D.I.A.: ILLEGITTIMA LA DIRETTA ADOZIONE DI UN PROVVEDIMENTO REPRESSIVO NON PRECEDUTO DALL’INTERVENTO IN AUTOTUTELA

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 13300 del 2014, proposto da:
CHELI Silvana, rappresentata e difesa dall’avv. Luca Pizzoli ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’avv. Roberto Antonelli in Roma, Via Eustachio Manfredi, n. 21;

contro

il COMUNE DI POSTA, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

nei confronti di

FERRETTI Francesco, non costituito in giudizio;

per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia

– dell’ordinanza dell’8 luglio 2014 e della successiva ordinanza del 15 luglio 2014 entrambe adottate dal responsabile del Settore tecnico del Comune di Posta con le quali si è inibito alla odierna ricorrente di effettuare gli interventi edilizi di cui alla denuncia di inizio attività acquisita con prot. n. 250 del 21 gennaio 2014 dal predetto ente locale;

– di qualsiasi altro atto che sia o possa considerarsi presupposto o conseguenza dell’atto come sopra impugnato.

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Esaminate le ulteriori memorie e documenti depositati dalla parte ricorrente;

Verificata la sussistenza dei presupposti di legge per decidere con sentenza in forma semplificata e dato il relativo avviso ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

 

Premesso che il Collegio ha verificato la sussistenza dei presupposti di legge per decidere con sentenza in forma semplificata e dato il relativo avviso ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

Considerato che il presente contenzioso ha ad oggetto l’impugnazione di due atti (il primo dell’8 luglio 2014 con il quale si è comunicato alla Signora Silvana Cheli una “sorta” di preavviso di diniego ed il secondo del 15 luglio 2014 con il quale, anche all’esito dell’esame delle osservazioni fatte pervenire dalla parte interessata, si è confermato l’avviso sfavorevole da parte del Comune) emessi dal responsabile del Settore tecnico del Comune di Posta con i quali si è inibito alla odierna ricorrente di non effettuare gli interventi edilizi di cui alla denuncia di inizio attività acquisita con prot. n. 250 del 21 gennaio 2014 dal predetto ente locale (per effettuare lavori in variante al permesso di costruire n. 3 a suo tempo emesso dal Comune di Posta in data 18 agosto 2011);

Verificato che le censure dedotte da parte ricorrente si incentrano prevalentemente sulla circostanza che gli interventi repressivo-inibitori espressi negli atti qui impugnati sono stati adottati dal Comune di Posta a distanza di oltre cinque mesi dalla presentazione della denuncia di inizio attività;

Rilevato che il Comune di Posta, correttamente intimato dalla parte ricorrente, non si è costituito in giudizio e che dunque la posizione dell’ente va, nella presente sede processuale, riassunta nella motivazione dei due atti impugnati;

Ritenuto che si presta ad essere accolta la censura con la quale si contesta la legittimità della scelta inibitoria perché assunta dal Comune ben oltre il termine di trenta giorni dalla data di presentazione della denuncia di inizio attività in quanto il provvedimento conclusivo della procedura di controllo svolta dal competente Ufficio tecnico del Comune di Posta non reca alcun elemento attraverso il quale possa fisiognomicamente iscriversi detto atto nella categoria dei provvedimenti assunti in sede di autotutela dall’amministrazione (artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241) né, allo stesso tempo, si rinvengono riferimenti nella parte motiva dei ridetti provvedimenti con i quali si riferiscano pericoli per i quali possa manifestarsi, a causa della costruzione delle opere di cui alla denuncia in questione, “un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, per come impone l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990, né risulta essere effettuato alcun “accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente” (sempre ai sensi dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1190);

Affermato che possa in questa sede riproporsi il costante orientamento della giurisprudenza espresso in materia e sintetizzato anche recentemente dal Consiglio di Stato (cfr., tra le ultime, Sez. VI, 22 settembre 2014 n. 4780) in virtù del quale, con riferimento al caso qui in esame:

A) costituisce fatto incontrovertibile che la denuncia di inizio attività fatta oggetto dell’intervento inibitorio qui gravato è stata proposta dalla Signora Cheli in data 21 gennaio 2014 ed assunta dal Comune di Posta al numero di protocollo 250;

B) costituisce altresì fatto indubitabile che l’intervento repressivo-inibitorio è stato sviluppato dal Comune con atti dell’8 e del 15 luglio 2014;

C) ne deriva che l’amministrazione comunale non solo ha lasciato che la menzionata denuncia di inizio attività si consolidasse, omettendo di esercitare, nel termine perentorio (di trenta giorni dall’inizio della realizzazione delle opere e di sessanta dalla presentazione della denuncia) previsto dall’art. 23, comma 6, del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il potere inibitorio-repressivo ad essa spettante in caso di carenza dei presupposti per la ridetta denuncia, ma ha omesso anche l’esercizio dei c.d. poteri di autotutela decisoria, espressamente richiamati dal secondo periodo del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990 ed inaspriti da quanto stabilito al successivo comma 4;

D) pare evidente quindi che l’amministrazione comunale, anziché procedere come avrebbe dovuto, all’annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21-nonies legge n. 241/1990, della denuncia di inizio attività ritenuta illegittima, ha provveduto direttamente, senza alcuna motivazione ulteriore rispetto alla ritenuta illegittimità delle opere eseguite, ad ordinare l’inibizione alla realizzazione (ovvero alla prosecuzione) delle opere;

E) operando in tal modo il Comune di Posta ha violato le garanzie previste dall’art. 19 legge n. 241/1990 che, in presenza di una denuncia di inizio attività illegittima, consente certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, del D.P.R. n. 380/2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della denuncia di inizio attività ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo (oltre agli ulteriori elementi riduttivi dell’ambito operativo dell’esercizio del potere di autotutela specificamente descritti nel richiamato comma 4):

Valutato dunque che il “modus procedendi” seguito dall’Amministrazione comunale – tradottosi nella diretta adozione di un provvedimento repressivo-inibitorio, oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività (trenta dalla presentazione e trenta dalla data in cui le opere possono essere realizzate) e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio – si appalesa quindi illegittimo, atteso che la denuncia, una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile, seppur esclusivamente “quoad effectum”, al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990;

Stimato che, in ragione di quanto sopra illustrato, va accolto il ricorso proposto con annullamento degli atti impugnati di talché, ai fini della decisione sulle spese giudiziali e stante la soccombenza della parte resistente, esse debbono imputarsi a carico di quest’ultima, come in dispositivo, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., liquidandole nella misura complessiva di € 2,000,00 (euro duemila/00) oltre accessori come per legge nonché alla restituzione dell’importo dovuto per il contributo unifica, se versato;

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugati.

Condanna il Comune di Posta, in persona del Sindaco pro tempore, a rifondere alla Signora Silvana Cheli le spese di giudizio liquidate in € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori come per legge e alla restituzione del contributo unificato, se versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati: