RAPPORTI TRA ACCESSO C.D. DIFENSIVO E DOCUMENTI COPERTI DAL “SEGRETO” A TUTELA DI INTERESSI PUBBLICI

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 9210 del 2013, proposto da:

 

Ministero dello sviluppo economico e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

contro

Mc Quay Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ottavio Grandinetti, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via Caroncini n. 2;

per la riforma

dell’ordinanza collegiale del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III TER n. 10221/2013, resa tra le parti, concernente diniego accesso agli atti relativi alla clausola catch-all;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Mc Quay Italia s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2014 il Consigliere Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Marina Russo e l’avvocato Grandinetti;

 

1. Il Ministero dello sviluppo economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno impugnato, chiedendone la sospensione, l’ordinanza istruttoria 29 novembre 2013, n. 10221, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, ha accolto l’istanza incidentale di accesso proposta dalla società Mcquay Italia s.p.a. ai sensi dell’art. 116, comma 2, Cod. proc. amm.

L’ordinanza appellata, in particolare, ha ritenuto illegittimo il diniego di accesso contenuto nel provvedimento del Ministero dello Sviluppo Economico del 14 agosto 2013 e, per l’effetto, ha ordinato al Ministero medesimo di depositare presso la segreteria della Sezione i seguenti atti:

– nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri del gennaio 2013;

– nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 31 maggio 2013

– nota prot. PCI/48401 del 22 marzo 2013;

– verbale della riunione del Comitato consultivo n. 289 del 30 novembre 2012.

2. Il Ministero dello sviluppo economico, destinatario dell’ordine istruttorio, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dalla quale promana la documentazione oggetto dell’ordine di esibizione, con il presente appello hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza istruttoria nella parte in cui essa consente l’accesso anche alle note della Presidenza del Consiglio del 31 gennaio 2013 e del 31 maggio 2013.

3. Giova evidenziare, per una migliore comprensione della vicenda, che l’istanza di accesso è stata proposta in via incidentale dalla McQuay Italia s.p.a. nell’ambito del ricorso principale proposto per ottenere l’annullamento dei provvedimenti (prot. PCI/254141 del 12 dicembre 2012, prot. PCI/14878 del 29 gennaio 2013 e prot. PCI/108132 del 27 giugno 2013) con i quali il Ministero dello sviluppo economico ha imposto, e successivamente riconfermato, l’applicazione della cosiddetta clausola catch-all, di cui all’art. 4, paragrafo 1, del regolamento CE del Consiglio del 5 maggio 2009 n. 428/2009 (Regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell’intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso), ad un’operazione di esportazione a favore della società turca Polimeks (relativa alla forniture di otto refrigeratori, tipo “chiller”, per il condizionamento dell’aria, destinati alla realizzazione del complesso sportivo olimpionico di Ashgabat, per un importo complessivo di € 565.622,05).

4. Ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del regolamento CE n. 428/2009 “l’esportazione di prodotti a duplice uso non compresi nell’elenco di cui all’allegato I è subordinata ad un’autorizzazione nel caso in cui l’esportatore sia stato informato dalle competenti autorità dello Stato membro in cui è stabilito che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, ad una utilizzazione collegata allo sviluppo, alla produzione, alla movimentazione, al funzionamento, alla manutenzione, alla conservazione, all’individuazione, all’identificazione o alla disseminazione di armi chimiche, biologiche o nucleari o di altri congegni esplosivi nucleari oppure allo sviluppo, alla produzione, alla manutenzione o alla conservazione di missili che possano essere utilizzati come vettori di tali armi”.

Nel caso di specie, il Ministero dello sviluppo economico, nell’imporre detta clausola, ha dichiarato di essere in possesso di informazioni riservate da cui potrebbe evincersi una connessione tra l’esportazione della società ricorrente e possibili utilizzazioni attinenti allo sviluppo e produzione di armi di distruzione di massa. L’imposizione di detta clausola, peraltro, è stata riconfermata dal Ministero, sulla base di ulteriori “informazioni concernenti la rilevante sensibilità dell’operazione de qua”.

5. Al fine di difendersi nel predetto giudizio di annullamento avverso l’imposizione della c.d. clausola catch-all, la società McQuay Italia s.p.a. ha chiesto l’accesso ad una serie di documenti, ivi comprese, per quello che più interessa in questa sede, le note della Presidenza del Consiglio “del gennaio 2013” e del 31 maggio 2013, attestanti la rilevante sensibilità dell’operazione con riferimento al rischio di proliferazione di armi di distruzione di massa.

