URANIO IMPOVERITO: RICONOSCIUTA LA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL MINISTERO DELLA DIFESA NONOSTANTE L’INCERTEZZA SCIENTIFICA

1. Il regime della responsabilità civile è volto ad allocare le conseguenze dannose dell’illecito in capo al soggetto normativamente “meritevole” di subirle, vuoi (criterio generale) perché ha operato con dolo o colpa (art. 2043 c.c.), vuoi (criteri sussidiari) perché versa in condizioni oggettive (articoli 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053 c.c.) che, comunque, rendono più congruo porre a suo carico l’evento di danno, salva, in talune ipotesi, la residuale facoltà probatoria di dimostrare, in sostanza, di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e salva, in ogni caso, la non imputabilità del danno che si dimostri conseguito al caso fortuito.

2. Al dovere del militare di esporsi al pericolo stricto sensu bellico, infatti, si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto. In sostanza, nel caso delle missioni all’estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti), ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente prevedibili (in quanto non implausibili) ed oggettivamente prevenibili.

3. La prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare convincentemente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno. Altrimenti detto, nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, nel contesto di una missione in un teatro operativo interessato da recenti eventi bellici ed ancora pervaso da plurimi, insidiosi e multifattoriali fattori di pericolo, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione, non sul singolo militare.

 

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 686 del 2014, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio D’Alessio e Giorgio Fregni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Daniela Frataccia in Roma, Circonvallazione Clodia, n 145/a;
contro
Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio – Sede di Roma, Sez. I-bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la richiesta di risarcimento dei danni conseguenti alla malattia ed al successivo decesso del coniuge, Maggiore dell’Esercito Italiano -OMISSIS-, dopo una missione nei territori dell’ex Jugoslavia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Luca Lamberti e udito per la parte appellante l’avvocato Maura Goletto su delega dell’avvocato Giorgio Fregni, nessuno presente per parte appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO
1. L’odierna appellante è vedova del Maggiore del Genio Ferrovieri dell’Esercito Italiano -OMISSIS-, deceduto in data 29 ottobre 1998 a soli 32 anni dopo aver prestato servizio in Bosnia dal 3 luglio 1996 al 1 novembre 1996, nella qualità di “Capo Team del Project management Team con l’incarico di supervisionare i lavori di manutenzione della linea ferroviaria Doboj-Banja Luka Volinja”.
1.1. In data 1 novembre 1996 il giovane -OMISSIS- fu rimpatriato, a seguito della riscontrata comparsa di una tumefazione in corrispondenza della parte alta dello sterno; durante il successivo ricovero presso l’ospedale militare di Padova gli venne diagnosticato un “-OMISSIS-”, che ne causò il successivo decesso.
1.2. Con ricorso spedito per la notifica nel dicembre 2005 l’odierna appellante ha adito il T.a.r. per il Lazio, chiedendo il risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali (sia jure hereditario sia jure proprio), conseguiti alla vicenda: il decesso del coniuge, infatti, sarebbe da ascriversi all’esposizione alle particelle di metallo pesante (in particolare, uranio impoverito) disperse nell’ambiente a seguito degli eventi bellici verificatisi poco tempo prima nei territori ove questi aveva operato.
1.3. L’Amministrazione, nelle more, aveva riconosciuto la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “minore efficienza immunitaria determinatasi per … notevoli disagi fisico-ambientali e significativi stress emotivi” ed aveva attribuito alla vedova del militare l’equo indennizzo, lo speciale assegno vitalizio e la speciale elargizione una tantum.
1.4. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.a.r. ha rigettato il ricorso, sostenendo che “non è stato documentalmente provato da parte ricorrente che l’Amministrazione della Difesa potesse, fin da prima del 1996, essere a conoscenza dell’esistenza di mezzi di protezione individuale e dei conseguenti rischi per la salute dei militari impiegati nella ex Jugoslavia, derivanti da bombardamenti e da proiettili all’uranio impoverito (DU), effettuati nelle suddette zone di guerra. Per converso la difesa erariale ha documentalmente provato che solo nel febbraio del 2001 il Ministro della Difesa, innanzi alla Commissione della Camera dei Deputati, affermava che la notizia dell’utilizzo da parte delle forze NATO delle munizioni al DU era pervenuta in data 21 dicembre 2000 a seguito di una sua specifica richiesta alla NATO. Appare, quindi, logico affermare che nel periodo in cui il Maggiore -OMISSIS- (luglio-ottobre 1996) ha prestato servizio nella ex-Jugoslavia, l’Amministrazione della Difesa non fosse a conoscenza del particolare rischio per i propri militari, conseguente all’uso delle suddette munizioni, né dell’esistenza di particolari misure precauzionali in ordine alla esposizione del personale militare all’uranio impoverito”.
2. L’interessata ha interposto appello, riproponendo le domande e le argomentazioni difensive articolate in prime cure.
2.1. Il Ministero si è costituito in resistenza.
2.2. Con ordinanza n.-OMISSIS-, emessa all’esito della pubblica udienza del 27 aprile 2017, la Sezione ha disposto incombenti istruttori, stabilendo che “il Ministero della difesa rediga puntuale relazione scritta in cui chiarisca, anche in base alle risultanze acquisite ed elaborate in sede parlamentare dalle Commissioni specificamente costituite per scrutinare la problematica de qua (da ultimo delibera Camera deputati 30 giugno 2015 in G.U. n. 160 del 13 luglio 2015) e nel rispetto di eventuali segreti di Stato apposti ai sensi degli articoli 39 e ss. della l. 3 agosto 2007, n. 124:
a) se, nel luglio 1996, organi dello Stato fossero a conoscenza dell’utilizzo, da parte delle Forze Armate dell’Alleanza Atlantica, di munizionamento all’uranio impoverito nelle aree ove operava il Maggiore -OMISSIS-;
b) se, nel luglio 1996, secondo la miglior scienza ed esperienza di allora potesse già affermarsi, sulla scorta del criterio della preponderanza dell’evidenza, ossia “del più probabile che non”, che l’esposizione umana all’uranio impoverito aveva rilievo eziologico nell’insorgenza di patologie tumorali e, specularmente, che l’utilizzo di specifiche misure di protezione individuale poteva significativamente ridurre o del tutto abbattere tale rischio.
4. Nell’elaborare la relazione il Ministero si rivolgerà, per le questioni d’ordine medico-sanitario, al Collegio medico legale di cui all’art. 189 del d.lgs. 15 marzo 2001, n. 66, che si riunirà nella composizione integrata con specialisti civili di particolare qualificazione nella materia de qua, come previsto dall’art. 189, comma 9, del medesimo d.lgs. 15 marzo 2001, n. 66, e si pronuncerà in seduta plenaria ai sensi del successivo art. 190, comma 1”.
2.3. Depositata la richiesta relazione, le parti hanno svolto memorie.
2.4. In particolare, l’appellante ha lamentato l’inattendibilità della relazione ministeriale sia nel merito sia nel metodo, in quanto i due medici civili che hanno integrato la commissione sarebbero stati, in passato, medici militari.
2.5. Il Ministero, dal canto suo, ha sostenuto che difetterebbe la prova sia del nesso causale fra l’esposizione all’uranio impoverito (Depleted Uranium, di seguito DU) e l’insorgenza di patologie tumorali, sia, prima ancora, della conoscenza in capo al Ministero, all’epoca dei fatti, dell’uso nell’area di proiettili all’uranio impoverito da parte degli Alleati della NATO e del connesso pericolo per la salute umana.
2.5.1. Il Ministero ha aggiunto, inoltre, che, poiché i primi sintomi della malattia risultano diagnosticati a fine ottobre 1996, la relativa insorgenza sarebbe verosimilmente ben anteriore all’arrivo in Bosnia.
2.5.2. Il Ministero ha, altresì, ribadito che sino al dicembre 2000 avrebbe ignorato l’uso nell’area di proiettili all’uranio impoverito da parte degli Alleati ed ha sostenuto che, neppure ad oggi, sarebbe scientificamente acclarato il potenziale oncogenetico dell’esposizione umana al DU.
2.5.3. Il Ministero, infine, ha precisato che il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio fu disposto per motivazioni non attinenti all’esposizione al DU.
2.5.4. Il Ministero ha, quindi, chiesto la reiezione dell’appello o, in subordine, la riduzione dell’ammontare risarcitorio chiesto ex adverso, con contestuale applicazione della compensatio lucri cum damno in relazione alle somme sinora percepite dall’appellante in connessione con la vicenda.
2.6. In esito alla pubblica udienza pubblica del 28 febbraio 2019 la Sezione ha emanato l’ordinanza n. -OMISSIS-, con cui ha disposto come segue: “Osservato che parte ricorrente lamenta che i due esperti civili chiamati ad integrare il Collegio medico legale siano stati, in passato, ufficiali medici dell’Esercito Italiano;
Rilevato che l’Amministrazione resistente non ha specificamente contestato siffatta affermazione;
Ritenuto necessario, anche alla luce di tale considerazione, disporre un supplemento di istruttoria a carico del Collegio medico legale di cui all’art. 189 cod. ord. mil.;
Ritenuto, in particolare, necessario disporre che il Collegio:
– risponda al seguente quesito: “Dica il Collegio, anche sulla scorta della disamina di carattere generale operata con la relazione redatta in esecuzione dell’ordinanza di questo Consiglio n.-OMISSIS-, se la specifica neoplasia che ha condotto al decesso il Maggiore -OMISSIS- (“-OMISSIS-”) possa essere considerata, allo stato delle conoscenze mediche come evincibili anche dalla contemporanea letteratura scientifica, conseguenza del rischio chimico e/o radiologico rappresentato dall’esposizione, nei luoghi ove il Maggiore -OMISSIS- ha operato in missione dal luglio al novembre 1996, ad uranio impoverito ivi presente quale conseguenza dei pregressi eventi bellici, secondo un criterio probabilistico connotato da intrinseca credibilità logico-razionale, solida plausibilità biologica e congrua significatività epidemiologica e, in ipotesi di risposta positiva, indichi analiticamente e cronologicamente le fonti di tale convincimento”;
– si riunisca in composizione integrata con specialisti civili che, in passato, non abbiano mai rivestito ruoli nell’ambito della Sanità militare (cfr. articoli 181, 188 e 208 cod. ord. mil.), non siano mai stati ufficiali medici o funzionari medici delle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile (cfr. art. 189, comma 3, cod. ord. mil.), non siano mai stati nominati membri del Collegio stesso ai sensi dell’art. 189, comma 7, cod. ord. mil.;
– si pronunci in seduta plenaria, ai sensi dell’art. 190, comma 1, cod. ord. mil.;
Ritenuto, altresì, opportuno consentire a parte ricorrente di essere “assistita durante tutta l’attività davanti al Collegio medico-legale, senza oneri per l’Amministrazione, da un medico di fiducia che non integra la composizione del citato Collegio”, ai sensi dell’art. 189, comma 9-bis, cod. ord. mil.”.
2.7. L’Amministrazione ha depositato la relazione integrativa, nella quale si sostiene, tra l’altro, che:
– la diagnosi del -OMISSIS-sarebbe operata con biopsia (linfonodale o del midollo), sì che i diversi accertamenti compiuti sul -OMISSIS- prima dell’invio in missione non consentirebbero di escludere che egli, in tale momento, fosse già malato;
– l’eziologia del linfoma, il cui “esordio clinico … è generalmente subdolo”, sarebbe sconosciuta (uno dei fattori favorenti, tra l’altro, sarebbe costituito dalle terapie immunosoppressive);
– negli esperimenti scientifici su cellule in vitro sarebbe emerso che l’effetto mutagenico del DU sarebbe quello chimico proprio di tutti i metalli pesanti: ciò, tuttavia, avverrebbe in casi di esposizione fisica di diversi ordini di grandezza superiori a quelli ipotizzabili nella realtà; inoltre, tale effetto mutagenico non sarebbe comunque stato riscontrato in plurime analisi condotte in più Paesi su svariate coorti di soggetti sani/malati;
– ad eccezione degli equipaggi dei carri colpiti da proiettili DU, l’esposizione a DU non sarebbe, per ordine di grandezza, strutturalmente sufficiente a determinare effetti sulla salute umana;
– stante la scarsa solubilità del DU, non sarebbe neppure credibile l’ipotesi di un’assunzione per via ambientale o alimentare;
– in definitiva, non vi sarebbe, allo stato, una “connessione probabilistica qualificata”, scientificamente accertata, fra esposizione a DU e neoplasie.
2.8. In vista della trattazione del ricorso la sola parte appellante ha versato in atti memorie scritte.
2.9. Il ricorso, quindi, è stato discusso ed introitato per la decisione alla pubblica udienza del 15 ottobre 2020.
3. Il ricorso è fondato.
4. Il Collegio prende le mosse da un’affermazione preliminare: allorché, su disposizione dei competenti Organi della Repubblica, invia uomini in missione all’estero, l’Amministrazione della difesa è giuridicamente tenuta:
– ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;
– ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;
– a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica.
4.1. Altrimenti detto, nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”) l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile – giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito – ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale.
4.2. La diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa dunque, in tali casi, ad un livello massimo.
4.3. Conducono a tale affermazione plurimi e convergenti rilievi.
5. È bene, in limine, precisare che è incontestato il dovere giuridico del militare di esporsi al pericolo, ciò che, anzi, ne marca la differenza ontologica rispetto al dipendente civile dello Stato e ne giustifica, da un lato, la sottoposizione ad un rigido vincolo gerarchico, dall’altro, l’acquisizione di uno speciale status positivamente normato (si veda il d.lgs. n. 66 del 2010).
5.1. Tuttavia, l’estensione di tale condizione di agere debere deve essere circoscritta e precisata.
5.2. Il militare, invero, ha il dovere giuridico di esporsi al pericolo:
– recato dalle forze nemiche o, comunque, da formazioni armate irregolari che intendano contrastare, anche con forme di guerra asimmetrica, le Forze Armate della Repubblica;
– riveniente dagli svariati rischi inevitabilmente connessi con l’uso, il maneggio e la conservazione del materiale bellico;
– intrinseco alle attività addestrative;
– conseguente all’ontologica insidia recata dalla permanenza fisica in contesti operativi instabili, in quanto, benché formalmente pacificati, siano ancora percorsi da forti elementi di frattura dell’ordinaria esistenza civile (ragion per cui vengono, appunto, inviati militari e non semplice personale civile).
5.3. Tale dovere, tuttavia, non può essere inteso come base per affermare che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni.
5.4. Al dovere del militare di esporsi al pericolo stricto sensu bellico, infatti, si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto.
5.5. In sostanza, nel caso delle missioni all’estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti), ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente prevedibili (in quanto non implausibili) ed oggettivamente prevenibili.
5.6. Mentre, dunque, il rischio bellico grava sul militare (salvo il caso di scuola di invio in battaglia con un armamento macroscopicamente inadeguato, sempre che altrimenti non si possa fare per le condizioni dell’apparato produttivo e logistico del Paese), il rischio non stricto sensu bellico, ove non implausibile, può e deve essere previsto, circoscritto e prevenuto, nei limiti del possibile, dall’Amministrazione.
6. Ciò premesso, non ha pregio la difesa dell’Amministrazione, secondo cui solo nel 2000, a seguito di espressa richiesta, avrebbe appreso dagli Alleati della NATO che, durante i pregressi eventi bellici nell’ex Jugoslavia, occorsi nei primi anni novanta del secolo scorso, era stato fatto uso di munizionamento DU.
6.1. In disparte la considerazione secondo cui finché non si chiede, non si avranno risposte, il Collegio osserva che era onere (recte, dovere istituzionale) dell’Amministrazione, prima del materiale invio degli uomini in missione, accertarsi presso le parallele strutture della difesa degli Alleati della NATO, fra l’altro, circa il tipo di munizionamento utilizzato durante i pregressi eventi bellici, al fine di individuare l’equipaggiamento più opportuno e predisporre le migliori procedure per l’assolvimento della missione ordinata dalle massime Autorità dello Stato.
6.2. Non può, peraltro, sottacersi che, stante la pluridecennale partecipazione italiana alla NATO, alleanza organica ed integrata di carattere militare, è del tutto ragionevole presumere che i massimi vertici dell’Amministrazione della difesa ben conoscessero la tipologia di armamento anti-carro in dotazione agli Alleati, rappresentata appunto, fra l’altro, da proiettili DU.
7. Il Collegio, inoltre, rileva che il carattere doveroso dell’invio di uomini in loco, stanti le imperative deliberazioni degli Organi costituzionali della Repubblica, non elideva il conseguente e parallelo dovere dell’Amministrazione di individuare le più opportune modalità tecnico-operative per svolgere il compito affidato, affinché il pieno assolvimento della missione (valore di carattere prioritario, quale precipitato non solo del principio di efficacia dell’azione amministrativa, ma, prima ancora, del carattere “sacro” della difesa della Patria) non vulnerasse il diritto dei cittadini-soldati a non essere sottoposti a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che sono ex lege tenuti ad affrontare. Né, d’altra parte, risulta che l’Amministrazione della difesa abbia specificamente rappresentato al decisore politico i rischi di una missione non puntualmente preparata e, ciononostante, abbia ricevuto il preciso incarico di inviare senza alcun indugio gli uomini. Tale eccezionale circostanza, che potrebbe ipoteticamente rappresentare un caso di esenzione dalla responsabilità civile, a questo punto non più ascrivibile all’Amministrazione, non risulta tuttavia allegata né, tantomeno, documentata.
8. Si deve, invero, notare che l’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano, nell’esercizio di attività imprenditoriale, ad energie lavorative di terzi di adottare, nell’esercizio di tali attività, “misure” idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a “tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
8.1. La disposizione, più in particolare, nello stabilire che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, enuclea un dovere di protezione che arricchisce ex lege (cfr. art. 1374 c.c.) il rapporto obbligatorio riveniente dal contratto di lavoro.
8.2. La disposizione – osserva il Collegio – non ha una portata solo settoriale ma, al contrario, delinea un principio generale di tutela del prestatore di lavoro che si proietta prismaticamente in tutto l’ordinamento: come tale, integra un referente normativo e valoriale di impatto sistemico e, pertanto, trova applicazione anche nel caso del rapporto di impiego o, comunque, di servizio fra il militare e l’Amministrazione della difesa.
9. La conclusione sopra esposta trova ulteriore conforto nell’art. 2050 c.c., il quale, pur se dettato in punto di responsabilità extra-contrattuale, ha anch’esso una potenzialità normativa espansiva, in quanto emersione settoriale di un principio generale: le conseguenze dannose delle attività pericolose gravano in capo a colui che le pone in essere, salva la prova dell’adozione di “tutte le misure idonee ad evitare il danno”.
10. Tali generali coordinate normative debbono essere calate nella specificità delle funzioni dell’Amministrazione della difesa, in particolare allorquando, in esecuzione di disposizioni delle massime Autorità dello Stato, deve inviare personale militare in teatri operativi esteri.
11. Orbene, giacché le “misure” che deve adottare il datore di lavoro militare, strutturalmente impegnato in “attività pericolose”, sono normativamente funzione anche della “particolarità del lavoro”, ne consegue che, nel caso di invio di militari all’estero, l’Amministrazione è tenuta, prima di procedere all’esecuzione materiale della missione, ad una rigorosa analisi delle condizioni del contesto ambientale, ad una puntuale enucleazione dei possibili fattori di rischio e, quindi, ad una conseguente individuazione delle “misure” tecnico-operative concretamente disponibili, ragionevolmente implementabili e potenzialmente idonee ad eliminare o, comunque, ad attenuare il più possibile i rischi non stricto sensu bellici connessi all’impiego di militari nel teatro de quo.
11.1. Ciò è tanto più vero allorché la missione debba svolgersi in contesti operativi interessati da previ eventi bellici, come tali connotati da una poliedrica, imponderabile e multifattoriale pericolosità: nell’ex Jugoslavia, in particolare, era stata condotta una campagna di bombardamenti con uso anche di munizionamento pesante, con conseguente presenza, inter alia, di un potenziale e non implausibile rischio chimico/radiologico da inalazione/ingestione umana di particelle finissime di metalli pesanti, rimaste sospese nell’aria a seguito di esplosioni di obiettivi attinti da proiettili DU.
11.2. Tale condizione dei luoghi era, poi, particolarmente pericolosa per il giovane -OMISSIS-, che, a quanto consta, operava quotidianamente a ridosso di un’infrastruttura ferroviaria duramente colpita dalla NATO.
12. Del resto, la stessa pregevole verificazione curata dal Collegio medico-legale, pur diffondendosi in ordine alla mancanza, allo stato delle conoscenze, di una certezza scientifica circa la valenza oncogenetica dell’esposizione al DU, non nega l’astratta rischiosità, per l’uomo, dell’esposizione fisica (per ingestione o inalazione) ai metalli pesanti (non solo, dunque, al DU).
13. Tale rischio, per di più, sarebbe accentuato nei casi di immunodepressione: orbene, consta che i militari inviati in ex Jugoslavia siano stati sottoposti ad un pesante protocollo di vaccinazioni, ciò che può con ogni ragionevolezza aver contribuito, insieme con il tipo di vita condotto in loco, ad indebolire le difese immunitarie.
13.1. È d’uopo, in proposito, osservare che al -OMISSIS- è stata riconosciuta, dalla stessa Amministrazione della difesa, la dipendenza da causa di servizio proprio dell’infermità “minore efficienza immunitaria determinatasi per … notevoli disagi fisico-ambientali e significativi stress emotivi”.
14. Con riferimento, poi, alle considerazioni svolte dal Collegio medico-legale circa l’assenza di evidenze scientifiche in ordine alla valenza patogenetica (e, in particolare, oncogenetica) dell’esposizione a DU, il Collegio osserva che, in tema di illecito civile, il nesso causale ha veste probabilistico-statistica (“più probabile che non”) e non richiede, dunque, quella certezza di contro propria dell’accertamento penale.
14.1. Tale strutturale carattere per così dire “attenuato” della prova richiesta in ordine all’elemento eziologico del danno civile è, se possibile, ancor più pregnante e giuridicamente necessario allorché:
– i danni lamentati afferiscano alla dimensione della tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore;
– questi svolga un servizio (la “difesa della Patria”) di vitale importanza per la Repubblica (“sacro dovere del cittadino”, art. 52 Cost.);
– sia in gioco la preservazione della salute e della stessa vita del militare;
– siano concretamente disponibili e ragionevolmente implementabili mezzi di protezione individuale.
14.2. Quanto a quest’ultimo punto, l’Amministrazione della difesa non ha specificamente contestato quanto affermato ex adverso, circa il fatto che Forze Armate di Paesi Alleati avessero dotato il proprio personale operante in ex Jugoslavia di dispositivi di protezione individuale ed avessero, inoltre, predisposto specifiche procedure volte a minimizzare il rischio da esposizione ad agenti patogeni dispersi nell’ambiente.
14.3. Ciò rileva per due ordini di considerazioni:
– il ricorso a tali dispositivi di protezione ed a tali procedure indica che altri Alleati, coinvolti nella stessa missione, ritenevano concreto o, comunque, astrattamente possibile il rischio alla salute derivante dall’esposizione a residui di combustione di metalli pesanti;
– il ricorso a tali dispositivi ed a tali procedure poteva rappresentare, in una doverosa ottica precauzionale, un elemento di tutela per il personale inviato in ex Jugoslavia, a fronte di un costo economico e di uno sforzo logistico oggettivamente relativi, rispetto a quelli necessari per l’apprestamento e lo svolgimento della missione.
14.4. Ciò è particolarmente evidente per chi, come il giovane -OMISSIS-, era quotidianamente a contatto con un’infrastruttura fisica, quale una linea ferroviaria, colpita da ripetuti bombardamenti.
15. A conclusione di questo passaggio motivazionale, il Collegio non può non rilevare:
– da un lato, che difettano spiegazioni eziologiche alternative della patologia tumorale che, in soli due anni, ha condotto al decesso di un soggetto poco più che trentenne, sino ad allora a quanto consta privo di patologie di rilievo;
– dall’altro, che difettano dati scientifici che consentano di escludere il rischio per la salute umana da esposizione, chimica o radiologica, a DU (e, in generale, a residui di esplosione di metalli pesanti utilizzati negli armamenti, ad esempio tungsteno).
16. Merita, in proposito, sottolineare che i militari inviati in missione in ex Jugoslavia si collocavano, nell’ambito della popolazione nazionale, nei percentili più alti in punto di integrità e prestanza fisica: il rilievo dell’Amministrazione circa la natura ancora non conosciuta dei fattori oncogenetici, dunque, non può prescindere da tale circostanza.
17. Sotto altro profilo, la questione della natura rischiosa delle condizioni operative nel teatro ex jugoslavo era così evidente ab origine, che è confluita in iniziative istituzionali sia del Legislatore (cfr. art. 4-bis d.l. n. 393 del 2000, introdotto dalla legge di conversione n. 27 del 2001, nonché le numerose Commissioni parlamentari d’inchiesta disposte nel corso del tempo in subiecta materia), sia della stessa Amministrazione (si ponga mente alla campagna di monitoraggio eseguita in loco dal CISAM).
18. Può, quindi, affermarsi, in virtù della considerazione unitaria delle argomentazioni che precedono, che l’assenza di una piena dimostrazione scientifica circa la valenza oncogenetica dell’esposizione a DU o, comunque, a residui di combustione di metalli pesanti non osta, nel particolare caso di specie, a riconoscere comunque integrato l’elemento eziologico dell’illecito civile.
19. Può, anzi, sostenersi che, alla luce della peculiarità del contesto operativo, del carattere contrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, dei valori primari in gioco, della mancata adozione degli accorgimenti pur apprestati dagli Alleati a beneficio del proprio personale, della specifica missione affidata al -OMISSIS-, gravasse sull’Amministrazione l’onere di fornire, a contrario, un principio di prova circa l’intervento di un fattore oncogenetico alternativo e diverso rispetto all’esposizione al DU ed ai metalli pesanti.
20. Quale estrema considerazione di sistema, il Collegio osserva, infine, che il regime nazionale della responsabilità civile è volto ad allocare le conseguenze dannose dell’illecito in capo al soggetto normativamente “meritevole” di subirle, vuoi (criterio generale) perché ha operato con dolo o colpa (art. 2043 c.c.), vuoi (criteri sussidiari) perché versa in condizioni oggettive (articoli 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053 c.c.) che, comunque, rendono più congruo porre a suo carico l’evento di danno, salva, in talune ipotesi, la residuale facoltà probatoria di dimostrare, in sostanza, di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e salva, in ogni caso, la non imputabilità del danno che si dimostri conseguito al caso fortuito.
21. Come visto supra, nella specie l’Amministrazione della difesa, Ente datoriale strutturalmente impegnato in attività pericolose e tenuto ex lege a garantire la protezione dei sottoposti, non può per tabulas sostenere di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno alla salute ai militari inviati in ex Jugoslavia.
22. L’Amministrazione, inoltre, non può neppure invocare, quale fattore ostativo al riconoscimento della propria responsabilità, la mancanza di una chiara evidenza scientifica circa il carattere oncogenetico dell’esposizione umana a residui di combustione di metalli pesanti, in primis DU.
23. Al lume delle considerazioni sinora esposte, infatti, la prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare convincentemente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno.
23.1. Altrimenti detto, nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, nel contesto di una missione in un teatro operativo interessato da recenti eventi bellici ed ancora pervaso da plurimi, insidiosi e multifattoriali fattori di pericolo, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione, non sul singolo militare.
23.2. Del resto, la causa ignota, categoria gnoseologica e non ontologica, non è altro che la conseguenza dell’attuale ignoranza scientifica circa i nessi eziologici: è cioè, un dato umano (relativo e dinamico), non una realtà naturale (assoluta e fissa).
24. Deve quindi affermarsi, nell’an, la responsabilità dell’Amministrazione.
25. In ordine al quantum, l’appellante ha, nel ricorso introduttivo del presente grado di giudizio, così quantificato le proprie richieste risarcitorie:
a) € 1.197.808,70 a titolo di danno non patrimoniale jure hereditatis;
b) € 308.700,00 a titolo di danno non patrimoniale jure proprio;
c) € 348.720,60 a titolo di danno patrimoniale jure proprio.
25.1. L’appellante ha, comunque, fatta salva la liquidazione equitativa da parte del Collegio.
26. Il Collegio osserva, in primo luogo, che non vi sarebbe la giurisdizione di questo Plesso in ordine ai danni jure proprio (cfr. Cass, Sez. Unite, ord. 5 maggio 2014, n. 9573).
26.1. Il rilievo, tuttavia, non è stato mai sollevato dalla difesa erariale e non può, in questa sede, essere formulato d’ufficio ex art. 9 c.p.a. (ai sensi del quale, come noto, “il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”), in considerazione del fatto che:
– il T.a.r. ha assorbito la questione, avendo a monte negato la sussistenza dell’an;
– in prime cure l’Amministrazione non aveva svolto, sul punto, alcuna eccezione;
– neppure in questo grado di giudizio l’Amministrazione ha formulato, in proposito, alcuna eccezione.
26.2. Il Collegio, pertanto, è tenuto a scrutinare integralmente la domanda risarcitoria dell’appellante.
27. Quanto al danno sub a), la relativa richiesta si riferisce “ai gravissimi danni alla salute ed al rilevante danno psicologico” subiti dal -OMISSIS- nel lasso di tempo intercorrente tra “l’insorgere della patologia” ed il decesso, occorso come detto in data 29 ottobre 1998.
27.1. In tale arco temporale, infatti, il -OMISSIS- non solo avrebbe subito una rilevante diminuzione dell’integrità fisica, ma avrebbe altresì percepito il proprio stato, ossia avrebbe avuto la lucida ed “angosciosa consapevolezza della fine imminente”.
27.2. Si premette che, non essendo nota l’epoca di effettiva insorgenza clinica della malattia, il dies a quo deve individuarsi nella relativa diagnosi, avvenuta nel novembre 1996.
27.3. Effettivamente, in tale arco di tempo, pari a circa un biennio, il -OMISSIS- ha visto progressivamente ridursi, fino al totale annientamento, le proprie facoltà vitali: il danno biologico, dunque, è per tabulas pari al 100%.
27.4. Al fine della relativa quantificazione, si fa riferimento al noto sistema tabellare; più in particolare, come richiesto dall’appellante nel ricorso introduttivo del presente grado di giudizio ed in considerazione del fatto che niente ha eccepito in proposito la resistente Amministrazione, si applicano le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano del 2011, che, per il caso in questione, indicano l’importo di € 958.247,00.
27.5. Come noto, le tabelle indicano un unitario valore monetario compensativo sia del danno biologico stricto sensu inteso, ossia la diminuzione anatomo-funzionale dell’integrità psico-fisica, sia del danno cosiddetto “morale”, ossia le sofferenze psicologiche e, appunto, morali patite dal soggetto.
27.6. Gli importi ivi indicati rappresentano dichiaratamente valori medi, modulabili in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto.
27.7. Nella specie, non essendo state allegate, nel biennio in questione, condizioni di vita del -OMISSIS- oltremodo penose (ulteriori, cioè, rispetto all’ordinaria drammaticità del decorso mortale di una patologia tumorale, già ricompresa nei valori tabellari), il Collegio stima congruo l’importo complessivo di € 900.000,00, in moneta attuale.
28. Quanto al danno sub b), per la perdita del coniuge le tabelle prevedono una forbice ricompresa fra un minimo di € 154.350,00 ad un massimo di € 308.700.
28.1. Considerata da un lato la giovane età dei coniugi al momento dei fatti, ma dall’altro la breve durata del vincolo matrimoniale, il Collegio stima congrua la somma di € 250.000,00 in moneta attuale.
29. Quanto, infine, al danno sub c), il Collegio non può non osservare che il dovere di reciproco mantenimento dei coniugi (art. 143 c.c) non comporta che uno dei due possa addurre, come danno risarcibile, l’essere stato costretto a reperire un’occupazione lavorativa: la scelta di non lavorare, infatti, è una condizione soggettiva riveniente, appunto, da una precisa scelta del soggetto, la cui perdita non può essere sic et simpliciter traslata a carico del danneggiante.
29.1. Può, tuttavia, convenirsi con l’appellante nel senso che il decesso del -OMISSIS- ha privato il nucleo familiare di entrate prospettiche potenzialmente per un lungo periodo, stante la giovane età dei coniugi all’epoca dei fatti: tenuto conto, tuttavia, dell’imponderabilità del percorso di carriera del -OMISSIS-, delle spese – dirette ed indirette – che gli spostamenti territoriali (inevitabili nella vita di un militare) avrebbero comunque determinato, della fisiologica reversibilità, nel nostro ordinamento, del vincolo matrimoniale, da cui consegue la cessazione della solidarietà economica e patrimoniale fra i coniugi (l’assegno di mantenimento, infatti, mira a garantire la conservazione dell’esistente livello di vita, non anche la compartecipazione del coniuge separato – o, a fortiori, divorziato – alle future fortune economiche dell’altro), si stima congrua, in proposito, la somma di € 50.000,00, in moneta attuale.
30. All’appellante spetta, dunque, la somma degli importi di € 900.000,00, € 250.000,00 ed € 50.000,00, per un totale di € 1.200.000,00 in moneta attuale.
31. Da tale somma, in ossequio al generale principio della compensatio lucri cum damno, riconosciuto sia dalla Corte di cassazione (Sez. 6, ord. 16 gennaio 2019, n. 1002; Sez. 3, 30 novembre 2018, n. 31007), sia dal Consiglio di Stato (Ad. Plen., 23 febbraio 2018, n. 1), debbono essere detratte tutte le somme sinora percepite dall’appellante in relazione ai fatti, rivalutate all’attualità.
31.1. Quanto allo speciale assegno vitalizio, l’importo da detrarre risulta dalla relativa capitalizzazione.
31.2. L’Amministrazione della difesa è onerata di eseguire i necessari calcoli e, all’esito, di corrispondere all’appellante quanto dovuto, salva la facoltà di rivolgersi a questo Consiglio con ricorso per ottemperanza, eventualmente anche nella forma di cui all’art. 112, comma 5, c.p.a.
32. Per le esposte ragioni, pertanto, l’appello va accolto: in riforma dell’impugnata sentenza, quindi, deve condannarsi la resistente Amministrazione a corrispondere all’appellante, a titolo risarcitorio, la somma risultante dai calcoli di cui supra, sub § 30 e seguenti.
33. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, stante la complessità in diritto delle questioni controverse.
34. Le spese della verificazione restano a carico del resistente Ministero.

 

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, condanna il Ministero della difesa a rifondere alla signora -OMISSIS-, a titolo di risarcimento dei danni, l’importo indicato in parte motiva, sub § 30 e seguenti.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Giovagnoli, Presidente
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere