IL CONTROLLO DELLE SEZIONI UNITE SUL C.D. ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE

SENTENZA
Esposizione del fatto
All’esito di un contenzioso iniziatosi nel 1977, il Consiglio di Stato, con decisione n. 1351 del 26 settembre 1995, annullò l’ordinanza con cui il Comune di Roma aveva negato la concessione di una licenza edilizia richiesta nel febbraio 1976 dalla sig.ra Anna Cammarano.
Una successiva analoga richiesta, presentata dal sig. Enrico Bucciero, erede della sig.ra Cammarano, fu pure rigettata dal Comune in data 29 aprile 2004, ma il Consiglio di Stato, con decisione del 16 settembre 2004, reputò che il provvedimento comunale da ultimo menzionato fosse elusivo del precedente giudicato e, giacché il Comune nuovamente aveva rifiutato la concessione edilizia, con successive decisioni del 13 gennaio e del 27 ottobre 2006 lo stesso Consiglio di Stato nominò un commissario ad acta per provvedervi.
Il 18 giugno 2010 il commissario rilasciò il richiesto permesso di costruire, che fu però impugnato dai sigg.ri Bernardina Pistoia, Carlo Ficini, Rodolfo Ficini, Giovanni Principessa, Elio D’Agostino e Diana Balestrazzi, residenti nella zona interessata dal progetto edilizio, i quali proposero opposizione di terzo contro le citate decisioni del 1995 e del 2006 e chiesero che fosse annullato il provvedimento del commissario in quanto di contenuto eccedente i limiti segnati dal precedente giudicato.
Il sig. Bucciero ed il Comune di Roma resistettero al ricorso.
Intervenne in giudizio, per contrastare le ragioni dei ricorrenti, anche la società Lucot s.r.l., promissaria acquirente delle unità immobiliari che avrebbero dovuto esser costruite in base alla contestata concessione edilizia.
Con sentenza depositata il 28 settembre 2011, il Consiglio di Stato rigettò la proposta opposizione di terzo, ma accertò che il commissario ad acta, rilasciando una concessione edilizia per la costruzione di un complesso immobiliare di tipologia e dimensioni ben maggiori rispetto a quelle cui si erano riferite le precedenti decisioni del giudice amministrativo, era andato oltre i limiti dell’investitura conferitagli, giacché aveva attribuito alla parte un bene nuovo e diverso da quello interessato dal giudicato.
Il provvedimento del commissario fu perciò dichiarato nullo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la società Lucot, lamentando che il giudice amministrativo abbia esorbitato dai confini della propria giurisdizione.
I sigg.ri Pistoia, Carlo Ficini, Rodolfo Ficini, Principessa, D’Agostino e Balestrazzi hanno resistito con controricorso.
Roma Capitale ed il sig. Bucciero non hanno depositato controricorsi, ma si sono difesi oralmente.
Ragioni della decisione
1. La società ricorrente, dopo aver ricordato che il permesso di costruire rilasciato dal commissario ad acta nominato dal Consiglio di Stato, di cui si discute nella presente causa, è stato impugnato dai controinteressati anche con ricorso al Tribunale amministrativo regionale territorialmente competente, e che da ciò è derivato un conflitto di competenza col Consiglio di Stato, risolto in favore di detto tribunale amministrativo con ordinanza del medesimo Consiglio di Stato in data 18 febbraio 2011, sostiene che la dedotta invalidità del provvedimento commissariale non avrebbe potuto formare oggetto di un giudizio di ottemperanza, quale quello all’esito del quale è stata pronunciata la sentenza qui impugnata.
Affermando la nullità di tale provvedimento, il Consiglio di Stato avrebbe dunque ingiustificatamente dilatato la nozione di violazione del giudicato, che dà adito al predetto giudizio di ottemperanza ed apre la strada alla giurisdizione di merito del giudice amministrativo: donde la violazione dell’art. 111 della Costituzione, in relazione agli artt. 112 e segg. del d. Lgs. n. 104 del 2010, ed il conseguente vizio di eccesso di potere giurisdizionale denunciato nel ricorso.
2. Il ricorso è privo di fondamento.
E’ vero che può verificarsi un eccesso di potere giurisdizionale quando la decisione del giudice amministrativo esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto alla giurisdizione di legittimità (e perciò all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o eventualmente alla giurisdizione esclusiva (Sez. un. n. 23302 del 2011). E’ vero anche che, al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato della cassazione sulla giurisdizione del giudice amministrativo è consentito da quelle nelle quali esso è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (Sez. un. n. 736 del 2012).
Ma ciò non sta certo a significare che si verta in un’ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione in qualsiasi caso in cui il giudice amministrativo abbia emesso la propria decisione all’esito di un giudizio di ottemperanza e quella decisione, invece, a parere del ricorrente, avrebbe dovuto essere adottata secondo le regole che dinanzi al medesimo giudice amministrativo disciplinano il giudizio di legittimità.
L’eccesso di potere giurisdizionale, che giustifica l’intervento delle sezioni unite della Cassazione, si verifica non per il fatto in sé che vi possa essere stato un errore nella scelta del rito, e tanto meno per l’eventuale violazione delle regole che ripartiscono la competenza tra differenti giudici amministrativi o che disciplinano i diversi gradi di quel giudizio.
Situazioni, queste, nelle quali è astrattamente possibile configurare errores in procedendo, commessi dal giudice amministrativo nell’esercizio del suo potere giurisdizionale, ma non esorbitanza dai confini di tale potere. L’ipotetico abuso dello strumento del giudizio di ottemperanza può risolversi in un vero e proprio eccesso di potere giurisdizionale solo se, per effetto dell’estensione della giurisdizione al merito, consentita dalla previsione dell’art. 134, comma 1, lett. a), c.p.a., ne sia derivato un indebito sconfinamento del provvedimento giurisdizionale nella sfera delle attribuzioni proprie dell’amministrazione (o, eventualmente, di un giudice appartenente ad un ordine diverso).
Nel caso in esame, nulla di tutto questo appare essersi verificato, non potendosi in alcun modo affermare che la declaratoria di nullità del
provvedimento emesso dal commissario ad acta, operata dal Consiglio di Stato all’esito del giudizio di ottemperanza del quale si discute, corretto o
meno che fosse l’iter procedurale che la ha preceduta, abbia implicato un esercizio di poteri di merito altrimenti riservati alla pubblica amministrazione o ad un giudice diverso da quello amministrativo.
3. Il ricorso, pertanto, deve esser rigettato, con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidate come in dispositivo conformemente ai soli criteri enunciati dal sopravvenuto d.m. 20 luglio 2012, n. 140. Sussistono giusti motivi per compensare invece le spese relative al sig. Bucciero ed a Roma Capitale, la cui partecipazione al giudizio di legittimità è stata del tutto marginale e non ha inciso sull’economia di detto giudizio.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso, condanna la società ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dei contro ricorrenti sigg.ri Bernardina Pistoia, Carlo Ficini, Rodolfo Ficini, Giovanni Principessa, Elio D’Agostino e Diana Balestrazzi, liquidandole in euro 6.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, e compensa le spese nei riguardi del sig. Enrico Bucciero e di Roma Capitale.