ALLE SEZIONI UNITE LA QUESTIONE DELLA CONTINUITA’ TRA MILLANTATO CREDITO (CON PRESTITO) E TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE

Cass. penale, Sez. II, 29 luglio 2023, n. 31478

 

Va rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma 2, c.p., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), l. 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p.

La tesi della continuità normativa.

Secondo un primo orientamento, la “nuova” ipotesi di traffico di influenze illecite punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali – di natura economica o meno -, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione con quest’ultimo.

La norma equipara, dunque, sul piano penale la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato.

In particolare, la fattispecie incriminatrice di traffico d’influenze come riscritta punisce la condotta di chi “sfruttando o vantando relazioni esistenti o assente” con un funzionario pubblico “indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro od altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita” “ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”. Detta condotta certamente ingloba la precedente contemplata dall’art. 346 c.p., là dove sanzionava la condotta di chi “millantando credito” presso un funzionario pubblico (con la differenza quanto all’impiegato di cui si è già detto) “riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione” (comma 1) ovvero “col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare” (comma 2). Sostanzialmente sovrapponibili sono, invero, tanto la condotta “strumentale” (stante l’equipollenza semantica fra le espressioni “sfruttando o vantando relazioni (…) asserite” e quella “millantando credito“), quanto la condotta “principale” di ricezione o di promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità.

La tesi della discontinuità.

Secondo un diverso orientamento, non c’è continuità normativa tra l’abrogata ipotesi di millantato credito già prevista nell’art. 346, comma 2, c.p. nella condotta dell’agente che si riceve o fa dare o promettere denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare e quella prevista nell’art. 346-bis c.p. nella parte in cui punisce il faccendiere che sfruttando o vantando relazioni asserite con l’agente pubblico si fa dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità per remunerare l’agente pubblico in relazione all’esercizio delle sue funzioni; condotta che, in considerazione della intervenuta abrogazione del comma 2 dell’art. 346 c.p., deve ritenersi integrare il delitto di cui all’art. 640, comma 1, c.p. allorché l’agente, mediante artifici e raggiri, induca in errore la parte offesa che si determina a corrispondere denaro o altra utilità a colui che vanti rapporti neppure ipotizzabili con il pubblico agente”.

 

Cass. penale 19 luglio 2023, n. 31478