IL CALCOLO DELLA PENA IN CASO DI CONCORSO DI PIU’ CIRCOSTANZE AD EFFETTO SPECIALE E DI CIRCOSTANZE COMUNI

Cass. pen., Sez. II 16 novembre 2023, n. 46210 – Pres. Rago, Rel. Pellegrino

 

 

Nell’ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale previste nell’ambito di una stessa norma (ad es., art. 628 c.p., comma 3; art. 416-bis c.p., commi 4 e 6.; art. 583 c.p.), sia la dottrina che la giurisprudenza distinguono tra due diverse fattispecie.

Si ha la prima ipotesi, allorquando, nell’ambito di una stessa norma sono previste più aggravanti speciali (ad esempio, art. 583 c.p.: sulla configurabilità di più aggravanti anche se previste nell’ambito topografico di uno stesso numero, come ad es. art. 628 c.p., comma 3, n. 1).

In tal caso, se risultano contestate e ritenute più aggravanti speciali, si applica il disposto dell’art. 63 c.p., comma 4: si applica, cioè, la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudice può aumentarla fino ad un terzo per l’altra o le altre circostanze. Quindi, nell’esempio ipotizzato delle lesioni ex art. 583 c.p., la pena base (da tre a sette anni) potrà essere aumentata fino ad un terzo:

Si ha la seconda ipotesi nel caso in cui la norma preveda un’autonoma pena per la sussistenza di più circostanze speciali (ad esempio, art. 628 c.p., comma 4; art. 416-bis c.p., commi 4 e 6; art. 625 c.p., comma 2), la regola dell’art. 63 c.p., comma 4, non si applica, in quanto, in base al generale principio di specialità, prevale l’autonoma disciplina derogatoria (ad es. nel caso di rapina pluriaggravata per due o più delle ipotesi di cui all’art. 628 c.p., comma 3, la pena che si applica è quella prevista dall’art. 628 c.p., comma 4; stessa cosa dicasi per l’ipotesi di cui all’art. 416-bis c.p., commi 4 e 6).

Si è, infatti, osservato che: “le regole dettate in via generale dall’art. 63 c.p., comma 4, non hanno ragione di essere evocate in tutti i casi in cui la questione circa l’entità della pena applicabile, derivante dal concorso di più circostanze aggravanti è diversamente risolta dal legislatore nell’ambito della singola fattispecie criminosa, così come avviene nell’art. 416-bis c.p. Detta norma racchiude in sè e autonomamente disciplina difatti ogni profilo attinente al trattamento sanzionatorio nelle varie forme circostanziate contemplate, ed espressamente prevede, in particolare, che per effetto del comma 6 la pena stabilita nel comma 4 è aumentata da un terzo alla metà, così derogando alla norma generale”

La giurisprudenza ha, tuttavia, precisato che la regola dell’art. 63 c.p., comma 4, torna ad applicarsi nuovamente nel caso in cui con quelle particolari aggravanti ad effetto speciale (nell’esempio: art. 628 c.p., comma 4) concorra una (o più) circostanza ad effetto speciale (ad es. art. 99, commi 2, 3 e 4), nonchè nell’ipotesi, quale la presente, in cui il reato è aggravato, oltre che da plurime circostanze ad effetto speciale, anche da una o più circostanze aggravanti comuni e non vi sia una norma che preveda una sanzione specifica per detta ipotesi. In una simile evenienza, si è affermato che si applica un doppio aumento di pena sulla pena relativa alla circostanza ad effetto speciale più grave: la prima, derivante dall’aumento dell’ulteriore aggravante ad effetto speciale ex art. 63 c.p., comma 4, e la seconda, derivante dagli ulteriori aumenti (circostanza che può determinare più aumenti di pena a seconda del numero delle aggravanti comuni ritenute), con l’unico limite costituito dall’osservanza del criterio moderatore finale dettato dall’art. 66 c.p., nn. 1, 2 e 3

Il legislatore ha, infatti previsto, nell’ambito della sua discrezionalità, un sistema diverso di calcolo della pena in presenza del concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale e circostanze comuni, diversità ampiamente giustificata anche dal diverso regime giuridico delle modalità di aumento della pena accordato alle due tipologie di aggravanti.

