L’INTERESSE LEGITTIMO DI DIRITTO PRIVATO APPRODA IN CASSAZIONE

In tema di impiego pubblico privatizzato, come questa Corte ha già affermato, gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali cui devono applicarsi i criteri generali di correttezza e buona fede, alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui allart. 97 Cost., che obbligano la P.A. a valutazioni comparative motivate, senza alcun automatismo della scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, cui corrisponde una posizione soggettiva di interesse legittimo degli aspiranti allincarico, tutelabile ai sensi dellart. 2907 cod. civ., anche in forma risarcitoria; ne consegue che, ove la P.A. non abbia fornito elementi circa i criteri e le motivazioni della selezione, lillegittimità della stessa richiederà una nuova valutazione, sempre ad opera del datore di lavoro, senza possibilità di un intervento sostitutivo del giudice, salvo i casi di attività vincolata e non discrezionale.

Costituisce ulteriore specificazione di tale principio la suddetta posizione soggettiva di interesse legittimo di diritto privato è suscettibile di tutela giurisdizionale, anche in forma risarcitoria, a condizione che linteressato ne alleghi e provi la lesione, nonché il danno subito in dipendenza dellinadempimento degli obblighi gravanti sullamministrazione, senza che la pretesa risarcitoria possa fondarsi sulla lesione del diritto al conferimento dellincarico, che non sussiste prima della stipula del contratto con la P.A.

CONSIDERATO

1. Che la Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 962/2013, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche, nei confronti di Cacaci Claudio, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Ancona, in riforma di quest’ultima, ha condannato l’Azienda sanitaria al pagamento in favore del Cacaci degli emolumenti correlati all’incarico di Coordinatore del dipartimento delle dipendenze patologiche sovrazonale per le zone nn. 12 e 13, per il periodo corrispondente alla durata iniziale del detto incarico, con gli interessi legali.

2. Il Cacaci, responsabile del servizio territoriale delle dipendenze patologiche di San Benedetto del Tronto, aveva adito il Tribunale chiedendo l’annullamento della delibera con la quale era stato conferito a Quercia Marco, dall’ASUR Marche, l’incarico di Coordinatore del dipartimento delle dipendenze patologiche sovrazonale, lamentando che la selezione era stata fatta esclusivamente in considerazione del confronto tra i curricula dei candidati (come si evinceva dall’atto di nomina che tuttavia non illustre va con la motivazione l’esito della comparazione), ma che dagli stessi si evinceva la superiorità dei propri titoli scientifici e professionali rispetto a quelli dell’altro aspirante che era stato prescelto.

3. A seguito dell’annullamento della iniziale sentenza del Tribunale da parte della Corte d’Appello per carenza della notifica del ricorso introduttivo a Quercia Marco quale controinteressato, la causa era stata riassunta dinanzi al Tribunale dal Cacaci.

4. La Corte d’Appello, dopo aver ritenuto non tardiva a produzione in giudizio del curriculum del lavoratore, ha escluso il carattere fiduciario dell’incarico in questione, con conseguente necessità di motivare le ragioni della designazione effettuata.

Nella specie l’Ente aveva violato l’obbligo di motivazione ed aveva emanato l’atto impugnato ponendo in essere una condotta sostanzialmente arbitraria e non conforme a buona fede.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre: l’ASUR Marche prospettando quattro motivi di ricorso.

5. Resiste il lavoratore con controricorso.

6. Non si è costituito Quercia Marco.

RITENUTO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 414, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e 210 cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità della produzione documentale avversaria nel giudizio di primo grado, come riassunto, nonché violazione e falsa applicazione dell’onere probatorio ex art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.

È censurata la statuizione della Corte d’Appello che non ha considerato intempestiva la produzione del curriculum (dapprima nell’udienza di discussione del primo ricorso e poi con il ricorso in riassunzione) in quanto si trattava di un documento nella disponibilità dell’ente, che lo aveva posto a base della motivazione del provvedimento di conferimento incarico; ente che non aveva adempiuto l’onere di specifica contestazione delle circostanze affermate dal Cacaci.

Tale statuizione sarebbe in contrasto con le norme procedurali del rito del lavoro in materia di preclusioni istruttorie e invertirebbe l’onere della prova.

Né la legittimità della produzione del curriculum poteva discendere dal non avere l’Amministrazione svolto la sua difesa sulla base del contenuto dello stesso, come esposto dal giudice di appello.

Inoltre, il lavoratore non aveva avanzato, nei termini di legge, istanza ex art. 210 cod. proc. civ., per cui detto documento doveva ritenersi avulso da quelli a disposizione del giudice.

1.1. Il motivo non è fondato.

Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt 421 e 437 cod. proc. civ., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere -dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicché il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 cod. proc. civ., ed al disposto di cui all’art. Ili, primo comma, Cost., sul “giusto processo regolato dalla legge” -di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso cei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso (Cass., n. 19305 del 2016, Cass., S.U., n. 11353 del 2004, n. 15820 del 2000).

Correttamente, in applicazione del suddetto principio, la Corte d’Appello ha ritenuto di ammettere la produzione del curriculum, atteso che lo stesso era a base della motivazione dell’atto di designazione impugnato, e sulla comparazione tra i candidati in ragione dei curricula degli stessi, secondo le allegazioni delle parti, verteva la controversia.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata in relazione e ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché carenza e contraddittoria motivazione in punto di contestazione dei titoli vantati dal Cacaci con riferimento alla presunta “scarsa importanza degli stessi ai fini del decidere”.

La ricorrente impugna la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha affermato che non era intervenuta apprezzabile contestazione circa il possesso dei titoli utili da parte del ricorrente.

Essa Amministrazione aveva, infatti, dedotto nella comoarsa di costituzione che le esperienze professionali del Cacaci, prive di riscontro documentale non apparivano migliori di quelle del Quercia, che aveva maturato una notevole esperienza professionale specifica con riferimento all’incarico in questione.

In particolare, il Quercia presentava caratteristiche personali che prevalevano rispetto alle pubblicazioni e ai titoli professionali

Dunque, essa Azienda aveva preso posizione sui fatti di causa.

Inoltre, si trattava di un incarico fiduciario, con conseguente inutilità della puntuale contestazione dei titoli vantati, comunque intervenuta

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonché carenza di motivazione della sentenza mpugnata su un punto decisivo della controversia ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., laddove si addebita all’ASUR una condotta arbitraria e non conforme a buona fede.

La ricorrente deduce che l’incarico in questione ha natura fiduciaria ed è dunque demandato alla ampia discrezionalità dell’organo competente; ciò trovava conferma nella determina 89/D.G. del 20 gennaio 2006, ove si prevede che il direttore del dipartimento viene nominato su base fiduciaria, disposizione che deve ritenersi applicabile anche al coordinatore del DDP previsto dalla DGRM n. 74/04 il quale svolge un ruolo certamente affine e pienamnete equiparabile al direttore.

Dunque la designazione non richiede una specifica motivazione ed una esplicitazione di tipo comparativo, non versandosi in fattispecie di tipo concorsuale, occorrendo solo che le qualità specifiche del prescelto appaiono le più consone a realizzare gli obiettivi di gestione. Inoltre, la valutazione dei curricula era preclusa al giudice, costituendo diversamente una ingerenza nella discrezionalità dell’Amministrazione, nonché in ragione della tardiva produzione.

4. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione; gli stessi devono essere rigettati in quanto iri parte non fondati e in parte inammissibili.

Occorre premettere che la Corte d’Appello ha escluso la natura fiduciaria dell’incarico di coordinatore non assimilabile a quello di direttore di zona, e ha affermato che l’atto di conferimento dell’incarico, affidato all’esito di una valutazione comparativa, doveva essere motivato, tenendo conto dei curricula degli aspiranti.

Va osservato che la natura fiduciaria di un incarico conferito da una pubblica amministrazione nell’ambito del rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, non esclude, come invece prospetta la ricorrente, che in ragione dei principi di cui all’art. 97 Cost., di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, l’Amministrazione espliciti le ragioni, sia pure fiduciarie, della scelta.

Peraltro, le censure mancano di specificità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., anche ai fini del giudizio di rilevanza, non argomentando la ricorrente in modo circostanziato in ordine alla statuizione della Corte c’Appello della non comparabilità del posto di direttore di zona rispetto a quello di coordinatore, non riportando né il contenuto dell’atto di designazione, che si limita ad allegare al ricorso, senza indicare il luogo di tempestiva produzione nel giudizio, né delle determine che richiama, di cui non indica il luogo di produzione in giudizio, né le allega.

In tema di indicazione specifica degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, richiesta a pena d’inammissibilità dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le Sezioni Unite di questa Corte (Cass.S.U., n. 23019 del 2007), dopo aver affermato che detta norma è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi, hanno ulteriormente chiarito che il rispetto delle citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alia previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4; con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Cass., n. 545 del 2015).

5. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 1218, 2043 e 2059 cod. civ., laddove viene riconosciuto un danno da perdita di chance sostanzialmente “in re ipsa“, nonché ex art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. Violazione degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 cod. civ. ed omessa motivazione in ordine ai criteri liquidativi del danno.

Assume la ricorrente che il riconoscimento de! danno da perdita di chances era sommario ed immotivato, e contrastava con il principio dell’onere della prova, in relazione ai principi affermati dalla giurisprudenza in materia

Occorreva infatti una comparazione tra i redditi percepiti e quelli ambiti, non essendo possibile, diversamente, valutare né l’ingiustizia del danno, né la sussistenza del nesso causale.

Inoltre, anche a voler riconoscere il danno, lo stesso andava liquidato secondo un criterio differenziale, limitando le chances all’auspicato incremento di retribuzione.

6. Il motivo è fondato atteso che all’annullamento della delibera di conferimento di incarico per mancanza di motivazione in ordine alla comparazione dei curricula degli aspiranti, non consegue, come erroneamente affermato dalla Corte d’Appello, una presunzione di nomina nell’incarico dell’odierno ricorrente, che può intervenire solo a seguito del rinnovo della procedura in questione da parte dell’Amministrazione.

In tema di impiego pubblico privatizzato, come questa Corte ha già affermato, gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali cui devono applicarsi i criteri generali di correttezza e buona fede, alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., che obbligano la P.A. a valutazioni comparative motivate, senza alcun automatismo della scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, cui corrisponde una posizione soggettiva di interesse legittimo degli aspiranti all’incarico, tutelabile ai sensi dell’art. 2907 cod. civ., anche in forma risarcitoria; ne consegue che, ove la P.A. non abbia fornito elementi circa i criteri e le motivazioni della selezione, l’illegittimità della stessa richiederà una nuova valutazione, sempre ad opera del datore di lavoro, senza possibilità di un intervento sostitutivo del giudice, salvo i casi di attività vincolata e non discrezionale (Cass., n. 18972 del 2015), che non ricorrono nella specie.

Costituisce ulteriore specificazione di tale principio la suddetta posizione soggettiva di interesse legittimo di diritto privato è suscettibile di tutela giurisdizionale, anche in forma risarcitoria, a condizione che l’interessato ne alleghi e provi la lesione, nonché il danno subito in dipendenza dell’inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministrazione, senza che la pretesa risarcitoria possa fondarsi sulla lesione del diritto al conferimento dell’incarico, che non sussiste prima della stipula del contratto con la P.A. (Cass., n. 7495 del 2015).

7. Erroneamente, quindi, la Corte d’Appello, dopo aver affermato l’illegittimità della nomina del Quercia per la mancanza di motivazione sulla comparazione dei curricula, ha riconosciuto provato il danno da perdita di chances per l’assenza di altri soggetti comparabili, non facendo corretta applicando del suddetto principio.

8. La Corte rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso. Accoglie il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso. Accoglie il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 29 ottobre 2019.

Depositata il 15 gennaio 2020.