RESPONSABILITÀ SENZA COLPA DELLA STAZIONE APPALTANTE IN CASO DI AGGIUDICAZIONE ILLEGITTIMA

1. L’assenza, nella disciplina comunitaria degli appalti, di qualsivoglia riferimento ad un’indagine in ordine all’elemento soggettivo della responsabilità, lungi dall’essere una dimenticanza, si spiega ponendo mente al fatto che, di norma, la via del risarcimento per equivalente viene percorsa qualora risulti preclusa quella della tutela in forma specifica; la reintegrazione in forma specifica rappresenta, peraltro, in ambito ‘amministrativo l’obiettivo tendenzialmente primario da perseguire e il risarcimento per equivalente costituisce invece una misura residuale, di norma subordinata all’impossibilità parziale o totale di giungere alla correzione del potere amministrativo, come dimostra, d’altra parte, anche la vicenda giurisprudenziale e normativa relativa alla dichiarazione di inefficacia del contratto d’appalto, come da ultimo risolta per effetto del d.lgs. n. 53/2010, le cui previsioni sono confluite nel Codice del processo amministrativo agli artt. 121 e ss. In tal modo, dunque, il ricorrente che non ottiene direttamente il bene della vita a cui aspira, ossia la riedizione della gara o l’aggiudicazione definiva può aspirare alla monetizzazione del pregiudizio subito; se, tuttavia, anche tale ultima via di ristoro venisse resa impraticabile o assolutamente impervia, il privato rischierebbe di restare sprovvisto di qualsiasi forma di tutela.

 

2. Nel caso di annullamento dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, il mancato utile spetta nella misura integrale solo se si dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione. In difetto di tale dimostrazione, che compete comunque al concorrente fornire, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, considerato anche che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno.

 

00966/2013REG.PROV.COLL.

N. 04805/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4805 del 2009, proposto da:
La Ferlita Costruzioni Spa, rappresentato e difeso dall’avv. Santi Pappalardo, con domicilio eletto presso Federica Trionfetti in Roma, via Ernesto Nathan, 102;

contro

Azienda Padova Servizi – Aps Spa, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Testa, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA: SEZIONE I n. 00087/2009, resa tra le parti, concernente RISARCIMENTO DANNI PER MANCATA AGGIUDICAZIONE LAVORI

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Padova Servizi – Aps Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2012 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti gli avvocati Santi Pappalardo e Andrea Manzi su delega dell’avv. Mario Testa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La Ferlitacostruzioni ha partecipato alla gara indetta dall’AMAG – Azienda Speciale del Comune di Padova (oggi Azienda Padova Servizi – A.P.S. s.p.a.) con lettera invito del 16.5.1996 , per l’affidamento dei lavori di esecuzione del quarto stralcio funzionale della terza condotta di adduzione idropotabile delle falde del Vicentino.

La gara venne aggiudicata alla società COLING, ma avverso quell’aggiudicazionela Ferlitaproponeva ricorso dinanzi al T.A.R. Veneto, lamentando che ove fossero stati esclusi dalla gara due raggruppamenti concorrenti (ivi indicati), od anche alternativamente uno qualsiasi dei due, per le ragioni ivi esposte, l’appalto avrebbe dovuto aggiudicarsi in suo favore, in considerazione del criterio di aggiudicazione prescelto dalla stessa Stazione appaltante.

Con sentenza n. 823/97 il T.A.R. respingeva il ricorso.

La sentenza veniva gravata in appello dall’interessata e, con sentenza n. 4190/2001 questo Consiglio , accogliendo entrambi i motivi di impugnazione, ne disponeva la riforma annullando i provvedimenti impugnati in primo grado .

Tuttavia, il Consiglio non si pronunciava sulla domanda risarcitoria frattanto proposta nel giudizio d’appello a seguito della novella introdotta con il D. Lgs. 80/98 , rilevando che la formulazione della pretesa avrebbe dovuto seguire il doppio grado di giudizio.

L’odierna appellante proponeva quindi dinanzi al T.A.R. Veneto nuovo ricorso, rubricato al n. 2303/01, chiedendo il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti esposti.

Il ricorso veniva discusso all’udienza del 10 luglio 2008 e, con la sentenza n. 87/09, il T.A.R. lo respingeva.

Avverso detta sentenzala Ferlitaha interposto l’odierno appello, chiedendone l’integrale riforma.

Si è costituita in giudiziola ACEGAS-APSchiedendo la reiezione del gravame e proponendo altresì ricorso incidentale .

Con specifiche memorie, le parti hanno insistito nelle rispettive tesi giuridiche.

Alla pubblica udienza del 29 maggio 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. Va esaminato preliminarmente l’appello incidentale, siccome volto a paralizzare la pretesa risarcitoria avanzata dalla Ferlita con il ricorso introduttivo del giudizio.

2. Con il primo motivo , ACEGAS-APS assume che il diritto al risarcimento del danno per equivalente , chela Ferlitaha preteso far valere con il ricorso introduttivo di primo grado , dovrebbe ritenersi estinto per prescrizione, in quanto alla data del 22 ottobre 2001- quando è stato notificato il ricorso introduttivo avanti il T.A.R. Veneto- era già abbondantemente decorso il termine quinquennale entro il quale la ricorrente avrebbe dovuto esercitare detto diritto per evitarne l’estinzione.

A suo dire, infatti, quantomeno dal 25 giugno 1996 (quando è stata disposta l’aggiudicazione definitiva dell’appalto) o al più tardi dal 16 ottobre 1996, data di sottoscrizione del ricorso proposto avanti il T.A.R. per il Veneto avverso l’aggiudicazione definitiva, il danno di cuiLa Ferlitachiede il ristoro si era già in concreto verificato e a questa rivelato in tutte le sue componenti e, dunque, sarebbe imputabile unicamente alla volontà di quest’ultima la decisione di avere allora circoscritto il petitum alla sola reintegrazione in forma specifica.

In definitiva , al più tardi in data 16 ottobre 2001 il preteso diritto al risarcimento per equivalente si sarebbe definitivamente estinto e non poteva dunque essere fatto valere con il ricorso in primo grado, notificato il 22 ottobre 2001.

Deduce, pertanto , che erroneamente il giudice di prime cure avrebbe respinto l’eccezione affermando che “la responsabilità per lesione da interesse legittimo — come per l’appunto avvenuto nel caso di specie — configura nei confronti della Pubblica Amministrazione la violazione di obblighi da «contatto sociale qualificato», che fa sorgere il diritto al risarcimento del danno sulla base di una responsabilità non riconducibile al modello aquiliano (art. 2043 c.c.), ma ad una responsabilità da inadempimento assimilabile a quella contrattuale come contemplata dall’art. 1218 c.c.” con conseguente applicazione, del termine prescrizionale decennale per il risarcimento dei danni.

2.1. La censura non può trovare accoglimento.

Ed invero, a prescindere dalla questione relativa al termine prescrizionale nella specie applicabile, osserva il Collegio come lo stesso sia stato comunque interrotto in data 16 giugno 2000, con la notifica della domanda risarcitoria cheLa Ferlitaha proposto nell’ambito del giudizio dinnanzi a questo Consiglio di Stato (R.G. 7071/07) per la riforma dell’originaria sentenza n. 823/97, con cui il TAR ha a suo tempo respinto il ricorso proposto avverso l’aggiudicazione dell’appalto per cui è causa.

Ai sensi del 2° comma dell’art. 2943 del Cod. Civ., infatti, la prescrizione è interrotta “dalla domanda proposta nel corso di un giudizio”.

Ed al riguardo, peraltro, va rilevato come non venga ad assumere alcun rilievo in senso contrario la circostanza che nella specie la richiamata domanda risarcitoria sia stata dichiarata inammissibile in quanto “…proposta per la prima volta in corso appello”.

Costituisce insegnamento giurisprudenziale pacifico, infatti, che “l’inammissibilità della domanda, qualunque ne sia la causa, non esclude l’efficacia interruttiva della prescrizione del diritto con essa fatto valere, efficacia che permane fino al giudicato” (Cass. Civ. Sez III, 9.03.2006, n. 5104).

A ciò aggiungasi, che secondo la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide, “in materia di gare d’appalto, il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale delle domande di risarcimento dei danni va individuato non nella data di conoscenza della avvenuta aggiudicazione, ma dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento che fa nascere in capo all’interessato il diritto di chiedere il ristoro del giudizio derivato dal provvedimento poi annullato” (Sez III, 12.04.2012 n. 2082; Sez. V, 2.09.2005, n. 4461).

