SUI RAPPORTI TRA RAPINA IMPROPRIA, TRUFFA ED ESTORSIONE

1. Risponde di rapina e non di truffa colui che prospetti un pericolo immaginario come proveniente direttamente dall’agente e non da terzi. Integra, invece, il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male come possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perchè tratta in errore dalla prospettazione di un pericolo immaginario (nel caso di specie la Corte ha ritenuto rispondesse di rapina e non di truffa il “falso” carabiniere che minaccia una perquisizione ove la persona offesa non consegni i gioielli).
2. Per la sussistenza del delitto di estorsione non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamnte esclusa ma che, residuando la possibilità di scelta fra l’accettare le richieste dell’agente o subire il male minacciato, la possibilità di autodeterminazione sia condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolve in un costringimento psichico assoluto, cioè in un annullamento di qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell’agente è il conseguimento di un bene mobile, si configura un vero e proprio impossessamento e conseguentemente il diverso reato di rapina.

11909_Cassazione Penale 14 marzo 2013 (496.12 Kb)