LA CONFISCA DEL DENARO È DIRETTA ANCHE QUANDO VI È LA PROVA DELLA DERIVAZIONE DEL DENARO DA TITOLO LECITO? LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE

[vc_row][vc_column][edumax_title title=”LA CONFISCA DEL DENARO È DIRETTA ANCHE QUANDO VI È LA PROVA DELLA DERIVAZIONE DEL DENARO DA TITOLO LECITO? LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE ” subtitle=”Cass. penale, Sez. VI, 23 febbraio 2021, n. 7021 – Pres. Fidelbo, Rel. Silvestri”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Va rimessa alle Sezioni Unite la questione se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo o del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da un titolo lecito.

 

RITENUTO IN FATTO

1.Il Tribunale della libertà di Salerno, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta “delle somme di denaro in contanti o giacenti sui conti correnti intestati o nella disponibilità di C.L. “, fino alla concorrenza di Euro 139.574,54, quale prezzo e profitto del delitto di cui all’art. 346-bis c.p., disponendo la restituzione della somma di Euro 35.425,45, ritenuta non derivante dal reato per cui si procede.
Secondo l’imputazione provvisoria, C. , sfruttando la conoscenza con P.G. , giudice presso la Commissione tributaria di Salerno, e con il funzionario dell’Agenzia delle entrate di Salerno – Po.Um. -, in concorso con C.G. e C.L. , quali avvocati, e con il commercialista S.V. , si sarebbe fatto consegnare in più soluzioni da L.M.G. la somma di 175.000 Euro – oltre a sessanta cravatte – come prezzo della mediazione illecita e come profitto del reato (in tal senso il decreto di sequestro), in cambio di una riduzione non dovuta delle imposte per la società (OMISSIS) s.r.l., di cui La.Ma.Ge. era amministratore legale e L.M.G. , amministratore di fatto (il reato, secondo l’imputazione provvisoria, sarebbe stato commesso in epoca anteriore e prossima al 31.12.2016).
Il Tribunale ha ritenuto di dissequestrare la somma di 35.425,45 Euro perché versata sui due conti correnti bancari dell’indagato successivamente alla commissione del reato; somme, quindi, che non avrebbero potuto considerarsi prezzo o profitto del reato perché non derivanti da questo.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge: il Tribunale avrebbe, da una parte, ritenuto il sequestro funzionale alla confisca diretta delle somme giacenti sui conti correnti, ma, dall’altra, avrebbe qualificato dette somme come risparmi di spesa, con ciò, si assume, finendo per qualificare la misura cautelare come fosse per equivalente.
Sotto altro profilo, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che su quei conti correnti bancari erano giacenti, già alla data del 31/12/2015, cioè prima della commissione del reato per cui si procede (“in epoca anteriore e prossima al 31 dicembre 2016”), somme che non potrebbero essere considerate “derivanti” dal reato, perché provenienti da un titolo lecito.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge quanto al giudicato cautelare interno ed al fumus commissi delicti. Si sostiene che i fatti per cui si procede sarebbero stati già valutati dal Tribunale allorquando fu investito della richiesta di riesame di un sequestro probatorio in relazione al quale era stato ipotizzato, in relazione agli stessi fatti, il reato di truffa aggravata e, nell’occasione, la qualificazione giuridica del fatto fu confermata dal Tribunale e dalla Corte di cassazione.
In presenza degli stessi fatti, si sostiene, il Tribunale avrebbe mutato la qualificazione giuridica, riconducendoli al reato di cui all’art. 346-bis c.p., ma così facendo, ed in assenza di nuovi elementi, avrebbe violato il giudicato interno già formatosi.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge: il Giudice per le indagini preliminari e lo stesso Tribunale avrebbero fatto riferimento al reato per cui si procede come previsto dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, laddove, invece, in ragione del tempus commissi delicti, si sarebbe dovuto fare riferimento alla fattispecie ed alla pena vigente “dal 2012” (così il ricorso).
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge: si sostiene che, in relazione al reato di cui all’art. 346-bis c.p. non potrebbe essere ipotizzata una confisca diretta delle somme di denaro perché la Pubblica Amministrazione sarebbe estranea al reato ed il profitto sarebbe totalmente privato.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nella valutazione del ricorso assume rilevante valenza l’esame del primo motivo. Dal ricorso e dagli atti allegati emerge che:
– il sequestro è stato eseguito in data 20/04/2020 sul denaro giacente su due conti correnti bancari dell’indagato, aventi rispettivamente n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) ;
– in relazione al primo rapporto, il vincolo reale ha riguardato la somma di 160.000 Euro, mentre, quanto al secondo, quella di 15.000 Euro;
– il conto corrente n. (OMISSIS) presentava alla data del 31.12.2015 – dunque prima della commissione del reato – un saldo positivo di 51.022,59 Euro e nel corso del 2016 è stato alimentato soprattutto attraverso bonifici disposti da Equitalia o da altri soggetti e, limitatamente ad un importo complessivo di circa 30.000 Euro, da alcune operazioni di versamento di assegni:
– il conto corrente n. (OMISSIS) presentava alla data del 31.12.2015 il saldo attivo di 49.963 Euro e nel corso dell’intero 2016 sono state registrate pochissime operazioni (forse cinque) di versamento di assegni emessi da altre banche per un ammontare complessivo di circa 10.000 Euro.
Dunque, a fronte di un sequestro di denaro eseguito nell’aprile del 2020 per un ammontare di 175.000 Euro, la parte ha allegato elementi volti a dimostrare in sede cautelare che su quei due conti correnti bancari risultano compiuti – nel corso del 2016 – versamenti tramite assegni per una cifra di circa 40.000 e, per la parte residua, accreditamenti di denaro di apparente derivazione lecita (es. numerosi bonifici disposti da Equitalia).
Il Tribunale, pur facendo riferimento ai principi affermati da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437, ha disposto il dissequestro delle somme versate successivamente alla commissione del reato.
In particolare, quanto alle somme giacenti sui due conti correnti fino al 31.12.2016 il Tribunale ha applicato in maniera rigorosa i principi affermati dalla Sezioni Unite indicate, ed ha ritenuto che anche, ad esempio, le somme accreditate su quei due conti correnti da Equitalia debbano considerarsi prezzo o profitto del reato previsto dall’art. 346-bis c.p., dunque sequestrabili in funzione della confisca diretta, e, dall’altra, per giustificare il dissequestro, ha di fatto derogato ai principi in questione, richiamando alcune sentenze della Corte di cassazione successive alle Sezioni unite “Lucci”, delle quali si dirà.
2. La questione attiene al come debba essere qualificato il sequestro delle somme di denaro disponibili sui conti correnti bancari dell’indagato, tenuto conto che, nel caso di specie, il titolo del reato per cui si procede non consente il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.
Le somme di cui l’indagato aveva la disponibilità su quei due conti correnti possono cioè essere sequestrate in funzione della confisca solo se ritenute prezzo o profitto derivante dal reato a lui attribuito.
3. Le Sezioni Unite hanno affermato che la confisca, e quindi il sequestro preventivo di somme di denaro, ha sempre natura “diretta” (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, cit.)
Le Sezioni Unite hanno precisato che:
– il profitto del reato è solo il vantaggio di immediata e diretta derivazione causale dal reato;
– la confisca per equivalente, rappresentando una alternativa alla confisca diretta ed operando solo quando non può trovare applicazione la ordinaria misura di sicurezza patrimoniale – presuppone che il relativo oggetto (vale a dire il prezzo o il profitto del reato) abbia una sua consistenza naturalistica e/o giuridica tale da permetterne l’ablazione, nel senso che, una volta entrato nel patrimonio dell’autore del reato, continui a mantenere una sua identificabilità;
– ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica;
– non avrebbe ragion d’essere – nè sul piano economico, nè su quello giuridico – la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo;
– soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca diretta di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato;
– la confisca del denaro costituente prezzo o profitto del reato pur in assenza di elementi che dimostrino che proprio quella somma è stata versata su quel conto corrente non determina una sostanziale coincidenza della confisca diretta con quella di valore, dal momento che è la prova della percezione illegittima della somma che conta, e non la sua materiale destinazione: con la conseguenza che, agli effetti della confisca, è l’esistenza del numerarlo comunque accresciuto di consistenza a rappresentare l’oggetto da confiscare, senza che assumano rilevanza la eventuale movimentazione di un determinato conto bancario (così testualmente le Sezioni unite).
4. La sentenza “Lucci” costituisce, come è noto, il punto di approdo di un articolato percorso della giurisprudenza di legittimità, che sul tema del sequestro preventivo finalizzato alla confisca avente ad oggetto somme di denaro aveva registrato già in precedenza altri interventi da parte delle stesse Sezioni unite.
4.1. Secondo un primo orientamento, recepito da Sez. U, n. 2014 del 30/01/2014, Gubert, la confisca del denaro giacente su un conto corrente bancario sarebbe sempre diretta e ciò sia nel caso di prezzo che in quello di profitto del reato e, quanto al profitto, sia nel caso di profitto c.d. accrescitivo, sia quando si tratta di c.d. risparmio di spesa.
Secondo la sentenza “Gubert”, quando si tratti di denaro, la confisca non sarebbe mai di valore, “in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato”.
Una confisca diretta che, secondo le Sezioni unite, deve “equivalere” all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato.
Il denaro, in quanto parametro di valutazione unificante rispetto a cose di diverso valore, sarebbe sempre sequestrabile in via diretta.
A fronte di questa opzione interpretativa, si è ritenuto che erroneamente si esclude la configurabilità della confisca diretta, e quindi del sequestro, in relazione al denaro liquido disponibile sul conto corrente dell’indagato, atteso che la fungibilità del bene e la confusione delle somme che ne deriva nella composizione del patrimonio, rendono superflua la ricerca della provenienza con riferimento al prezzo o al profitto del reato.
4.2. Prima della sentenza “Gubert”, le Sezioni Unite avevano già affrontato il tema del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro costituenti “profitto del reato”, affermando tuttavia che il sequestro diretto delle somme di denaro deve ritenersi ammissibile sia quando la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia quando vi siano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di occultare.
In particolare, Sez. U, 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli, Rv. 228166, chiamate a pronunciarsi in una fattispecie in cui si procedeva per i reati di associazione per delinquere, reati fiscali e truffe ed era stato disposto il sequestro di somme di denaro depositate su conti correnti bancari, ritennero che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purché sia attribuibile all’indagato (in tal senso anche, Sez. 6, n. 4289 del 01/02/1995, Carullo, Rv. 200752); si sottolineò, tuttavia, che anche per il denaro deve pur sempre sussistere il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il “bene” sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa).
5. In tale articolato quadro di riferimento, la questione che si intende sottoporre alle Sezioni Unite attiene all’ambito applicativo dei principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza “Lucci”, se, cioè, il sequestro preventivo debba essere qualificato “sempre” in termini di sequestro funzionale alla confisca diretta e, nel caso in cui si ritenga di qualificarlo sempre in termini di confisca diretta, come si atteggi il nesso di pertinenza tra “res” e reato, con riferimento alla fungibilità del bene,.
Quanto alla nozione di profitto, la giurisprudenza della Corte di cassazione, anche a Sezioni unite, aveva individuato nel tempo una serie di stabili principi:
1) il profitto, per rilevare ai fini della disciplina del sequestro e della confisca, deve essere accompagnato dal requisito della “pertinenzialità”, inteso nel senso che deve derivare in via immediata e diretta dal reato che lo presuppone (principio di “causalità” del reato rispetto al profitto) (Sez. U., n. 9194 del 3/07/1996, Chabni, Rv. 205707; Sez. U., n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, in motivazione; Sez. Un., n. 29952 del 24/05/2004, Romagnoli, in motivazione; Sez. U., n. 41936 del 25/10/ 2005, Muci, Rv. 232164; Sez. U., n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Impianti, Rv. 239924; Sez. U., n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, in motivazione).
In tutte le sentenze indicate si è sempre fatto riferimento alla circostanza che il parametro della pertinenzialità del profitto al reato rappresenta l’effettivo criterio primario selettivo di ciò che può essere confiscato; anche la sentenza delle Sezioni Unite, n. 20208 del 25/10/2007, Miragliotta, Rv. 238700, pur ammettendo la confiscabilità dell’utilità mediata – c.d. surrogata -, ha tuttavia affermato la necessità di individuazione di un profitto originario e di accertare i passaggi attraverso i quali si è compiuta la trasformazione dello stesso);
2) in virtù del “principio di causalità” e dei requisiti di materialità e attualità, il profitto, per essere tipico, deve corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo, della situazione patrimoniale del suo beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica, sicché non rappresenta “profitto” un qualsivoglia vantaggio futuro, immateriale, o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali (Sez. 5, n. 10265 del 28/12/2013, dep. 2014, Banca Italease s.p.a, Rv. 258577; ma anche Sez. U, “Fisia impianti”, cit.).
In tale articolato quadro di riferimento, si colloca Sez. U, n. 2014 del 30/01/2014, Gubert, con cui è stata recepita una nozione di profitto funzionale alla confisca molto più ampia perché capace di accogliere al suo interno “non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa… la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito. Il concetto di profitto o provento di reato dovrebbe intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa”.
Sul tema, sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261117, in relazione al processo per i tragici fatti della “Tyssen”. La Corte di cassazione ha sostanzialmente recepito nell’occasione il principio affermato nella sentenza “Gubert”, secondo cui “il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa”.
Sulla questione, obiettivamente intricata, sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite, ribadendo il principio, che questo Collegio condivide, secondo cui profitto è solo il vantaggio di immediata e diretta derivazione causale dal reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, cit.; successivamente, nello stesso senso, Sez. 6, n. 33226 del 14/07/2015, Azienda Agraria Greenfarm di Guido Leopardi, Rv. 264941; Sez. 2, n. 53650 del 05/10/2016, Maiorano, Rv. 268854).
Dunque, il profitto deve essere direttamente derivante al reato.
6. Alla luce della ricostruzione compiuta, nel caso in cui si ritenessero applicabili i principi di diritto per come affermati dalla sentenza “Lucci”, il primo motivo proposto dall’odierno ricorrente rivelerebbe la sua manifesta infondatezza, atteso che tutte le somme versate sui conti correnti dell’indagato – anche quelle derivanti da bonifici disposti da Equitalia ovvero quelle preesistenti al reato – dovrebbero essere comunque, sempre, considerate prezzo o profitto del reato, in ragione della natura fungibile del denaro e della confusione delle somme versate su quei conti correnti – a prescindere dalla prova della loro derivazione dal reato- con quelle preesistenti.
Ciò che resta tuttavia sullo sfondo attiene al se, già nel caso di profitto c.d. accrescitivo, sia possibile qualificare in termini di sequestro finalizzato alla confisca diretta, il sequestro del denaro disponibile su un conto corrente anche quando non solo non si abbia alcun elemento che induca a ritenere che il prezzo o il profitto del reato sia stato depositato su quel conto, ma vi siano addirittura, come nel caso di specie, elementi concreti per ritenere che il denaro su quel conto abbia, in tutto o in parte, origine in un titolo giustificativo lecito e, dunque, non “derivi” dal reato e non sia pertanto qualificabile in termini di profitto.
La questione nella specie assume oltremodo rilievo, considerato, come detto, che, rispetto al reato previsto dall’art. 346-bis c.p., non è prevista la confisca per equivalente, sicché nei riguardi del denaro giacente sui conti correnti bancari del ricorrente, il sequestro potrebbe essere disposto solo in funzione della confisca diretta.
7. Nella giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza “Lucci”, la questione della esatta definizione dell’ambito applicativo dei principi di diritto con essa affermati, è stata percepita e si registrano sentenze che, pur formalmente non discostandosi, conformano, esplicitano, chiariscono i principi in questione.
S tratta di sentenze, cioè, che, pur riaffermando i contenuti della sentenza “Lucci”, ridefiniscono tuttavia l’ambito di operatività ed i limiti di applicabilità della confisca diretta e, in particolare, del sequestro preventivo avente ad oggetto il valore monetario del denaro che costituisce il profitto del reato.
Secondo Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2018, Barletta, Rv. 272553, intervenuta in un procedimento in cui si procedeva per i reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 10-bis – il principio affermato dalle Sezioni Unite “Lucci” non trova applicazione nei casi in cui si abbia la prova che le somme giacenti sul conto corrente bancario non possano in alcun modo derivare dal reato, difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro, come quello di specie, in via diretta.
Nello stesso senso si era già espressa la Corte di cassazione con riferimento al delitto di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, ritenendo che “…il sequestro, per essere qualificato come finalizzato alla confisca diretta del danaro costituente il profitto del reato omissivo, non può mai essere disposto, nè essere eseguito, per importi comunque superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento” (Sez. 3, n. 28223 del 9/02/2016, Scarpellini; nello stesso senso Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018, Vincenzini, Rv. 274307; Sez. 6, n. 15923 del 26/03/2015, Antonelli, Rv. 263124; Sez. 3 n. 6348 del 04/10/2018, dep. 11/02/2019, Torelli, Rv. 274859; Sez. 3, n. 23040 dell’1/07/2020, Multi Service Professional Service Srl, Rv. 279827; Sez. 3, n. 31516 del 29/09/2020, Casa di Cura Trusso, Rv. 280152).
Con un ulteriore decisione si è confermata la necessaria preventiva individuazione del nesso di derivazione dal reato anche per il denaro, nonostante la sua natura di bene fungibile, precisando che “…il sequestro preventivo comporta la preventiva individuazione del rapporto di pertinenza con i reati per i quali si procede, di cui deve darsi atto nella motivazione del provvedimento, nel senso che deve trattarsi di denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o sia, comunque, concretamente destinato alla commissione dello stesso. Ciò comporta che il sequestro preventivo non può colpire, indistintamente e genericamente, beni o somme di denaro dell’indagato o dell’imputato, ma solo i beni legati dal rapporto di pertinenzialità al reato” (Sez. 6, n. 17997 del 20/03/2018, Bagalà, Rv. 272906, in cui la Corte ha fatto riferimento a Sez. 5, n. 5251 del 30/10/2014, Bianchi, Rv. 262164).
In senso sostanzialmente simmetrico si colloca Sez. 6, n. 6810 del 29/01/2019, Sena, Rv. 275048 che, pur facendo riferimento a somme versate sul conto in un momento successivo alla commissione del reato, ha tuttavia evidenziato che “se la finalità della confisca diretta è quella di evitare che chi ha commesso un reato possa beneficiare del profitto che ne è conseguito, bisogna ammettere che tale funzione è assente laddove l’ablazione colpisca somme di denaro entrate nel patrimonio del reo certamente in base ad un titolo lecito ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, e non risulti in alcun modo provato che tali somme siano collegabili, anche indirettamente, all’illecito commesso”.
7.1. Si tratta di decisioni che non sembrano esattamente simmetriche al principio affermato dalla sentenza “Lucci” secondo cui, invece: a) ciò che rileva, ai fini del sequestro diretto del denaro, è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute del prezzo o del profitto del reato; b) proprio l’accrescimento in questione legittima la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque esso sia custodito nell’interesse del reo; c) ciò che occorre per ritenere diretto il sequestro è solo la prova della percezione illegittima della somma, della esistenza del numerarlo – comunque accresciuto di consistenza – essendo irrilevante l’eventuale movimentazione di un determinato conto bancario.
In queste sentenze, invece, la Corte di cassazione ragiona sulla difficoltà di coniugare i principi della sentenza “Lucci” con i casi in cui pare evidente che il denaro oggetto del sequestro non sia derivante dal reato, sia “altro” rispetto al prezzo od al profitto del reato.
8. il tema, come detto, attiene al se, ai fini del sequestro e della confisca diretta, la fungibilità del bene esenti “sempre” dalla prova che il denaro sia “legato” al prezzo o profitto del reato ovvero configuri “solo” una presunzione superabile.
Nel caso in esame, come detto, non solo non vi è nessun elemento che induca a ritenere che il prezzo o il profitto del reato siano stati interamente depositati su quei conti, ma vi sono elementi per ritenere che il denaro giacente abbia, in tutto o in parte, origine in un titolo lecito.
La risposta affermativa al quesito indicato sembra condurre ad una completa sovrapposizione della confisca proprietaria con quella di valore, nel senso che quest’ultima, nel caso di confisca di denaro, non sarebbe mai configurabile, oltre che ad una sostanziale inutilità, ad esempio, dell’art. 322-ter c.p., che assolverebbe, nella prospettiva valorizzata dalle Sezioni Unite, all’unica funzione di rendere obbligatoria la confisca del profitto che, invece, è facoltativa, ai sensi dell’art. 240 c.p..
Si avrebbe nell’ordinamento un triplice modello di confisca:
a) la confisca di proprietà, che impone l’accertamento del nesso di derivazione diretta della cosa dal reato;
b) la confisca di valore, che invece prescinde dall’accertamento del nesso in questione;
c) la confisca di denaro, che sarebbe “sempre” diretta, prescindendo, di fatto, da una parte, dall’accertamento del nesso di derivazione del denaro dal reato in ragione della natura del bene, cioè dalla sua fungibilità, e, dall’altra, anche dalla eventuale prova positiva della liceità ed estraneità del denaro che si sequestra rispetto al reato.
La dottrina osserva come le caratteristiche intrinseche del bene sul quale il potere cautelare ed ablatorio si esercita – nella specie il denaro – non possono annullare, ai fini della qualificazione della confisca in termini di confisca diretta, la necessità che la “res” abbia una rapporto di derivazione/pertinenzialità con il reato, atteso che la confisca proprietaria esige la derivazione eziologica dal reato del bene confiscabile e non paiono esservi indici normativi idonei ad autorizzare l’estensione del campo applicativo della confisca in questione.
9. Due considerazioni paiono utili.
La prima è che il rapporto di pertinenza tra il bene e il reato, richiesto ai fini del sequestro in funzione della confisca diretta, è strutturalmente autonomo rispetto a quello relativo alle caratteristiche intrinseche del bene, alla sua fungibilità: la verifica del nesso di derivazione non attiene alla natura del bene, alla sua fungibilità o meno, ma esprime in realtà un giudizio di relazione tra la cosa e il reato e nessuna norma sembra consentire di poterne prescindere.
La seconda considerazione attiene alla constatazione che la difficoltà operativa del sequestro e della confisca del denaro in ragione della sua fungibilità si evidenzia già quando si tratta di illeciti produttivi di utili che “ab externo” entrano nel patrimonio del reo, accrescendolo (es. un indebito rimborso da parte dell’Erario, il prezzo di una corruzione, o il profitto di una concussione), atteso che, una volta entrato, il denaro illecito si confonde con quello lecito, rendendo così arduo individuare il profitto direttamente collegato al reato.
In realtà, nelle ipotesi, come quella in esame, in cui il prezzo o il profitto sono costituiti da denaro, il sequestro di proprietà, pur in assenza dell’evidenza del nesso di pertinenzialità, sembra trovare giustificazione in ragione di una presunzione; si ipotizza, in considerazione della natura del bene e del suo carattere fungibile, che le somme di denaro giacenti sul conto corrente – nonostante, forse, si siano mescolate e confuse con quelle già ivi depositate e che si vogliono aggredire con il sequestro e con la confisca siano sostanzialmente quelle derivate dal reato in contestazione, ovvero si ipotizza che le somme giacenti siano, in quanto fungibili, “equivalenti”, sostitutive, “non diverse” rispetto a quelle che in un dato momento sono entrate nel patrimonio dell’indagato e che, al momento del sequestro, possono o non essere più in esso presenti ovvero presenti “altrove”.
E tuttavia, ove pure si voglia ragionare nel modo indicato, la presunzione, per essere compatibile con una prospettiva costituzionale e convenzionale, non può che essere relativa e, in tanto può avere capacità di resistenza, in quanto non vi sia una “prova contraria”, in quanto, cioè, non vi siano elementi dimostrativi del fatto che quel denaro sia “cosa diversa” e lecita rispetto a quello derivante dal reato.
Il tema non è il superamento o la rivisitazione dei principi affermati con la sentenza delle Sezioni Unite “Lucci”, quanto, piuttosto, se detti principi possano essere definiti ulteriormente nella loro portata, conformati, esplicitati nel senso di ritenere che il denaro può essere attinto con il sequestro finalizzato alla confisca diretta solo nei casi in cui:
a) risulti che la somma sia proprio quella che è derivata immediatamente e direttamente dal reato;
b) ovvero, si tratti di denaro che, per mero valore, corrisponda al profitto del reato (è l’ipotesi, come quella in esame, di denaro sequestrato sui conti correnti movimentati) in virtù di una presunzione semplice, non superata da una “prova” contraria cautelare: la parte interessata può, cioè, fornire elementi idonei ad escludere la presunzione e dimostrare che su quel conto siano giacenti, in tutto o in parte, somme aventi origine da un titolo lecito in relazione alle quali si può escludere ogni rapporto di derivazione con il reato.
Ove detta prova vi sia, il denaro sarà sì sequestrabile, ma solo in funzione della confisca di valore, se consentita, e non di quella diretta.
10. Il problema è se sia possibile una conformazione, una definizione dei “confini” dei principi affermate dalle Sezioni unite con la sentenza “Lucci” in ragione del diritto di difendersi “provando” da parte dell’indagato e della esigenza, nel rispetto degli artt. 25 e 27 Cost. e artt. 6 e 7 CEDU, di non attribuire natura punitiva alla confisca diretta, snaturandone in tal modo natura giuridica, funzione, statuto. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione l’applicabilità del principio di legalità penale in tema di confisca è conseguente alla valutazione della natura giuridica dell’ablazione, nel senso che se la confisca assolve ad una funzione afflittivo – punitiva, la stessa è sostanzialmente una pena, nel senso convenzionale del termine, e, dunque, il soggetto che la subisce deve potere godere delle garanzie di cui agli artt. 25 e 27 Cost., artt. 6 e 7 CEDU, e art. 2 c.p..
Nel caso in cui invece la confisca assolva ad una finalità di prevenzione, di mero riequilibrio, ma non anche ad una finalità punitiva, la stessa non sarebbe soggetta alle garanzie indicate (cfr., tra le altre, Sez. U, Lucci, cit.; Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602).
Ciò che tuttavia assume una valenza decisiva è stabilire quando, al di là della classificazione formale – cioè al di là della qualificazione che il legislatore fornisce – la confisca sia di valore, ovvero, secondo una prospettiva più corretta, quando essa abbia davvero carattere punitivo; la questione attiene al se sia possibile che una confisca, che non sia qualificata “di valore” dal legislatore, assuma, tuttavia, in concreto carattere punitivo, assuma, cioè, quei caratteri, che secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, devono indurre a considerarla come “pena”, con conseguente applicazione dei principi di legalità penale- costituzionale e convenzionale – e del giusto ed equo processo, ex artt. 25, 27 e 111 Cost. e artt. 6 e 7 CEDU.
Per essere considerata punitiva non è sufficiente che la confisca assuma valore afflittivo, atteso che, si è fatto lucidamente notare, l’aggettivo “afflittivo” non è sinonimo di “punitivo”, ma semmai si pone, rispetto a quest’ultimo, in termini di genere a specie.
L’ablazione patrimoniale è di per sé sempre afflittiva perché rappresenta per chi la subisce una misura negativa, pregiudizievole ma non per questo, si nota testualmente ancora in dottrina, essa assume necessariamente natura punitiva giacché si pone quale mera logica conseguenza della sua originaria acquisizione illecita; la confisca assume invece natura punitiva quando la sua portata afflittiva travalichi quella necessaria ad ottenere l’effetto ripristinatorio, nel senso di cui si è detto, ovvero quando il suo statuto giuridico finisca per attribuirgli, al di là qualificazione formale, natura giuridica di “pena”, nel senso convenzionale del termine.
Ci si deve allora chiedere se, come nel caso di specie, un sequestro qualificato come funzionale alla confisca diretta – in quanto misura di sicurezza e, dunque, formalmente strumentale ad assolvere ad una funzione preventiva ed afflittiva, nel senso indicato continui ad avere natura di misura di sicurezza anche quando della misura di sicurezza non abbia una componente essenziale, quella, cioè, relativa all’accertamento del nesso di derivazione della cosa dal reato, e non finisca invece per assumere di fatto, sul piano sostanziale, natura punitiva, mutando pertanto natura giuridica, con tutto ciò che ne consegue in termini di principi, di disciplina, di garanzie, di compatibilità con il quadro costituzionale e convenzionale.
11. Si ritiene, dunque, di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, sulla seguente questione “se il sequestro delle somme di denaro giacenti su conto corrente bancario debba sempre qualificarsi finalizzato alla confisca diretta del prezzo o del profitto derivante dal reato anche nel caso in cui la parte interessata fornisca la “prova” della derivazione del denaro da un titolo lecito”.

 

P.Q.M.

Visto l’art. 618 c.p.p., rimette il ricorso alle Sezioni unite.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]