DEPOSITATE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CAPPATO: SULLA FORMULA ASSOLUTORIA PIU’ QUALCHE “SBAVATURA“

Il meccanismo di riduzione dell’area di sanzionabilità penale provocato

dalla Corte costituzionale con la dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’art. 580 c.p. non opera come scriminante ma incide sulla struttura oggettiva della fattispecie.

In ogni caso, si dovrebbe escludere la tipicità anche se si trattasse di  una scriminante in quanto le cause di giustificazione vanno considerate, elementi negativi della fattispecie nel suo profilo oggettivo. Tanto ciò è vero che, secondo l’orientamento tripartito della fattispecie penale, la formula assolutoria da adottare anche in presenza di una scriminante, è di insussistenza del fatto.

  

Il processo

Con decreto del 18.9.2017, Ma. Ca. è stato rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Milano per rispondere del reato di induzione e di aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p., per aver rafforzato il proposito suicidiario di Fa. An. (secondo le modalità descritte nell’imputazione) e averlo aiutato a porre fine alla sua vita, accompagnandolo in Svizzera presso le strutture dell’Associazione Dignitas, dove il 27.2.2017 An. si era suicidato, iniettandosi un farmaco letale.

Tutte le udienze dibattimentali si sono svolte alla presenza dell’imputato.

Alla prima udienza dibattimentale dell’8.11.2017 sono state ammesse le prove richieste dalle parti e l’istruttoria è stata assunta nelle successive udienze del 4.12.2017 (esame dei testi Ri. Di Te., Va. Im., Ca. Ca., An. Ma. Fr., Jo. Ge. En. Mo., An. Ro.) e del 13.12.2017 (esame dei testi Gi. Go., Ca. Lo. Ve., Ma. Cr. Ma., Ma. Ri.). In quest’ultima udienza istruttoria si è svolto l’esame dell’imputato.

All’udienza del 17.1.2018 le parti hanno concluso chiedendo l’assoluzione di Ca. dal reato contestato con la formula perché il fatto non sussiste, con richieste subordinate in caso di affermazione della penale responsabilità. L’imputato Ma. Ca. ha reso spontanee dichiarazioni.

La Corte ha rinviato la camera di consiglio all’udienza del 14.2.2018.

All’udienza del 14.2.2018, all’esito della camera di consiglio, la Corte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., sospendendo il processo e trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale.

Con ordinanza del 23.10.2018, la Corte Costituzionale ha sospeso la procedura di valutazione della legittimità costituzionale prospettata da questo giudice, rinviando per la sua pronuncia all’udienza del 22.9.2019, all’esito della quale ha pronunciato la sentenza del 22.11.2019.

Gli atti sono pervenuti a questa Corte il 3.12.2019 e, con decreto in pari data, è stata fissata l’udienza per la prosecuzione del giudizio al 23.12.2019.

All’odierna udienza il presidente ha dato atto della pronuncia della Corte Costituzionale e, non avendo le parti formulato alcuna richiesta istruttoria, ha nuovamente dichiarato chiuso il dibattimento e invitato le parti a concludere.

Il P.M. ha chiesto che fosse pronunciata sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto.

I difensori di Ca. hanno formulato diverse conclusioni con riguardo alla formula della pronuncia assolutoria invocata per il loro assistito: uno ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato (prospettando che la Corte Costituzionale avesse delineato con la sentenza di incostituzionalità dell’art. 580 c.p. una causa di giustificazione), l’altro ha condiviso la formula assolutoria invocata dal P.M. di insussistenza del fatto.

All’esito della camera di consiglio, la Corte ha pronunciato sentenza con la lettura del dispositivo.

I motivi della decisione

All’esito dell’istruttoria, con ordinanza pronunciata all’udienza del 14.2.2018, questa Corte d’Assise ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art 580 c.p. “nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio”.

La Corte Costituzionale, dapprima con l’ordinanza del 23.10.2018, quindi con la sentenza del 22.11.2019, pronunciandosi sulla questione, ha individuato “una circoscritta area di non conformità costituzionale di questa fattispecie criminosa”, affermando la non punibilità delle condotte di aiuto al suicidio nel caso in cui venga agevolata “l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi”, di una persona “a) affetta da patologia irreversibile e b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

La Corte ha quindi indicato nel procedimento dettato dagli art. 1 e 2 della Legge 22 dicembre 2017 n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) le modalità con cui deve essere accertata la ricorrenza di tali condizioni e ha richiesto l’intervento di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale per verificare le modalità di esecuzione del suicidio.

Per quanto riguarda poi le condotte intervenute prima della sua pronuncia (quindi, anche quella oggetto della vicenda qui giudicata), la Corte Costituzionale ha affermato la non punibilità dell’aiuto al suicidio nel caso in cui “l’agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee, comunque sia, a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti”. Ha richiesto quindi che le condizioni dell’aspirante suicida avessero “formato oggetto di verifica in ambito medico”, che “la volontà dell’interessato fosse stata manifestata in modo chiaro ed univoco, compatibilmente con quanto consentito dalle sue condizioni”, che “il paziente fosse stato informato sia in ordine a queste ultime, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua”.

Va peraltro rilevato che, con riferimento al caso oggetto di questo processo, già nell’ordinanza che ha preceduto la citata sentenza, la Corte Costituzionale riconobbe che tutte le condizioni per escludere l’illiceità della condotta di agevolazione contestata a Ma. Ca. ricorrevano nella vicenda di Fa. An. e lo fece implicitamente con riguardo all’autonomia, libertà e consapevolezza che avevano connotato la sua decisione di porre fine alla sua vita, espressamente con riguardo alla ricorrenza delle condizioni di salute che legittimavano l’agevolazione della sua scelta.

Infatti, nella motivazione nel provvedimento del 23.10.2018, era stato più volte sottolineato che erano proprio le caratteristiche della fattispecie concreta all’esame della Corte a indurla a non lasciare in vita la disciplina in discussione.

La Corte ha infatti affermato espressamente di ritenere “non consentito”, alla luce del dettato costituzionale, applicare la disciplina di cui all’art. 580 c.p. “nel caso in esame, per le sue peculiari caratteristiche e per la rilevanza dei valori da esso coinvolti”.

La Corte, inoltre, nell’indicare le condizioni dell’aspirante suicida in costanza delle quali doveva esclusa la punibilità della condotta sanzionata dall’art. 580 c.p.p., ha affermato che queste erano tutte riscontrabili con riferimento a Fa. An. (si noti infatti l’inciso “come nella vicenda oggetto del giudizio a quo” di cui a pag. 8 dell’ordinanza n. 207 del 2018).

All’esito della pronuncia della Corte Costituzionale, in questa decisione la Corte d’Assise deve valutare entrambe le condotte contestate a Ca., perché se è vero che con riguardo all’induzione al suicidio gli elementi di valutazione e le conclusioni cui era pervenuta sono state già espresse nell’ordinanza di legittimità costituzionale, oggi è necessario ribadirle nel momento in cui questo giudice definisce il processo. Peraltro, con riguardo alla prima condotta contestata, ritiene questa Corte che sia sufficiente limitarsi a richiamare il contenuto della propria ordinanza di rimessione, laddove, come premessa della questione di illegittimità proposta, era stato escluso che Ma. Ca. avesse rafforzato il proposito di Fa. An. di porre fine alla sua vita.

Dopo avere ribadito l’insussistenza della condotta di induzione, si procederà a dare conto del fatto, ritenuto incontestabilmente accettato nel processo, che la condotta di agevolazione posta in essere dall’imputato rispetta tutti i presupposti individuati dalla Corte Costituzionale per escludere l’illiceità penale della medesima condotta, riportando nello specifico come era stata accertata la ricorrenza degli stessi e come erano state prospettate ad An. le possibili alternative al suo gesto.

Il contestato rafforzamento del proposito suicidiario.

Quanto al reato di induzione al suicidio la motivazione contenuta nell’ordinanza di rimessione più volte richiamata è del tutto adeguata per condurre all’esclusione della sussistenza della condotta contestata, per cui è qui sufficiente riportarne testualmente il contenuto:

“Dall’istruttoria è emerso che Ma. Ca. ha solo aiutato Fa. An. a recarsi in Svizzera, ma non ha né determinato, né rafforzato la sua decisione in proposito.

Va. Im., fidanzata dell’An.”, Carmen Ca., madre dello stesso, e Ca. Lo. Ve., suo medico curante, hanno infatti testimoniato che la decisione di Fa. di rivolgersi all’associazione svizzera era intervenuta autonomamente, prima dei contatti con Ca..

Fa. An., a seguito di un incidente stradale intervenuto il 13 giugno 2014, era rimasto tetraplegico ed affetto da cecità bilaterale corticale, ovvero permanente. Non era autonomo nella respirazione (necessitando seppur non continuativamente dell’ausilio di un respiratore e di periodiche aspirazioni del muco), nell’alimentazione (era gravemente disfagico con deficit sia della fase orale sia di quella degluttitoria, e necessitava di nutrizione intraparietale) e nell’evacuazione (cfr per la diagnosi, la sintesi anamnestica e le condizioni alla dimissione, quanto esposto nella relazione alla dimissione dall’Ospedale di Niguarda del 8.9.16).

Soffriva di ricorrenti contrazioni e spasmi (che, come illustrato dal consulente del PM dott. Ma. Cr. Ma., anestesista rianimatore, erano incoercibili e gli provocavano sofferenze che non potevano essere completamente lenite farmacologicamente, se non mediante sedazione profonda). Nondimeno aveva preservato le sue funzioni intellettive.

Dopo lunghi e ripetuti ricoveri, cure ed infruttuosi tentativi riabilitativi (la sedute di fisioterapia proseguivano solo a scopo palliativo), nel dicembre 2015, era stato accompagnato dalla fidanzata in India per tentare di migliorare le sue condizioni con il trapianto di cellule staminali, terapia che gli aveva procurato un beneficio molto limitato e solo temporaneo.

L’insuccesso di questo tentativo e l’inesistenza di cure per la sua malattia avevano portato Fa. An. a decidere di por termine alla sua vita.

Nel marzo/aprile 2016 aveva comunicato ai suoi cari, che continuavano ad assisterlo amorevolmente a casa, prestandogli ogni necessaria assistenza materiale, psicologica, relazionale, di aver deciso di non poter continuare nelle sue condizioni di sofferenza, esprimendo la volontà di morire. Va. Im. e la madre, avevano tentato di dissuaderlo da questa decisione e di rimandare l’attivazione delle pratiche per realizzarla. Fa., però, per dimostrare la sua determinazione, aveva rifiutato per alcuni giorni sia di essere alimentato, sia di parlare.

Nel frattempo, aveva anche richiesto a Jo. En. Mo., la persona che affiancava la madre e la fidanzata nel provvedere alle sue cure, di lasciarlo morire, in particolare di non provvedere ad aiutarlo quando aveva le sue ricorrenti crisi respiratorie (crisi particolarmente violente che venivano documentate nel filmato in cui Fa. An. dichiarava pubblicamente la sua volontà di morire).

Agli inizi di maggio 2016, ricercate le informazioni con l’ausilio di Va. Im., sempre per il tramite della stessa, Fa. contattava in Svizzera le organizzazioni che provvedevano al “suicidio assistito “, dapprima la Exit e poi la Dignitas. In quel periodo provvedeva a contattare anche l’Associazione Coscioni.

Dopo aver pagato la quota associativa alla Dignitas entrava in contatto diretto con Ma. Ca.. Più precisamente dai documenti agli atti risulta che il 31.5.16 Fa. si faceva rilasciare dal medico curante un certificato che descriveva le sue condizioni di salute ed attestava la sua capacità di intendere e volere. Nella stessa data Va. Im. scriveva una mail a Ma. Ca. in cui si presentava come fidanzata di Fa., ne illustrava le condizioni di salute, riferendo che lo stesso aveva chiesto a lei ed a sua madre di occuparsi delle pratiche per il suicidio assistito, e che pur avendo già preso dei contatti, voleva potersi confrontare per telefono (per “avere la possibilità di esporle alcune domande per serenità di Fa. e di sua madre”).

Alcuni giorni dopo, Ca. entrava in contatto con Fa. An. e nel corso di alcuni successivi incontri, gli esponeva le possibilità di essere sottoposto in Italia alla sedazione profonda, lasciando che la malattia facesse il suo corso. Poi, di fronte alla sua ferma decisione di rivolgersi in Svizzera, accettava di accompagnarlo, per non esporre i suoi familiari a sanzioni penali.

Fa., tramite la fidanzata, continuava a seguire le pratiche per ottenere il benestare al suicidio assistito da parte della Dignitas e la fissazione della data, lamentandosi per il tempo necessario ad ottenerli, La Dignitas, infine, fissava per il 27 febbraio 2017 il giorno in cui avrebbe fornito a Fa. il farmaco per por fine alla sua vita.

Fa. persisteva nella sua scelta che comunicava agli amici e poi pubblicamente (si veda il filmato già menzionato e l’appello al Presidente della Repubblica), manifestando di viverla come “una liberazione”.

Due giorni prima del 27 febbraio, veniva accompagnato in Svizzera, sull’auto predisposta per portarlo in giro con la carrozzina, guidata da Ca., dalla madre, dalla fidanzata e dalla madre di quest’ultima. In Svizzera veniva preso in consegna dal personale dell’Associazione Dignitas, venivano verificate le sue condizioni di salute, il suo consenso, la possibilità per Fa. di assumere in via autonoma il farmaco letale (pentobarbital sodium).

In questi ultimi giorni, i familiari e Ca. avevano continuato a star vicino a Fa. ed a fargli presente, ciascuno di loro, che, se avesse voluto, potevano riportarlo in Italia.

Dall’istruttoria è emerso, dunque, che Ca. è intervenuto in un momento anteriore all’esecuzione del suicidio, ma dopo che dopo che Fa. An., in piena autonomia, con il costante sostegno dei suoi cari, verificata tramite vari medici l’impossibilità di cura della sua malattia, aveva deciso di por termine alle sue sofferenze incoercibili e quindi alla sua vita. E’ emerso altresì che l’imputato non ha indirizzato la decisione di Fa. di procedervi in Svizzera, al contrario gli aveva prospettato le possibilità di farlo in Italia. E’ emerso, infine, che Ca. ha provveduto solo ad accompagnare Fa. in Svizzera presso la Dignitas, nella consapevolezza di portarlo dove avrebbe realizzato il suo progetto suicidiario, ma che non ha poi contribuito direttamente alla realizzazione dello stesso, che è avvenuta per opera dello stesso Fa., con l’ausilio degli operatori della Dignitas, in conformità alla normativa svizzera.

Per questi motivi, la condotta di Ma. Ca. di certo non risulta aver inciso sul processo deliberativo di Fa. An. e pertanto lo stesso deve essere assolto dall’imputazione di averne rafforzato il proposito di suicidio.”

La condotta di agevolazione al suicidio.

Come già rilevato nell’ordinanza di rimessione più volte richiamata, la condotta di Ma. Ca., nel dare attuazione alla volontà di Fa. An., ha reso possibile il realizzarsi del suicidio.

Pertanto, risulta rilevante ai fini del decidere accertare se detta condotta integri la violazione del precetto normativo, secondo quanto ora statuito dalla Corte Costituzionale.

A questo proposito si rileva innanzitutto che, già in forza della ricostruzione dei fatti sopra riportata, emerge con certezza che Fa. An. era giunto alla decisione di porre termine alla sua vita in quanto era persona a) affetta da una patologia irreversibile e b) fonte di sofferenze fisiche e psicologiche, che trovava assolutamente intollerabili, in quanto era c) tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, restando tuttavia d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Risulta altresì che queste condizioni avevano “formato oggetto di verifica in ambito medico”. Invero, la sussistenza di tutte le indicate circostanze è stata dimostrata nel dibattimento non solo dalle testimonianze della madre Ca. Ca., della fidanzata Va. Im. e di altre persone che avevano assistito Fa. An. dopo l’incidente, ma anche da certificazioni mediche che sono state confermate e meglio illustrate in dibattimento dai sanitari che le avevano/redatte.

In particolare occorre richiamare la relazione redatta all’atto di dimissioni di Fa. An. dal responsabile dell’Unità spinale dell’Ospedale Niguarda e quanto asserito dal dott. Ca. Ve., che, nel maggio e nell’ ottobre 2016, valutò che lo stesso An. era affetto da una patologia “irreversibile”, che rendeva necessari trattamenti di sostegno vitale e che era fonte di sofferenze che non potevano essere risolte farmacologicamente (quelle attestazioni sono state confermate in dibattimento da Ve. e confermate, con riferimento alle gravi sofferenze psichiche e fisiche, dalla dott.ssa Ma. nel corso della sua deposizione).

Il dott. Ve., infine, certificò che An. era pienamente capace di intendere e volere e aveva deciso, non già in un momento di depressione, bensì in modo lucido e ponderato di praticare “l’eutanasia assistita in Svizzera”.

Ancora, e al di là di quanto riportato da tutti i testi escussi, la lettura del testamento biologico di Fa. An., raccolto dal notaio il 6.10.2016, la visione del video con il suo appello indirizzato nel gennaio 2017 al Presidente della Repubblica e di quello registrato dalla trasmissione “Le Iene” il 23.3.2017 (ovvero solo alcuni giorni prima della sua morte), dimostrano con inconfutabile certezza “che la volontà dell’interessato era stata manifestata in modo chiaro ed univoco, compatibilmente con quanto consentito dalle sue condizioni”.

Alla luce della visione della registrazione fatta dalla trasmissione “Le Iene” e soprattutto della testimonianza del dott. Ve. e di Va. Im., si evince, infine, che Fa. An. era stato “informato … sia in ordine alla sua patologia …, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua” e scelse di recarsi in Svizzera per porre fine alla sua vita in un modo da lui ritenuto più dignitoso.

Va. Im. ha infatti riferito che aveva più e più volte discusso con Fa. della possibilità di morire interrompendo le cure e che egli aveva escluso tale eventualità in quanto riteneva che, avendo mantenuto una certa capacità di respirazione autonoma, la sua agonia sarebbe stata molto lunga, probabilmente dolorosa e comunque non dignitosa. Va. Im. ha soggiunto che lei e Fa. avevano discusso anche con Ca. dell’eventualità di una sedazione terminale e che l’imputato prospettò loro la possibilità di rivolgersi al dott. Ri., che aveva aiutato We. a morire e che sarebbe stato disponibile a praticare quella modalità di sedazione terminale, ma Fa. ribadì la sua contrarietà.

Anche la sig.ra Ca., madre di Fa., ha affermato che, a suo avviso, il figlio si era determinato a recarsi in Svizzera, per poter procedere al suicidio assistito con tutte le garanzie assicurate dall’organizzazione Dignitas, anche perché aveva “paura” della prospettiva di morire sospendendo le cure.

In effetti, la possibilità di affrontare la morte sospendendo le terapie in atto e sottoponendosi a sedazione profonda, non era stata illustrata a Fa. An. da un medico: il dott. Ve. ha dichiarato di non averne mai parlato con il paziente ed il dott. Ri. ha riferito di non aver illustrato questa possibilità direttamente ad An. o ai suoi familiari, ma solo a Ma. Ca.. Tuttavia, dall’istruttoria è emerso con chiarezza che Fa. An. aveva appreso quali erano le alternative a sua disposizione in modo esaustivo e corretto e che l’imputato, solo dopo essersi accertato di ciò, aveva acconsentito ad accompagnarlo in Svizzera presso la Dignitas, dove Fa. potè porre fine alla sua vita nel modo in cui aveva consapevolmente e autonomamente deciso.

Si osserva, da ultimo, che, seppure non espressamente richiesto dalla Corte Costituzionale con riferimento alle condotte antecedenti la sua pronuncia, in ogni caso Ma. Ca. aveva accompagnato Fa. An. a porre fine alla sua vita presso una struttura che vi provvedeva con modalità che erano state vagliate dai Servizi sanitari elvetici.

Conclusioni.

Le emergenze istruttorie hanno dunque dimostrato che Ma. Ca. ha aiutato Fa. An. a morire, come da lui scelto, solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate correttamente le possibili alternative con modalità idonee a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti a quelle cui la Corte Costituzionale ha subordinato l’esclusione della illiceità della condotta. In particolare e per riassumere l’oggetto dell’odierno accertamento:

1) patologia irreversibile

La circostanza è accertata dalla documentazione medica acquisita 3 , dalle dichiarazioni dei medici che hanno svolto quelli accertamenti, in particolare dal dott. Ve., che è stato esaminato in dibattimento e ha illustrato la patologia di cui era affetto An. (tetraplegia, cioè paralisi ai quattro arti, e cecità bilaterale permanente) e la sua irreversibilità (come emerge dal referto di dimissione dall’ospedale Niguarda dell’8.9.2016)4.

2) grave sofferenza fisica o psicologica

La circostanza è stata accertata, oltre che della richiamata documentazione medica, dai testi che hanno verificato gli effetti della malattia. Si richiamano in particolare le dichiarazioni del C.T. del P.M., dott.ssa Ma., che ha riferito delle ricorrenti contrazioni e spasmi, definiti incoercibili, che provocavano a Fa. sofferenze che non potevano essere del tutto lenite farmacologicamente5 e dal dott. Ve., che ha riferito degli antidolorifici ad ampia copertura che non emendavano completamente una “sindrome dolorosa molto importante” 6.

I familiari di An., Va. Im. 7, Ca. Ca. 8 e An. Ma. Fr., madre di Va. Im.9, hanno confermato gli effetti dolorosi che quotidianamente provocavano gli spasmi e le contrazioni, circostanza confermata anche dal giornalista Gi. Go., che intervistò Fa. An. nel video già richiamato, e da Mo., che ha riferito di 50/70 contrazioni al giorno che “lo facevano saltare sul letto” 10.

3) dipendenza da trattamenti di sostegno vitale

Anche sotto questo profilo, il dott. Ve.” e la dott.ssa Ma. 12 hanno confermato la sussistenza del presupposto indicato dalla Corte Costituzionale: An. non era autonomo nella respirazione (necessitando, seppur non continuativamente, dell’ausilio di un respiratore e di periodiche aspirazioni del muco), nell’alimentazione (era gravemente disfagico con deficit sia della fase orale sia di quella deglutoria e necessitava di nutrizione intraprietale) e nell’evacuazione 13.

4) capacità di prendere decisioni libere e consapevoli

Sotto questo profilo, le indicazioni che sono state fornite da tutti i testimoni sono univoche nel l’attribuire a Fa. An. la piena capacità di assumere decisioni libere e consapevoli: innanzitutto Va. Im. e Ca. Ca. 14 hanno riferito in più parti del loro esame il pieno mantenimento da parte del loro congiunto delle funzioni intellettive, circostanza confermata dagli altri testimoni che con lui ebbero rapporti nel corso della malattia, quali Jo. En. Mo., il giornalista Gi. Go. 15, il dott. Ve. 16 e la dott.ssa Ma. 17.

In data 6.10.2016 il notaio redasse il “testamento biologico” di An., confermando la permanenza della sua piena capacità di intendere e volere 18.

Con particolare riferimento alla decisione di porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito, Va. Im. e Ca. Ca. hanno descritto uno specifico episodio, collocato in epoca antecedente alla conoscenza con Ma. Ca., quando Fa. An., a fronte delle resistenze della compagna e della madre di aderire alla sua richiesta di essere aiutato a morire (tramite l’attivazione di contatti con una clinica svizzera), pose in atto un vero e proprio “sciopero della fame e della parola” per indurle a mettersi in contatto con le organizzazioni che avrebbero potuto realizzare il suo proposito 19.

Agli atti è stata acquisita la documentazione medica attestante, oltre alle condizioni patologiche di cui era affetto Fa. An., la sussistenza della sua capacità di intendere e di volere (il certificato medico del 31.5.2016 era necessario per attivare la richiesta di suicidio assistito presso le associazioni che lo praticano in Svizzera)20.

Ciò posto, con riguardo ai fatti antecedenti alla pronuncia di incostituzionalità, la Corte Costituzionale ha indicato alcuni ulteriori requisiti “procedimentali” necessari perché i giudici di merito possano ritenere la condotta contestata come rientrante nell’area di non punibilità dell’aiuto al suicidio: 1) le condizioni sopra indicate devono essere state adeguatamente verificate in ambito medico, 2) la volontà deve essere espressa in modo chiaro e univoco, 3) al paziente deve essere adeguatamente illustrata e prospettata la possibilità di porre fine alla propria vita mediante la sedazione profonda e l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale.

Si tratta di tre requisiti che sono stati verificati nel corso dell’istruttoria, per cui questa Corte d’Assise non ha ritenuto necessario procedere ad alcuna integrazione probatoria sul punto.

Quanto ai primi due requisiti “procedimentali”, le indicazioni fornite nel trattare le condizioni enunciate dalla Corte Costituzionale per escludere la punibilità della condotta di aiuto al suicidio, sono sufficienti per ritenerle pienamente integrate: più medici hanno accertato la sussistenza di tutte le quattro condizioni, come attestato dalla più volte richiamata documentazione medica e dalle deposizioni assunte in dibattimento (i medici dell’ospedale Niguarda all’atto delle dimissioni, Ve. e i medici della clinica svizzera ove An. si è suicidato). A posteriori il C.T. del P.M. ha confermato alcune delle condizioni sopra illustrate. Anche con riferimento alla volontà espressa da An., quanto sopra riferito in merito alle indicazioni fornite dai testi non tecnici (Im., Ca., Mo., Go., Fr.), sono state confermate dal dott. Ve. nel certificato del 31.5.2016, dal notaio e dai medici della clinica svizzera.

Con riguardo all’alternativa di una sedazione profonda, pur non avendo Ve. e Ri. parlato espressamente con An. di tale eventualità, i suoi congiunti gli prospettarono tale ipotesi, ricevendo un netto e inderogabile rifiuto e, d’altronde, il coinvolgimento di Ri. era funzionale proprio ad adottare una modalità di porre fine alla propria vita di quel tipo, che An. rifiutò reiteratamente 21.

Ricorrendo, quindi, le quattro condizioni imposte dalla Corte Costituzionale per escludere la punibilità della condotta di aiuto al suicidio prevista dell’art. 580 c.p., e avendo la Corte d’Assise accertato che i tre requisiti “procedimentali” furono rispettati nella vicenda qui giudicata, anche la contestazione di agevolazione al suicidio non è punibile rientrando in quella “circoscritta area di non conformità costituzionale” della norma impugnata individuata dalla Corte Costituzionale e non integrando pertanto la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 580 c.p. per come delimitata dalla citata pronuncia.

La formula assolutoria.

Ritiene la Corte di non poter ignorare gli argomenti prospettati dalle parti in ordine alla formula assolutoria da adottare, pur non ritenendo di svolgere sul punto una trattazione teorica che esulerebbe dai limiti della sentenza.

La pronuncia della Corte Costituzionale non ha definito in modo esplicito se l’area di non punibilità necessaria per escludere l’applicazione di una sanzione penale per le condotte di aiuto al suicidio che presentano i requisiti più volte richiamati, debba intendersi come riduzione dell’ambito oggettivo della fattispecie incriminatrice, riducendone la portata, ovvero se le circostanze definite nei quattro requisiti configurino una scriminante.

Ritiene la Corte di aderire all’orientamento espresso dalla pubblica accusa e da uno dei difensori dell’imputato, secondo il quale la pronuncia di incostituzionalità riduce sotto il profilo oggettivo la fattispecie, escludendo che configuri reato la condotta di agevolazione al suicidio che presenti le caratteristiche descritte. E’ il meccanismo di riduzione dell’area di sanzionabilità penale che non opera come scriminante ma incide sulla struttura oggettiva della fattispecie.

In definitiva, il discorso sugli effetti dell’intervento della Corte interessa più gli studiosi del diritto penale che pubblici ministeri, avvocati e giudici, perché l’affermazione di non punibilità è elemento che incide in ogni caso sul piano oggettivo anche con riguardo alle cause di giustificazione (ritenute dalla dottrina elementi negativi della fattispecie nel suo profilo oggettivo).

Tanto ciò è vero che, secondo l’orientamento tripartito della fattispecie penale, la formula assolutoria da adottare anche in presenza di una scriminante, è di insussistenza del fatto.

Pertanto, Ma. Ca. va assolto con riferimento ad entrambe le condotte in addebito perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Visto l’art. 530 c.p.p.

assolve

Ma. Ca. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Visto l’art. 544, 3. comma, c.p.p.

fissa

il termine di 45 giorni per il deposito della motivazione.