Il diniego di accesso opposto dal Ministero (provvedimento del 14 agosto 2013) è stato impugnato dalla società McQuay Italia s.p.a. in via incidentale, ai sensi dell’art. 116, comma 2, Cod. proc. amm., nell’ambito del giudizio già pendente per l’annullamento dei provvedimenti di imposizione (e di riconferma) della clausola catch-all.

6. L’ordinanza oggetto del presente appello ha accolto il ricorso avverso il diniego di accesso ed ha ordinato l’esibizione dei documenti richiesti (ivi comprese le due note della Presidenza del Consiglio di gennaio e maggio 2013), prescrivendo, a tutela della esigenze di riservatezza invocate dal Ministero, il deposito in busta sigillata presso la segreteria della Sezione e la visione degli stessi “alla presenza del Direttore della Sezione Terza Ter, che redigerà apposito verbale e provvederà a riporre i documenti, una volta definita la conoscenza degli stessi da parte della ricorrente, in busta debitamente sigillata per la successiva visione da parte del Collegio”.

7. L’appello proposto dal Ministero dello sviluppo economico e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri è volto a contestare l’accessibilità delle due note della Presidenza del Consiglio del gennaio 2013 e del maggio 2013, contenenti le sopra richiamate informazioni riservate in ordine alla ritenuta sensibilità dell’operazione di esportazione rispetto al rischio di possibile utilizzo nella fabbricazione di armi di distruzione di massa.

Le Amministrazioni appellanti deducono che le note in questione sarebbero escluse dal diritto di accesso, trattandosi di documenti coperti dalla qualifica di “riservato” ai sensi dell’art. 42 della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto).

8. Si è costituita la McQuay Italia s.r.l. chiedendo il rigetto del ricorso e riproponendo, comunque, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., i motivi proposti a sostegno dell’istanza incidentale di accesso assorbiti in primo grado.

9. Alla camera di consiglio del 21 gennaio 2014, formalmente fissata per la decisione sull’istanza cautelare, le parti, evidenziando le peculiarità della fattispecie e del relativo rito oltre alla circostanza che l’udienza di discussione nel merito del ricorso principale innanzi al Tribunale amministrativo regionale è fissata per il 27 marzo 2014, hanno chiesto l’immediata definizione del giudizio ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm.

10. Il Collegio ritiene che, come richiesto dalle parti, sussistano i presupposti per senz’altro definire il giudizio nel merito, considerato che il contradditorio è integro, l’istruttoria è completa e la risoluzione della lite dipende dalla risoluzione di un’unica questione di diritto.

11. L’appello proposto dal Ministero dello sviluppo economico e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri merita accoglimento.

12. Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto illegittimo il diniego di accesso sulla base della previsione contenuta nell’art. 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nel testo sostituito dall’art. 16 legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), ai sensi della quale: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”.

Secondo l’ordinanza appellata, da tale norma emergerebbe una generale prevalenza del c.d. accesso difensivo (finalizzato alla difesa in giudizio) rispetto a tutti gli altri interessi contrapporti, pubblici e privati, a tutela dei quali sono previste le diverse ipotesi di esclusione dall’accesso disciplinate negli altri commi dello stesso art. 24 della legge n. 241 del 1990.

Partendo da tale premessa, il Tribunale amministrativo regionale ha reputato irrilevante la circostanza che i documenti in questione siano tra quelli che il Ministero ha espressamente sottratto all’accesso con il d.m. 16 maggio 1996, n. 422 (Regolamento recante norme per l’individuazione dei documenti di competenza del Ministero del commercio con l’estero, sottratti al diritto di accesso ai sensi dell’art. 24, comma 4, della L. 7 agosto 1990, n. 241) o che tali documenti siano, comunque, coperti da un divieto di divulgazione, ai sensi dell’art. 42 legge n. 124 del 2007, in quanto oggetto di classifica di segretezza (“riservato”) da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ciò in quanto, secondo il Tribunale amministrativo regionale, l’accesso c.d. difensivo sarebbe comunque prevalente e il rischio di una irragionevole compressione degli altri interessi protetti, aventi, rispetto al diritto di difesa, uguale rilevanza costituzionale e comunitaria, sarebbe adeguatamente scongiurato attraverso una applicazione dell’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990 secondo il canone della strettissima interpretazione, volta ad appurare la reale funzionalità dell’accesso al diritto di difesa.

13. Tale conclusione non può essere condivisa.

Non merita condivisione, in particolare, la premessa interpretativa da cui essa muove, ovvero che l’accesso c.d. difensivo di cui all’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990 sia in grado di prevalere su ogni ipotesi di esclusione dall’accesso ai sensi dei precedenti commi dello stesso art. 24.

Il Collegio ritiene, al contrario, che (nonostante la non felice formulazione dell’art. 24, comma 7, come sostituito dall’art. 5 della legge n. 15 del 2005) la regola della prevalenza del c.d. accesso difensivo non riguardi tutte le ipotesi di esclusione di cui al medesimo art. 24, ma solo la particolare ipotesi di esclusione (contemplata dalla lettera d del comma 6) determinata dalla necessità di tutelare la riservatezza di terzi (persone, gruppi, imprese e associazioni).

14. È vero che in senso contrario (ovvero a favore della tesi della generalizzata prevalenza dell’accesso difensivo) sembrerebbe deporre la collocazione della relativa regola in un comma autonomo (il comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990), da cui potrebbe, appunto, ricavarsi che oggi, a differenza di quanto accadeva prima delle modifiche introdotte con la legge n. 15 del 2005, l’accesso difensivo prevalga su ogni fattispecie di esclusione.

15. Tale argomento, legato alla collocazione topografica della previsione normativa, tuttavia cede alla luce delle seguenti considerazioni.

16. Innanzitutto, esso trova smentita nei lavori preparatori della legge n. 15 del 2005, dai quali emerge, in maniera sufficiente, l’intenzione del legislatore di attribuire prevalenza all’accesso difensivo solo con riferimento ai documenti contenenti dati personali, ossia allorché venga in rilievo la tutela della riservatezza. Nella Relazione della Prima Commissione permanente della Camera Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni), presentata alla Presidenza il 6 novembre 2003, a pag. 13, infatti, si legge: “la tutela della riservatezza dei dati, stabilisce il comma 7, deve comunque garantire, agli interessati che lo richiedono, l’accesso ai documenti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per l’esercizio del diritto di difesa o per far valere un diritto in giudizio”. La norma di cui al comma 7 viene, quindi, ricondotta esclusivamente al rapporto tra accesso e riservatezza, senza menzionare le altre ipotesi di esclusione.

Al di là dell’intenzione del legislatore storico, a sostegno di tale interpretazione dell’art. 24, comma 7, depongono due ulteriori argomenti.

17. Il primo si ricava da una lettura complessiva dell’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990.

Tale disposizione si compone di due periodi: il primo, che sancisce la regola della prevalenza dell’accesso difensivo, senza ulteriori specificazioni; il secondo, che limita l’applicazione di tale regola, occupandosi di attenuarne la portata solo con riferimento ad alcune categorie di dati personali (i dati sensibili, i dati giudiziari e i dati sensibilissimi).

Mentre il primo periodo fa generico riferimento alla necessità di consentire l’accesso strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio (senza specificare rispetto a quali documenti), il secondo periodo, nel limitare la portata della regola, fa riferimento ai dati sensibili e giudiziari (puntualizzando che, in questo caso, non basta la semplice strumentalità, ma occorre la stretta indispensabilità) e ai dati sensibilissimi (specificando, tramite il rinvio all’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che “quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”).

È evidente allora che non è plausibile una interpretazione atomistica del primo periodo del comma 7 dell’art. 24, che non tenga conto di quanto dispone il secondo periodo nel chiarire e limitare la portata della regola che sancisce la prevalenza dell’accesso difensivo.

L’eccezione del secondo periodo si occupa solo dei dati personali sensibili e sensibilissimi (coperti dal c.d. nocciolo duro del diritto alla riservatezza) sul presupposto, non esplicitato ma comunque evidente, che la regola del primo periodo valga, a sua volta, solo per i documenti che contengono dati personali (e non per qualsiasi ipotesi di esclusione dal diritto di accesso).

18. L’opposto assunto, oltre ad essere smentito dal punto di vista storico-teleologico oltre che dal dato letterale (tenendo conto dell’intera formulazione del comma 7) darebbe luogo anche a conclusioni irragionevoli, finendo per tutelare la riservatezza delle informazioni private e personali in misura maggiore rispetto alla riservatezza delle informazioni pubbliche, che sarebbero cedevoli rispetto all’accesso difensivo indipendentemente da ogni concreto bilanciamento tra opposti interessi e senza tener conto del dominante rilievo e della portata stessa dell’interesse pubblico sotteso all’ipotesi legislativamente prevista di esclusione.

19. Deve, quindi, escludersi che l’art, 24, comma 7, primo periodo, legge n. 241 del 1990 possa essere interpretato nel senso di giustificare una indiscriminata prevalenza dell’accesso difensivo su tutte le ipotesi di esclusione normativamente previste.

20. Esclusa la generalizzata applicazione della regola dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990, i rapporti tra l’accesso strumentale alla difesa in giudizio e gli altri casi di esclusione tipizzati dalla legge non potrà che essere risolto seguendo una delle seguenti vie: a) secondo una accezione più radicale, dando sempre prevalenza ai secondi (come sembrerebbe desumersi dall’art. 24, comma 1, legge n. 241 del 1990 che, con l’espressione “il diritto di accesso è escluso” sembra individuare negli interessi pubblici che integrando le fattispecie tipiche di esclusione inderogabili limiti negativi al contenuto del diritto di accesso, quale che sia la sua finalità); b) secondo una accezione più “flessibile”, ammettendo la possibilità di un bilanciamento in concreto, che tenga conto (analogamente a quanto previsto per i dati personali sensibilissimi), da un lato, della indispensabilità dell’accesso rispetto alla difesa e, dall’altro, del rango comparativo degli interessi contrapposti (quello tutelato con l’esclusione dell’accesso e quello alla cui tutela in giudizio mira l’istanza ostensiva).

21. Non vi è ragione qui di indicare le ragioni perché sia da preferire l’una o l’altra via, perché, anche ad accogliere la più flessibile tesi del bilanciamento “in concreto”, non vi è dubbio che, nel caso di specie, tale bilanciamento non potrebbe che concludersi nel senso di escludere l’accesso richiesto dalla McQuay Italia s.p.a..

22. In questo caso, infatti, l’interesse economico del richiedente (per quanto rilevante e collegato a un valore di rilievo costituzionale come quello della libertà di iniziativa economica) non può che restare subvalente rispetto all’interesse pubblico che giustifica la non ostensione, vale a dire il segreto, connesso com’è ai beni pubblici protetti dalla tutela della sicurezza nazionale e internazionale dello Stato e della lotta al terrorismo.

Basti considerare che il diniego di accesso riguarda, in questo caso, documenti classificati”ai sensi dell’art. 42 della legge n. 124 del 2007, e le classifiche di segretezza, in base al comma 1 del medesimo art. 42, sono attribuite proprio “per circoscrivere la conoscenza di informazioni, atti e attività ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi in ragione della proprie funzionali istituzionali”. Vi è quindi una specifica previsione legislativa che esclude la comune accessibilità.

23. Inoltre, non sembra emergere quel rapporto di stretta indispensabilità tra il richiesto accesso e l’esercizio del diritto di difesa.

La società ricorrente, invero, nell’ambito del ricorso diretto all’annullamento del provvedimento impositivo dell’obbligo di previa autorizzazione ha esposto circostanze dettagliate e formulato motivi puntuali (ivi compresa la lamentata disparità di trattamento rispetto all’altro operatore italiano che ha esportato gli stessi prodotti presso la medesima impresa), che confermano la non indispensabilità della conoscenza delle informazioni riservate contenute nelle note della Presidenza del Consiglio dei Ministri del gennaio 2013 e del maggio 2013 per l’esercizio del diritto di difesa.

24. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza appellata, deve essere respinto il ricorso incidentale contro il diniego di accesso proposto dalla McQuay Italia s.p.a. ai sensi dell’art. 116, comma 2, Cod. proc. amm.

25. Le spese della presente fase incidentale seguono la soccombenza e sono liquidati in complessivi € 3.000 (tremila).

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, respinge l’istanza incidentale di accesso proposta ai sensi dell’art. 116, comma 2, cod. proc. amm.

Condanna la società McQuay Italia s.p.a. al pagamento, a favore delle Amministrazioni appellanti, delle spese del giudizio incidentale sull’accesso, che liquida in complessivi € 3.000 (tremila/00).

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati: