PROSTITUZIONE MINORILE: SUSSISTE TENTATIVO DI REATO PER IL PEDOFILO CHE NON REALIZZA LA CONDOTTA

Richiedere ad una prostituta di procurare una ragazza minore per intrattenere rapporti sessuali configura il reato di prostituzione minorile, seppur nella forma del tentativo, se la prostituta, non disponendo di minorenni e al fine di ottenere il compenso con l’inganno, presenta all’imputato una ragazza maggiorenne che nelle fattezze sarebbe potuta apparire come minore. Il legislatore, infatti, ha inteso colpire all’origine l’illecito fenomeno della prostituzione minorile, punendo non solo l’offerta ma anche la domanda di essa, cioè la condotta del cliente. Il reato si consuma al momento del compimento dell’atto sessuale in cambio di un corrispettivo, ma prima di allora, in presenza del compimento di atti idonei ed univoci, ben può configurarsi il delitto tentato.

 

FATTO

La Corte di appello di Milano, con sentenza del 12.4.2011, ha confermato la sentenza 29.7.2010 del G.I.P. del Tribunale di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di T. F.G. in ordine ai delitti di cui:

– all’art. 56 e art. 600 bis cod. pen., comma 2 e 3, (per avere compiuto atti idonei inequivocamente rivolti ad intrattenere rapporti sessuali a pagamento con ragazze minori degli anni 16, per il tramite della intermediazione di persone che gli avrebbero procurato la disponibilità, dietro pagamento di corrispettivo in denaro, delle suddette minorenni – in (OMISSIS));

– all’art 600 quater cod. pen., commi 1 e 2, (per avere detenuto all’interno di propri supporti informatici una ingente quantità di immagini pedopornografiche concernenti minori anche di età inferiore ai 14 anni, e talune delle quali concernenti minori di età inferiore ai 10 anni, ripresi nel compimento di atti sessuali, di atti sadici o in posizioni erotiche – in Milano, in epoca antecedente e prossima al 5.2.2010); e unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva di anni tre di reclusione.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso congiunto i difensori del ladini, i quali lamentano, sotto i profili della mancanza e manifesta illogicità della motivazione:

a) la insussistenza del ritenuto delitto di cui agli artt. 56 e 600 bis cod. pen.. L’imputato aveva insistito presso una prostituta rumena (tale C.E.) perchè quella gli procurasse una ragazza minore degli anni sedici con cui avere un rapporto sessuale a pagamento. La C., non disponendo di ragazze minorenni, al fine di ottenere il compenso del T. con l’inganno, gli aveva però presentato una ragazza maggiorenne che sarebbe potuta apparire come minore senza esserlo.

La C., giudicata separatamente in procedimento connesso, è stata assolta (in primo grado) dall’accusa di sfruttamento della prostituzione minorile, essendosi ritenuta insussistente la prova che avesse presentato al T. prostitute minorenni e che (alla stessa stregua dei suoi sodali) avesse la disponibilità di ragazze di età inferiore ai diciotto anni. T., dunque – il quale aveva consumato, e non tentato di consumare, un rapporto sessuale lecito con una donna maggiorenne presentatagli falsamente come minorenne – sarebbe stato condannato solo per avere manifestato la volontà di avere un rapporto sessuale con una minorenne ad una persona che ne millantava ma non ne aveva la disponibilità. La sentenza impugnata, conseguentemente, sarebbe “profondamente lesiva del principio di offensività”, essendo stato punito “per una lesione del bene giuridico verificatasi, a tutto voler concedere, solo nella rappresentazione immaginaria del soggetto agente” e nella “manifestazione delle proprie intenzioni”. Le semplici richieste formulate, non essendo sfociate quanto meno nella individuazione di una prostituta minorenne ed in attività prodromiche ad un incontro sessuale con la stessa, costituiscono “atti meramente preparatori, o al più un accordo per compiere un delitto, penalmente irrilevante in virtù dell’art. 115 cod. pen.”;

b) la illegittima valorizzazione da parte della Corte di merito – in violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. – di condotte tenute dal T. in epoca successiva all’ambito temporale dell’imputazione (successiva cioè al 21 dicembre 2009), sicchè illegittimamente sarebbe stata esclusa la desistenza volontaria dell’imputato ed affermata la inapplicabilità dell’art. 56 cod. pen., comma 2;

– la carenza di motivazione quanto all’indicazione delle fonti di prova da cui i giudici hanno tratto il convincimento della disponibilità di ragazze minorenni da parte dell’organizzazione criminale adita dal T., che solo momentaneamente sarebbe venuta a mancare;

– la erronea configurazione della compatibilità con il delitto tentato della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 600 bis cod. pen., comma 3 (fatto commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici), pur non essendo stata raggiunta la certezza che l’iter consumativo del reato avrebbe realizzato gli elementi integrativi di tale circostanza;

– la incongruità della pena inflitta, attraverso il computo della continuazione, per il delitto di cui all’art. 600 quater cod. pen., in quanto i giudici del merito non avrebbero debitamente considerato che l’imputato non aveva mai catalogato le immagini pedopornografiche detenute (con ciò palesando “una noncuranza” delle stesse), non se le era procurate a pagamento e non le aveva mai scambiate in rete;

– la incongruità del mancato riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.

 

DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato, perchè infondato, 1. Attraverso la previsione del delitto di fruizione di rapporto sessuale con minore, di cui all’art. 600 bis cod. pen., comma 2, il legislatore nazionale ha inteso, in adeguamento alla decisione quadro dell’Unione Europea del 22 dicembre 2003, vulnerare all’origine l’illecito fenomeno della prostituzione minorile, colpendo non solo l’offerta ma anche la domanda di essa, cioè la condotta del “cliente”.

Il reato si consuma al momento del compimento dell’atto sessuale in cambio di un corrispettivo, ma prima di allora, in presenza del compimento di atti idonei ed univoci, ben può configurarsi il delitto tentato.

1.1. La figura del delitto tentato ricorre – come è noto – quando ti soggetto agente vuole commettere un reato e si attiva in tal senso, senza però realizzare il proposito criminoso per cause indipendenti dalla propria volontà: il tentativo, pertanto, si delinea quando l’agente non riesce a portare a termine il delitto programmato ma gli atti parzialmente realizzati sono comunque tali da esteriorizzare la sua intenzione criminosa.

L’art. 56 cod. pen. estende il divieto dei fatti descritti nelle norme incriminataci ai casi in cui l’agente non li realizzi interamente, ma compia atti idonei diretti inequivocabilmente a porti in essere. Ne consegue che nel reato consumato il bene protetto è leso; in quello tentato è solo messo in pericolo.

Dalla definizione data dall’art. 56 cod. pen. si ricava che requisiti del tentativo sono:

a) l’intenzione di commettere un determinato delitto;

b) il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto stesso;

c) il mancato compiersi detrazione o il mancato verificarsi dell’evento per circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente.

In relazione a detti requisiti va osservato che:

aa) l’intenzione dolosa non deve restare allo stadio di semplice proposito, ma deve essere manifestata all’esterno proprio con il compimento di atti idonei a commettere il delitto;

bb) l’idoneità degli atti non può essere valutata a posteriori (altrimenti il tentativo sarebbe sempre inidoneo, non essendosi realizzato il delitto voluto), dovendo essere invece accertata ex ante, riportandosi al momento in cui razione stava per essere compiuta, tenendo conto delle circostanze concrete e di tutti gli elementi che potevano essere a conoscenza dell’agente (vedi Cass., 4.9.2009, n. 34242). Non vanno presi in considerazione, pertanto, tutti i fattori estemi che non fossero obiettivamente conoscibili dall’agente;

cc) “atti univoci14, poi, sono quelli che mettono in chiara evidenza il fine al quale sono diretti e che, per il grado di sviluppo raggiunto dalla condotta criminosa, lasciano prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto;

dd) il mancato compiersi dell’azione o il mancato verificarsi dell’evento debbono dipendere da un’interruzione dell’iter esecutivo per circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente e la causa sopravvenuta, che impedisce lo sfociare nell’evento della causa posta in azione dall’agente, può essere umana o naturale, consapevole o fortuita: qualunque causa, dunque, ad eccezione del recedere della volontà del soggetto della condotta (che può portare alla configurazione della desistenza o del recesso operoso).

Nella fattispecie in esame risulta accertato che il ladini;

– ha effettuato plurime telefonate ed ha avuto più incontri personali con una prostituta rumena ( E.C.C.), a lui nota come coinvolta in un’attività delinquenziale organizzata di sfruttamento della prostituzione anche di ragazze minorenni;

– in quelle telefonate ed in occasione di quegli incontri ha richiesto pressantemente la disponibilità di ragazzine con le quali intrattenere rapporti anche di natura sadica, offrendo in pagamento la corresponsione di somme rilevanti (fino a 2.000,00 Euro se gli fosse stata condotta una minore di 13 anni disposta a fare sesso in qualunque modo e senza alcuna protezione);

– la C. si è messa in contatto con tale A.G., il quale ha chiesto, a sua volta, la cooperazione di altri soggetti, tutti in concreto attivatisi per ricercare una minore che fosse in grado di soddisfare le esigenze manifestate dal cliente;

– Il T., recatosi a casa della C. il 21 dicembre 2009, dove aveva avuto un incontro sessuale mercenario, le aveva consegnato 1.000,00 Euro; in seguito, poichè la donna con la quale si era intrattenuto gli aveva rivelato di avere due amiche, rispettivamente di 13 e 11 anni, aveva richiesto alla C. di procurargliele ed era giunto ad offrire anche 4.000,00 Euro per un rapporto con una bambina di 11 anni;

— essendo rimasta infruttuosa fa ricerca, le persone alle quali l’imputato si era rivolto hanno ideato e perseguito l’espediente di fornire all’imputato ragazze maggiorenni che sarebbero potute apparire di età minore pure non essendolo.

1.2 A fronte delle condotte come sopra descritte deve ritenersi acquisita la prova:

a) dell’intenzione dell’imputato di commettere il delitto di finizione di rapporti sessuali con ragazze minori di sedici anni in cambio di danaro o di altra utilità economica. Tale intenzione dolosa non è rimasta allo stadio di semplice proposito, ma è stata manifestata all’esterno reiteratamente e senza possibilità di equivoci, nonchè accompagnata da comportamenti indirizzati a concretizzarla;

b) del compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto stesso. Trattasi di idoneità sicuramente esistente alla stregua di una valutazione ex ante, poichè il T. era certo (sia per una situazione che a lui appariva evidente sia per le plurime assicurazioni ricevute) che i soggetti ai quali si era rivolto potevano contare su un’organizzazione idonea a fornirgli minorenni disposte a prostituirsi con te modalità da lui desiderate.

Quegli stessi soggetti avevano posto in essere un’effettiva e frenetica attività di ricerca rivolta ad esaudire le richieste del cliente, attivando i loro contatti nell’ambito degli sfruttatori di prostitute;

c) del mancato verificarsi dell’evento, non perchè la C. e le persone da lei contattate non si siano seriamente attivate per fornire all’imputato ciò che desiderava, ma per una momentanea indisponibilità di ragazze minorenni o per la contrarietà di persone che tali ragazze mercificavano ad assoggettarle a prestazioni sessuali secondo le particolari modalità richieste dal T..

L’iter esecutivo, dunque, si è interrotto per circostanze indipendenti dalla volontà dell’agente e la circostanza che l’indisponibilità di minorenni non fosse assoluta risulta razionalmente dedotta dal contatto intercorso, in seguito alle richieste della C., tra A.G. e tale M. I., caratterizzato da un’iniziale adesione del M. alla richiesta di procacciamento di una minorenne e da un successivo diniego opposto dallo stesso solo allorquando aveva appreso il tipo di prestazione richiesta.

1.3 In tale situazione:

– è irrilevante che il Tribunale di Milano – con sentenza del 28.4.2011, che non risulta passata in giudicato – abbia ritenuto (nei confronti della C., del G. e del M.) insussistente la prova non solo della disponibilità ma anche della ricerca di ragazze minorenni da prostituire;

– il riferimento, rinvenibile nella sentenza impugnata, a condotte tenute dal T. la sera del (OMISSIS) (che, secondo la stessa Corte di merito, “esula dai fatti reato contestati”) non implementa te acquisizioni probatorie di cui si è dato conto dianzi, evidenziando soltanto che l’imputato, fattosi accorto rispetto alla eventualità di inganno circa l’età effettiva delle ragazze procacciategli, si riservava ormai di procedere ad una visione diretta delle stesse.

Va esclusa, conseguentemente, qualsiasi violazione dell’art. 521 cod. proc. pen..

2. In materia di rapporti tra delitto tentato e circostanze, regola generale deve ritenersi quella della compatibilità tra il delitto tentato e tutte le circostanze (aggravanti o attenuanti), ad esclusione soltanto di quelle concementi un’attività che nemmeno parzialmente sia stata posta in esecuzione e di quelle che presuppongono l’avvenuta consumazione del reato (sul punto vedi Cass., 20.3.1989, n. 4098).

Nella vicenda in esame – in relazione alla circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 600 bis cod. pen., comma 3 – deve ritenersi legittimamente configurata un’ipotesi di tentativo e delitto circostanziato, ove la circostanza non è stata realizzata ma è comunque entrata a far parte del proposito criminoso dell’agente, che ha compiuto atti diretti in modo univoco a realizzare proprio il delitto circostanziato contestato.

Ben consapevole di un orientamento diverso sostenuto da una parte della dottrina, ritiene il Collegio di dovere ribadire la configurabilttà del delitto circostanziato tentato, in considerazione del fatto che l’art. 56 cod. pen. può combinarsi non solo con le figure tipiche di reati “semplici” ma anche con quelle circostanziate, ad eccezione di quelle che presuppongono necessariamente la consumazione (quale, ad esempio, la restituzione della cosa ex art. 62 cod. pen., n. 6.

3. Secondo la prospettazione difensiva, incongruamente non sarebbe stata riconosciuta la “desistenza volontaria” del T., che – ai sensi dell’art. 56 cod. pen., comma 3, – comporta l’impunità dal delitto tentato da cui si sia desistito.

Le argomentazioni svolte in proposito si incentrano essenzialmente sull’intercettazione di una telefonata fetta alla C., il 24 dicembre 2009, nella quale l’imputato ebbe a comunicare alla sua interlocutrice che, nonostante la tentazione, aveva sbagliato nel cercare di avere un rapporto sessuale con una ragazzina di undici anni e che, in realtà, non avrebbe mai accettato di consumarlo.

I giudici del merito, con valutazioni razionali, hanno ricondotto tale telefonata ad una manovra di “depistaggio probatorio” tentata dall’imputato, il quale, ormai accortosi di essere controllato anche attraverso captazioni telefoniche, aveva anche cessato di utilizzare il numero della propria utenza del quale si era in precedenza servito, si da impedire che le persone precedentemente compulsate potessero chiamarlo ed introdurre argomenti di conversazione riferiti alle richieste già ricevute.

Va comunque osservato che non integra desistenza dalla determinazione di finire di rapporti sessuali con minorenni l’abbandono del solo proposito criminoso riferito ad una attività sessuale “particolare” con una ragazzina di undici anni.

4. Infondate ed articolate in fatto sono le doglianze che attengono alla denunciata carenza di motivazione circa l’aumento di pena inflitta per il delitto di cui all’art. 600 quater cod. pen., unificato a quello più grave nel vincolo della continuazione.

L’incremento sanzionatorio, invero, è stato adeguatamente correlato alla imponente mole del materiale pedopornografico detenuto dall’imputato (oltre 14.000 file di immagini, rappresentanti anche sevizie su bambini), non assumendo ed evidenza alcun rilevo le circostanze riferite dai difensori alla possibilità dell’agevole acquisizione tramite internet, alla mancata “catalogazione”, alla carenza di prove di un’attività di scambio in rete.

5. Le attenuanti generiche, ad nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di delinquere dell’imputato.

Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità dei reo.

Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutatone di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

Nella fattispecie in esame la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge – in carenza di un qualsiasi congruo elemento di segno positivo – ha dato rilevanza decisiva alla gravità dei fatti, illustrando logicamente innegabili (e non seriamente confutabili) significazioni negative della personalità dell’imputato.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.

Depositato in cancelleria l’ 8 ottobre 2012.