LA NOZIONE PENALISTICA DI COSA MOBILE: A PROPOSITO DELLA SOTTRAZIONE DI OVOCITI DAL CORPO DI UNA DONNA

La nozione penalistica di cosa mobile non coincide con quella civilistica, rivelandosi per certi aspetti più ridotta e, per altri, più ampia: è più ridotta laddove non considera cose mobili le entità immateriali – come, appunto, le opere dell’ingegno e i diritti soggettivi – che, invece, l’art. 813 c.c., assimila ai beni mobili; è più ampia, laddove comprende beni che, originariamente immobili o costituenti pertinenze di un complesso immobiliare (queste ultime assoggettate dall’art. 818 c.c., al regime dei beni immobili), siano mobilizzati, divenendo quindi asportabili e sottraibili e, pertanto, potenzialmente oggetto di appropriazione. Ulteriore conferma di ciò si desume dall’art. 624 cpv. c.p., che considera cosa mobile anche l’energia, elettrica o di altra natura, munita di valore economico. È possibile parlare di “reificazione” anche con riferimento agli ovociti, che divengono “cosa mobile” nel momento della loro separazione, seppur sottolineandone una peculiarità: trattandosi di un distacco da corpo umano e non da bene immobile, è solo da quel momento che si può correttamente parlare di detenzione degli ovociti, e non anche con riferimento a quello precedente, in cui gli stessi sono sì “mobilizzabili”, ma non ancora mobili. Pertanto, gli ovuli acquisiscono lo status di cosa mobile solo con il distacco, divenendo così suscettibili di sottrazione ed impossessamento solo a partire da tale momento. Una simile conclusione risulta inoltre coerente con quanto precedentemente affermato dalla stessa Cassazione nella fase cautelare della presente vicenda, ove la stessa aveva escluso che gli ovociti potessero essere ricompresi nel concetto di “cosa mobile”, poiché originariamente il capo di imputazione contestava solo la separazione e non anche la successiva condotta di impossessamento.