I LIMITI DI IMPIGNORABILITA’ DELLO STIPENDIO DI CUI ALL’ART. 545 C.P.C. SI APPLICANO ANCHE ALLA CONFISCA PER EQUIVALENTE

Cass. Penale, Sezioni Unite, 7 luglio 2022, n. 26252 – Pres. Cassano, Rel. Andreazza

Sulla questione si erano formati tre orientamenti:

un primo orientamento sosteneva l’applicabilità tout court, al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, dei limiti predetti sulla base, fondamentalmente, della natura dell’art. 545 cod. proc. civ. quale regola di carattere generale espressione dei diritti inalienabili della persona consacrati, in particolare, negli artt. 2 e 38 Cost., appartenendo a tale categoria gli emolumenti retributivi o pensionistici e gli assegni di carattere alimentare nella
misura impignorabile prevista dalla norma.
Si è sottolineata, in particolare, la necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di sequestro preventivo finalizzate alla confisca volta ad assicurare l’operatività, anche in tali casi, dei medesimi limiti di
sequestrabilità e pignorabilità di cui all’art. 545 cit., sebbene (a differenza dell’art. 316 cod. proc. pen. in tema di sequestro conservativo) non richiamati espressamente in quanto idonei a garantire al lavoratore un minimo vitale per le sue esigenze primarie.

Un secondo indirizzo aveva invece concluso per l’inapplicabilità dei limiti previsti dagli artt. 545 e 546 cod. proc. civ.
Questa tesi ha valorizzato, in primo luogo, la stretta attinenza delle norme processualcivilistiche in oggetto ai rapporti tra privati, sì che le stesse costituirebbero, a fronte dell’esigenza di considerare il contemperamento tra l’interesse del creditore e quello del debitore, una eccezione al principio generale della responsabilità patrimoniale. Le disposizioni riguardanti la confisca o il sequestro per equivalente, troverebbero, invece, fondamento nell’interesse pubblicistico volto a sanzionare una condotta illecita; e la particolare valenza di
tale interesse, già emergente, nel quadro delle fonti sovranazionali, e anteriormente al varo del Trattato di Lisbona, dalla Decisione quadro 2001/500 GAI – contenente la previsione di un obbligo degli Stati membri di consentire la confisca di beni strumentali e dei proventi da reato, nonché la confisca di beni di un corrispondente valore – sarebbe ulteriormente dimostrata, successivamente al Trattato, dalla valenza generale rappresentata dalla Direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da
reato, da attuarsi anche per equivalente, nell’Unione europea.

Infine, un terzo orientamento (c.d. intermedio), ha differenziato l’esito sulla base del criterio temporale della anteriorità o meno della corresponsione delle somme qualificate rispetto al momento di adozione del sequestro. Poiché, infatti, i limiti di pignorabilità di cui all’art. 545 cod. proc. civ. attengono solo ai crediti vantati nei confronti del datore di lavoro, si è ritenuto legittimo il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente delle intere somme percepite dal lavoratore a titolo di credito di lavoro o di pensione solo allorché queste siano già confluite nella sua disponibilità e siano ormai confuse con il patrimonio mobiliare dello stesso, diversamente dovendo prevalere i limiti predetti per essere ancora le somme riconducibili alla nozione di crediti lavorativi.

Le Sezioni Unite hanno accolto la prima delle testi esposte. Secondo il Supremo Consesso, l’esigenza di assicurare il minimo vitale
è la “chiave di volta” delle disposizioni in tema di disciplina della pignorabilità dei crediti da lavoro e dei trattamenti pensionistici (indubbiamente equiparabili tra loro sotto tale profilo), la conclusione per cui tale disciplina deve valere anche in caso di ablazione da sequestro per equivalente rappresenta il fisiologico e necessitato epilogo delle premesse di cui si è detto.
Del resto, anche il fondamentale argomento, di tipo “sistematico”, prospettato dalla tesi che afferma la piena espansione del sequestro, insito nel valore “pubblicistico” degli interessi tutelati dalle norme penali, non appare a ben vedere conciliabile con quanto prevede, al quarto comma, lo stesso art. 545 cod. proc. civ. che contempla il limite di pignorabilità nella misura di un quinto con riferimento
ai “tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni”, quali crediti certo non assimilabili a rapporti di carattere privatistico ma aventi, invece, indubbia valenza di carattere pubblico.
Sicché, in un tale saliente ed esaustivo contesto, non può certo condurre a diverse conclusioni il mero mancato richiamo, nella disposizione dell’art. 321 cod. proc. pen., ai “limiti” entro i quali la legge consente il pignoramento dei beni, testualmente presente, invece, nel comma 1 dell’art. 316 cod. proc. pen. in tema di sequestro conservativo e valorizzato ai fini della propugnata impermeabilità del sequestro preventivo per equivalente alle disposizioni dell’art. 545 cod. proc. civ.

Le Sezioni Unite hanno, altresì, precisato che la tesi c.d. “intermedia” non è utilmente valorizzabile in quanto si
muove su un piano diverso rispetto a quello comune ai due indirizzi contrapposti: mentre questi ultimi riguardano il profilo della applicabilità dei limiti processualcivilistici più volte ricordati al sequestro penale, ponendo a confronto i principi e i connotati identitari delle due discipline – sì che deve, evidentemente, ritenersi già implicitamente risolto, in senso affermativo, il punto relativo alla riconducibilità dei crediti oggetto di esecuzione nell’ambito di quelli espressamente considerati dall’art. 545 cod. proc. civ. – il primo resta, su un piano preliminare, “interno” alla stessa interpretazione della norma processualcivilistica che si ritiene, sulla base di principi già enunciati
dalla Corte civile, non operante laddove le somme di denaro, accreditate sul conto corrente, finiscano per perdere la loro identità perché confuse nel patrimonio del lavoratore o pensionato. Viene dunque in rilievo, a ben vedere, non un problema di rapporti tra norme esecutive civili e norme cautelari penali, bensì, piuttosto, un problema di non operatività “in radice” dello stesso art. 545 cit. tale da rendere,
quindi, superfluo interrogarsi sull’applicabilità di limiti, già, evidentemente, giudicati insussistenti, al sequestro e alla confisca.