IL CONSIGLIO DI STATO SULL’IMPUGNABILITA’ DEI REGOLAMENTI: LA POSIZIONE DEI SINGOLI VA DISTINTA DA QUELLA DEGLI ENTI ESPONENZIALI

NUMERO AFFARE 03932/2011

OGGETTO: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale.

 

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla Associazone Nazionale Società di Emissione Buoni Pasto – A.N.S.E.B. – (Anseb), Edenred Italia Srl, avverso l’adozione del regolamento di esecuzione ed attuazione recante “Codice dei contratti pubblici, lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/Ce”;

LA SEZIONE

Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. 3658 in data 13/09/2011 con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato numero 53 del 8 ottobre 2012 che deferisce ad una commissione speciale l’affare in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Roberto Giovagnoli;

 

PREMESSO:

A. L’Associazione Nazionale Società di Emissione Buoni Pasto (di seguito: ANSEB) e la società Edenred Italia s.r.l. (di seguito: Edenred) hanno proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per ottenere l’annullamento degli artt. 285 e 358 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, con il quale è stato adottato il “Regolamento di esecuzione e di attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/Ce»”.

B. Le censure delle ricorrenti si indirizzano, in particolare, nei confronti dell’art. 358, comma 1, lett. i) del regolamento (che dispone espressamente l’abrogazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 novembre 2005, recante «affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa») e dell’art. 285, comma 7, nella parte in cui prevede che, “nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fermo restando quanto previsto all’articolo 83, comma 1 del codice, il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell’offerta pertinenti, quali, a titolo esemplificativo: a) il ribasso sul valore nominale del buono pasto; b) la rete degli esercizi da convenzionare; c) lo sconto incondizionato verso gli esercenti; d) i termini di pagamento agli esercizi convenzionati; e) il progetto tecnico”.

C. Le ricorrenti sostengono che l’art. 358, comma 1, lett. i) sarebbe illegittimo per avere integralmente abrogato il d.P.C.M. 18 novembre 2005, così violando gli artt. 83, comma 5, e 256 del codice, nonché l’art. 14 viciester, comma 1, lett. c) del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168.

C.1. Da un lato, infatti, secondo la tesi delle ricorrenti, l’art. 83, comma 5, del codice prevedeva che il regolamento per i servizi avrebbe dovuto tener conto di quanto stabilito dal d.P.C.M. 18 novembre 2005, con il solo limite della compatibilità di quanto in esso stabilito e le disposizioni del codice stesso.

C.2. Dall’altro lato, l’art. 256 del codice (rubricato “Disposizioni abrogate”) prevedeva unicamente l’abrogazione del solo art. 14 viciester, comma 1, lett c) del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168, limitatamente alle parole “i criteri per l’aggiudicazione delle gare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e” ”. Per tutti gli altri aspetti, quindi, l’art. 14 viciester cit., sulla cui base è stato adottato il d.P.C.M. 18 novembre 2005, continuava ad essere in vigore.

C.3. Di conseguenza, deducono le ricorrenti, il nuovo regolamento avrebbe dovuto fissare unicamente le metodologie per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa con un unico parametro finale, mentre tutti gli altri e restanti aspetti (“le modalità per garantire il valore della prestazione concordato con i lavoratori dipendenti;”) avrebbero dovuto continuare ad essere disciplinati dal d.P.C.M. 18 novembre 2005, adottato sulla base di una disposizione ancora in vigore.

D. L’art. 285, comma 7, sarebbe, a sua volta, illegittimo perché, pur prevedendo formalmente due criteri di aggiudicazione (offerta economicamente più vantaggiosa e prezzo più basso), nella sostanza, attribuirebbe rilevanza esclusiva al criterio del prezzo più basso.

Ed infatti, secondo le ricorrenti, a differenza di quanto previsto dall’art. 6, comma 3, d.P.C.M. 18 novembre 2005 (che, riguardo all’offerta economicamente più vantaggiosa, prevedeva un criterio correttivo per l’attribuzione dei punteggi al fine di evitare che il conseguimento del punteggio massimo per la parte economica equivalesse ad aggiudicazione della gara per l’irrilevanza del punteggio tecnico), l’art. 285 del regolamento, senza disciplinare alcun criterio correttivo, prevede soltanto come criterio per l’attribuzione del punteggio all’offerta economica il “ribasso sul valore nominale del buono pasto” e, dunque, un mero ribasso percentuale che, secondo la tesi esposta nel ricorso, darebbe luogo a punteggi molto distanti anche in presenza di offerte che si discostassero in modo impercettibile nella percentuale di ribasso offerto.

E. Deducono, infine, le ricorrenti che il regolamento sarebbe illegittimo anche sotto un ulteriore profilo. Il regolamento, infatti, ha abrogato integralmente il d.P.C.M. 18 novembre 2005, senza, però, riproporre nell’art. 285 cit, la previsione di cui all’art. 7, comma 2, del d.P.C.M. citato secondo cui “il valore assunto a base d’asta per le gare non può essere inferiore al valore facciale del buon pasto”. Pertanto, le stazioni appaltanti – nel caso in cui optassero per il criterio del prezzo più basso – saranno libere di porre a base d’asta anche un prezzo inferiore al valore facciale del buono pasto, costringendo così le società emettitrici a partecipare alle gare in condizioni inique, alla ricerca di un continuo ribasso.

CONSIDERATO

1. I ricorsi sono inammissibili.

Deve essere dichiarato inammissibile, sia pure sulla base di ragioni diverse, sia il ricorso proposto dalla società Edenred Italia s.r.l., sia il ricorso proposto dall’associazione di categoria, l’ANSEB.

2. Per quanto riguarda il ricorso proposto dalla società Edenred Italia s.r.l., l’inammissibilità discende dal difetto di legittimazione al ricorso, risultando la società ricorrente priva di una posizione giuridica differenziata e mancando, comunque, l’attualità della lesione.

3. La generalità e l’astrattezza che caratterizza l’atto normativo fa sì che la posizione che il singolo può vantare rispetto ad essa si presenti, di regola, come posizione “indifferenziata”.

L’interesse del singolo all’eliminazione di una norma generale e astratta è, infatti, perfettamente identico a quello che può vantare qualsiasi altro soggetto che appartenga alla “platea” dei potenziali destinatari della norma regolamentare.

Viene in rilievo, in altri termini, un interesse che rassomiglia molto all’interesse diffuso, perché, così come accade appunto per gli interessi diffusi, il soggetto singolo non vanta, con riferimento all’utilità che può conseguire tramite l’annullamento della norma regolamentare, alcuna posizione differenziata, trovandosi nella stessa condizione in cui versano tutti coloro che appartengono alla collettività, più o meno ampia, interessata dalla norma regolamentare.

Tale interesse, quindi, non diversamente dall’interesse diffuso, risulta, essere “adespota”, perché privo di un titolare in capo al quale si individualizza.

È solo quando il regolamento viene applicato, e un determinato soggetto viene specificamente inciso dal provvedimento applicativo, che la posizione del singolo acquista quei tratti di peculiarità che valgono a differenziarla rispetto agli altri membri della collettività. È solo in quel momento che la sua posizione diviene differenziata.

4. A tal proposito, occorre premettere che le disposizioni regolamentari impugnate (gli artt. 285 e 358 del d.P.R. n. 207/2010) hanno certamente natura normativa. Seguendo i criteri di distinzione tra atto amministrativo ed atto normativo elaborati dalla prevalente giurisprudenza amministrativa e recentemente ripresi dall’Adunanza Plenaria nella sentenza 4 maggio 2012, n. 9, è agevole rilevare che, nel caso di specie, le disposizioni regolamentari impugnate contengono la predefinizione astratta della disciplina di un numero di casi indefinito e non determinato nel tempo. Si tratta, dunque, di prescrizioni generali e astratte, destinate a trovare applicazione indefinite volte, e i cui destinatari non sono individuabili né a priori né a posteriori.

Tali disposizioni non disciplinano, infatti, una situazione concreta, una o più gare determinate, ma sono destinate a trovare applicazione nell’ambito di tutte le gare d’appalto per l’aggiudicazione dei servizi sostitutivi di mensa che verranno bandite durante la loro vigenza.

5. Proprio la generalità e l’astrattezza che caratterizza le prescrizioni normative impugnate impedisce di ravvisare l’attualità della lesione. La lesione è, allo stato, soltanto meramente potenziale, essendo destinata a concretizzarsi ed attualizzarsi nel futuro, nel momento in cui, bandita la gara per l’aggiudicazione dei servizi sostitutivi di mensa, la stazione appaltante riterrà di fare applicazione delle contestate disposizioni regolamentari.

Soltanto allora potrà eventualmente prodursi l’effetto lesivo ed in quel momento, in sede di ricorso proposto avverso il provvedimento applicativo, le disposizioni regolamentari in questione potranno essere disapplicate dal giudice amministrativo, anche a prescindere dalla loro formale impugnazione ad opera delle parti.

In senso contrario, non può certo rilevare la circostanza che le dette disposizioni possano prefigurare una incisione futura sulla sfera giuridica di chi ne risulterà in concreto destinatario, atteso che la lesione che radica la legittimazione al ricorso deve essere attuale e non può discendere da un pregiudizio allo stato solo futuro ed eventuale. Conseguentemente, il regolamento potrà formare oggetto di contestazione, e quindi il giudice potrà verificarne l’eventuale illegittimità delle disposizioni, unitamente agli atti che di queste ultime fanno applicazione, perché è attraverso tali atti che si realizza il pregiudizio della sfera soggettiva e, quindi, si attualizza la lesione.

6. Quel che preme sottolineare è che il privato è sollevato dall’onere di impugnazione (sia immediata che differita) dell’atto regolamentare, scongiurandosi così il rischio che il regolamento, ove, appunto, non tempestivamente impugnato, finisca per divenire inoppugnabile e per consolidarsi, regolando definitivamente la situazione concreta, senza che vi sia più la possibilità per il giudice di risolvere il contrasto in favore della fonte sovraordinata.

La tesi che nega l’immediata impugnabilità del regolamento da parte del singolo non si traduce, quindi, in alcun vuoto di tutela, ma, anzi, rafforza ed amplia la possibilità di tutela giurisdizionale del singolo, consentendogli di agire, nel momento in cui la lesione si attualizza, contro l’atto applicativo che detta lesione produce, senza fargli correre il rischio di “inconsapevoli” preclusioni derivanti dalla mancata tempestiva impugnazione dell’atto regolamentare.

In quest’ottica, del resto, è evidente che, ove si ammettesse l’immediata impugnabilità del regolamento, ne discenderebbero conseguenze particolarmente penalizzanti e riduttive in relazione alla possibilità di tutela giurisdizionale dei singoli, atteso che essi avrebbero non solo la possibilità, ma anche l’onere di impugnare il regolamento, con la conseguenza che questo, ove non tempestivamente gravato, diverrebbe appunto inoppugnabile.

L’impugnabilità, infatti, non si traduce solo in una possibilità o in una facoltà, ma è anche un onere, nel senso che, se un atto può essere impugnato, esso, di regola, deve essere impugnato entro il termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità. Sotto tale profilo, infatti, i casi in cui eccezionalmente la giurisprudenza amministrativa ammette la facoltà, ma non anche il corrispondente onere di impugnare determinati atti (ad es. l’aggiudicazione provvisoria), sono del tutto eccezionali e, comunque, non sovrapponibili a quello in esame.

In altri termini, se si ritenesse che il regolamento fosse immediatamente lesivo e, quindi, impugnabile, dovrebbe ritenersi che, scaduto il termine di decadenza decorrente dalla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, esso diventerebbe “intoccabile” in sede giurisdizionale, non potendo essere più contestato dai singoli né disapplicato dal giudice. Il che appunto è un risultato fortemente limitativo della possibilità di tutela giurisdizionale.

Diverso è ovviamente il caso in cui il regolamento abbia, a dispetto del nomen iuris, un contenuto puntuale e concreto, non contenendo previsioni generali e astratte, ma disposizioni specifiche, dirette a regolare una situazione determinata. Ricorrendo tale ipotesi (che una terminologia ormai invalsa anche nel dibattito giurisprudenziale definisce con l’espressione “regolamento volizione-azione”), non vi è dubbio che, stante il contenuto provvedimentale e non normativo, ben può esservi una lesione immediata e quindi l’onere (oltre che la possibilità) di immediata impugnazione.

Non è tuttavia questo il caso di specie, non essendovi dubbio che le disposizioni regolamentari in questa sede contestate abbiano natura normativa e non provvedimentale.

7. Diverse sono invece le considerazioni che devono svolgersi con riferimento al ricorso proposto dall’associazione di categoria, l’ANSEB.

7.1. In questo caso, infatti, l’inammissibilità del ricorso discende dalla carenza di legittimazione al ricorso sotto altro aspetto.

L’associazione ricorrente è un ente collettivo, istituito per la tutela degli interessi omogenei delle imprese che operano nel settore dei servizi sostitutivi di mensa, di cui, appunto, tale associazione è ente esponenziale.

L’interesse “diffuso”, adespota e indifferenziato, di cui ogni singola impresa è titolare, si individualizza in capo all’ente esponenziale istituito per la cura e la difesa degli interessi omogenei dei soggetti appartenenti alle relativa categoria.

L’ente esponenziale, quindi, ove dotato dei necessari requisiti di rappresentatività, vanta, in linea di principio, una posizione giuridica differenziata rispetto alla contestazione dell’atto regolamentare, perché è soggetto portatore degli interessi del gruppo dei soggetti potenzialmente lesi dalla norma regolamentare illegittima.

In capo all’ente esponenziale l’interesse diffuso, se omogeneo, in quanto comune alle imprese, si soggettivizza, divenendo interesse legittimo, nella forma del c.d. interesse collettivo.

L’ente esponenziale, quindi, a differenza dei singoli, è normalmente titolare nei confronti della norma regolamentare di una posizione giuridica differenziata, che vale a radicare la sua legittimazione al ricorso.

7.2. Ugualmente, a differenza dei singoli, con riferimento all’ente esponenziale è possibile ravvisare la legittimazione al ricorso anche rispetto a disposizioni regolamentari che contengono norme generali e astratte.

La legittimazione al ricorso deve, infatti, essere valutata in relazione alla situazione giuridica soggettiva fatta valere e, quindi, si atteggia diversamente a seconda che venga dedotto in giudizio un interesse individuale oppure un interesse collettivo.

L’ente esponenziale agisce a tutela dell’interesse omogeneo del gruppo, non dell’interesse particolare del singolo. L’utilità perseguita con il ricorso non è la rimozione di una lesione già verificatasi nella sfera giuridica della singola impresa (non potendo, anzi, l’ente esponenziale giammai sostituirsi al singolo ed agire in giudizio per far valere una lesione subita dall’individuo appartenente al gruppo dei cui interessi omogenei si fa portatore), ma è la rimozione di una lesione subita dal gruppo in quanto tale.

Non vi è dubbio che la norma regolamentare, pur non potendo, per il suo carattere di generalità e astrattezza, provocare un pregiudizio immediato in capo al singolo (che sarà inciso solo dal provvedimento applicativo), può, tuttavia, essere fonte di prescrizioni che colpiscono indistintamente, in maniera indifferenziata, l’interesse omogeneo di tutti gli appartenenti alla categoria. È questo interesse omogeneo che è oggetto della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare l’ente esponenziale.

La lesione di tale interesse omogeneo, proprio perché indifferenziato e seriale, non può essere fatta valere dal singolo (essendo questi privo appunto di legittimazione al ricorso), ma può certamente essere fatta valere dall’ente in capo al quale quell’interesse si soggettivizza. In questo caso, infatti, la legittimazione al ricorso nasce proprio dalla lesione dell’interesse collettivo (da intendersi come interesse omogeneo degli appartenenti alla categoria rappresentata). Tale lesione non è potenziale e futura, ma è attuale ed immediata, verificandosi come immediata e diretta conseguenza dell’introduzione nell’ordinamento di una prescrizione che, in maniera generale e astratta, arreca un vulnus agli interessi indifferenziati, e quindi omogenei, della categoria.

In questo caso, non è necessario aspettare il provvedimento applicativo affinché la lesione si attualizzi. Il provvedimento applicativo adottato nei confronti di una determinata impresa avrà, infatti, l’effetto di differenziare la posizione del soggetto che ne è destinatario, consentendogli di adire autonomamente gli organi di giustizia per tutelare la propria posizione individuale. Al contrario, trattandosi di tutelare gli interessi del gruppo, appare evidente che il gruppo è leso per il solo fatto dell’introduzione nell’ordinamento di una norma il cui contenuto arreca una menomazione a tutti gli appartenenti alla categoria rappresentata.

7.3. Del resto, con riferimento all’ente esponenziale, la tecnica di tutela contro i regolamenti illegittimi limitata alla loro disapplicazione in sede di ricorso avverso il provvedimento applicativo, si potrebbe rivelare insoddisfacente, rischiando di determinare un insormontabile ostacolo alla tutela giurisdizionale, atteso che in molti casi l’ente – la cui legittimazione non è mai sostitutiva rispetto alla legittimazione al ricorso dei singoli – potrebbe non essere legittimato ad impugnare il provvedimento applicativo.

È evidente allora che con riferimento all’ente esponenziale non ha senso differire la possibilità di tutela all’adozione del provvedimento applicativo. Quella che, per i singoli, rappresenta una soluzione coerente con l’effettività della tutela giurisdizionale (in quanto evita, come si è già evidenziato, che la mancata impugnazione immediata del regolamento possa determinare preclusioni definitive) si tradurrebbe per gli enti collettivi, in una forte limitazione della possibilità di azione per la tutela degli interessi alla categoria. Si avrebbe un vulnus evidente al principio di effettività della tutela giurisdizionale, quale consacrato, oltre che dagli artt. 24 e 113 Cost., dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali

7.4. Da qui la conclusione secondo cui gli enti esponenziali di interessi collettivi possono direttamente impugnare gli atti regolamentari illegittimi, prima che questi siano oggetto di specifica applicazione nei confronti dei singoli appartenenti alla categoria di riferimento, per chiederne l’annullamento, al fine di tutelare interessi omogenei degli appartenenti al gruppo e cioè la situazione giuridica soggettiva della quale sono titolari.

8. Tale possibilità di tutela immediata attivabile da parte dell’ente esponenziale richiede, quindi, quale condizione imprescindibile che l’interesse che si fa valere, in sede di ricorso avverso l’atto regolamentare, sia appunto un interesse omogeneo, ovvero un interesse comune a tutti gli appartenenti alla collettività rappresentata.

L’ente collettivo non può agire a tutela degli interessi di alcuni appartenenti al gruppo contro gli altri, venendo altrimenti meno la sua funzione e la sua stessa ragion d’essere e, quindi, l’interesse collettivo del quale l’ente è titolare.

L’ente esponenziale è, per così dire, lo “strumento” elaborato dalla giurisprudenza per consentire la giustiziabilità dei c.d. interessi diffusi, cioè degli interessi omogenei e indifferenziati degli appartenenti alla categoria. È attraverso la costituzione dell’ente esponenziale che l’interesse diffuso, sino a quel momento adespota e indifferenziato, si soggettivizza e si differenzia, assurgendo al rango di interesse legittimo meritevole di tutela giurisdizionale.

Ma l’interesse diffuso (che attraverso l’ente esponenziale diviene interesse collettivo e quindi interesse legittimo) è per sua natura indifferenziato, omogeneo, seriale, comune a tutti gli appartenenti alla categoria.

È proprio questo profilo che consente di introdurre un “filtro” o un criterio di selezione al riconoscimento della legittimazione al ricorso degli enti esponenziali: condizione imprescindibile è che l’ente faccia valere un interesse omogeneo della categoria, che l’atto impugnato leda l’interesse di tutti, e non di alcuni contro altri.

Laddove, al contrario, l’atto impugnato è fonte di un potenziale conflitto di interessi tra gli appartenenti alla categoria, nel senso che, pur ledendo alcuni, potrebbe, tuttavia, avvantaggiare altri, non vengono certamente in rilievo interessi diffusi o collettivi. In questo caso, non è più in discussione l’interesse della categoria nella sua unitarietà, ma, all’interno del gruppo, l’interesse particolare di alcuni contro l’interesse particolare di altri.

Trattandosi allora di interessi particolari (sebbene, eventualmente, comuni ad una pluralità di soggetti) la legittimazione non potrà che essere dei singoli, che potranno ricorrere se e quando la lesione, nei loro confronti, si attualizza.

9. Applicando tali principi, occorre allora chiedersi se, nel caso di specie, ricorra o meno questa situazione di omogeneità dell’interesse fatto valere rispetto agli appartenenti alla categoria rappresentata dall’associazione ricorrente.

Al quesito deve darsi risposta necessariamente negativa.

L’ente ricorrente è l’Associazione Nazionale Società Emettitrici di Buoni Pasto. Si tratta, quindi, di un ente che rappresenta gli interessi delle società che emettono buoni pasto ed operano nel relativo mercato.

Essa contesta le disposizioni regolamentari impugnate lamentando, nella sostanza, che darebbero un peso eccessivo, ai fini dell’aggiudicazione delle gare per i servizi sostitutivi di mensa, al criterio del prezzo più basso, rispetto alla qualità tecnica dell’offerta.

Ciò che si contesta, quindi, è la disciplina regolamentare dei criteri di aggiudicazione, nella misura in cui tale disciplina premia, in maniera ritenuta sproporzionata ed eccessiva, l’aspetto economico rispetto ad altri possibili criteri di valutazione.

Il potenziale conflitto di interessi è in questo caso immanente.

È evidente, infatti, che la disciplina regolamentare contestata, proprio nella misura in cui attribuisce un peso particolare all’aspetto economico (il prezzo dei buoni pasto) possa, da un lato, pregiudicare gli interessi di alcune imprese (quelle che non puntano sul prezzo ma su altri elementi competitivi), ma, al tempo stesso, senz’altro avvantaggiare quelle imprese, che, invece, puntano sul prezzo e che, proprio grazie alla nuova disciplina introdotta dal regolamento impugnato, potrebbero aggiudicarsi gare che altrimenti non avrebbero possibilità di vincere.

Conferma tali conclusioni proprio l’esempio descritto nel ricorso (pag. 11) per illustrare gli effetti della nuova disciplina regolamentare e le differenze rispetto al d.P.C.M. 18 novembre 2005 di cui si lamenta l’illegittima abrogazione.

In quell’esempio si citano due potenziali concorrenti (A e B) e si mette in evidenza come, utilizzando il criterio adottato dal nuovo regolamento, il concorrente A (che ha offerto un ribasso del 10%) otterrebbe 26,65 punti, mentre il concorrente B (che ha offerto un ribasso del 18,76%) otterrebbe 50 punti, con una differenza tra i due pari a 23,35 punti.

Al contrario, utilizzando i criteri del d.P.C.M. abrogato, il concorrente A (con lo stesso ribasso offerto del 10%) otterrebbe 45,15 punti, mentre il concorrente B (sempre con lo stesso ribasso del 18,76%) otterrebbe 50 punti, con una differenza che si riduce a 4,84 punti.

È evidente allora che, come risulta proprio dall’esempio riportato, rispetto all’impugnazione delle disposizioni regolamentari in questione, l’ipotetico concorrente A ha certamente un interesse all’annullamento, che si scontra però con l’interesse contrario dell’ipotetico concorrente B, che è invece avvantaggiato dalla nuova disciplina ed ha interesse a conservarla.

Ed allora, è certamente da escludere che l’ente esponenziale della categoria possa oggi agire per la tutela dell’interesse dell’ipotetico concorrente A, in conflitto con l’interesse dell’ipotetico concorrente B.

Manca, in definitiva, il requisito dell’omogeneità dell’interesse fatto valere, perché le disposizioni regolamentari impugnate non creano una lesione omogenea e indifferenziata, ma ledono alcuni a vantaggio di altri, il che esclude ogni legittimazione dell’ente esponenziale.

Ne discende anche l’inammissibilità del ricorso proposto dall’ANSEB.

 

P.Q.M.

esprime il parere nel senso che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili.