IMPORTANTI CHIARIMENTI SULL’USUCAPIONE DEI FONDI ILLEGITTIMAMENTE ESPROPRIATI

FATTO
Gli odierni appellati adivano il TAR Palermo chiedendo l‟annullamento del decreto assessoriale n. 1669 Gr. 9 del 26 novembre 1984 avente ad oggetto l‟occupazione permanente e definitiva in favore del Demanio della Regione Sicilia – ramo Agricoltura e Foreste, dei beni immobili siti nel Comune di Palermo e Belmonte Mezzagno, contrada Falsomiele, distinti al foglio 98, part.32 HA4.15.83 e, per l‟effetto, l‟annullamento di ogni altro atto presupposto e consequenziale o comunque connesso con quello impugnato.
I ricorrenti in primo grado esponevano che:
a) in data 3 maggio 1952 l‟Amministrazione forestale aveva adottato un provvedimento di occupazione temporanea dei terreni prima indicati e che tale provvedimento non era stato notificato all‟allora proprietaria sig.ra Meers Hella;
b) la proprietà dei terreni oggetto di tale occupazione era stata, nel corso degli anni, oggetto di ripetuti atti di frazionamento e di cessione;
c) i proprietari del fondo non avevano ricevuto comunicazione alcuna in merito alla procedura espropriativa in corso e che, avendo avuto notizia, dopo molti anni, dell‟avvenuta emanazione di un decreto di occupazione permanente e definitiva, avevano tentato di risolvere
bonariamente la controversia per mezzo della nota inviata alla P.A. procedente in data 21 settembre 2007;
d) a seguito del mancato riscontro a tale tentativo, avevano avanzato un‟istanza di accesso che, conclusasi positivamente, aveva permesso loro di venire a conoscenza del decreto di espropriazione oggi gravato.
Si costituiva l‟Amministrazione Forestale eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito in considerazione dell‟asserita qualificazione della controversia in termini di contestazione di usucapione e contestando, comunque, la prescrizione di qualsiasi pretesa pecuniaria.
L‟adito TAR, disattesa l‟eccezione di difetto di giurisdizione, accoglieva il ricorso «… sotto l‟assorbente profilo della mancanza delle garanzie partecipative, in quanto dalla istruttoria fatta dal collegio è emerso che, malgrado l‟avvenuto trasferimento della proprietà del terreno in questione, nessuna comunicazione del decreto espropriativo è stata fatta ai ricorrenti …». Il TAR faceva comunque salva la possibilità, per l‟Amministrazione, di adire il giudice ordinario ai fini dell‟accertamento dell‟intervenuta usucapione.
Avverso tale decisione l‟Amministrazione proponeva appello e, nel giudizio di impugnazione, resistevano gli interessati.
All‟udienza del 22 novembre 2012 l‟appello passava in decisione.

 

DIRITTO
1. Deve preliminarmente osservarsi, che la controversia in esame ha ad oggetto i rapporti tra l‟istituto dell‟espropriazione per pubblica utilità e quello dell‟usucapione civilistica ex art. 1158 c.c.

1.1. L‟interazione dell‟istituto dell‟usucapione con le problematiche relative alle varie forme di espropriazione per pubblica utilità di beni privati, invero, si è atteggiata in maniera diversa a seconda del momento storico.
In un primo periodo, come è noto, l‟elaborazione giurisprudenziale ha dato vita, nelle varie ipotesi di occupazione illegittima di beni privati da parte della P.A., all‟istituto della “occupazione appropriativa” (o acquisitiva). Per la giurisprudenza, la destinazione irreversibile del suolo
illegittimamente occupato comportava, oltre all‟acquisto della proprietà del suolo a titolo originario da parte dell‟ente pubblico, la contestuale estinzione del diritto di proprietà in capo al privato che poteva solo ottenere il risarcimento del danno (Cass., s.u., 26 febbraio 1983 n. 1464). Superato il tentativo di allungare il termine di prescrizione dell‟azione risarcitoria sino a dieci anni attraverso l‟elaborazione della (ormai disattesa) nozione di “espropriazione sostanziale” (Cassazione civile, sez. I, 11 luglio 1990, n. 7210), in una situazione siffatta, era pacificamente ammesso il diritto del privato di chiedere ed ottenere il risarcimento del danno derivante dalla perdita definitiva del bene
entro il termine di prescrizione quinquennale, essendo l‟occupazione riconducibile ad un illecito extracontrattuale (Cass., s.u. 25 novembre 1992 n. 12546; con ricostruzione confermata anche da Corte Cost., 23 maggio 1995, n. 188). Il “dies a quo” di tale termine prescrizionale veniva ancorato al momento dell‟irreversibile trasformazione del suolo oggetto di occupazione sul presupposto che
in tale momento si verificasse l‟acquisizione dell‟immobile da parte dell‟Amministrazione secondo il modello della c.d. “accessione invertita”.
1.2. È evidente che sino a questo momento poco rilievo poteva avere l‟applicazione dell‟istituto dell‟usucapione – che, come è noto, ri-chiede il decorso, in capo all‟usucapiente, del possesso continuato ed ininterrotto, non violento né clandestino, protratto per un ventennio (art. 1158 c.c.)
– perché la proprietà passava in capo all‟amministrazione al momento dell‟irreversibile trasformazione e perché, decorsi i cinque anni, si prescriveva l‟azione risarcitoria esperibile dal privato.
1.3. Successivamente la giurisprudenza amministrativa ed il Legislatore, anche sotto la spinta di istanze sovra-nazionali, hanno chiarito che la pubblica amministrazione non può divenire proprietaria del suolo sulla base di un atto illecito (quale è appunto la realizzazione dell‟opera pubblica in assenza di un valido titolo ablativo) e che nessun acquisto della proprietà di un‟area può esservi in assenza di un legittimo atto ablatorio; conseguentemente rimane l‟obbligo per l’amministrazione di restituire al proprietario il bene di cui è stato illegittimamente privato (Cons. St., IV, 2 settembre 2011 n. 4970). Tali principi sono stati affermati sia per arginare le condanne
chela Corte EDUaveva rivolto alla disciplina italiana in materia di espropriazioni (ex multis Corte europea dir. uomo, 30 maggio 2000) sia per rendere conforme la disciplina nazionale al principio di legalità.
Ciò ha comportato la sostituzione dell‟istituto di origine pretoria con quello dell‟occupazione sanante previsto dall‟art. 43 T.U. espropriazione (d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) che – vigente prima del-la pronuncia di incostituzionalità (Corte Cost., 8 ottobre 2010 n. 293) a seguito della quale è stato sostituito con il nuovo art. 42 bis – attribuiva, come è noto, alla p.a. il potere discrezionale di acquisire in sanatoria la proprietà delle aree illegittimamente occupate nell‟interesse pubblico.
1.4. Attualmente in forza della nuova disciplina – come detto prima introdotta con l‟articolo 43 d.P.R. 327/2001, e poi riproposta (con rilevanti modifiche) dall‟articolo 42 bis d.P.R. cit. – la trasformazione del fondo seguita alla realizzazione dell‟opera pubblica non determina più né l‟acquisto della proprietà dell‟area in capo alla p.a. procedente né tantomeno la cessazione dell‟illecito (Cons. St., a. plen., 29 aprile 2005, n. 2). Al contrario, la situazione antigiuridica originata dall‟occupazione illegittima, colorandosi dei caratteri della permanenza, si protrae fino
all‟adozione dell‟atto di acquisizione sanante, produttivo dell‟effetto traslativo della proprietà in favore della p.a. utilizzatrice (C.G.A., 18 febbraio 2009 n. 50 e, nello stesso senso, C.G.A., 25 maggio 2009 n. 483). La giurisprudenza, difatti, qualifica in termini di illecito permanente ogni forma di occupazione illegittima “cui non è possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell‟illecito (e certamente non è applicabile il termine quinquennale di prescrizione dalla cd. irreversibile destinazione del fondo a finalità pubblicistiche)” (Cons. St., IV, 31 maggio 2011, n. 3294). L‟illecita occupazione permane fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all‟acquisto della proprietà individuabili nel contratto – tramite l‟acquisizione del consenso della controparte («… resta fermo il dovere dell’Amministrazione di addivenire a un accordo transattivo con gli appellati che determini il
definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile, accompagnandosi anche al doveroso risarcimento del danno da occupazione illegittima …», Cons. St., IV, 28 gennaio 2011 n. 676) – o nell‟adozione di un provvedimento ex articolo 42 bis d.P.R. cit. (Cons. St., IV, 16 marzo 2012 n. 1514). Da ciò deriva, tra l‟altro, che il diritto del proprietario al risarcimento del danno potrà essere fatto valere anche a distanza di molto tempo.
1.5. In questo mutato contesto sia in ragione della natura permanente dell‟illecito sia in considerazione della possibilità riconosciuta al privato di richiedere la restituzione del bene anche a distanza di anni, gioca un ruolo importante l‟istituto dell‟usucapione definito dalla dottrina come “il mezzo in virtù del quale, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e, talora, di altri requisiti, si produce l‟acquisto della proprietà e dei diritti reali di godimento”.
La ratio dell‟usucapione (inquadrabile tra i modi di acquisto a titolo originario della proprietà) deve essere ricercata “nell‟esigenza di rendere certa e stabile la proprietà”, nella necessità di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto che si è protratta per lungo tempo e “dal punto di vista sociale” nella volontà di “favorire” chi utilizza il bene impiegandolo in modo produttivo.
L‟usucapione (o prescrizione acquisitiva) disciplinata agli articoli 1158 e segg. c.c. ha in comune con la prescrizione estintiva ex articolo 2934 e segg. c.c. sia il decorso del tempo sia l‟inerzia del titolare del diritto; tuttavia tramite l‟usucapione si realizza in favore di colui che, senza essere proprietario possiede il bene, l‟acquisto a titolo originario della proprietà, mentre con la prescrizione estintiva si estingue “solamente” il diritto non esercitato.
Applicando tali generali concetti alla materia dell‟espropriazione per pubblica utilità, va ricordato che, sino a quando con l‟irreversibile trasformazione del bene l‟amministrazione acquistava la proprietà del fondo illegittimamente espropriato (o occupato), si poneva solo un problema di individuazione del termine di prescrizione del diritto del proprietario ad ottenere il risarcimento del danno (che, come detto, era stato fissato in cinque anni ex articolo 2947 c.c.).
Venuto oggi meno quel quadro di riferimento ed accertata l‟im-possibilità di collegare all‟irreversibile trasformazione del bene l‟acquisto della proprietà da parte dell‟amministrazione, si realizza la permanenza del diritto di proprietà in capo al privato destinatario di un‟illegittima
espropriazione o occupazione con conseguente possibilità per costui di rivendicare la cosa “da chiunque la possiede o la detiene” (articolo 948, comma 1, c.c.) senza termine di prescrizione (articolo 948, comma 3, c.c.) nonché di chiedere il risarcimento dei danni patiti.
In tale contesto sia in ragione del chiaro disposto dell‟articolo 948, comma 3, c.c. – ove espressamente si stabilisce che l‟azione di rivendicazione non si prescrive ma si fanno salvi gli effetti dell‟acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione – sia per l‟esigenza di „disciplinare‟ l‟uso del bene privato compiuto dall‟amministrazione per lunghi periodi di tempo, si è posta la necessità di comprendere in che termini possa operare l‟usucapione acquisitiva in favore dell‟amministrazione considerata dalla giurisprudenza di primo grado quale “valvola di sicurezza” del sistema.
L‟importanza dell‟istituto risulta, in effetti, evidente ove si consideri che lo stesso permette di ricondurre nel sistema degli artt. 922 e ss. c.c. una vicenda fino ad allora connotata da lata illiceità: l‟amministrazione, infatti, diviene proprietaria a titolo originario dell‟immobile quale conseguenza del suo possesso protratto per vent‟anni che, altrimenti, stante proprio il carattere permanente dell‟illecito commesso e la ricordata sterilizzazione degli effetti della prescrizione, comporterebbe l‟indefinito protrarsi di una situazione di incertezza, caratterizzata, per un verso, da un utilizzo sine titulo di un bene ancora privato ma di fatto in mano pubblica, e, per altro verso, dalla possibilità di un perpetuo esercizio, da parte del privato, di un‟azione di rivendicazione e di risarcimento del danno.
È proprio l‟avvenuta usucapione ventennale del bene espropriato illegittimamente, quindi, che la giurisprudenza dei TAR ha costantemente indicato quale limite temporale alla possibilità di intraprendere un‟azione di risarcimento del danno da parte del privato (T.A.R. Lazio, Roma, II, 14 aprile 2011, n. 3260; T.A.R. Sicilia, Palermo, 1 febbraio 2011, n. 175; T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 21 gennaio 2011, n. 115) precisando anche che il possesso ventennale ininterrotto estingue non solo ogni sorta di tutela reale spettante al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al risarcimento dei danni subiti poiché retroagendo gli effetti della usucapione , quale acquisto a titolo originario, al momento dell‟iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, «viene meno
“ab origine” il connotato di illiceità del comportamento della P.A. che occupava “sine titulo” il bene poi usucapito (cfr. Cass. civile, sez. II, 24 febbraio 2009 n. 4434)» (T.A.R. Palermo, III, 6 dicembre 2011, n. 2278 e negli stessi termini Cass., 8 settembre 2006 n. 19294).
1.6. Una volta risolto il problema circa l‟applicazione dell‟usucapione anche in favore della p.a. (e, ovviamente, non il contrario – usucapione di beni pubblici da parte di soggetti privati – stante il carattere di demanialità dei beni pubblici), occorre valutare il “dies a quo” a partire dal quale inizia a decorrere il periodo necessario per la sua maturazione. Al riguardo possono prospettarsi diverse ipotesi.
Un primo caso ipotizzabile è quello della pubblica amministrazione che occupa, con comportamento di mero fatto, il fondo di proprietà del privato. In tale ipotesi non v‟è dubbio che l‟occupazione – a condizione che non sia violenta o clandestina ex articolo 1163 c.c. – determina
l‟inizio del possesso valido per il maturare dell‟usucapione. L’occupazione usurpativa di un fondo da parte della P.A., infatti, è compatibile con l’usucapione del fondo medesimo da parte dell’ente occupante, in quanto la totale assenza dei presupposti di esercizio del potere ablativo, che connota detta occupazione, lascia intatta la facoltà del proprietario di rivendicare il bene, col limite di diritto comune dell’intervenuta usucapione. Perla Cassazione, inoltre, non rileva, in senso contrario, la facoltà di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, essendo l’acquisto postumo del diritto di proprietà logicamente incompatibile con l’intervenuto acquisto retroattivo del medesimo diritto a titolo di usucapione (Cass., 4 luglio 2012 n. 11147).
Un secondo caso ipotizzabile è quello relativo alla mancata adozione del provvedimento di esproprio nei termini previsti (articolo 22 bis, comma 6, d.P.R. cit.) quando il fondo viene occupato in via d‟urgenza e in vista dell‟espropriazione ai sensi dell‟articolo 22 bis d.P.R. 327/2001. In siffatta ipotesi, non v‟è dubbio che per un primo periodo l‟amministrazione legittimamente occupa il fondo in qualità di detentore e conseguentemente tale rapporto di fatto con la cosa non è utile per far maturare l‟usucapione trattandosi, si ripete, di detenzione e non anche di possesso.

Scaduto il termine di occupazione legittima, la mancata restituzione del fondo legittimamente occupato ma non (altrettanto legittimamente) espropriato, la protrazione dei lavori sul fondo per la realizzazione dell‟opera pubblica o l‟utilizzazione dell‟opera ivi realizzata (sempre in assenza di decreto di esproprio) possono certamente qualificarsi come atti di opposizione nei confronti del proprietario-possessore, compiuti dall‟amministrazione, ex articolo 1141, comma 2, c.c., per trasformare la (originaria) detenzione in possesso. Conseguentemente, verificandosi il mutamento della detenzione in possesso, inizierà a decorrere il termine utile per realizzare l‟acquisto a titolo originario ai sensi dell‟articolo 1158 c.c.
Un terzo caso ipotizzabile è quello dell‟immissione in possesso in esecuzione di un decreto di esproprio successivamente annullato dal giudice amministrativo. In casi siffatti non v‟è dubbio, a giudizio del Collegio, che il possesso (e non anche la proprietà in ragione dell‟effetto retroattivo dell‟annullamento giurisdizionale del decreto di esproprio) sia acquisito dall‟amministrazione dal momento dell‟im-missione in possesso (articoli 23-24 d.P.R. 327/2001).
2. I rapporti tra usucapione ed espropriazione sono rilevanti anche con riferimento alla giurisdizione.
L‟art. 133 comma 1, lett. g) c.p.a. devolve, come noto, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi ed i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all‟esercizio di un pubblico potere della p.a. in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Il G.A., inoltre, ex art. 8 c.p.a. può conoscere, seppur solo in via incidentale e senza efficacia di giudicato “tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale”; pertanto, ai sensi dell‟art. 8 sunnominato, il giudice amministrativo ha il potere di pronunciarsi, incidenter tantum, soltanto su questioni pregiudiziali, ancorché veicolate in via di eccezione, attinenti a diritti (con esclusione, in ogni caso, dell‟incidente di falso e delle questioni sullo stato e capacità delle persone), ai circoscritti fini della soluzione della vertenza ad esso demandata in via principale.
In particolare, per ciò che riguarda la materia oggetto d‟esame può sottolinearsi, quindi, la possibilità per il Giudice amministrativo di esaminare l‟eccezione (di tipo riconvenzionale) avanzata in via incidentale ai sensi dell‟art. 8 citato, trattandosi di una questione rientrante tra quelle indicate dal primo comma di tale articolo.
Al giudice ordinario, per contro, sono devolute tutte le controversie relative all‟accertamento del possesso ventennale ininterrotto necessario per l‟usucapione in quanto ove l‟interesse dei ricorrenti fosse da correlarsi unicamente al dedotto diritto di proprietà, derivante dall‟acquisto a titolo originario per intervenuta usucapione, sulla controversia deve pronunciarsi il giudice ordinario.
3. Ciò premesso in via generale, si può passare all‟esame dei motivi di appello avanzati dall‟amministrazione.
Per parte appellante il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso.
3.1. Per l‟Amministrazione la giurisdizione sulla controversia spetterebbe al giudice ordinario perché la domanda originaria non poteva essere decisa separatamente dall‟accertamento dell‟intervenuta usucapione (pagina 6 dell‟atto di appello) e comunque perché la domanda di primo grado avrebbe dovuto più correttamente qualificarsi in termini di azione tendente a far accertare il mancato perfezionamento dell‟usucapione stessa sul bene degli appellati (pagina 4 dell‟atto di appello).
3.2. Relativamente alla seconda deduzione il Collegio rileva che il ricorso in primo grado deve qualificarsi come azione diretta a chiedere l‟annullamento del decreto di esproprio assessoriale e dunque come giudizio pacificamente riconducibile alla giurisdizione esclusiva in materia di espropriazioni per pubblica utilità; la domanda degli originari ricorrenti, difatti, non è volta a contestare la maturata usucapione ma ad ottenere l‟annullamento dell‟atto impugnato.
Con riferimento al primo rilievo, invece, questo Consiglio ritiene di aderire al principio, recentemente esposto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “fermo restando il principio generale dell‟in-derogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione, derivante dal fondamento costituzionale del riparto, nel caso di domande e cause tra di loro connesse soggette a diverse giurisdizioni, in via di principio va attribuita ciascuna delle cause contraddistinte da diversità di petitum al giudice che ha il potere di conoscerne, secondo una valutazione da effettuarsi sulla base della domanda” (Cass., s.u., 7 giugno 2012, n. 9185). Da quanto detto emerge, pertanto, la correttezza dell‟operato del giudice di primo grado che ha “trattenuto” la sua giurisdizione con riferimento alla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato.
4.1. Col secondo motivo di gravame l‟appellante correttamente richiama l‟art. 8 c.p.a. in applicazione del quale il giudice amministrativo può accertare l‟intervenuta usucapione al fine di pervenire ad un‟eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso originario per difetto di interesse. Sostiene l‟Amministrazione, infatti, che l‟annulla-mento del decreto di esproprio non sortirebbe alcun effetto satisfattorio delle pretese dei ricorrenti in primo grado poiché questi ultimi non potrebbero più considerarsi proprietari – essendo maturata l‟usucapione in favore dell‟amministrazione appellante – e conseguentemente vi sarebbe una carenza di interesse all‟annullamento di un provvedimento riferito ad un bene ormai non rientrante nella loro sfera giuridica.
4.2. Anche questo secondo motivo di appello non può trovare accoglimento.
Se per un verso, non v‟è dubbio che il giudice amministrativo può accertare la maturata usucapione incidenter tantum, senza efficacia di giudicato ex art. 8 c.p.a., per altro verso, deve rilevarsi, però, che l‟eccezione così come proposta dall‟appellante è inammissibile.
La circostanza che l‟amministrazione ha la proprietà dell‟immobile in forza di usucapione per possesso ultraventennale è priva di prova e rappresenta una pretesa circa la quale non sussiste, allo stato, alcun accertamento avente rilevanza giuridica. Infatti, il possesso ventennale dell‟immobile da parte dell‟Amministrazione è rimasto privo di riscontro probatorio essendo la mera dichiarazione circa il possesso ultraventennale del suolo occupato non sufficiente se non sorretta dalla necessaria dimostrazione di tutti i presupposti richiesti dalla disciplina civilistica in tema di usucapione. L‟insussistenza di prove a sostegno della pretesa avanzata dall‟Amministrazione
comporta, pertanto, il rigetto anche di tale motivo di gravame.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

5. Alla soccombenza segue la condanna dell‟appellante al pagamento, in favore delle parti appellate costituite, delle spese di questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi € 3.000 (tremila/00) oltre IVA e CP se dovute.

 

P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa perla Regione Sicilianain sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge.

Condanna l‟appellante al pagamento in favore delle parti appellate costituite delle spese di questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi € 3.000 (tremila/00) oltre IVA e CP se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Palermo il 22 novembre 2012 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa perla Regione Sicilianain sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: