DIRITTO DI ACCESSO: ALLA PLENARIA I POTERI DI VALUTAZIONE SPETTANTI ALLA P.A. IN MERITO AL COLLEGAMENTO TRA DOCUMENTO ED ESIGENZE DIFENSIVE

Va rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a., la questione riguardante la definizione dei poteri che spettano all’Agenzia delle entrate, per valutare la sussistenza o meno del diritto di accesso, di fronte ad un’istanza, con cui, ai sensi dell’art. 24 comma 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241, l’accedente chieda l’ostensione di una determinata documentazione fiscale relativa a terzi, stabilmente detenuta dall’Agenzia delle entrate, la cui conoscenza si affermi necessaria per curare o per difendere in giudizio gli interessi giuridici dell’istante.

 

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 3378 del 2020, proposto dalla signora Luciana Abrami, rappresentata e difesa dall’avvocato Francesca Vrespa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
contro
la società Gobbi 1842 S.r.l., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ermanno Vaglio, Gian Luca Grossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
nei confronti
dell’Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
dei signori Dario Pilla e Francesco Di Stefano, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesca Vrespa, Maurizio Ruben e Mara Bolzoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Vrespa in Milano, via Cappuccio 12;
del signor Felice Abrami, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesca Vrespa, Davide Paleologo e Silvia Lotti Catarsi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Vrespa in Milano, via Cappuccio 12;
delle società Maria S.r.l., Red S.r.l., Gestifin S.p.a. e Immobiliare La Torre S.r.l. non costituite in giudizio;
per la riforma, previa sospensione cautelare,
della sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Milano, sez. III, 20 marzo 2020 n. 533, che ha accolto il ricorso n. 1581/2019 R.G. proposto:
per l’annullamento
a) del provvedimento di data non indicata riferimento prot. nn. 2019/47260, 2019/69670, 2019/96443 e 2019/109561, comunicato all’interessata con pec 11 giugno 2019, con il quale l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale I di Milano, Ufficio territoriale di Milano 1, ha confermato il diniego espresso sull’istanza di accesso agli atti presentata dalla Gobbi 1842 s.r.l. il giorno 20 febbraio 2019:
di tutti gli atti ovvero provvedimenti consequenziali e presupposti, e in particolare:
b) del provvedimento di data non indicata riferimento prot. n. 2019/47260, comunicato all’interessata con pec 21 marzo 2019, con il quale la medesima Agenzia ha respinto l’istanza di accesso suddetta;
nonché per l’accertamento
del diritto ovvero dell’interesse legittimo della Gobbi 1842 S.r.l. di accedere agli atti e documenti oggetto dell’istanza di accesso suddetta;
e per la condanna
dell’Agenzia delle entrate predetta all’ostensione dei documenti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Gobbi 1842 S.r.l., dell’Agenzia delle entrate e dei signori Dario Pilla, Francesco Di Stefano e Felice Abrami;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Francesca Vrespa, Ermanno Vaglio e Gian Luca Grossi;

 

1. La Gobbi 1842, ricorrente in I grado, è una società commerciale, la quale gestisce una gioielleria a Milano, in corso Vittorio Emanuele II 15, in un immobile datole in locazione dalla proprietaria, Maria S.r.l., i cui soci di maggioranza erano in origine i controinteressati, appellante Luciana Abrami e appellante incidentale Felice Abrami.
2. Nel corso del 2015, la Gobbi 1842, interessata ad acquistare l’immobile in questione, sede storica della propria attività, avviava trattative in tal senso con la società proprietaria e con i consorti Abrami, soci di essa. Le trattative però non andavano a buon fine, in quanto questi ultimi comunicavano di avere ritenuto più conveniente realizzare il valore delle loro quote cedendole ad altri soggetti, ovvero gli altri controinteressati appellanti incidentali Dario Pilla e Francesco Di Stefano, nonché le altre due società intimate indicate in epigrafe, non costituite, sempre facenti capo a costoro.
3. A seguito di questi fatti, fra la Gobbi 1842, la Maria S.r.l. e gli altri soggetti di cui ora si dirà, sono state instaurate due cause civili.
3.1 La prima è la causa 36896/2017 R.G. Tribunale di Milano, promossa dalla Maria S.r.l. contro la Gobbi 1842, con i consorti Abrami come terzi chiamati in causa, per ottenere il rilascio per finita locazione dell’immobile in questione.
3.2 La seconda è la causa 18485/2018 R.G. Tribunale di Milano, promossa dalla Gobbi 1842 nei confronti della Maria S.r.l., dei consorti Abrami precedenti soci e degli attuali soci Pilla e Di Stefano, per sentir dichiarare il proprio diritto di prelazione ed esercitare il riscatto ai sensi degli artt. 38 e ss. della l. 27 luglio 1978 n.392. In sintesi estrema, la tesi sostenuta dalla Gobbi 1842 in questo giudizio è quella per cui la cessione delle quote dai consorti Abrami ai nuovi soci Pilla e Di Stefano simulerebbe una vendita, così realizzata allo scopo di eludere il diritto di prelazione e di riscatto del conduttore di immobile commerciale.
4. Allo scopo di sostenere le proprie ragioni, in particolare nella citata causa 18485/2018 la Gobbi 1842 ha quindi presentato il giorno 20 febbraio 2019 all’Agenzia delle entrate intimata appellata un’istanza di accesso, al fine di ottenere copia di alcuni documenti relativi alla posizione fiscale dei controinteressati predetti e produrli appunto nel giudizio civile indicato. Per la precisione, la società ha elencato gli atti notarili o di dottore commercialista, specificamente indicati, con i quali sono state apparentemente compiute le cessioni delle quote della Maria S.r.l. dai consorti Abrami a Francesco Di Stefano e a Dario Pilla, nonché da Francesco Di Stefano alle società Red S.r.l. e alla Immobiliare La Torre S.r.l., atti dei quali all’evidenza dispone. Ha poi chiesto, in primo luogo, per ciascuno di questi atti: a) l’accesso alla copia dei “movimenti bancari” ovvero degli assegni bancari, in questo caso specificamente indicati, con i quali è stato eseguito il pagamento delle quote; b) l’accesso al quadro pertinente della dichiarazione dei redditi del cedente le quote, in cui questi avrebbe dovuto dichiarare il reddito corrispondente; c) l’accesso al documento, modello F24 o altro, da cui risulta il pagamento della corrispondente imposta sostitutiva dovuta sulla cessione. Ciò posto, per due degli atti di cessione, ovvero per le cessioni 25 giugno 2010 (doc. 11 ricorrente appellata nel foliario 10 giugno 2020) e 30 ottobre 2015 (doc. 14 ricorrente appellata nel foliario 10 giugno 2020), ha evidenziato che l’atto stesso, per il pagamento delle quote, faceva riferimento a non meglio precisati precedenti accordi fra le parti, e ne ha chiesto quindi copia, ove registrati (fatti storici non contestati, si vedano comunque il doc. 5 in I grado ricorrente appellata, copia dell’istanza, e la sentenza di I grado).
5. Per chiarezza, si ricordano le norme in base alle quali l’Agenzia delle entrate può astrattamente detenere i documenti del tipo indicato dalla società istante.
5.1 Per gli atti relativi alla cessione delle quote, ove registrati, si applica l’art. 18 del T.U. Imposta di registro 26 aprile 1986 n.131, per cui “L’ufficio del registro”, ora notoriamente assorbito appunto dall’Agenzia delle entrate, “conserva gli originali e le copie” degli atti presentati per la registrazione e ne rilascia copia nei casi consentiti dalla legge, in particolare ove si possa esercitare il diritto di accesso.
5.2 I “movimenti bancari” rientrano nella previsione dell’art. 7 comma 6 del D.P.R. 29 settembre 1973 n.605, per cui: “Le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario … sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria … l’esistenza dei rapporti e l’esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all’anagrafe tributaria, ed archiviate in apposita sezione, con l’indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale”.
5.3 Per chiarezza, si ricorda che la natura di documenti soggetti al diritto di accesso dei documenti relativi alle operazioni comunicate all’anagrafe tributaria ai sensi del citato art. 7 D.P.R. 605/1973 non è controversa in causa, e comunque è stata affermata dalla giurisprudenza di questo Consiglio, in quanto si tratta di atti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, anche se non formati da essa: in tal senso, per tutte C.d.S. A.P. 25 settembre 2020 n.19, ma già negli stessi termini C.d.S. sez. IV 14 maggio 2014 n.2472.
5.4 Per i modelli di dichiarazione ai fini dell’imposta sui redditi e delle imposte sostitutive, l’art. 3 commi 1 e 12 del D.P.R. 22 luglio 1998 n.322 dispone in modo espresso che essi vadano presentati all’Agenzia.
5.5 Allo stesso modo dispongono infine per i modelli di versamento F24 l’art. 17 del d. lgs. 8 luglio 1997 n.241 e i provvedimenti di esso attuativi che di volta in volta l’Agenzia emana.
6. Parallelamente, la Gobbi 1842 nel contenzioso civile di cui si è detto ha chiesto in via istruttoria l’acquisizione degli stessi documenti, e non la ha ottenuta, nei termini ora descritti.
6.1 Nella causa 36896/2017 R.G. Tribunale di Milano, la Gobbi 1842, ivi convenuta in I grado, si è limitata a chiedere l’esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. ai notai roganti gli atti di cessione delle quote delle copie dei titoli di pagamento, che ragionevolmente coincidono con i “movimenti bancari” di cui si è detto sopra. L’istanza è stata respinta in I grado – si veda la sentenza T. Milano 2 settembre 2019 n.6670 (doc. 10 appellante principale, copia di essa); è stata riproposta nell’atto di appello (doc. 18 appellante principale); è stata respinta anche nella sentenza di appello – A. Milano 21 agosto 2020 n.1733 (doc. 24 appellante principale).
6.2 Nella causa 18485/2018 R.G. Tribunale di Milano, la Gobbi 1842 ha invece richiesto nei confronti dell’Agenzia l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. di tutta la documentazione sopra indicata, non nel ricorso introduttivo (doc. 11 appellante principale), ma in una separata istanza (doc. 13 appellante principale). L’istanza in questione è stata respinta in I grado con ordinanza del Giudice 7 giugno 2019, che ha definito la documentazione “irrilevante” ai fini del decidere e l’istanza stessa “tardiva” nonché “irrituale” (doc. 14 appellante principale, ordinanza citata). L’istanza in questione è stata riproposta nel contesto di un reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c. (doc. 15 appellante principale) e respinta sia nella decisione del reclamo, ordinanza 16 agosto 2019 (doc. 16 appellante principale), sia nella sentenza di I grado T. Milano 6 novembre 2019 n.10108 (doc. 17 appellante principale). Consta che contro questa sentenza la Gobbi 1842 abbia proposto appello, pendente al n.96/2020 R.G. Appello Milano, anche se i dettagli delle domande proposte in quella sede qui non sono noti (v. replica Gobbi 1842 18 settembre 2020, fatto non contestato).
7. Nell’ambito del procedimento amministrativo, con il provvedimento comunicato il giorno 21 marzo 2019 (doc. 4 in I grado ricorrente appellata), l’Agenzia ha negato l’accesso, ed ha ribadito il diniego con il provvedimento comunicato il giorno 11 giugno 2019 (doc. 2 in I grado ricorrente appellata), successivo ad un invito della Commissione ministeriale per l’accesso (doc. 3 in I grado ricorrente appellata), adita dalla società affittuaria dopo il primo diniego, la quale invece riteneva l’accesso dovuto, e ciò nei termini ora spiegati.
7.1 Nella motivazione del provvedimento 11 giugno 2019, l’Agenzia richiama anzitutto quanto affermato a sostegno del proprio precedente diniego 21 marzo 2019. Cita quindi precedenti di questo Giudice – le sentenze sez. IV 13 luglio 2017 n.3461 e 14 maggio 2014 n.2472- nonché del TAR Lombardia Milano, e afferma che la possibilità di acquisire al di fuori del processo documenti amministrativi dei quali una delle parti intenda avvalersi in giudizio costituisce un’elusione non consentita delle norme sull’acquisizione delle prove ed una lesione del diritto di difesa dell’altra parte. In questo caso, sempre secondo il provvedimento impugnato, l’accesso ad un documento si potrebbe ritenere “indispensabile” ai fini della difesa solo quando fosse impossibile acquisirlo per mezzo di strumenti processuali tipici già previsti dall’ordinamento. Nei casi diversi, invece, non si potrebbe affermare che l’accesso sia “strumentale” alla tutela di alcuna posizione giuridica soggettiva, perché le regole che tutelano una posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio sarebbero altre, quelle appunto che disciplinano l’acquisizione della prova nel processo, in questo caso nel processo civile (doc. 2 in I grado ricorrente appellata, cit.).
7.2 Sempre nel provvedimento 11 giugno 2019, l’Agenzia ritiene che le motivazioni appena esposte abbiano carattere assorbente; aggiunge però quanto segue. In primo luogo, afferma che i documenti a lei trasmessi “nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali di vigilanza e controllo in materia finanziaria e tributaria” sarebbero “sottratti all’accesso per ragioni di tutela della riservatezza del soggetto cui afferiscono”, e quindi potrebbero in generale essere resi accessibili solo “in presenza di un rapporto di stretta indispensabilità dei documenti richiesti per l’esercizio del diritto di difesa”, rapporto che nella specie ritiene insussistente, “tenuto conto che le esigenze difensive risultano adeguatamente tutelate dalle norme processuali che regolano i giudizi instaurati”.
7.3 In subordine, l’Agenzia aggiunge che tratterebbe comunque di un’istanza esplorativa, come tale non accoglibile, perché finalizzata non ad accedere a specifici documenti, ma a verificare se essi esistano oppure no (v. sempre doc 2 in I grado ricorrente appellata, cit.).
8. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso presentato dalla società affittuaria contro tale diniego, con la motivazione di seguito riassunta.
8.1 In primo luogo, il TAR, ha dato atto del contrasto giurisprudenziale in quel momento esistente sul punto, e dell’ordinanza di questa IV Sezione 4 febbraio 2020 n.888 che aveva rimesso all’Adunanza plenaria la relativa questione; ha però ritenuto di condividere senz’altro la tesi dell’applicabilità in ogni caso delle norme sull’accesso anche alle istanze presentate in pendenza di una causa civile, relative a documenti da produrre in quella sede.
8.2 Ciò posto, il TAR ha affermato in generale che l’amministrazione non potrebbe valutare l’effettiva utilità dei documenti richiestile, ma dovrebbe soltanto “verificare l’attinenza fra la tale documentazione e l’interesse che l’istanza intende tutelare”, e che allo stesso modo il Giudice amministrativo non potrebbe “verificare in che modo la parte intenda utilizzare nel processo civile la documentazione oggetto dell’istanza di accesso, rimanendo tale profilo riservato alla valutazione del titolare dell’interesse, unico soggetto competente a definire le proprie strategie di difesa”.
8.3 Nel caso di specie, sempre secondo il TAR, non sarebbe “contestabile che la documentazione richiesta … abbia attinenza con l’interesse” tutelato “nel giudizio civile promosso al fine di accertare il carattere simulato delle cessioni di quote”, e quindi ciò basterebbe ad affermare “la sussistenza di un interesse concreto ed attuale ad accedere agli atti”.
8.4 Tanto premesso, il TAR prende in esame il bilanciamento degli interessi coinvolti. In ordine logico, dà atto di condividere l’orientamento giurisprudenziale per cui anche le comunicazioni relative ai rapporti finanziari di cui al citato art. 7 del D.P.R. 605/1973 costituiscono documenti ai fini delle norme sul diritto di accesso. In tali termini, afferma allora che l’interesse alla difesa della parte istante prevale sull’interesse alla riservatezza delle persone cui i documenti si riferiscono, e che trattandosi di dati di natura economica, non vi è l’esigenza di evitare la divulgazione di dati sensibili o giudiziari. Esclude infine che l’istanza sia generica, perché non obbliga ad alcuna particolare attività di elaborazione o estrapolazione dei dati.
9. Contro questa sentenza, ha proposto appello principale Luciana Abrami, ed hanno proposto appello incidentale sia l’Agenzia, sia Felice Abrami che i nuovi soci Dario Pilla e Francesco Di Stefano; tutti costoro hanno chiesto che la sentenza di I grado sia riformata e che il diritto all’accesso agli atti della società affittuaria venga riconosciuto insussistente.
10. Negli appelli, prospettano tre distinte questioni, corrispondenti ad altrettanti motivi di appello, comuni alle parti interessate:
– con il primo di essi, sostengono che il diritto di accesso nel caso presente non sussisterebbe, dovendosi applicare soltanto la normativa del codice di procedura civile sull’acquisizione delle prove, che com’è noto per emettere un ordine di esibizione documenti prevede presupposti diversi e più restrittivi, e comunque lo sottopone al controllo del Giudice;
– con il secondo motivo, sostengono che i presupposti per l’accesso comunque non sarebbero dimostrati. In particolare, sostengono che la Gobbi 1842 non avrebbe in alcun modo chiarito come la documentazione richiesta potrebbe essere utilizzata per dimostrare l’asserito carattere simulato del trasferimento delle quote della società Maria S.r.l. In particolare criticano la sentenza di I grado nella parte in cui ha affermato, asseritamente in modo apodittico, la sussistenza di un collegamento tra i documenti richiesti e la prova della pretesa simulazione del negozio, senza tuttavia spiegare perché le deduzioni della Gobbi 1842 avrebbero consentito di superare nel giudizio amministrativo un giudizio di irrilevanza già formulato dal Giudice ordinario nei processi pendenti;
– con il terzo motivo, che in ogni caso l’accesso dovrebbe essere negato, trattandosi di dati sensibili.
11. Contestualmente, le parti appellanti hanno proposto domanda cautelare di sospensione della sentenza impugnata, osservando che, se l’accesso fosse consentito, nelle more del processo potrebbero subire un danno non riparabile.
12. La Gobbi 1842 ha resistito, con memoria 16 giugno 2020, in cui chiede che gli appelli siano respinti. In particolare, fa presente di avere richiesto l’accesso per provare che le cessioni di quote avrebbero in realtà realizzato “una cessione dell’immobile “vestita” da cessione quote societarie”, per cui essa “sarebbe stata pretermessa ed avrebbe pieno titolo di esercitare il diritto di prelazione ex art. 38 e il relativo riscatto ai sensi dell’art. 39 della l. 392/1978” (memoria Gobbi 1842 16 giugno 2020 p. 16). Ciò posto, sostiene (ibidem, pagine precedenti) che se non vi fosse traccia dei pagamenti e della denuncia dei corrispettivi della cessione di quote nelle dichiarazioni fiscali dei soci coinvolti, se ne desumerebbe la simulazione delle compravendite medesime. La società eccepisce poi l’acquiescenza da parte dell’Agenzia delle entrate, a seguito di una comunicazione di essa (doc. 41 ricorrente appellata) in cui essa dichiara di volere ottemperare alla sentenza di I grado; eccepisce infine l’acquiescenza rispetto alla parte della sentenza di I grado ove si afferma che la richiesta non aveva natura esplorativa.
13. I consorti Abrami e i soci Pilla e Di Stefano hanno replicato, con memorie 19 giugno 2020, in cui osservano che il collegamento fra la documentazione richiesta e le domande proposte dalla Gobbi 1842 in sede civile rimarrebbe indimostrato: in base agli argomenti esposti i documenti potrebbero al più provare una simulazione assoluta, che però non è oggetto di causa.
14. Con memoria 11 luglio 2020, la Gobbi 1842 ha ribadito le difese di cui si è detto.
15. All’esito della camera di consiglio del 16 luglio 2020, la Sezione, con ordinanza 20 luglio 2020 n.4343, ha accolto la domanda cautelare per ragioni relative al pericolo nel ritardo.
16. Con memorie 15 settembre 2020 per i consorti Abrami e per i soci Pilla e Di Stefano, e con replica 18 settembre 2020 per la Gobbi 1842, le parti hanno richiamato le precedenti rispettive difese.
17. Alla camera di consiglio del 1 ottobre 2020, fissata per il merito, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
18. Preliminarmente, va precisato per completezza che l’Agenzia delle entrate, con nota doc. 41 ricorrente appellante nel foliario 10 giugno 2020, ha dichiarato di poter trasmettere le copie delle dichiarazioni dei redditi e dei modelli F24 dei consorti Abrami; per i restanti documenti, ha dichiarato di non detenere la documentazione relativa ai “movimenti bancari” ovvero agli assegni; ha dichiarato di non poter trasmettere le copie degli accordi cui gli atti di cessione sopra citati fanno riferimento, in quanto non registrati; infine, ha dichiarato di non detenere la documentazione relativa ai soci Pilla e Di Stefano, il cui domicilio fiscale non rientrerebbe nella competenza per territorio dell’ufficio. Va poi dato atto che con successiva nota doc. 42 ricorrente appellante nel foliario 10 giugno 2020, l’Agenzia ha dichiarato di sospendere l’esecuzione della sentenza di I grado, dato il provvedimento cautelare di questo Giudice. Di conseguenza, l’interesse delle parti alla decisione rimane inalterato, dato che le questioni esposte andranno, se del caso, discusse in sede di ottemperanza alla pronuncia definitiva.
