SULLA REVOCATORIA DEL TRUST

Cass. civile, Sez. III, 6 ottobre 2023, n. 28145

Nel caso in cui l’istituzione del trust abbia fatto poi seguito l’effettiva intestazione del bene conferito al truste, la domanda di revocatoria, che a oggetto assume l’atto istitutivo, appare comunque idonea a produrre l’esito di inefficacia (dell’atto dispositivo) a cui propriamente tende la predetta azione in quanto l’atto di trasferimento e intestazione del bene conferito al trustee non risulta essere atto isolato e autoreferente. Nella complessa dinamica di un’operazione di trust, lo stesso si pone, per contro, non solo come atto conseguente, ma prima ancora come atto dipendente dall’atto istitutivo.

E’ in quest’ultimo atto, cioè, che l’atto dispositivo recupera la sua ragion d’essere e causa (in ipotesi) giustificatrice. E’, del resto, corrente osservazione in letteratura che il trustee risulta titolare di un “ufficio”, o di una “funzione”; e che, quindi, è proprietario non già nell’interesse proprio, bensì nell’interesse altrui: secondo i termini e i modi volta a volta appunto consegnatigli dell’atto istitutivo.

La peculiare proprietà del trustee non potrebbe perciò “sopravvivere” all0inesistenza, o al caducarsi, dell’atto che viene nel concreto a conformare tale diritto. L’inefficacia dell’atto istitutivo, come prodotta dall’esito vittorioso di un’azione revocatoria, reca con sè dunque, pure l’inefficacia dell’atto dispositivo. La domanda di revoca dell’atto istitutivo viene, in altri termini, a colpire il fenomeno del trust sin dalla sua radice.

L’istituzione di trust familiare non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatorio per legge, ma configura – ai fini della revocatoria ordinaria – un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti.

Il negozio istitutivo di un trust, per considerarsi a titolo oneroso, deve essere posto in adempimento di un obbligo e dietro pagamento di un corrispettivo. Tanto si verifica, ad es., nei c.d. trust di garanzia, che sono istituiti da un debitore in seguito ad un accorso con i propri creditori. Al contrario, se il trust viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente e in mancanza di un vantaggio patrimoniale, l’atto costitutivo del trust deve essere considerato a titolo gratuito.

 

 

Svolgimento del processo

C.C. e D.D. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Sondrio A.A., B.B. e E.E. chiedendo il risarcimento del danno cagionato da una condotta illecita integrante il reato di truffa. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno patrimoniale nella misura di Euro 166.740,00 in favore di D.D. e di Euro 48.798,60 in favore di C.C.. Condannò inoltre: A.A. al risarcimento del danno morale in favore di D.D. nella misura di Euro 100.000,00 e in favore di C.C. nella misura di Euro 50.000,00; E.E. al risarcimento del danno morale in favore di D.D. nella misura di Euro 30.000,00 e in favore di C.C. nella misura di Euro 15.000,00; B.B. al risarcimento del danno morale in favore di D.D. nella misura di Euro 30.000,00 e in favore di C.C. nella misura di Euro 15.000,00. Avverso detta sentenza proposero distinti appelli gli originari convenuti. Riunite le impugnazioni, con sentenza di data 13 novembre 2019 la Corte d’appello di Milano accolse esclusivamente l’appello proposto da E.E., rigettando la domanda nei confronti di questi.

Hanno proposto ricorso per cassazione A.A. e B.B. sulla base di due motivi e resistono con unico atto di controricorso C.C. e D.D..

E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Il Collegio si è riservato il deposito nei sessanta giorni successivi alla Camera di consiglio.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e art. 324 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la decisione impugnata è in violazione del giudicato esterno, formatosi con l’ordinanza n. 23135 del 2018 di inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano relativa alla domanda proposta da C.C. e D.D. di simulazione soggettiva del contratto preliminare, ed in subordine di restituzione della somma corrisposta dagli attori.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., nonchè degli artt. 20432049 c.c. e degli artt. 652653 e 654 c.p.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che l’accertamento dell’integrazione del reato di truffa nella sentenza impugnata è in violazione della sentenza del Tribunale penale di Sondrio del 7 gennaio 2016, divenuta irrevocabile, la quale aveva pronunciato l’assoluzione degli odierni ricorrenti dall’imputazione di truffa per insussistenza del fatto.

Il ricorso è inammissibile.

Esso è carente del requisito di sommaria esposizione dei fatti di causa, previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione.

Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorso per cassazione deve indicare, in modo chiaro ed esauriente, sia pure non analitico e particolareggiato, i fatti di causa da cui devono risultare le reciproche pretese delle parti con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano in modo da consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto senza dover ricorrere ad altre fonti e atti del processo (fra le tante, da ultimo, Cass. n. 24432 del 2020).

Il ricorso è completamente carente dell’indicazione della causa petendi ed in particolare dell’articolazione dei fatti allegati a sostegno della proposta domanda risarcitoria. Risultano indicati solo il petitum dell’originaria domanda ed un generico riferimento ad una condotta di truffa, ascritta ai convenuti, che non consente evidentemente di appurare quale sia stato il fatto alla base dell’illecito ascritto. Neanche il contenuto dei motivi di censura, assumendo che gli stessi possano integrare la sommaria esposizione dei fatti di causa, consente di accertare quali siano gli specifici presupposti di fatto alla base della domanda risarcitoria, dato che nei motivi di censura risultano richiamati solo stralci della motivazione di atti giudiziari, dai quali si desume solo il giudizio di fatto alla base dei richiamati provvedimenti, ma non l’articolazione dei fatti esposti nella originaria domanda. Poichè si tratta di un requisito del ricorso, la sommaria esposizione dei fatti di causa, come sopra evidenziato richiamando la giurisprudenza di questa Corte, non può essere ricavata, in funzione di integrazione del requisito mancante, dalla motivazione della decisione impugnata o dal controricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; e vanno poste a solidale carico dei ricorrenti, attesa l’evidente comunanza del loro interesse in causa, in favore dei controricorrenti, pure quanto a loro in solido, per l’identità della posizione processuale.

Poichè il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore dei controricorrenti e tra loro in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2023