Conclusivamente, nella presente ipotesi caratterizzata dalla ricorrenza di tre aggravanti ad effetto speciale e di una ad effetto comune, il giudice dovrà seguire il seguente procedimento: dovrà, dapprima, individuare quale delle diverse aggravanti ad effetto speciale sia la più grave e, poi, sulla pena inflitta, applicherà (facoltativamente) un unico aumento per le ulteriori aggravanti ad effetto speciale con il rispetto del limite del terzo fissato dall’art. 63 c.p., comma 4, per poi procedere ad uno o più aumenti di pena obbligatori (a seconda del numero delle aggravanti comuni ricorrenti), con l’unico limite rappresentato in questo caso dalla citata previsione dell’art. 66 c.p..

 

 

 

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 16/03/2022, la Corte d’appello di Bologna confermava la pronuncia resa in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ravenna che, in data 14/01/2021, aveva condannato A.A. alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000 di multa per il reato di rapina pluriaggravata (più persone riunite, uso dell’arma, travisamento e minorata difesa) in concorso (fatto commesso il 19/10/2016).

2. Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di A.A., è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

Primo motivo: erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.

La Corte territoriale ha confuso l’oggetto della disposizione che, al suo interno, contiene la descrizione non di una ma di due circostanze di reato, legate da aedem ratio ma del tutto indipendenti l’una dall’altra: la prima parte della disposizione considera quale circostanza attenuante dei “delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio”, la “speciale tenuità” del “danno patrimoniale” cagionato dal reato; la seconda parte, invece, considera quale attenuante dei delitti non offensivi del patrimonio, ma accidentalmente commessi per “motivi di lucro”, la “speciale tenuità” del “conseguito lucro”, ciò a condizione che “anche l’evento dannoso o pericoloso”, non offensivo del patrimonio sia di speciale tenuità. L’arbitrio della valutazione operata dalla Corte territoriale è tanto più lampante se si considera che si discute della sottrazione di appena 420 Euro ai danni non di un individuo bensì di un esercizio commerciale, nella specie un distributore di carburante: il danno patrimoniale, da valutarsi anche alla luce della capienza e della capacità economica dell’offeso, individuato quale criterio sussidiario dalla giurisprudenza, poteva senz’altro considerarsi di particolare tenuità.

Secondo motivo: inosservanza o erronea applicazione dell’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e comma 4, art. 61 c.p., n. 5 e artt. 63 e 68 c.p..

Il fatto per cui si procede è stato commesso anteriormente all’entrata in vigore della riforma introdotta con L. 3 agosto 2017, n. 103: all’epoca, a differenza di oggi, era possibile cumulare quoad poenam più circostanze aggravanti speciali, anche se racchiuse entro lo stesso numero. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale più favorevole al reo, la sussistenza di più circostanze speciali non incideva sulla pena, che restava ancorata alla cornice edittale autonoma prevista dalla stessa disposizione (da quattro anni e sei mesi a venti anni di reclusione, oltre alla multa). Nella fattispecie, la Corte territoriale, avallando il ragionamento del Tribunale, ha riconosciuto che, in presenza delle tre aggravanti, sarebbe corretto individuare il minimo edittale di una rapina commessa ante 2017 in anni quattro e mesi sei di reclusione oltre alla multa e conseguentemente applicare, per ciascuna aggravante speciale intranumero e per l’aggravante comune, tre ulteriori e distinti aumenti ai sensi dell’art. 63 c.p., n. 4, nella specie fissati in mesi due di reclusione ed Euro 100 di multa per ciascuna delle tre aggravanti (per un totale di mesi sei di reclusione ed Euro 300 di multa). Detto modus operandi appare illegittimo. La Corte territoriale non avrebbe dovuto procedere a tre distinti aumenti ex art. 63 c.p., n. 4, perchè l’aumento facoltativo ivi previsto per le ulteriori circostanze, da eseguirsi sulla pena individuata entro la cornice edittale speciale, dovrebbe essere unico ed unitario e, soprattutto, non dovrebbe considerare la circostanza più grave, la quale è già stata considerata ai fini dell’individuazione della cornice edittale speciale, per il doppio – illegale – addebito della medesima circostanza. A ciò deve aggiungersi che, in forza dell’interpretazione giurisprudenziale formatasi ante 2017, la decisione appare errata ed illegittima anche nel punto in cui computa distintamente le due ipotesi aggravanti dell’arma e del travisamento, nonostante che le stesse fossero contenute entro lo stesso numero e, come tali, dovessero essere intese come forme di manifestazione alternative di una medesima aggravante. Il giudice di secondo grado ha così dettagliato la pena: considerata come più grave l’aggravante dell’uso dell’arma, pena base, anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 1.200 di multa, aumentata ex art. 63 c.p., comma 4, di mesi due di reclusione ed Euro 100 di multa per ciascuna delle altre tre aggravanti, e cioè travisamento, più persone e minorata difesa, fino a complessivi anni cinque di reclusione ed Euro 1.500 di multa, diminuita ad anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.200 di multa per il rito.

Terzo motivo: erronea applicazione dell’art. 61 c.p., n. 5 e motivazione manifestamente illogica e contraddittoria sul punto.

La Corte territoriale si è limitata ad affermare che, essendo il fatto avvenuto di notte ed essendovi (per ciò solo) poche persone presenti in loco, questa situazione avrebbe dato all’agente un vantaggio: trattasi di motivazione che non soddisfa i requisiti richiesti dalla giurisprudenza per la configurabilità dell’aggravante de qua (Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, Cardellini).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è fondato in relazione al solo secondo motivo, mentre è inammissibile nel resto.

2. Aspecifico e manifestamente infondato è il primo motivo.

Il ricorrente si duole della manifesta illogicità della motivazione della sentenza, nella parte in cui, rigettando la medesima censura già proposta con l’atto d’appello, non avrebbe debitamente considerato l’asserita tenuità del danno ai sensi dell’art. 62 c.p., n. 4.

La censura è aspecifica in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza, che, con giustificazione congrua e supportata da considerazioni dettagliatamente argomentate, ha rigettato il motivo di appello sulla base dell’apprezzamento complessivo del danno cagionato alla persona offesa, in considerazione, non soltanto dell’entità oggettivamente non irrisoria del valore monetario oggetto di materiale sottrazione, che, già di per sè, sarebbe ostativa al riconoscimento dell’ipotesi attenuata, ma anche alla luce delle conseguenze pregiudizievoli patite dalla vittima.

Infatti, come osservato dalla motivazione della sentenza impugnata, ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, occorre tener conto sia del danno patrimoniale, che deve essere di minima rilevanza, sia degli effetti dannosi subiti dalla vittima a causa della condotta violenta o minacciosa, trattandosi di reato plurioffensivo che lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà o l’integrità fisica e morale della persona offesa (cfr., Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, Uccello, Rv. 247363-01; Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Salamone, Rv. 265685-01; Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173-01; da ultimo, v. Sez. 2, n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868-01, nella quale, in applicazione del medesimo principio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione con la quale era stata esclusa tale attenuante sul duplice rilievo che il danno cagionato alla persona offesa, cui erano stati sottratti beni del valore di 700,00 Euro, non fosse di lieve entità indipendentemente dalla capacità della predetta di sopportarlo e che l’azione predatoria era stata realizzata mediante minaccia a mano armata).

Alla luce dei principi di diritto richiamati, la Corte territoriale ha dato conto tanto dell’entità danno puramente patrimoniale subito dalla persona offesa, quanto degli effetti pregiudizievoli dalla stessa subiti, valorizzando la gravità della minaccia rivolta a B.B., commessa con arma da sparo (pistola), da due uomini travisati ed in orario notturno.

3. Fondato è il secondo motivo.

3.1. Va preliminarmente rilevato come il fatto risulta essere stato commesso il 19/10/2016, ossia in epoca antecedente all’introduzione dell’art. 628 c.p., comma 4 da parte della L. 23 giugno 2017, n. 103art. 1, comma 8, lett. c) (in vigore dal 3 agosto 2017), norma – attualmente in vigore – che disciplina espressamente il trattamento sanzionatorio nell’ipotesi di ricorrenza di due o più circostanze ad effetto speciale disciplinate dal precedente comma 3, ovvero nell’ipotesi che un’aggravante ad effetto speciale concorra con altra aggravante ad effetto comune.

Il ricorrente, già con il terzo motivo di appello, aveva lamentato l’erroneità della modalità di calcolo del trattamento sanzionatorio, poichè il tribunale, pur riconoscendo implicitamente la ricorrenza di tutte e tre le aggravanti contestate art. 628 c.p., comma 3, n. 1, art. 61 c.p., n. 5, e art. 99 c.p., comma 1, – avrebbe disposto un unico ed unitario aumento per due di esse (nella specie, art. 61 c.p., n. 5 e art. 99 c.p.), in tal modo impedendo un corretto esercizio del diritto di impugnazione sul quantum di pena applicabile pro quota a ciascuna delle circostanze ritenute e considerate ai fini dell’aumento.

3.1.1. La sentenza della Corte territoriale, ritenendo l’infondatezza del motivo di appello proposto, nella motivazione procedeva a specificare in maniera dettagliata l’aumento di pena unitariamente determinato, disarticolando l’entità complessiva e riferendola pro quota in misura pari a ciascuna delle circostanze ritenute.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che il Tribunale avesse individuato la pena base ai sensi dell’art. 628 c.p., comma 3 che, per l’ipotesi in cui il fatto risulti aggravato ai sensi di uno dei numeri indicati nella medesima disposizione, stabilisce una cornice edittale autonoma che spazia da quattro anni e sei mesi a venti anni di reclusione e da 1032 Euro a 3098 Euro di multa, in tal modo considerando, già nella commisurazione della pena base, la commissione del fatto con l’uso dell’arma, ritenuta la più grave delle circostanze infranumero considerate all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1; successivamente il tribunale aumentava tale pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 300 di multa in applicazione dell’art. 63 c.p., comma 4, norma che disciplina il tanto concorso tra più circostanze ad effetto speciale, quanto il concorso tra circostanze ad effetto speciale e circostanze ad effetto comune, fino a disporre un unico complessivo aumento, da interpretare, tuttavia, come riferito pro quota, ed in misura pari, a tutte le circostanze aggravanti di cui all’art. 628, comma 3, n. 1 (armi, travisamento e più persone), unitamente alla circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 c.p., n. 5.

3.1.2. Così procedendo – sostiene il ricorrente – la Corte territoriale avrebbe computato illegittimamente la pena, anche alla luce della normativa ratione temporis vigente e dell’interpretazione giurisprudenziale favorevole conferitale al momento di commissione del fatto, epoca in cui la giurisprudenza di legittimità riteneva, per il caso di concorso di più circostanze infranumero della rapina, di dover disporre l’aumento in modo unitario e complessivo, senza dover riconoscere tanti aumenti quante fossero state le singole aggravanti racchiuse nello stesso numero. In altri termini, il raccordo normativo ed interpretativo di riferimento, in relazione al concorso di circostanze infranumero di cui all’art. 628 c.p., comma 3, non consentiva, a differenza della formulazione attuale della disposizione, di cumulare quoad poenam più circostanze aggravanti speciali, in particolare quando racchiuse nello stesso numero.

3.1.3. Ne è derivato, ad avviso del ricorrente, un illegittimo calcolo del trattamento sanzionatorio: in sostanza, la Corte territoriale avrebbe considerato l’indice di maggiore gravità del fatto connesso al concorso di più aggravanti dapprima ai fini dell’individuazione della pena base, e, successivamente, sulla maggior pena così determinata, disponendo tre ulteriori aumenti, di cui uno (pari a mesi due di reclusione ed Euro 300 di multa) per la medesima circostanza che aveva già giustificato la determinazione della pena base entro la maggiore cornice edittale di cui al comma 3.

Vieppiù, proprio in virtù della versione normativa e della connessa ermeneusi in bonam partem vigente all’epoca di commissione del reato, ad avviso del ricorrente la decisione appare illegittima anche nel punto in cui computa disgiuntamente le aggravanti dell’arma e del travisamento, nonostante le stesse fossero indicate nello stesso numero e, come tali, dovessero essere considerate, stante l’identità di ratio della previsione normativa, come forme di manifestazione alternativa di una medesima aggravante e, pertanto, come unico titolo per l’aumento successivo ai sensi dell’art. 63 c.p., comma 4, che, peraltro, fa riferimento ad una mera facoltà di aumento, senza specificare se la relativa misura sia da attribuire a ciascuna delle aggravanti considerate, o, piuttosto, debba essere individuata – discrezionalmente – sulla base dell’apprezzamento complessivo del disvalore del fatto.

3.2. Nell’ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale previste nell’ambito di una stessa norma (ad es., art. 628 c.p., comma 3; art. 416-bis c.p., commi 4 e 6.; art. 583 c.p.), sia la dottrina che la giurisprudenza distinguono tra due diverse fattispecie.

3.2.1. Si ha la prima ipotesi, allorquando, nell’ambito di una stessa norma sono previste più aggravanti speciali (ad esempio, art. 583 c.p.: sulla configurabilità di più aggravanti anche se previste nell’ambito topografico di uno stesso numero, come ad es. art. 628 c.p., comma 3, n. 1).

In tal caso, se risultano contestate e ritenute più aggravanti speciali, si applica il disposto dell’art. 63 c.p., comma 4: si applica, cioè, la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudice può aumentarla fino ad un terzo per l’altra o le altre circostanze. Quindi, nell’esempio ipotizzato delle lesioni ex art. 583 c.p., la pena base (da tre a sette anni) potrà essere aumentata fino ad un terzo: in tal senso, si esprime Sez. 5, n. 5988 del 19/12/2022, dep. 2023, Di Gesù, Rv. 284229-01, che ha ribadito che “se la lesione ha cagionato una malattia guarita oltre i quaranta giorni e, al tempo stesso, l’indebolimento permanente dell’organo della deambulazione, si applica la regola di cui all’art. 63 c.p., comma 4, valida anche per le ipotesi (come quella dell’art. 583 c.p., comma 1), in cui la norma incriminatrice non prevede pene diverse ma un’unica pena per ciascuna delle tre circostanze, tra loro equiparate ai fini della gravità, in forza della quale il giudice, non potendo applicare la pena stabilita per la circostanza più grave, fissata la pena base (entro lo spazio edittale posto dall’art. 583, comma 1, cit.), ha facoltà di aumentarla fino ad un terzo”, e questo sul presupposto che, in tema di lesioni personali, l’aggravante della durata della malattia o dell’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni e quella dell’indebolimento permanente di un organo, sebbene equiparate “quoad poenam”, sono circostanze distinte e autonome.

Stessa situazione si verificava, quanto alle aggravanti previste per la rapina all’art. 628 c.p., comma 3, prima che fosse introdotto, con la citata L. n. 103 del 2017, il comma 4. Infatti, la giurisprudenza era consolidata nel ritenere che, in caso di rapina pluriaggravata ai sensi del comma 3, si applicava il disposto dell’art. 63 c.p., comma 4: quindi, il giudice, nell’ambito della sua discrezionalità, avrebbe potuto aumentare la pena base (da anni quattro e sei mesi a venti anni e della multa da 1.032 Euro a 3.098 Euro) fino ad un terzo (cfr., Sez. 5, n. 135 del 13/01/2000, Lo Gatto, Rv. 215485-01; Sez. 4, n. 27748 del 10/05/2007, Fazio, Rv. 236834-01; Sez. 2, n. 14762 del 17/03/2017, Puntaloro, non mass.).

Conseguentemente, si era affermato che, in caso di concorso delle aggravanti speciali previste per la rapina dall’art. 628 c.p., comma 3, il giudice, ai sensi dell’art. 63 c.p., comma 4, nell’esercizio del suo potere discrezionale può, invece di considerare le stesse assorbite nella sanzione autonomamente stabilita per la rapina, aumentare la pena edittale prevista per siffatti delitti sino ad un terzo: trattasi, invero, di circostanze che hanno carattere autonomo in quanto si diversificano reciprocamente per il loro contenuto, nè si pongono in rapporto tale da consentire di ritenerle l’una comprensiva dell’altra.

3.2.2. Si ha la seconda ipotesi nel caso in cui la norma preveda un’autonoma pena per la sussistenza di più circostanze speciali (ad esempio, art. 628 c.p., comma 4; art. 416-bis c.p., commi 4 e 6; art. 625 c.p., comma 2), la regola dell’art. 63 c.p., comma 4, non si applica, in quanto, in base al generale principio di specialità, prevale l’autonoma disciplina derogatoria (ad es. nel caso di rapina pluriaggravata per due o più delle ipotesi di cui all’art. 628 c.p., comma 3, la pena che si applica è quella prevista dall’art. 628 c.p., comma 4; stessa cosa dicasi per l’ipotesi di cui all’art. 416-bis c.p., commi 4 e 6).

Si è, infatti, osservato che: “le regole dettate in via generale dall’art. 63 c.p., comma 4, non hanno ragione di essere evocate in tutti i casi in cui la questione circa l’entità della pena applicabile, derivante dal concorso di più circostanze aggravanti è diversamente risolta dal legislatore nell’ambito della singola fattispecie criminosa, così come avviene nell’art. 416-bis c.p. Detta norma racchiude in sè e autonomamente disciplina difatti ogni profilo attinente al trattamento sanzionatorio nelle varie forme circostanziate contemplate, ed espressamente prevede, in particolare, che per effetto del comma 6 la pena stabilita nel comma 4 è aumentata da un terzo alla metà, così derogando alla norma generale” (in terminis, Sez. 1, n. 29770 del 24/03/2009, Vernengo, Rv. 244460-01; nello stesso senso, Sez. 6, n. 41233 del 24/10/2007, Attardo, Rv. 237671-01; Sez. 6, n. 7916 del 13/12/2011, dep. 2012, La Franca, Rv. 25206901).

3.3. La giurisprudenza ha, tuttavia, precisato che la regola dell’art. 63 c.p., comma 4, torna ad applicarsi nuovamente nel caso in cui con quelle particolari aggravanti ad effetto speciale (nell’esempio: art. 628 c.p., comma 4) concorra una (o più) circostanza ad effetto speciale (ad es. art. 99, commi 2, 3 e 4), nonchè nell’ipotesi, quale la presente, in cui il reato è aggravato, oltre che da plurime circostanze ad effetto speciale, anche da una o più circostanze aggravanti comuni e non vi sia una norma che preveda una sanzione specifica per detta ipotesi. In una simile evenienza, si è affermato che si applica un doppio aumento di pena sulla pena relativa alla circostanza ad effetto speciale più grave: la prima, derivante dall’aumento dell’ulteriore aggravante ad effetto speciale ex art. 63 c.p., comma 4, e la seconda, derivante dagli ulteriori aumenti (circostanza che può determinare più aumenti di pena a seconda del numero delle aggravanti comuni ritenute), con l’unico limite costituito dall’osservanza del criterio moderatore finale dettato dall’art. 66 c.p., nn. 1, 2 e 3 (cfr., Sez. 5, n. 1928 del 21/12/2017, dep. 2018, Boettcher, Rv. 272003-01; nello stesso sostanziale senso, Sez. 5, n. 7574 del 15/01/2019, Bianchi, Rv. 275632-01, secondo cui, nel caso di concorso tra una circostanza aggravante ad effetto speciale ed altre circostanze aggravanti ad effetto comune, non può operarsi la somma aritmetica prevista dall’art. 63 c.p., comma 2, ma deve trovare applicazione il criterio moderatore previsto dal comma 4 della medesima norma, onde evitare che le circostanze ad effetto comune comportino un aumento di pena maggiore di quello derivante dalla ricorrenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale: nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito impugnata, che, nel tenere conto delle aggravanti comuni afferenti il reato di sequestro di persona, non aveva complessivamente superato il terzo della pena fissata per detto reato base, come aumentata per la recidiva aggravata).

Il legislatore ha, infatti previsto, nell’ambito della sua discrezionalità, un sistema diverso di calcolo della pena in presenza del concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale e circostanze comuni, diversità ampiamente giustificata anche dal diverso regime giuridico delle modalità di aumento della pena accordato alle due tipologie di aggravanti.

3.4. Conclusivamente, nella presente ipotesi caratterizzata dalla ricorrenza di tre aggravanti ad effetto speciale e di una ad effetto comune, il giudice dovrà seguire il seguente procedimento: dovrà, dapprima, individuare quale delle diverse aggravanti ad effetto speciale sia la più grave e, poi, sulla pena inflitta, applicherà (facoltativamente) un unico aumento per le ulteriori aggravanti ad effetto speciale con il rispetto del limite del terzo fissato dall’art. 63 c.p., comma 4, per poi procedere ad uno o più aumenti di pena obbligatori (a seconda del numero delle aggravanti comuni ricorrenti), con l’unico limite rappresentato in questo caso dalla citata previsione dell’art. 66 c.p..

3.4.1. Nella fattispecie, il giudice di merito, dopo aver individuato la pena base per la violazione aggravata ad effetto speciale ritenuta di maggiore gravità, ha operato tre identici aumenti di pena (mesi due di reclusione ed Euro 100 di multa), due per le ulteriori aggravanti ad effetto speciale ed una per l’aggravante ad effetto comune.

3.4.2. Sulla base dei principi precedentemente esposti, corretta (ed insindacabile) deve ritenersi l’individuazione della violazione più grave; parimenti incensurabili sono – in quanto consentiti e nei limiti di legge previsti – gli aumenti di pena applicati sia in relazione alla seconda aggravante ad effetto speciale (aumento facoltativo) che per l’unica aggravante ad effetto comune (aumento obbligatorio); deve, al contrario ritenersi non consentito l’ulteriore aumento di pena effettuato per l’ultima aggravante ad effetto speciale stante la previsione limitativa costituita dall’art. 63 c.p., comma 4, aumento di pena che, tenuto conto della misura di sanzione effettivamente irrogata in forza della considerata diminuente per il rito abbreviato, può essere eliminato in questa sede.

3.4.3. La pena finale complessiva va, quindi, ridotta ad anni tre, mesi due, giorni venti di reclusione ed Euro 933 di multa, previa eliminazione della frazione di pena irrogata per la terza aggravante ad effetto speciale (mesi uno, giorni dieci di reclusione ed Euro 67,00 di multa).

4. Aspecifico e manifestamente infondato è il terzo motivo.

La censura, diretta a contestare l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5 non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 40275 del 15/07/2021, ric. Cardellini, Rv. 282095-01, hanno affermato il principio secondo cui “la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto”.

In virtù di tale principio di diritto, risulta corretta e condivisibile la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, a sostegno della verifica di concreta idoneità del tempo di notte ad incidere sulla realizzazione agevolata del reato, ha valorizzato l’assenza di altre persone sul luogo dei fatti, circostanza che, da un lato, ha sensibilmente facilitato la perpetrazione del reato, consentendo agli imputati – che erano anche travisati – di raggiungere l’ufficio ove si trovava il B.B. senza alcuna effettiva misura di controllo, e, dall’altro, nettamente azzerato la possibilità di interventi esterni potenzialmente in grado di neutralizzare l’azione violenta culminata nella sottrazione dei valori.

Alla luce della puntuale motivazione fornita dalla Corte territoriale, la censura proposta non introduce alcun elemento specifico idoneo a demolire il ragionamento di relazione causale effettuato dalla Corte territoriale tra il tempo di notte e le circostanze concrete dell’azione.

5. Alla pronuncia consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni tre, mesi due, giorni venti di reclusione ed Euro 933 di multa, con declaratoria di inammissibilità nel resto del ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta che ridetermina in anni tre, mesi due, giorni venti di reclusione ed Euro 933 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.