19. Ciò posto, l’appello propone, nel suo complesso, una questione di diritto, per la cui risoluzione è necessaria, ad avviso del Collegio, la rimessione all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a. pur dopo la recente sentenza di essa 25 settembre 2020 n. 19 (e le conformi sentenze nn. 20 e 21 della stessa data).
19.1 Si tratta di definire i poteri che spettano all’Agenzia delle entrate per valutare la sussistenza del diritto di accesso di fronte ad un’istanza con cui ai sensi dell’art. 24 comma 7 della l 7 agosto 1990 n.241 si chieda l’accesso ad una documentazione fiscale relativa a terzi, la cui conoscenza si affermi necessaria per curare o per difendere in giudizio gli interessi giuridici dell’istante. La questione, come detto sopra, è oggetto del secondo motivo di ricorso
19.2 La risposta, ovviamente, implica anche che si precisino i poteri che nel giudizio di accesso avente ad oggetto la relativa pretesa spettano al Giudice amministrativo, che, come ben noto, in materia dispone di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 116 comma 4 c.p.a. In tal senso, quindi, nel relativo giudizio deve verificare se i presupposti dell’accesso sussistano o no, e non limitarsi a valutare la semplice sussistenza di vizi di legittimità dell’atto amministrativo che lo accorda o lo nega: per tutte, già C.d.S. sez. IV 26 luglio 2012 n.4621, riferita all’identica norma ora riprodotta nell’art. 116 c.p.a. citato. Rispondere al quesito suindicato significa quindi anche definire i limiti del potere del Giudice in materia.
20. Come è noto, la sentenza dell’Adunanza Plenaria 19/2020 ha stabilito il principio di diritto per cui “l’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ.”, e ciò per una serie di ragioni che vanno sintetizzate.
20.1 L’Adunanza Plenaria ha osservato che l’art. 24 comma 7 della l. 241/1990 configura l’accesso difensivo come fattispecie autonoma, strumentale – e su questo punto specifico si dirà oltre- appunto all’esercizio del diritto di difesa in giudizio. La norma però, come nota sempre l’Adunanza Plenaria, non richiede per l’esercizio dell’accesso stesso la pendenza attuale di una causa, e ciò a ragion veduta.
20.2 L’accesso difensivo e i poteri processuali di acquisizione probatoria sono infatti istituti essenzialmente diversi. Anzitutto, il primo può servire anche ad un interesse stragiudiziale e preprocessuale, ovvero, in termini semplici, a valutare se sia o no il caso di promuovere una causa; i poteri di acquisizione probatoria, invece, si esercitano esclusivamente nell’ambito del processo. Inoltre, l’accesso difensivo serve ad acquisire documenti, ovvero prove precostituite la cui produzione in giudizio è in linea di principio libera, perché non sottostà a particolari formalità o preclusioni. In tal senso, va detto anzi che la ricerca di documenti a sostegno delle proprie asserite ragioni è un’attività fisiologica, e in certo senso doverosa, per l’interessato. Di contro, l’esercizio dei poteri di acquisizione documentale di cui agli artt. 210 e ss c.p.c. per il Giudice civile è discrezionale, comporta un’attività complessa, in particolare ove coinvolga terzi, e non consente l’esecuzione coattiva delle relative ordinanza cui il terzo non ottemperi.
20.3 In tale ordine di idee, l’Adunanza Plenaria ha concluso nel senso che l’accesso difensivo sia complementare, e non alternativo, all’acquisizione processuale, e quindi, come corollario di questa conclusione, che esso non sia precluso nel momento in cui il Giudice della causa pendente abbia respinto richieste istruttorie con lo stesso contenuto.
21. Le conclusioni dell’Adunanza Plenaria condurrebbero quindi a respingere il primo motivo del presente appello; si tratterebbe quindi di esaminare il secondo motivo, per cui valgono le osservazioni che seguono.
22. L’Adunanza Plenaria, in quanto ciò non rientrava nell’oggetto della relativa causa, non ha invece fissato alcun principio in materia di poteri di valutazione dell’istanza di accesso difensivo da parte dell’amministrazione; ha però svolto sul punto una serie di rilievi, che pure vanno riassunti.
22.1 In generale, l’Adunanza Plenaria ha richiamato l’attenzione sulla “tutelabilità dell’interesse alla conoscenza” dei dati, che va apprezzata in base a canoni di “necessità, di corrispondenza e di collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza”.
22.2 Sul punto, ha di conseguenza affermato che la natura strumentale dell’accesso difensivo comporta che la necessità del documento vada valutata verificando se esso sia effettivamente il necessario tramite per acquisire la prova, e ciò mediante un “giudizio prognostico ex ante”. A tal fine, sempre secondo l’Adunanza, l’istanza dell’interessato deve essere puntuale e specifica e non limitarsi a dedurre un’incertezza soggettiva sulla situazione controversa, ovvero un generico riferimento a esigenze difensive.
22.3 Tali rilievi rimangono generali, lo si precisa per migliore comprensione, perché nel caso concreto la strumentalità dell’accesso alla tutela era di per sé evidente: nel corso di un giudizio di separazione fra coniugi, la parte che aveva proposto domanda di assegno di mantenimento intendeva provare la capacità reddituale e patrimoniale del coniuge obbligato.
23. Ciò posto, la questione sopra indicata va rimessa all’Adunanza Plenaria perché essa stabilisca in modo espresso il principio relativo, anzitutto perché si tratta di questione di importanza molto rilevante. La Sezione osserva infatti che i dati in possesso dell’anagrafe tributaria, in definitiva, consentono di ricostruire le vicende patrimoniali, e di riflesso personali, più rilevanti pressoché di ogni cittadino, e quindi è interesse generale che le regole che presiedono alla loro conoscibilità siano il più possibile chiare e definite. Inoltre, ad avviso della Sezione rimettente, la giurisprudenza delle singole Sezioni che si è espressa sul punto non si può dire unanime, nei termini che ora si illustrano.
24. Un primo indirizzo giurisprudenziale, espresso da sez. VI 15 novembre 2018 n.6444 e sez. IV 29 gennaio 2014 n.461, propende per una valutazione ampia dell’istanza di accesso difensivo, vicina negli esiti concreti a quella fatta dal Giudice di I grado, secondo il quale è sufficiente, in ultima analisi, che la documentazione richiesta abbia “attinenza” con il processo.
24.1 Nel caso deciso da C.d.S. 6444/2018, l’istanza di accesso difensivo proveniva dall’ex amministratore di una banca, convenuto in giudizio per il risarcimento di asseriti danni provocati dalla sua gestione. La sentenza, nella motivazione, premette in termini generali che per l’accesso difensivo secondo le norme non bastano “esigenze di difesa genericamente enunciate”; afferma poi che nel caso in esame i presupposti per l’accesso vi sono “avendo parte istante chiarito e specificato le esigenze difensive, concernenti giudizi civili in corso, la relativa pertinenza e l’oggetto dei quali è concretamente individuato”. A tale ultimo proposito, espone l’oggetto dei giudizi in questione, come si è detto di risarcimento, e aggiunge che non è “consentito andare oltre una valutazione circa l’esistenza della situazione soggettiva da tutelare e di una concreta necessità di tutela, non potendo la stessa apprezzare nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato”, ritenendo quindi nell’esito sufficiente un collegamento affermato fra la documentazione e la difesa.
24.2 Nel caso deciso da C.d.S. 461/2014, l’istanza proveniva dal locatore di un immobile, il quale, di fronte alla morosità del conduttore, intendeva accertarne l’effettiva consistenza patrimoniale. La sentenza accoglie l’istanza, osservando – se pure, si osserva, in un caso in cui la strumentalità del documento alla difesa era evidente- che la norma non autorizzerebbe “valutazioni in ordine alla concreta utilità del documento rispetto alle ragioni difensive dell’istante”; in altre parole è sufficiente che i dati richiesti “secondo quanto esposto dall’istante, nonché alla luce di un esame oggettivo, attengano alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa interferiscono…”. Anche qui, in definitiva, si considera sufficiente l’affermazione di un collegamento fra documento e difesa.
24.3 In tale ordine di idee, si osserva, il secondo motivo di appello andrebbe respinto, perché un collegamento ampio fra la documentazione richiesta e la domanda proposta dalla Gobbi 1842 esiste, se non altro per l’intento di quest’ultima di produrla nel giudizio attualmente pendente.
25. Un secondo indirizzo giurisprudenziale, espresso da sez. IV 14 maggio 2014 n.2472 e sez. VI 15 marzo 2013 n.1568, propende invece per una valutazione che appare più rigorosa, sulla linea suggerita dall’ Adunanza Plenaria.
25.1 Nel caso deciso da C.d.S. 2472/2014, l’istanza di accesso difensivo era stata avanzata in un caso identico a quello deciso dall’Adunanza Plenaria, ovvero in pendenza di un giudizio di separazione con relativa domanda di assegno, per provare la capacità economica dell’obbligato. La sentenza accoglie l’istanza, precisando in termini generali che quando essa riguardi terzi “deve essere motivata in modo ben più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente … fuori dalle ipotesi di connessione evidente tra “diritto” all’accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa, incombe sul richiedente l’accesso dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi e ciò anche ricorrendo all’allegazione di elementi induttivi, ma testualmente espressi, univocamente connessi alla “conoscenza” necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili”. Il collegamento fra documento e difesa è quindi valutato in modo rigoroso.
25.2 L’affermazione di cui sopra è dichiaratamente citata dal precedente di C.d.S. 1568/2013, relativo a un caso in cui l’istanza era stata presentata per servire alla difesa in un procedimento sanzionatorio davanti all’AGCM, procedimento che, come è evidente, può sfociare in una causa che ne contesti gli esiti. Questa sentenza aggiunge che l’istanza deve contenere elementi “logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili” e quindi richiede, come si è detto, una valutazione rigorosa.
25.3 In tale ordine di idee, si osserva, il secondo motivo di appello andrebbe invece accolto, perché la Gobbi 1842 non avrebbe spiegato in modo, appunto, “intellegibile” il collegamento necessario fra la documentazione e le proprie difese. Vale infatti la condivisibile osservazione svolta dagli appellanti: acquisire i documenti indicati per eventualmente dimostrare che il prezzo della cessione delle quote non è stato in realtà pagato potrebbe valere, se mai, a dimostrare una simulazione assoluta del relativo negozio. Ciò però porterebbe a respingere, e non ad accogliere, la domanda della Gobbi 1842, contro l’interesse di questa, perché significherebbe che in realtà il bene, ovvero l’immobile, non è mai uscito dal patrimonio dei consorti Abrami, sì che non si potrebbe configurare alcun diritto di prelazione su di esso.
26. La Sezione remittente, sempre nell’ordine di idee seguito da questa Adunanza Plenaria, ritiene infine di formulare le seguenti osservazioni.
26.1 L’affermazione della sentenza 19/2020, per cui l’accesso difensivo e l’acquisizione processuale sono mezzi di tutela complementari e non alternativi, ragionevolmente si può interpretare nel senso che l’acquisizione della prova, per coerenza del sistema, debba seguire le stesse regole sostanziali, quale che sia la via scelta. In altre parole, l’amministrazione e il giudice dovrebbero operare lo stesso tipo di valutazione, con la sola differenza che non l’amministrazione, ma solo il Giudice del processo pendente dovrebbe porsi il problema del rispetto di eventuali preclusioni processuali che in quella sede fossero maturate.
26.2 Se così fosse, sia il Giudice sia l’amministrazione dovrebbero formulare un giudizio di ammissibilità e rilevanza della prova, in base alle norme giuridiche stabilite in modo espresso dall’art. 183 comma 7 c.p.c. ovvero dall’analogo art. 190 c.p.p. In tal senso, sulla base dei fatti specifici e del ragionamento espresso dall’interessato nell’istanza, dovrebbero – come caso limite- escludere la prova non consentita dalla legge sostanziale, e ammettere la prova rilevante, ovvero utile per l’accertamento della verità di quegli specifici fatti su cui verte la causa proposta o da proporre. In questo modo, sarebbero precisate con l’aggancio a concetti normativi ben noti le argomentazioni espresse dall’indirizzo giurisprudenziale rigoroso, di cui sopra si è dato conto, con gli esiti di cui si è già detto per il giudizio qui pendente.
27. Tutto ciò premesso, considerate la giurisprudenza non unanime e l’importanza che la questione riveste, la stessa, rilevante per quel che si è detto ai fini della decisione dell’appello e precisata nei termini di cui sopra al § 19, va deferita all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a., che deciderà ai sensi del comma 4 dello stesso art. 99.
28. Spese al definitivo.

 

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 3378/2020), lo rimette all’esame dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.
Spese al definitivo.
Manda alla Segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza Plenaria stessa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente FF
Luca Lamberti, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico, Consigliere