IL RITO SPECIALE DI CUI AGLI ARTT. 119 E 120 C.P.A SI APPLICA ANCHE ALLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DI CONCESSIONI

Gli artt. 119 e 120 c.p.a. sono applicabili alle procedure di affidamento di servizi in concessione.
Dev’essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 del c.p.a., in favore dell’impresa ricorrente che ha notificato il ricorso avverso l’affidamento di una concessione dopo la scadenza del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a. (ma nel rispetto di quello, ordinario, di sessanta giorni).

 

FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo dichiarava irricevibile, negando la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, il ricorso proposto dalla Sogeda s.r.l. avverso l’affidamento in concessione alla Sigma s.r.l. del servizio di ristoro tramite distributori automatici di alimenti e bevande presso i presidi ospedalieri della Azienda Sanitaria Locale n.1 – Avezzano – Sulmona – L’Aquila (d’ora innanzi ASL), siccome proposto oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione della gara alla controinteressata, previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a., e giudicato applicabile anche alle procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi pubblici.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la Sogeda, criticando la gravata statuizione di irricevibilità del ricorso di primo grado, sulla base dell’assunto dell’estraneità delle procedure di concessione dei servizi pubblici all’ambito applicativo degli artt.119 e 120 c.p.a., insistendo, comunque, nel sostenere la sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio dell’errore scusabile, ribadendo la sussistenza dei vizi originariamente denunciati a carico dell’affidamento del servizio alla controinteressata Sigma e concludendo per la riforma della sentenza impugnata e per il conseguente annullamento della determinazione gravata in prima istanza.
Resistevano la ASL e la Sigma, difendendo la correttezza della decisione appellata, contestando, nel merito, la fondatezza dell’appello e domandandone la reiezione.
Con ordinanza n.1927/2016 in data 12 maggio 2016 la Terza Sezione, dopo aver disatteso l’istanza cautelare di sospensione della sentenza appellata, rimetteva all’Adunanza Plenaria la soluzione delle questioni (meglio di seguito illustrate) relative all’applicabilità del combinato disposto degli artt.119, comma 1, lett. a), e 120 del c.p.a. alle concessioni di servizi pubblici e, in caso di soluzione positiva al primo quesito, alla concedibilità del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a.
Alla pubblica udienza del 13 luglio 2016, dinanzi all’Adunanza Plenaria, l’appello veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO
1.- Come già rilevato in fatto, la prima questione devoluta allo scrutinio dell’Adunanza Plenaria resta circoscritta alla disamina del perimetro applicativo delle disposizioni del c.p.a. dedicate a regolare il rito speciale in materia, tra l’altro, di “affidamenti di servizi” e, in particolare, alla verifica se siano o meno ascrivibili entro i suoi confini anche le controversie relative alle concessioni di servizi pubblici previste dall’art.30 del d.lgs. n.163 del 2006.
1.1- Nella fattispecie in esame, infatti, i giudici di prima istanza hanno ritenuto applicabile anche alle concessioni di servizi le suddette disposizioni processuali, giudicando, quindi, tardivo il ricorso proposto dalla Sogeda, siccome notificato alla controinteressata Sigma oltre il termine perentorio di trenta giorni (stabilito dall’art.120, comma 5, c.p.a.) dalla formale comunicazione dell’affidamento del servizio.
1.2- La Terza Sezione, dopo aver qualificato come concessione di servizio pubblico l’affidamento nella specie controverso (si ricorda: gestione di distributori automatici di alimenti e bevande nelle strutture sanitarie e ospedaliere della ASL), ha affidato la soluzione della predetta questione all’Adunanza Plenaria, avendo registrato un contrasto di indirizzi, che esige un chiarimento definitivo del problema, tra una lettura restrittiva dell’ambito applicativo dell’art.119, comma 1, lett. a), che esclude, cioè, la sua applicazione anche alle concessioni di servizi pubblici (Cons. St., sez. VI, 28 maggio 2015, n.2679; Cons. St., sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5065; Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n.2620; Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 152), e un’esegesi più ampia, che vi comprende anche le controversie aventi ad oggetto le concessioni (Cons. St., sez. V, 1° agosto 2015, n. 3775; Cons. St., sez. III, 29 maggio 2015, n. 2704; Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 416; Cons. St., sez. V, 28 luglio 2014, n. 3989; Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2013, n.811).
1.3- La questione devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria può, quindi, essere riassunta nella disamina dell’ascrivibilità delle controversie aventi ad oggetto gli affidamenti di concessioni di servizi pubblici entro i confini dell’ambito applicativo del combinato disposto degli artt.119 e 120 c.p.a. e, in particolare, per quanto qui rileva, nell’identificazione del termine di decadenza per la proposizione del ricorso di primo grado in quello, dimezzato, di trenta o in quello, ordinario, di sessanta giorni.
2.- Così sintetizzati i termini del problema, occorre, anzitutto, confermare la (logicamente presupposta) qualificazione, già operata dalla sezione rimettente, della procedura controversa come avente ad oggetto una concessione di servizi ai sensi dell’art.30 del d.lgs. n. 163 del 2006 (vigente al momento dell’indizione della gara).
2.1- Dalla scarna disciplina contenuta in quest’ultima disposizione si ricava unicamente che le concessioni di servizi sono strutturate in modo che al concessionario spetta solo “il diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio” (senza alcun onere economico a carico dell’amministrazione concedente, che, anzi, riceve solitamente un corrispettivo dal concessionario per l’attribuzione del predetto diritto) e che il loro affidamento resta sottratto all’applicazione delle regole stabilite per l’aggiudicazione degli appalti e obbedisce ai soli principi generali in materia di contratti pubblici.
2.2- La giurisprudenza (nazionale ed europea) è stata, così, costretta a farsi carico delle questioni attinenti alla qualificazione della natura giuridica delle procedure controverse, discendendo, da essa, una diversa identificazione delle regole di condotta stabilite a presidio della corretta scelta del contraente.
E’ stato, al riguardo, chiarito che i criteri discretivi più sicuri ed affidabili (tra appalti e concessioni di servizi) dovevano essere identificati nell’assunzione, da parte del concessionario, del “fattore rischio”, implicato dalla traslazione al gestore dell’incertezza sull’utilità economica dell’erogazione del servizio, che caratterizza le concessioni e le distingue dagli appalti (Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, causa C-458-03 – Parking Brixen GmbH), nella somministrazione del servizio a favore della generalità degli utenti, e non solo alla pubblica amministrazione, (Cass. Civ. SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252), nella esclusiva coincidenza del corrispettivo con il diritto di sfruttare economicamente il servizio, ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2624) nonchè, da ultimo, nella traslazione a un soggetto privato della facoltà di esercizio di quest’ultimo, ferma restando la titolarità della funzione in capo all’Amministrazione concedente (Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n.3571).
2.3- Le carenze regolative ravvisabili nell’art.30 del d.lgs. n.163 del 2006 (e nella presupposta, pressochè insistente, disciplina europea), le relative incertezze applicative e la crescente diffusione dello strumento concessorio (sia in ordine ai lavori che ai servizi), dovuta alla crisi economica e alla connessa esigenza di ricorrere con maggiore frequenza al capitale privato, a fronte della drastica diminuzione di investimenti pubblici, hanno imposto (finalmente) l’introduzione, prima a livello europeo (con la direttiva 2014/23/UE) e poi nazionale (con gli artt.164 e seguenti del d.lgs. n.50 del 2016), di una completa e dettagliata disciplina normativa, sia in ordine agli aspetti sostanziali del contratto di concessione, che riceve una definizione puntuale dei suoi elementi costituivi (con l’opportuna precisazione del carattere essenziale del trasferimento, almeno in parte, del rischio operativo), sia in merito alle modalità di procurement, con una tendenziale e strutturata assimilazione delle procedure di affidamento delle concessioni a quelle di aggiudicazione degli appalti.
La definizione della concessione di servizi rinvenibile nell’art.3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n.50 del 2016, come un “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi” e la previsione di puntuali e cogenti regole procedurali per l’affidamento dei servizi in concessione consentono di ritenere, ormai, superate gran parte delle difficoltà definitorie e delle ambiguità regolative prodotte dalla scarna disciplina preesistente.
2.4- Così ricostruita, anche in via diacronica, la normativa di riferimento, si rileva che i caratteri essenziali dell’istituto, per come evincibili, sia dal regime precedente (per come decifrato dalla richiamata giurisprudenza), sia da quello vigente, sono senz’altro rintracciabili nel contratto con cui una pubblica amministrazione affida a un operatore economico il diritto di installare e gestire un distributore automatico di alimenti e bevande.
In tale fattispecie, infatti, per un verso, il rischio economico della gestione viene assunto in via esclusiva dal gestore (che, anzi, corrisponde all’Amministrazione un prezzo in cambio dell’affidamento del diritto alla gestione del distributore automatico) e, per un altro, l’erogazione del servizio viene rivolta, non già all’Amministrazione, ma alla collettività degli utenti che frequenta la struttura pubblica (Ospedale, Università, ecc.) dove viene installato il distributore (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 4 settembre 2012, n.4682).
3.- Così classificato l’oggetto della controversia, occorre scrutinare il problema della definizione del perimetro applicativo del rito speciale di cui agli artt.119 e 120 c.p.a., onde verificare la riconducibilità entro il relativo ambito del ricorso in esame.
3.1- La questione si risolve nell’esegesi dell’art.119, comma 1, lett. a), rispetto al quale la prescrizione contenuta nell’art.120 c.p.a., comma 5, si rivela del tutto dipendente e conseguente, e, segnatamente, della locuzione “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture”.
Si tratta, in altri termini, di verificare se, nella predetta espressione lessicale, siano o meno compresi anche i provvedimenti concernenti le procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi.
3.2- La relativa attività ermeneutica dovrà essere condotta secondo i canoni di seguito precisati.
La disposizione oggetto di esame definisce le controversie assoggettate alle regole del rito speciale contestualmente introdotto.
La specialità si risolve, perlopiù, nella fissazione di termini più brevi di quelli ordinari, al fine di configurare un sistema processuale che permetta la definizione del giudizio in tempi certi e contenuti, in ragione della rilevanza degli interessi pubblici implicati dalle controversie presidiate da quel rito.
Il carattere derogatorio, rispetto alla disciplina processuale comune, delle regole contenute negli artt.119 e 120 del c.p.a. implica, sul piano ermeneutico, l’utilizzo dei parametri interpretativi appresso indicati.
La natura eccezionale delle disposizioni esaminate impone, innanzitutto, all’interprete di evitare l’utilizzo di canoni interpretativi estensivi e analogici, ma anche teleologici (sulla necessità di seguire canoni di stretta interpretazione delle norme eccezionali si veda Cass. Civ., SS. UU, 24 novembre 2008, n.27863).
L’attitudine delle norme oggetto di indagine a comprimere i diritti di difesa, riducendo i tempi per il loro valido esercizio, impedisce, infatti, di leggere la loro portata precettiva come estesa ad ambiti non direttamente segnati dal significato letterale delle espressioni lessicali utilizzate, così come preclude di ricavare, in esito a un’indagine che valorizzi la ratio della disposizione descrittiva, con valenza tassativa, delle controversie regolate dal rito speciale, effetti prescrittivi diversi da quelli direttamente riferibili al senso delle parole usate.
Accedendo, infatti, a canoni ermeneutici diversi da quello letterale si rischierebbe, invero, di assegnare alle disposizioni in esame, che, si ricorda, conformano, in senso restrittivo, l’esercizio del diritto di difesa, un significato diverso da quello immediatamente percepibile dalla loro lettura.
Ne consegue che l’operazione ermeneutica dev’essere condotta alla stregua del (solo) criterio letterale, al fine di verificare se nel significato dell’espressione testuale descrittiva delle controversie assoggettate al rito speciale rientrino o meno anche le liti relative ai provvedimenti concernenti le concessioni.
3.3- Così identificato il paradigma interpretativo in coerenza con il quale dev’essere risolto il quesito indirizzato all’Adunanza Plenaria, si rileva che l’espressione “procedure di affidamento”, usata dall’art.119, comma 1, lett. a), c.p.a., ha ricevuto una definizione puntuale all’art.3, comma 36, del d.lgs. n.163 del 2006 (ma, poi, ripetuta, con le medesime parole, dall’art.3, lett. rrr, nel d.lgs. n.50 del 2016) nei termini che seguono: “Le «procedure di affidamento» e l’«affidamento» comprendono sia l’affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l’affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee.”
Come si vede, dunque, la stessa locuzione analizzata nel presente giudizio è già stata oggetto, in un altro provvedimento normativo, di una definizione esplicativa del suo significato, che ne ha chiarito i contenuti, precisando, per quanto qui rileva, che in essa resta compreso anche “l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione”.
Orbene, a fronte di una definizione così chiara del significato dell’espressione contenuta nell’art.119, comma 1, lett. a) c.p.a., non residua spazio per esegesi difformi da essa, alla quale l’interprete deve intendersi, infatti, vincolato.
Le definizioni contenute negli atti nomativi più complessi (da valersi quale regola di buona tecnica legislativa) assolvono, in particolare, la precipua funzione di chiarire il significato dei termini e delle espressioni ivi utilizzate e, quindi, di evitare ogni incertezza circa il senso da attribuire ad essi.
In coerenza con lo scopo delle definizioni e con la relativa valenza cogente attribuibile ad esse, deve, quindi, concludersi nel senso che a un’espressione lessicale non può assegnarsi un significato diverso da quello reso palese dalla formula definitoria usata nel medesimo provvedimento che la contiene.
3.4- Né il segnalato vincolo semantico può intendersi annullato o diminuito quando l’espressione oggetto di indagine ha ricevuto una definizione in un diverso e precedente atto normativo (come nella fattispecie in esame).
Ove, infatti, il legislatore utilizzi una locuzione già definita in un previgente corpus normativo e lo faccia con evidente riferimento alla medesima nozione giuridica oggetto della definizione, deve presumersi che abbia inteso usare quel concetto con lo stesso significato già chiarito dall’ordinamento.
In particolare, quando l’istituto richiamato in un atto normativo abbia già ricevuto una definizione chiara del suo significato e una autonoma disciplina sostanziale in un diverso provvedimento legislativo, l’interprete, in difetto di indizi significativi di una diversa volontà del legislatore, deve stimare quel richiamo coerente con la formula definitoria già vigente.
Tale vincolo deve, peraltro, intendersi particolarmente stringente nelle ipotesi in cui l’enunciazione normativa risulta chiaramente riferibile a un concetto giuridico proprio del corpus normativo all’interno del quale è contenuta la definizione cogente (per l’interprete), e, viceversa, estraneo all’oggetto principale dell’atto legislativo da interpretare (e non v’è alcun dubbio che la nozione di “procedure di affidamento” resta tecnicamente compresa nella materia dei contratti pubblici ed ontologicamente avulsa da quella del processo amministrativo).
3.5- Declinando alla fattispecie esaminata i canoni ermeneutici appena enunciati, deve riconoscersi, per un verso, l’insussistenza di qualsivoglia elemento che indichi la volontà del legislatore del processo amministrativo di assegnare all’espressione “procedure di affidamento” un significato diverso da quello fatto palese dall’art.3, comma 36, del d.lgs. n.163 del 2006 e, per un altro, in coerenza con la suddetta definizione, l’ascrivibilità delle procedure di affidamento di servizi mediante concessione alla categoria delle “procedure di affidamento di servizi” (di cui all’art.119, comma 1, lett. a, c.p.a.) e, quindi, nel novero delle controversie disciplinate dagli artt.119 e 120 c.p.a.
4.- Al dirimente (e, di per sé, decisivo) argomento letterale appena illustrato, possono, peraltro, aggiungersi le ulteriori sintetiche (e convergenti) considerazioni che seguono.
5.- Va, innanzitutto, osservato che, anche prescindendo dalla predetta definizione legislativa del concetto di “procedure di affidamento”, si perverrebbe alle medesime conclusioni.
Una corretta esegesi testuale della più volte menzionata disposizione di riferimento conduce, infatti, al riconoscimento della riferibilità anche dei procedimenti aventi ad oggetto concessioni di servizi alla nozione di “procedure di affidamento”.
La parola “affidamento”, infatti, se usata senza ulteriori precisazioni o limitazioni del suo oggetto (come nella fattispecie in esame), dev’essere decifrata come significativa dell’atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto.
La valenza generale del termine, quindi, deve intendersi come comprensiva di tutte le tipologie contrattuali in relazione alle quali resta logicamente concepibile un affidamento e, quindi, sia degli appalti che delle concessioni.
La definizione del contenuto semantico del lemma “affidamento” non può essere, in altri termini, ridotta o circoscritta in relazione ad alcuni solo dei diversi schemi formali nei quali si articola l’attività contrattuale pubblica e che, al contrario, esigono, tutti, appunto, un “affidamento”.
6.- Non solo, ma concorre ad avvalorare la soluzione ut supra indicata anche l’utilizzo del criterio ermeneutico finalistico, ancorchè non utilizzabile in via principale o esclusiva (come già rilevato).
E’ sufficiente, al riguardo, osservare che la ratio del rito speciale in questione, agevolmente identificabile nell’esigenza della sollecita definizione dei giudizi aventi a oggetto provvedimenti amministrativi riferibili all’esercizio di funzioni pubbliche che implicano la cura di interessi generali particolarmente rilevanti (e che, come tali, non tollerano una prolungata situazione giudiziaria di incertezza), risulta riferibile nella stessa misura alle controversie relative agli appalti e a quelle concernenti le concessioni.
Anche gli atti che incidono su quest’ultima formula contrattuale, infatti, necessitano di una cognizione giurisdizionale rapida, al pari di (o, comunque, non inferiore a) quelli che riguardano gli appalti, con il duplice corollario che un’esegesi che li escludesse dall’ambito applicativo del rito speciale finirebbe per vanificare la predetta (palese) finalità e che, viceversa, una compiuta soddisfazione dell’anzidetto interesse pubblico impone una lettura degli artt.119 e 120 c.p.a. che vi comprenda anche le controversie relative alle concessioni.
7.- Non solo, ma le ineludibili esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti.
Le controversie relative a tale tipologia contrattuale, ampiamente conosciuta nella prassi e adesso codificata dall’art.169 del d.lgs. n.50 del 2016, soffrirebbero, infatti, di un’inammissibile instabilità regolativa, se si accedesse alla tesi che il rito speciale si applica solo agli appalti, costringendo il giudice a indagare l’oggetto principale del contratto, al solo fine di identificare le norme processuali di riferimento.
Si tratta, come si intuisce agevolmente, di un effetto paradossale e pericoloso, che espone i giudizi sui contratti pubblici ad inaccettabili ambiguità processuali, che contraddicono proprio le esigenze di speditezza delle controversie in questione e che vanno, appunto, scongiurate, accedendo all’opzione ermeneutica sopra preferita.
8.- Alle considerazioni che precedono consegue, in definitiva, la reiezione del primo motivo di appello e la conferma della statuizione dichiarativa dell’irricevibilità del ricorso di primo grado.
9.- La soluzione del primo quesito impone l’esame della seconda questione rimessa all’Adunanza Plenaria e relativa alla riconoscibilità del beneficio della rimessione in termini della società ricorrente per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 c.p.a.
9.1- Il Collegio non ignora, e, anzi, condivide, i principi costantemente affermati in merito alla natura eccezionale del predetto beneficio, ma reputa che, nella fattispecie, ricorrano le condizioni che autorizzano (anzi: impongono) la rimessione in termini dell’impresa ricorrente.
9.2- Se è vero, infatti, che la norma che disciplina l’istituto in esame deve intendersi di stretta interpretazione, in quanto si risolve in una deroga della regola relativa agli effetti decadenziali prodotti dall’inosservanza di un termine processuale perentorio (Cons. St., sez. V, 28 luglio 2014, n.3986) e che una somministrazione eccessivamente benevola del relativo beneficio “finirebbe per inficiare il principio, quantomeno di pari dignità rispetto all’esigenza di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, della parità delle parti relativamente all’osservanza dei termini processuali perentori” (Cons. St., Ad. Plen., 19 novembre 2014, n.33), è anche vero che, al fine di garantire una qualche utilità alla norma in questione, risulta necessario riconoscerne l’applicabilità a situazioni in cui siano ravvisabili oggettive ragioni di incertezza in ordine alla durata del termine che la parte ha mancato di rispettare.
Ove, infatti, resti dimostrata un’obiettiva ambiguità in relazione alla stessa consistenza dell’onere processuale in relazione al quale si è verificata la decadenza, il beneficio in questione deve intendersi come il rimedio, ancorchè eccezionale, più appropriato ad assicurare l’effettività del diritto di difesa, in situazioni (si ripete) nelle quali il mancato rispetto del termine non può ritenersi rimproverabile alla parte.
9.3- Orbene, nel caso in esame si è verificata una situazione in cui, ancorchè la disposizione legislativa fosse testualmente interpretabile come comprensiva, nel suo ambito applicativo, anche delle controversie in materia di concessioni di servizi, non poche decisioni del Consiglio di Stato l’hanno letta, valorizzando il suo carattere eccezionale e derogatorio, come riferita solo ai ricorsi in materia di appalti, escludendo espressamente, dal suo perimetro operativo, i giudizi in materia di concessioni.
A fronte della controversa e incerta elaborazione giurisprudenziale appena descritta, appare, per un verso, arduo giudicare inescusabile l’errore in cui è incorsa la parte che, aderendo a un significativo e consistente indirizzo giurisprudenziale, ha (in buona fede) ritenuto che il termine per la proposizione del ricorso fosse di sessanta (e non di trenta) giorni e, per un altro, doveroso il riconoscimento in favore di quest’ultima del beneficio della rimessione in termini.
9.4- Una interpretazione eccessivamente rigorosa dell’art.37 c.p.a., che comportasse, cioè, il rifiuto del beneficio della rimessione in termini anche nella situazione in esame, finirebbe, a ben vedere, per vanificare la finalità dell’istituto e per privarlo di ogni utilità pratica (ove negato, appunto, anche a fronte di una palese incertezza giurisprudenziale sulla stessa misura del termine in relazione al quale si è consumata la decadenza).
10.- Alla stregua delle considerazioni che precedono possono, in definitiva, essere enunciati i seguenti principi di diritto:
a) “Gli artt.119 e 120 del c.p.a. sono applicabili alle procedure di affidamento di servizi in concessione”;
b) “Dev’essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 del c.p.a., in favore dell’impresa ricorrente che ha notificato il ricorso avverso l’affidamento di una concessione dopo la scadenza del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a. (ma nel rispetto di quello, ordinario, di sessanta giorni)”.
11.- Il ricorso dev’essere restituito alla Sezione rimettente, perché lo decida in applicazione dei suddetti principi di diritto.

 

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
a) formula i principi di diritto di cui in motivazione;
b) restituisce gli atti alla III Sezione del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati: