamento, intitolato «Divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate», dispone quanto segue:

«Non è consentito:

a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate;

b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; oppure

c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate».

8 L’articolo 23 del citato regolamento, intitolato «Poteri delle autorità competenti», prevede, ai paragrafi 2 e 3, quanto segue:

«2. Per adempiere ai compiti loro assegnati dal presente regolamento, le autorità competenti dispongono almeno, conformemente al diritto nazionale, dei seguenti poteri di controllo e di indagine:

a) di accedere a qualsiasi documento e a dati sotto qualsiasi forma e di riceverne o farne una copia;

b) di richiedere o esigere informazioni da chiunque, inclusi coloro che, successivamente, partecipano alla trasmissione di ordini o all’esecuzione delle operazioni di cui trattasi, nonché i loro superiori e, laddove opportuno, convocarli allo scopo di ottenere delle informazioni;

(…).

3. Gli Stati membri provvedono all’adozione di misure appropriate che consentano alle autorità competenti di disporre di tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari allo svolgimento dei loro compiti.

(…)».

9 L’articolo 30 del medesimo regolamento, intitolato «Sanzioni amministrative e altre misure amministrative», dispone:

«1. Fatti salvi le sanzioni penali e i poteri di controllo delle autorità competenti a norma dell’articolo 23, gli Stati membri, conformemente al diritto nazionale, provvedono affinché le autorità competenti abbiano il potere di adottare le sanzioni amministrative e altre misure amministrative adeguate in relazione almeno alle seguenti violazioni:

a) le violazioni degli articoli 14 e 15, (…) nonché

b) l’omessa collaborazione o il mancato seguito dato nell’ambito di un’indagine, un’ispezione o una richiesta di cui all’articolo 23, paragrafo 2.

Gli Stati membri possono decidere di non stabilire norme relative alle sanzioni amministrative di cui al primo comma se le violazioni di cui alle lettere a) o b) di tale comma sono già soggette a sanzioni penali, nel rispettivo diritto nazionale entro il 3 luglio 2016. In questo caso, gli Stati membri comunicano dettagliatamente alla Commissione e all’ le pertinenti norme di diritto penale.

(…)

2. Gli Stati membri, conformemente al diritto nazionale, provvedono affinché le autorità competenti abbiano il potere di imporre almeno le seguenti sanzioni amministrative e di adottare almeno le seguenti misure amministrative nel caso di violazioni di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera a):

a) un’ingiunzione diretta al soggetto responsabile della violazione di porre termine alla condotta in questione e di non reiterarla;

b) la restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate grazie alla violazione, per quanto possano essere determinati;

c) un avvertimento pubblico che indica il responsabile della violazione e la natura della stessa;

d) la revoca o sospensione dell’autorizzazione di una società di investimento;

e) l’interdizione temporanea, nei confronti di chiunque svolga funzioni amministrative, di direzione o di controllo in una società di investimento o di qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall’esercizio di funzioni dirigenziali in società di investimento;

f) nel caso di violazioni ripetute dell’articolo 14 o dell’articolo 15, l’interdizione permanente, nei confronti di chiunque svolga funzioni amministrative, di direzione o di controllo in una società di investimento o di qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall’esercizio di funzioni dirigenziali in società di investimento;

g) l’interdizione temporanea, nei confronti di chiunque svolga funzioni amministrative, di direzione o di controllo in una società di investimento o di qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione, da attività di negoziazione per conto proprio;

h) sanzioni amministrative pecuniarie massime di valore pari ad almeno tre volte l’importo dei guadagni ottenuti o delle perdite evitate grazie alla violazione, quando possono essere determinati;

i) nel caso di una persona fisica, sanzioni amministrative pecuniarie massime di almeno:

i) per violazioni degli articoli 14 e 15, 5 000 000 EUR o, negli Stati membri la cui moneta ufficiale non è l’euro, il valore corrispondente nella valuta nazionale al 2 luglio 2014; (…)

(…).

I riferimenti all’autorità competente di cui al presente paragrafo non pregiudicano la capacità dell’autorità competente di esercitare le proprie funzioni in uno dei modi previsti all’articolo 23, paragrafo 1.

(…)

3. Gli Stati membri possono prevedere che le autorità competenti dispongano di poteri oltre a quelli indicati al paragrafo 2 e possno prevedere sanzioni di importo più elevato di quello stabilito nel suddetto paragrafo».

 

Diritto italiano

10 La Repubblica italiana ha trasposto la direttiva 2003/6 mediante l’articolo 9 della legge del 18 aprile 2005, n. 62 – Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (supplemento ordinario alla GURI n. 76, del 27 aprile 2005). Detto articolo ha inserito nel decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 – Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (supplemento ordinario alla GURI n. 71, del 26 marzo 1998; in prosieguo: il «Testo unico»), numerose disposizioni, tra le quali l’articolo 187 bis di tale testo unico, concernente l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, e l’articolo 187 quinquiesdecies del medesimo Testo unico, relativo alle sanzioni applicabili in caso di omessa collaborazione nell’ambito di un’indagine attivata dalla Consob.

11 L’articolo 187 bis del Testo unico, intitolato «Abuso di informazioni privilegiate», era formulato, nella versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, nei seguenti termini:

«1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:

a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;

b) comunica informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio;

c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).

2. La stessa sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.

3. Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti finanziari di cui all’articolo 1, comma 2, il cui valore dipende da uno strumento finanziario di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a).

4. La sanzione prevista al comma 1 si applica anche a chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti.

5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito quando, per le qualità personali del colpevole ovvero per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.

6. Per le fattispecie previste dal presente articolo il tentativo è equiparato alla consumazione».

12 Nella sua versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, l’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, intitolato «Tutela dell’attività di vigilanza della CONSOB», disponeva quanto segue:

«1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2638 del codice civile, chiunque non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l’esercizio delle sue funzioni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila ad euro duecentomila».

13 Tale articolo 187 quinquiesdecies è stato modificato dal decreto legislativo del 3 agosto 2017, n. 129 (GURI n. 198, del 25 agosto 2017). Nella sua versione attualmente in vigore, detto articolo 187 quinquiesdecies, intitolato «Tutela dell’attività di vigilanza della Banca d’Italia e della Consob», è così formulato:

«1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2638 del codice civile, è punito ai sensi del presente articolo chiunque non ottempera nei termini alle richieste della Banca d’Italia e della Consob, ovvero non coopera con le medesime autorità al fine dell’espletamento delle relative funzioni di vigilanza, ovvero ritarda l’esercizio delle stesse.

1-bis. Se la violazione è commessa da una persona fisica, si applica nei confronti di quest’ultima la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila fino a euro cinque milioni.

(…)».

 

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14 Con decisione del 2 maggio 2012, la Consob ha inflitto a DB, sulla base dell’articolo 187 bis del Testo unico, due sanzioni pecuniarie dell’importo, rispettivamente, di EUR 200 000 e di EUR 100 000, per un illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate commesso tra il 19 febbraio e il 26 febbraio 2009 e composto di due condotte, vale a dire operazioni effettuate con abuso di informazioni privilegiate e comunicazione illecita di informazioni privilegiate.

15 La Consob ha altresì inflitto a DB una sanzione pecuniaria dell’importo di EUR 50 000 per l’illecito amministrativo previsto dall’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, a motivo del fatto che l’interessato, dopo aver chiesto a più riprese il rinvio della data dell’audizione alla quale era stato convocato nella sua qualità di persona informata dei fatti, una volta presentatosi a tale audizione aveva rifiutato di rispondere alle domande che gli erano state rivolte.

16 Inoltre, la Consob ha inflitto la sanzione accessoria della perdita temporanea dei requisiti di onorabilità, prevista dall’articolo 187 quater, comma 1, del Testo unico, per una durata di 18 mesi e ha ordinato la confisca per equivalente del profitto dell’illecito o dei mezzi utilizzati per ottenerlo, a norma dell’articolo 187 sexies del medesimo Testo unico.

17 DB ha proposto opposizione contro tali sanzioni dinanzi alla Corte d’appello di Roma (Italia), che l’ha respinta. Egli ha proposto dinanzi alla Corte suprema di cassazione (Italia) un ricorso per cassazione avverso la decisione di detto giudice d’appello. Con ordinanza del 16 febbraio 2018, la Corte suprema di cassazione ha sottoposto alla Corte costituzionale (Italia) due questioni incidentali di legittimità costituzionale, delle quali solo la prima è pertinente nel contesto del presente rinvio pregiudiziale.

18 Tale questione verte sull’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, là dove tale disposizione sanziona il fatto di non ottemperare tempestivamente alle richieste della Consob ovvero il fatto di ritardare l’esercizio delle funzioni di vigilanza di quest’ultima, anche nei confronti di colui al quale la Consob, nell’esercizio di dette funzioni, contesti un abuso di informazioni privilegiate.

19 Nella sua decisione di rinvio, la Corte costituzionale fa osservare che la questione di costituzionalità dell’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico viene sollevata in riferimento a vari diritti e principi, alcuni dei quali sanciti dal diritto nazionale, ossia il diritto alla difesa e il principio della parità tra le parti nel processo, previsti dalla Costituzione italiana, ed altri riconosciuti dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione.

20 Per detto giudice, il diritto di mantenere il silenzio e di non contribuire alla propria incolpazione (in prosieguo: il «diritto al silenzio»), fondato sulle disposizioni costituzionali, del diritto dell’Unione e del diritto internazionale invocate, non può giustificare il rifiuto della persona interessata di presentarsi all’audizione disposta dalla Consob, né il ritardo di detta persona a presentarsi a tale audizione, purché sia garantito il diritto di quest’ultima di non rispondere alle domande che le vengono rivolte in occasione di tale audizione. Orbene, tale garanzia sarebbe mancata nel caso di specie.

21 Secondo il giudice del rinvio, occorre, da un lato, prendere in considerazione il rischio che, per effetto dell’obbligo di cooperazione con l’autorità competente, il sospetto autore di un illecito amministrativo suscettibile di una sanzione a carattere penale possa contribuire, di fatto, alla formulazione di un’accusa in sede penale nei propri confronti. Detto giudice sottolinea, al riguardo, che, nell’ordinamento italiano, l’abuso di informazioni privilegiate addebitato a DB è previsto al tempo stesso come illecito amministrativo e come illecito penale, e che i relativi procedimenti possono essere attivati e proseguiti parallelamente, nei limiti in cui ciò sia compatibile con il principio ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta (sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punti da 42 a 63).

22 Dall’altro lato, il giudice del rinvio ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il diritto al silenzio, scaturente dall’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), risulta violato quando dei soggetti vengono sanzionati dal diritto nazionale per non aver risposto alle domande delle autorità amministrative nell’ambito di procedimenti di accertamento di violazioni amministrative punibili con sanzioni a carattere penale (Corte EDU, 3 maggio 2001, J.B. c. Svizzera, CE:ECHR:2001:0503JUD003182796, § da 63 a 71; 4 ottobre 2005, Shannon c. Regno Unito, CE:ECHR:2005:1004JUD000656303, § da 38 a 41, e 5 aprile 2012, Chambaz c. Svizzera, CE:ECHR:2012:0405JUD001166304, § da 50 a 58).

23 Secondo il giudice del rinvio, dato che l’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano in esecuzione di un obbligo specifico imposto dall’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 e costituisce, oggi, l’attuazione dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità del citato articolo 187 quinquiesdecies rischierebbe di porsi in contrasto con il diritto dell’Unione, nel caso in cui le suddette disposizioni del diritto derivato dell’Unione dovessero essere intese nel senso che impongono agli Stati membri di sanzionare il silenzio osservato, nell’ambito di un’audizione dinanzi all’autorità competente, da una persona sospettata di abuso di informazioni privilegiate. Sarebbe tuttavia lecito dubitare della compatibilità di tali disposizioni, così intese, con gli articoli 47 e 48 della Carta, che sembrano parimenti riconoscere il diritto al silenzio entro limiti identici a quelli risultanti dall’articolo 6 della CEDU e dalla Costituzione italiana.

24 Il giudice del rinvio rileva altresì che la giurisprudenza della Corte, secondo cui la persona sottoposta ad un’indagine nell’ambito di una procedura di accertamento di violazioni delle norme dell’Unione in materia di concorrenza è obbligata a rispondere a quesiti di mero fatto, si risolve tuttavia in una limitazione significativa della portata del diritto dell’interessato di non contribuire, neppure indirettamente, mediante le proprie dichiarazioni, alla propria incolpazione.

25 Orbene, tale giurisprudenza, che si sarebbe formata con riguardo a persone giuridiche e non fisiche, e in larga misura in epoca antecedente all’adozione della Carta, apparirebbe difficilmente conciliabile con il carattere penale che la Corte ha riconosciuto, nella sentenza del 20 marzo 2018, Di Puma e Zecca (C‑596/16 e C‑597/16, EU:C:2018:192), alle sanzioni amministrative previste nell’ordinamento giuridico italiano in materia di abuso di informazioni privilegiate.

26 Poiché la questione se gli articoli 47 e 48 della Carta impongano, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardante l’articolo 6 della CEDU, di rispettare il diritto al silenzio nell’ambito dei procedimenti amministrativi suscettibili di sfociare nell’irrogazione di sanzioni a carattere penale non è ancora stata affrontata dalla Corte o dal legislatore dell’Unione, il giudice del rinvio reputa necessario, prima di pronunciarsi sulla questione di costituzionalità che gli è stata sottoposta, chiedere alla Corte di procedere all’interpretazione e, se del caso, alla verifica della validità, in rapporto agli articoli 47 e 48 della Carta, dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6, nonché dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014.

27 Alla luce di tali circostanze, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 debbano essere interpretati nel senso che consentono agli Stati membri di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”?

2) Se, in caso di risposta negativa a tale prima questione, l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 siano compatibili con gli articoli 47 e 48 della , anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di articolo 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”».

 

Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

28 Nelle sue osservazioni scritte, il Consiglio dell’Unione europea si interroga sulla rilevanza, per la pronuncia di una decisione nel procedimento principale, del regolamento n. 596/2014, il quale, tenuto conto della data della sua entrata in vigore, non è applicabile ai fatti di cui al giudizio a quo.

29 Conformemente ad una consolidata giurisprudenza della Corte, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, sono assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione o l’esame della validità di quest’ultimo non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, o anche quando il problema sia di natura ipotetica, oppure la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le sono sottoposte nonché per comprendere le ragioni per le quali il giudice nazionale ritiene di aver bisogno delle risposte a tali questioni per dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente (v., in tal senso, sentenze del 19 novembre 2009, Filipiak, C‑314/08, EU:C:2009:719, punti da 40 a 42, e del 12 dicembre 2019, Slovenské elektrárne, C‑376/18, EU:C:2019:1068, punto 24).

30 Nel caso di specie, la Corte costituzionale ritiene di doversi pronunciare sulla costituzionalità dell’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico non soltanto nella sua versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale, la quale aveva trasposto l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6, ma anche nella sua versione attualmente in vigore, che dà attuazione all’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014. In proposito, detto giudice fa riferimento alla coerenza e al rapporto di continuità esistente tra le disposizioni della direttiva 2003/6 e quelle del regolamento n. 596/2014, che giustificano un esame complessivo delle disposizioni, tra loro analoghe, di cui all’articolo 14, paragrafo 3, di detta direttiva e all’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento.

31 Peraltro, come risulta dal fascicolo presentato alla Corte, una dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 187 quinquiedecies del Testo unico avrebbe un’incidenza anche sulla versione attualmente in vigore di tale articolo, che dà attuazione all’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014.

32 In tale contesto, non risulta in modo manifesto che la richiesta interpretazione di quest’ultima disposizione non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale.

33 Di conseguenza, le questioni così come sollevate devono essere dichiarate ricevibili.

 

Sulle questioni pregiudiziali

34 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio desidera sapere, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale.

35 A questo proposito occorre ricordare, in via preliminare, che, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si applicano alle istituzioni dell’Unione europea, nonché agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione.

36 Peraltro, se invero le questioni sollevate riguardano gli articoli 47 e 48 della Carta, che sanciscono, segnatamente, il diritto a che la propria causa sia esaminata equamente e la presunzione di innocenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale si riferisce altresì ai diritti garantiti dall’articolo 6 della CEDU. Orbene, sebbene tale convenzione non costituisca, fintanto che l’Unione non vi avrà aderito, uno strumento giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione, occorre però ricordare che, come confermato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Inoltre, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il quale stabilisce che i diritti riconosciuti da quest’ultima corrispondenti a diritti garantiti dalla CEDU hanno un significato e una portata identici a quelli attribuiti a tali diritti dalla suddetta convenzione, mira a garantire la necessaria coerenza tra questi rispettivi diritti senza pregiudicare l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte (v., in tal senso, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punti 24 e 25).

37 Secondo le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), l’articolo 47, secondo comma, della Carta corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU e l’articolo 48 della Carta «corrisponde» esattamente all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della CEDU. Nell’interpretazione che essa effettua in merito ai diritti garantiti dall’articolo 47, secondo comma, e dall’articolo 48 della Carta, la Corte deve dunque tener conto dei diritti corrispondenti garantiti dall’articolo 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto soglia di protezione minima .

38 A questo proposito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rilevato che, anche se l’articolo 6 della CEDU non menziona espressamente il diritto al silenzio, quest’ultimo costituisce una norma internazionale generalmente riconosciuta, che si trova al centro della nozione di equo processo. Ponendo l’imputato al riparo da una coercizione abusiva da parte delle autorità, tale diritto contribuisce ad evitare errori giudiziari e a garantire il risultato a cui mira il citato articolo 6 (v., in tal senso, Corte EDU, 8 febbraio 1996, John Murray c. Regno Unito, CE:ECHR:1996:0208JUD001873191, § 45).

39 Tenuto conto che la protezione del diritto al silenzio mira a garantire che, in una causa penale, l’accusa fondi la propria argomentazione senza ricorrere ad elementi di prova ottenuti mediante costrizione o pressioni, in spregio alla volontà dell’imputato (v., in tal senso, Corte EDU, 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito, CE:ECHR:1996:1217JUD001918791, § 68), tale diritto risulta violato, segnatamente, in una situazione in cui un sospetto, minacciato di sanzioni per il caso di mancata deposizione, o depone o viene punito per essersi rifiutato di deporre (v., in tal senso, Corte EDU, 13 settembre 2016, Ibrahim e altri c. Regno Unito, CE:ECHR:2016:0913JUD005054108, § 267).

40 Il diritto al silenzio non può ragionevolmente essere limitato alle confessioni di illeciti o alle osservazioni che chiamino direttamente in causa la persona interrogata, bensì comprende anche le informazioni su questioni di fatto che possano essere successivamente utilizzate a sostegno dell’accusa ed avere così un impatto sulla condanna o sulla sanzione inflitta a tale persona (v., in tal senso, Corte EDU, 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito, CE:ECHR:1996:1217JUD001918791, § 71, e 19 marzo 2015, Corbet e altri c. Francia, CE:ECHR:2015:0319JUD000749411, § 34).

41 Ciò premesso, il diritto al silenzio non può giustificare qualsiasi omessa collaborazione con le autorità competenti, qual è il caso di un rifiuto di presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità o di manovre dilatorie miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa.

42 Quanto alla questione dei presupposti in presenza dei quali il suddetto diritto deve essere rispettato anche nell’ambito di procedure di accertamento di illeciti amministrativi, occorre sottolineare che questo stesso diritto è destinato ad applicarsi nel contesto di procedure suscettibili di sfociare nell’inflizione di sanzioni amministrative presentanti carattere penale. Per valutare tale carattere penale rilevano tre criteri. Il primo è dato dalla qualificazione giuridica dell’illecito nell’ordinamento interno, il secondo concerne la natura stessa dell’illecito e il terzo è relativo al grado di severità della sanzione che l’interessato rischia di subire (sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punto 28).

43 Se certo spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se le sanzioni amministrative in discussione nel procedimento principale abbiano natura penale, detto giudice ricorda nondimeno, giustamente, che, in base alla giurisprudenza della Corte, alcune delle sanzioni amministrative inflitte dalla Consob paiono perseguire una finalità repressiva e presentare un elevato grado di severità, tale per cui esse sono suscettibili di avere natura penale (v., in tal senso, sentenze del 20 marzo 2018, Di Puma e Zecca, C‑596/16 e C‑597/16, EU:C:2018:192, punto 38, nonché del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punti 34 e 35). La Corte europea dei diritti dell’uomo è per parte sua giunta, in sostanza, alla medesima conclusione (Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, CE:ECHR:2014:0304JUD001864010, § 101).

44 Inoltre, anche supponendo che, nel caso di specie, le sanzioni in questione nel procedimento principale inflitte a DB dall’autorità di vigilanza non dovessero presentare carattere penale, la necessità di rispettare il diritto al silenzio nell’ambito di un procedimento di indagine condotto da detta autorità potrebbe risultare altresì dal fatto, evidenziato dal giudice del rinvio, che, in base alla normativa nazionale, gli elementi di prova ottenuti nell’ambito di tale procedura sono utilizzabili, nell’ambito di un procedimento penale intentato nei confronti di questa stessa persona, al fine di dimostrare la commissione di un illecito penale.

45 Tenuto conto delle argomentazioni sviluppate ai punti da 35 a 44 della presente sentenza, occorre considerare che, tra le garanzie che discendono dall’articolo 47, secondo comma, e dall’articolo 48 della Carta, e al cui rispetto sono tenuti sia le istituzioni dell’Unione sia gli Stati membri allorché attuano il diritto dell’Unione, figura, segnatamente, il diritto al silenzio di una persona fisica «imputata» ai sensi della seconda delle disposizioni sopra citate. Tale diritto osta, in particolare, a che tale persona venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente a titolo della direttiva 2003/6 o del regolamento n. 596/2014 risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilità penale.

46 Tale valutazione non trova smentita nella giurisprudenza della Corte relativa alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, da cui risulta, in sostanza, che, nell’ambito di un procedimento inteso all’accertamento di una violazione di tali norme, l’impresa interessata può essere costretta a fornire tutte le informazioni necessarie relative ai fatti di cui essa può avere conoscenza e a fornire, ove occorra, i documenti pertinenti che siano in suo possesso, anche quando questi possano servire per dimostrare, segnatamente nei suoi confronti, l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale (v., in tal senso, sentenze del 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione, 374/87, EU:C:1989:387, punto 34; del 29 giugno 2006, Commissione/SGL Carbon, C‑301/04 P, EU:C:2006:432, punto 41, e del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, EU:C:2007:53, punto 34).

47 Infatti, da un lato, la Corte ha, in tale contesto, statuito anche che l’impresa in questione non può vedersi imporre l’obbligo di fornire risposte in virtù delle quali essa si troverebbe a dover ammettere l’esistenza di una violazione siffatta (v., in tal senso, sentenze del 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione, 374/87, EU:C:1989:387, punto 35, e del 29 giugno 2006, Commissione/SGL Carbon, C‑301/04 P, EU:C:2006:432, punto 42).

48 Dall’altro lato, come indicato dallo stesso giudice del rinvio, la giurisprudenza ricordata ai due punti precedenti della presente sentenza riguarda procedimenti suscettibili di portare all’inflizione di sanzioni ad imprese e ad associazioni di imprese. Essa non può applicarsi per analogia quando si tratta di stabilire la portata del diritto al silenzio di persone fisiche che, come DB, sono oggetto di un procedimento per abuso di informazioni privilegiate.

49 Visti i dubbi sollevati, dal giudice del rinvio, in merito alla validità, con riferimento al diritto al silenzio sancito dall’articolo 47, secondo comma, e dall’articolo 48 della Carta, dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 e dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, resta ancora da verificare se tali disposizioni del diritto derivato dell’Unione si prestino ad essere interpretate in conformità al suddetto diritto al silenzio nel senso che esse non impongono di sanzionare una persona fisica per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente a titolo della direttiva summenzionata o del regolamento sopra citato risposte da cui potrebbe emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilità penale.

50 A questo proposito, occorre anzitutto ricordare che, secondo un principio ermeneutico generale, un testo del diritto derivato dell’Unione deve essere interpretato, per quanto possibile, in un modo che non pregiudichi la sua validità e in conformità con l’insieme del diritto primario e, segnatamente con le disposizioni della Carta. Così, qualora un testo siffatto si presti a più di un’interpretazione, occorre preferire quella che rende la disposizione conforme al diritto primario anziché quella che porta a constatare la sua incompatibilità con quest’ultimo . Tanto il considerando 44 della direttiva 2003/6 quanto il considerando 77 del regolamento n. 596/2014 sottolineano d’altronde che questi due atti normativi rispettano i diritti fondamentali e i principi sanciti dalla Carta.

51 Per quanto riguarda, anzitutto, l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6, esso stabilisce che gli Stati membri devono determinare le sanzioni applicabili in caso di omessa collaborazione nell’ambito di un’indagine svolta ai sensi dell’articolo 12 di detta direttiva. Quest’ultimo articolo precisa che, in tale contesto, l’autorità competente deve poter richiedere informazioni a qualsiasi persona e, se necessario, convocare e procedere all’audizione di una determinata persona.

52 Se certo i termini delle due disposizioni di cui sopra non escludono, in maniera espressa, che l’obbligo imposto agli Stati membri di stabilire le sanzioni applicabili in un caso siffatto si applichi anche in caso di rifiuto, da parte di una persona sottoposta ad audizione, di fornire alla suddetta autorità risposte che siano suscettibili di far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale, nulla nella formulazione dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 osta neppure ad un’interpretazione di tale disposizione secondo cui detto obbligo non si applica in un caso siffatto.

53 Per quanto riguarda, poi, l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, tale disposizione impone di stabilire delle sanzioni amministrative per l’omessa collaborazione o la mancata ottemperanza ad un’indagine, a un’ispezione o a una richiesta quali previste dall’articolo 23, paragrafo 2, di detto regolamento, il cui punto b) precisa che ciò comprende l’interrogatorio di una persona al fine di ottenere delle informazioni.

54 Occorre tuttavia osservare che, se l’articolo 30, paragrafo 1, del regolamento n. 596/2014 esige dagli Stati membri che essi provvedano affinché le autorità competenti abbiano il potere di adottare sanzioni e altre misure appropriate, segnatamente nelle ipotesi contemplate al punto b) di tale disposizione, esso tuttavia non impone ai suddetti Stati membri di prevedere l’applicazione di sanzioni o misure siffatte alle persone fisiche che, nell’ambito di un’indagine concernente un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale, rifiutino di fornire all’autorità competente risposte da cui potrebbe emergere la loro responsabilità per tale violazione o la loro responsabilità penale.

55 Ne consegue che tanto l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 quanto l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 si prestano ad una interpretazione conforme agli articoli 47 e 48 della Carta, in virtù della quale essi non impongono che una persona fisica venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente risposte da cui potrebbe emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.

56 Così interpretate, le citate disposizioni del diritto derivato dell’Unione non possono veder pregiudicata la loro validità, con riferimento agli articoli 47 e 48 della Carta, per il fatto che esse non escludono espressamente l’inflizione di una sanzione per un rifiuto siffatto.

57 Occorre infine ricordare, in tale contesto, che gli Stati membri devono utilizzare il potere discrezionale ad essi conferito da un testo del diritto derivato dell’Unione in modo conforme ai diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2019, E., C‑635/17, EU:C:2019:192, punti 53 e 54). Nell’ambito dell’attuazione di obblighi risultanti dalla direttiva 2003/6 o dal regolamento n. 596/2014, incombe dunque a detti Stati membri assicurare, come si è sottolineato al punto 45 della presente sentenza, che, in conformità al diritto al silenzio garantito dagli articoli 47 e 48 della Carta, l’autorità competente non possa sanzionare una persona fisica per il suo rifiuto di fornire a tale autorità risposte da cui potrebbe emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.

58 Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.

 

Sulle spese

59 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6 e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.