CONTRASTO SUI RAPPORTI TRA IL VECCHIO MILLANTATO CREDITO GRATUITO E IL RINOVELLATO TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE

[vc_row][vc_column][edumax_title title=”CONTRASTO SUI RAPPORTI TRA IL VECCHIO MILLANTATO CREDITO GRATUITO E IL RINOVELLATO TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE” subtitle=”Cass. penale, Sez. VI, 18 gennaio 2021, n. 1869 – Pres. Petruzzellis, Rel. Capozzi”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]La alternativa condotta di dazione o promessa di denaro o altra utilità per remunerare il pubblico ufficiale prevista nella formulazione rinovellata dell’art. 346-bis c.p. ricomprende quella precedente di dazione o promessa di denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o di doverlo remunerare, non rilevando la esistenza o meno delle relazioni tra l’intermediario ed il pubblico ufficiale.
Non si può condividere l’opposto orientamento che ha escluso continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346 c.p., comma 2, abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 1, lett. s), e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p., in quanto in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all’art. 640 c.p., comma 1, (Sez. 6 n. 5221 del 18/09/2019 Ud. (dep. 2020), Impeduglia, Rv. 278451).
Invero, tale orientamento ha la propria chiave ermeneutica nella individuazione della ipotesi di cui all’art. 346 c.p., comma 2, quale autonoma fattispecie penale “ricalcata sullo schema della truffa” la cui condotta “a differenza di quella ricompresa nella fattispecie di cui al comma 1, non può che realizzarsi attraverso artifici e raggiri propri della truffa, contegno fraudolento ben evidente là dove la norma fa espresso e significativo riferimento al “pretesto”, termine che evoca la rappresentazione di una falsa causa posta a base della richiesta decettiva idonea ad indurre in errore la vittima che si determina alla prestazione patrimoniale” in quanto “ciò che assume rilevanza nella complessiva dinamica dell’operazione che si conclude con il depauperamento patrimoniale della vittima, non è tanto l’ipotetico futuro rapporto, che si deve ritenere inesistente, tra il millantatore ed il pubblico funzionario, quanto l’eminente tutela patrimoniale accordata dalla norma al truffato”.
La prospettiva ermeneutica, tuttavia, non considera che l’art. 346 c.p., secondo entrambe le ipotesi previste dai due commi, prevedeva un delitto del privato contro la pubblica amministrazione il cui retto e imparziale funzionamento costituisce l’oggetto della tutela (Sez. U n. 12822 del 21/01/2010, Marcarino) leso, nella ipotesi di cui al comma 2, dal fatto che il pubblico ufficiale è prospettato dall’agente come persona corrotta o corruttibile (Sez. 6 n. 22248 del 20/2/2006, Ippaso ed altri, Rv 234719;vedi anche Sez. 6, Milanese, cit.). Inoltre, essa è smentita dal prevalente orientamento secondo il quale l’ipotesi di cui all’art. 346 c.p., comma 2 – contenente la previsione di un titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie descritta nel comma 1 medesima disposizione – si differenzia dal delitto di truffa, per la diversità della condotta, non essendo necessaria né la millanteria né una generica mediazione, nonché dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa è quest’ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che è semplice soggetto danneggiato (Sez. 6, n. 17642 del 19/02/2003, Di Maio ed altro, Rv. 227138), cosicché il reato di millantato credito può concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversità dell’oggetto della tutela penale, rispettivamente consistente nel prestigio della P.A. e nella protezione del patrimonio (Sez. 6, n. 9470 del 05/11/2009 (dep. 2010), Sighinolfi, Rv. 246399).
Cosicché non è decisivo al fine di escludere la continuità normativa di cui si discute – alla quale, peraltro, ha fatto espresso riferimento il legislatore nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge palesando la intenzione di una abrogatio sine abolitione – il rilievo, ritenuto preponderante dalla decisione dalla quale si dissente, della “non esatta corrispondenza tra la condotta in precedenza prevista dalla norma abrogata e quella attualmente inglobata nell’art. 346-bis c.p., comma 1 “per la “mancata riproposizione del termine “pretesto” contenuto nella precedente ipotesi di reato o altro di natura equipollente” che, sempre secondo la stessa decisione, avrebbe fondato il carattere autonomo della fattispecie.

 

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Palermo, a seguito di gravame interposto dall’imputato G.C. avverso la sentenza emessa il 20.3.2018 dal G.U.P. del locale Tribunale, in riforma della decisione ha assolto il predetto dai reati di cui ai capi 1)(art. 319-quater c.p.) e 2)(art. 319-quater c.p.) perchè i fatti non sussistono ed, esclusa l’aggravante contestata al capo 3) (artt. 110,615 cpv. ter c.p.), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dello stesso perchè l’azione penale non può essere proseguita per mancanza di querela; per l’effetto ha rideterminato la pena inflitta al G. in ordine al reato di cui al capo 4) art. 346 c.p. perchè millantando credito presso il funzionario UNEP di Palermo M.S., si faceva promettere da C.G. denaro o altra utilità col pretesto di doverlo remunerare. Commesso in (OMISSIS), del quale è stato ritenuto responsabile.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce:
2.1. Erronea applicazione della legge penale in ordine al reato di cui al capo 4) in relazione al quale la Corte avrebbe dovuto riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 346-bis c.p., ed applicare tale più favorevole previsione introdotta dalla L. n. 190 del 2012, stante la continuità normativa esistente tra le due fattispecie di reato.
2.2. Erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di cui al capo 4) con conseguente illegalità della pena. La Corte ha erroneamente applicato l’art. 346 c.p. in luogo della più mite ipotesi di cui all’art. 346-bis c.p. come modificata dalla L. n. 3 del 2019, entrata in vigore anteriormente alla emissione della sentenza che si impugna, che – come anche affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6 n. 17980 del 14/3/2019) – ha inglobato le condotte punite dall’art. 346 c.p. dando luogo ad una successione di leggi penali nel tempo rientrante nell’art. 2 c.p., comma 4, ed avendo diritto l’imputato ad essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo.

 

 

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. La Corte ha erroneamente dichiarato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 346 c.p., segnatamente secondo l’ipotesi di cui al comma 2, e commisurato la pena detentiva e pecuniaria in quanto alla data della emissione della sentenza la predetta ipotesi risultava – ai sensi della L. n. 3 del 2019, art. 1 – ricompresa nella ipotesi di cui all’art. 346-bis c.p. da considerarsi più favorevole in relazione alla diversa e meno grave forbice edittale prevista rispetto alla ipotesi, abrogata dalla stessa legge, dell’art. 346 c.p..
3. Questa Corte ha già affermato che le condotte di colui che, vantando un’influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, riconducibili, prima della L. n. 190 del 2012, al reato di millantato credito, devono essere sussunte dopo l’entrata in vigore di detta legge, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, nella fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p., che punisce il fatto con pena più mite, atteso il rapporto di continuità tra norma generale e quella speciale (Sez. 6, n. 51688 del 28/11/2014, Milanese, Rv. 267622), spiegandosi in motivazione che “il millantare credito” veniva inizialmente interpretato come vanteria di un’influenza inesistente, idonea a ingannare il c.d. compratore di fumo, il quale, credendo alle parole del millantatore, dà il denaro destinato a compensare la presunta mediazione; successivamente, considerato che il reato di cui all’art. 346 c.p. è stato concepito per tutelare il prestigio della pubblica amministrazione piuttosto che il patrimonio del solvens, si è focalizzata l’attenzione sulla condotta dell’agente, che si fa dare il denaro rappresentando i pubblici impiegati come persone venali, inclini ai favoritismi, cosicchè si è consolidato l’indirizzo ermeneutico secondo cui, per integrare la millanteria, non è necessaria una condotta ingannatoria o raggirante, perchè ciò che rileva è la vanteria dell’influenza sul pubblico ufficiale, che, da sola, a prescindere dai rapporti effettivamente intrattenuti, offende l’immagine della pubblica amministrazione (v. ex plurimis, Cass., Sez. 6, 4.3.2003 n. 16255, Pirosu, rv 224872; idem, 17.3.2010 n. 13479, D’Alessio, rv 246734)”.
All’indomani della novella introdotta dalla L. 9 gennaio 2019 è stato affermato che sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito, formalmente abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 1, lett. s), e quello di traffico di influenze di cui al novellato art. 346-bis c.p., atteso che in quest’ultima fattispecie risultano attualmente ricomprese le condotte di chi, vantando un’influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità quale prezzo della propria mediazione (Sez. 6 n. 17980 del 14/03/2019, Nigro, Rv. 275730).
Ritiene il Collegio che le ragioni dei richiamati orientamenti di legittimità consentono di affermare la sussistenza della continuità normativa tra l’ipotesi prevista dall’art. 346 c.p.p., comma 2, ed il rinovellato art. 346-bis c.p. giustificando la abrogatio sine abolitione dichiaratamente perseguita dal legislatore della novella del 2019.
Con la seconda decisione citata, in particolare, si è spiegato che “il legislatore ha…riscritto la formulazione del delitto di traffico di influenze illecite previsto dall’art. 346-bis c.p. e vi ha inglobato la condotta già sanzionata sotto forma di millantato credito nella disposizione precedente. In particolare… l’art. 346-bis, comma 1 punisce la condotta di chi “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”. In altri termini, la “nuova” ipotesi di traffico di influenze illecite punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali – di natura economica o meno -, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione con quest’ultimo. Ciò a condizione – fatta oggetto di un’espressa clausola di riserva (“fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322-bis”) – che l’agente non eserciti effettivamente un’influenza sul pubblico ufficiale o sul soggetto equiparato e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, dandosi, altrimenti, luogo a taluna delle ipotesi di corruzione previste da detti articoli. La norma equipara, dunque, sul piano penale la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato Delineato l’ambito della recente riforma in materia, evidente si appalesa la continuità normativa fra il previgente art. 346 ed il rinovellato art. 346-bis c.p. Ed invero, salvo che per la previsione della punibilità del soggetto che intenda trarre vantaggi da tale influenza ai sensi del “nuovo” 346-bis c.p., comma 2 (non prevista nella pregressa ipotesi di millantato credito, nell’ambito della quale questi assumeva anzi la veste di danneggiato dal reato) e la non perfetta coincidenza fra le figure verso le quali la millanteria poteva essere espletata (atteso che l’abrogato art. 346 aveva riguardo al credito millantato presso il “pubblico ufficiale” e l'”impiegato che presti un pubblico servizio”, mentre nell’attuale fattispecie rileva la rappresentata possibilità di condizionare il “pubblico ufficiale” e 1″incaricato di un pubblico servizio”, a prescindere dal fatto che sia un “impiegato”), la norma di cui all’art. 346-bis di recente riformulata sanziona le medesime condotte già contemplate dall’art. 346 abrogato. In particolare, la fattispecie incriminatrice di traffico d’influenze come riscritta punisce la condotta di chi “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite” con un funzionario pubblico “indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro od altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita” “ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”. Detta condotta certamente ingloba la precedente contemplata dall’art. 346 c.p., là dove sanzionava la condotta di chi “millantando credito” presso un funzionario pubblico (con la differenza quanto all’impiegato di cui si è già detto) “riceve o fa dare o fa promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione” (comma 1) ovvero “col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare” (comma 2). Sostanzialmente sovrapponibili sono, invero, tanto la condotta “strumentale” (stante l’equipollenza semantica fra le espressioni “sfruttando o vantando relazioni (…) asserite” e quella “millantando credito”), quanto la condotta “principale” di ricezione o di promessa, per sè o per altri, di denaro o altra utilità”.
Cosicchè, osserva questo Collegio, la alternativa condotta di dazione o promessa di denaro o altra utilità per remunerare il pubblico ufficiale prevista nella formulazione rinovellata dell’art. 346-bis c.p. ricomprende quella precedente di dazione o promessa di denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale o di doverlo remunerare, non rilevando la esistenza o meno delle relazioni tra l’intermediario ed il pubblico ufficiale.
4. Questo Collegio non condivide l’opposto orientamento che ha escluso continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346 c.p., comma 2, abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 1, lett. s), e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p., in quanto in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all’art. 640 c.p., comma 1, (Sez. 6 n. 5221 del 18/09/2019 Ud. (dep. 2020),Impeduglia, Rv. 278451).
Invero, tale orientamento ha la propria chiave ermeneutica (v. par. 3.1. della sentenza) nella individuazione della ipotesi di cui all’art. 346 c.p., comma 2, quale autonoma fattispecie penale “ricalcata sullo schema della truffa” la cui condotta “a differenza di quella ricompresa nella fattispecie di cui al comma 1, non può che realizzarsi attraverso artifici e raggiri propri della truffa, contegno fraudolento ben evidente là dove la norma fa espresso e significativo riferimento al “pretesto”, termine che evoca la rappresentazione di una falsa causa posta a base della richiesta decettiva idonea ad indurre in errore la vittima che si determina alla prestazione patrimoniale” in quanto “ciò che assume rilevanza nella complessiva dinamica dell’operazione che si conclude con il depauperamento patrimoniale della vittima, non è tanto l’ipotetico futuro rapporto, che si deve ritenere inesistente, tra il millantatore ed il pubblico funzionario, quanto l’eminente tutela patrimoniale accordata dalla norma al truffato”.
La prospettiva ermeneutica, tuttavia, non considera che l’art. 346 c.p., secondo entrambe le ipotesi previste dai due commi, prevedeva un delitto del privato contro la pubblica amministrazione il cui retto e imparziale funzionamento costituisce l’oggetto della tutela (Sez. U n. 12822 del 21/01/2010, Marcarino) leso, nella ipotesi di cui al comma 2, dal fatto che il pubblico ufficiale è prospettato dall’agente come persona corrotta o corruttibile (Sez. 6 n. 22248 del 20/2/2006, Ippaso ed altri, Rv 234719;vedi anche Sez. 6, Milanese, cit.). Inoltre, essa è smentita dal prevalente orientamento secondo il quale l’ipotesi di cui all’art. 346 c.p., comma 2 – contenente la previsione di un titolo autonomo di reato rispetto alla fattispecie descritta nel comma 1 medesima disposizione – si differenzia dal delitto di truffa, per la diversità della condotta, non essendo necessaria nè la millanteria nè una generica mediazione, nonchè dell’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione, con la conseguenza che unica parte offesa è quest’ultima e non colui che abbia versato somme al millantatore, che è semplice soggetto danneggiato (Sez. 6, n. 17642 del 19/02/2003, Di Maio ed altro, Rv. 227138), cosicchè il reato di millantato credito può concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversità dell’oggetto della tutela penale, rispettivamente consistente nel prestigio della P.A. e nella protezione del patrimonio (Sez. 6, n. 9470 del 05/11/2009 (dep. 2010), Sighinolfi, Rv. 246399).
Tale orientamento è stato più recentemente ribadito affermando che i reati di millantato credito e di truffa possono concorrere – stante la diversità dell’oggetto della tutela penale, consistente, per il primo delitto, nel prestigio della P.A. e, per il secondo, nel patrimonio – qualora allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagni un’ulteriore attività ingannatoria diretta all’induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno (Sez. 6, n. 9960 del 28/12/2016 (dep. 2017), Grasso, Rv. 269755), identificabile, nel caso richiamato, nella predisposizione di atti falsi a sostegno della propria millanteria.
Cosicchè non è decisivo al fine di escludere la continuità normativa di cui si discute – alla quale, peraltro, ha fatto espresso riferimento il legislatore nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge palesando la intenzione di una abrogatio sine abolitione – il rilievo, ritenuto preponderante dalla decisione dalla quale si dissente, della “non esatta corrispondenza tra la condotta in precedenza prevista dalla norma abrogata e quella attualmente inglobata nell’art. 346-bis c.p., comma 1 “per la “mancata riproposizione del termine “pretesto” contenuto nella precedente ipotesi di reato o altro di natura equipollente” che, sempre secondo la stessa decisione, avrebbe fondato il carattere autonomo della fattispecie.
Osserva questo Collegio che l’assenza del termine in questione – già secondo la formulazione dell’art. 346-bis c.p. introdotto nel 2012 – appare ancor più funzionale all’inclusione nell’illecito delle evocate dazioni in favore dei pubblici ufficiali o pubblici impiegati, prescindendosi dall’aderenza al reale di tali relazioni per la equiparazione – introdotta con la novella del 2019 – dello sfruttamento delle relazioni esistenti al vanto di quelle asserite.
5. Affermata la continuità normativa tra le due fattispecie succedutesi nel tempo, la pena irrogata al ricorrente risulta illegale nella parte in cui ha applicato la non più prevista pena pecuniaria e illegittima nella parte relativa alla pena detentiva calcolata nell’ambito di una previgente diversa e più grave cornice edittale.
Da un lato, la fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p. attualmente vigente è punita con la sola pena detentiva mentre il previgente millantato credito era sanzionato congiuntamente con le pene detentiva e pecuniaria; dall’altro lato, l’attuale incriminazione prevede la pena massima di quattro anni e sei mesi di reclusione, mentre il massimo edittale della pena detentiva del previgente art. 346 era fissato in cinque anni.
Va ribadito il diritto dell’imputato, desumibile dall’art. 2 c.p., comma 4, ad essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la lex mitior anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità (Sez. U n. 46663 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265110)”.
La sentenza – ferma restando la declaratoria di responsabilità passata in giudicato – deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio sul punto.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]