LA COMUNIONE LEGALE FRA I CONIUGI: GLI ACCORDI PATRIMONIALI IN SEDE DI SEPARAZIONE CONSENSUALE POSSONO “RICONOSCERE” LA PROPRIETÀ ESCLUSIVA A UNO DEI CONIUGI O STABILIRE UNA COMUNIONE (ORDINARIA) CON QUOTE NON PARITARIE

Cass. Civile, Sez. I, 3 febbraio 2025, n. 2546 – Pres. Acierno, Rel. Tricomi

 

La comunione legale tra coniugi, in quanto finalizzata alla tutela della famiglia piuttosto che della proprietà individuale, si differenzia da quella ordinaria in quanto costituisce una comunione senza quote, nella quale essi sono entrambi solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni che la compongono e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, sicché, fintantoché è in essere, permane il diritto del coniuge a non entrare in rapporti di comunione con soggetti ad essa estranei, mentre una volta sciolta per una delle cause di cui all’art. 191 c.c.., venendo meno le necessità funzionali originarie, ciascuno degli ex coniugi può cedere ad ogni titolo la propria quota, ossia la corrispondente misura dei suoi diritti verso l’altro, senza che si ponga un problema di radicale invalidità dell’atto di trasferimento.

Tanto premesso, è decisivo ricordare che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 21761 /, di recente, hanno affermato che sono da ritenersi pienamente valide, anche con riferimento ai beni che ricadono nella comunione legale, le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili nel complessivo riassetto degli interessi economico – patrimoniali, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. In particolare, ha chiarito che “Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi. Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc“, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale”.

 È stato, inoltre, affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria. Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass. n. 2740/2019).

Nel caso in esame, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex coniugi, al momento della separazione consensuale, al fine di disciplinare i profili relativi alle questioni patrimoniali insorte nella coppia.

Ne discende che, una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali – estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti – con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre dei beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità.

 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

RILEVATO CHE:

A.A. e B.B., che avevano contratto matrimonio il 5 luglio 1980, acquistarono in data 28 febbraio 1990 un appartamento in Napoli, che ricadde nel regime di comunione legale del matrimonio. In data 8 novembre 1991 il Tribunale di Napoli omologò la separazione consensuale dei due coniugi; con sentenza numero 437/1998 il Tribunale di Napoli pronunciò la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Successivamente B.B. con atto di citazione del 3 agosto 2006 agì chiedendo la divisione dell’appartamento o, ove ciò non fosse possibile, la vendita dello stesso con assegnazione delle somme ricavate ai condividenti.

A.A. nel costituirsi, dedusse che la comunione non era in parti uguali, atteso che la quota di essa convenuta era pari al 71per cento, il tutto come da accordo riportato nel verbale di separazione personale dei coniugi in data 30 settembre 1991, come omologato dal Tribunale di Napoli.

Con separato giudizio B.B., nel premettere che l’ex moglie utilizzava in via esclusiva l’appartamento, chiese la corresponsione di un’indennità di occupazione, nella misura del 50per cento, ovvero in via subordinata nella misura del 29per cento.

I due giudizi vennero riuniti.

Il Tribunale con sentenza parziale dichiarò la nullità dell’accordo riportato nel verbale di comparizione dei coniugi del 30 settembre 1991 del Tribunale di Napoli omologato con decreto in data 8 novembre, limitatamente alla parte in cui “i coniugi si danno atto e consentono la regolare trascrizione del presente verbale alla Conservatoria dei Registri Immobiliari di Napoli, affinché risulti che la proprietà dell’immobile in Napoli alla via S Giacomo dei Capri n. 39/d, piano 1, int. 2, riportato nel NC.E.U di

Napoli alla partita 1039245, folio 5, particella 443, sub, 3, P. l, cl. 7, cat. A/ 2, di vani catastali 6,5, con rendita catastale 8138, si appartiene per il 29 per cento al sig. B.B. e per il 71 per cento alla signora A.A.” ravvisando la violazione della norma dell’art. 210, secondo comma, c.c., che prevede espressamente l’inderogabilità delle norme che regolano la comunione legale relative “all’uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale”. Quindi, espletata CTU, con sentenza definitiva in data 8 novembre 2017 il Tribunale rigettò la domanda di divisione dell’immobile e quella volta a conseguire il pagamento di una indennità in quanto aveva accertato, sulla base dell’indagine tecnica esperita, che il cespite non era commerciabile, in ragione degli abusi edilizi riscontrati, non essendovi prova univoca della sua realizzazione in data precedente l’anno 1985.

A.A. propose appello avverso la pronuncia di nullità della clausola dell’accordo di separazione.

La Corte di appello di Napoli ha confermato la prima decisione ed ha affermato che l’inderogabilità della disciplina della comunione legale dei beni relativa all’uguaglianza delle quote, così come espressamente sancita dall’art.210, comma 2, c.c., comporta la nullità dell’accordo che, al contrario, contempli una divisione dei beni in parti diseguali.

A.A. propone ricorso chiedendo la cassazione della sentenza impugnata con un mezzo illustrato con memoria. B.B. ha replicato con controricorso e memoria.

È stata disposta la trattazione camerale.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

CONSIDERATO CHE:

2.- L’unico motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 162, 177, 179, 180, 181, 182, 183, 184, 185, 191, 192, 194 e 210, 1322, 1325, 1362 e 1418 c.c. nonché 711 c.p.c. e critica la decisione impugnata laddove ha confermato la declaratoria di nullità della clausola n.6 dell’accordo di separazione.

3.- Il ricorso è fondato e va accolto.

Nell’assetto normativo vigente, la comunione legale è un istituto la cui caratteristica essenziale consiste nell’attribuzione ex lege in proprietà comune dei coniugi dei beni indicati nell’art. 177 c.c. e che è altresì caratterizzata dall’affidamento alla volontà comune di entrambi i coniugi di qualunque atto dispositivo dei beni facenti parte della comunione (art.180 c.c.) con la previsione solo in caso di contrasto di un intervento autorizzatorio del giudice nell’interesse della famiglia. Di notevole rilievo, ai fini della configurazione dell’istituto, è il sistema delle modificazioni convenzionali dei regimi patrimoniali dei coniugi che, secondo la vigente normativa, possono essere liberamente cambiati, passando dalla comunione legale alla separazione dei beni, ovvero ad una comunione legale pattiziamente modificata nei limiti consentiti dall’art.210 c.c. Per tali mutamenti è richiesto unicamente l’atto pubblico, mentre solo per l’opponibilità ai terzi è necessaria l’annotazione in margine all’atto di matrimonio e, nei casi previsti dalla legge, la trascrizione (artt. 162, terzo comma; 163, primo, terzo e quarto comma; 2647 c.c.).

La comunione legale tra coniugi, in quanto finalizzata alla tutela della famiglia piuttosto che della proprietà individuale, si differenzia da quella ordinaria in quanto costituisce una comunione senza quote, nella quale essi sono entrambi solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni che la compongono e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, sicché, fintantoché è in essere, permane il diritto del coniuge a non entrare in rapporti di comunione con soggetti ad essa estranei, mentre una volta sciolta per una delle cause di cui all’art. 191 c.c., venendo meno le necessità funzionali originarie, ciascuno degli ex coniugi può cedere ad ogni titolo la propria quota, ossia la corrispondente misura dei suoi diritti verso l’altro, senza che si ponga un problema di radicale invalidità dell’atto di trasferimento (Cass. n.8193/2024).

Tanto premesso, è decisivo ricordare che questa Corte con la sentenza n. 21761/2021 resa a Sezioni Unite, di recente, ha affermato, richiamando pregressi precedenti di legittimità, che sono da ritenersi pienamente valide, anche con riferimento ai beni che ricadono nella comunione legale, le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili nel complessivo riassetto degli interessi economico – patrimoniali, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. In particolare, ha chiarito che “Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi. Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc”, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale” (Cass. Sez. U. n.21761/2021, par.3.2.2.; Cass. n.4306/1997).

È stato, inoltre, affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicità” propria. Tale tipicità – intesa in senso lato, con riferimento alla finalità, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass. n. 2740/2019). In tale decisione, la Corte ha ribadito come il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisse a seguito dell’omologa, ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass.n.10443/2019).

Nel caso in esame, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex coniugi, al momento della separazione consensuale, al fine di disciplinare i profili relativi alle questioni patrimoniali insorte nella coppia.

Ne discende che, una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali – estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti – con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre dei beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità.

La Corte di merito non ha dato retta applicazione ai principi esposti e la decisione va cassata con rinvio.

6.- In conclusione, va accolto il ricorso; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Napoli in

diversa composizione per il riesame e l’applicazione dei principi espressi e per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

– Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile il giorno 3 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2025.