La censura è quindi da disattendere.

3. Con il secondo motivo ACEGAS-APS deduce l’erroneità della gravata sentenza, laddove ha ritenuto che “l‘accertata illegittimità dell’atto ritenuto lesivo dell’interesse del privato rappresenti, nella generalità dei casi, indice presuntivo della colpa della Pubblica Amministrazione”, alla quale “incombe pertanto l’onere di provare la sussistenza di un errore scusabile”.

Assume, al riguardo, che ai fini della risarcibilità dell’interesse legittimo, debba essere viceversa dimostrata la sussistenza sia dell’elemento oggettivo sia di quello soggettivo dell’illecito e che detto onere gravi sulla parte che pretende di aver subito un danno, e non certo sulla stazione appaltante.

Così, non sussisterebbe dubbio alcuno che quanto all’onere della prova, esso debba essere distribuito tra il danneggiato e l’amministrazione in maniera conforme all’art. 2697 c.c., gravando sul primo la prova della colpevolezza dell’apparato amministrativo e sulla seconda la prova circa la sussistenza dell’esimente dell’errore scusabile.

Avrebbe errato, pertanto, il giudice di prime cure laddove non ha riconosciuto che la domanda risarcitoria avanzata in primo grado daLa Ferlitaera sfornita del necessario corredo probatorio e non poteva, già per tale ragione, trovare accoglimento.

3.1. La censura non può essere condivisa per le ragioni che saranno di seguito esplicitate, in sede di esame dell’appello principale, ed a cui pertanto viene fatto formale e sostanziale rinvio.

4. Conclusivamente l’appello incidentale si appalesa infondato e, come tale, da respingere.

5. Parimenti prive di fondamento sono le eccezioni, sollevate da ACEGAS-APS, di inammissibilità ed irricevibilità dell’appello principale.

5.1. Con la prima, viene rilevato che la società Azienda Padova Servizi , che era subentrata ad AMAG, è definitivamente cessata, a seguito di scissione, nel mese di dicembre 2003.

A seguito della predetta scissione, è sorta una nuova società, Acegas-APS S.p.A., con sede legale non più in Padova bensì in Trieste.

ErroneamenteLa Ferlitaha invece notificato l’atto di appello alla estinta società A.P.S. S.p.A., nel domicilio che questa aveva eletto nel giudizio di primo grado presso lo studio dell’avv. Pier Vettor Grimani in Venezia.

Detta notificazione dovrebbe ritenersi, pertanto, giuridicamente inesistente, con conseguente inammissibilità del gravame non essendo lo stesso stato notificato nei termini alla nuova società Acegas-APS S.p.A.

L’eccezione va disattesa.

Ed invero, come risulta dalla documentazione in atti, nel giudizio di I° grado dinanzi al T.A.R. Veneto, l’Azienda Padova Servizi A.P.S. S.p.A. ha depositato in data 28.6.2008 una memoria difensiva in occasione dell’udienza di discussione a seguito della quale è stata pronunciata la sentenza impugnata, senza far minimamente cenno ad alcuna sua cessazione od estinzione (che, sarebbe avvenuta addirittura cinque anni prima (2003), per cui la sentenza gravata è stata emessa nei suoi confronti.

Ne consegue che la notifica del ricorso in appello eseguita presso il domicilio eletto dalla parte, mai modificato e risultante dalla stessa sentenza impugnata, non può non ritenersi rituale, in quanto effettuata secondo le ordinarie regole (oggi trasfuse nell’art. 93 del Cod. Proc. Amm.), per le quali l’impugnazione deve essere notificata nel domicilio eletto dalla parte per il giudizio di primo grado e risultante dalla sentenza.

Al riguardo, del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di precisare che “legittimamente la parte rimasta soccombente nel giudizio di primo grado fa affidamento, al fine di stabilire il luogo della notifica dell’appello, su quanto attestato dal giudice nel provvedimento contro il quale si intende proporre gravame” e che “il mutamento di domicilio è comportamento integralmente imputabile alla parte che lo pone in essere, quindi le sue conseguente non possono essere poste a carico degli altri soggetti del giudizio”(Sez. VI, 12.10.2010, n. 7424).

A ciò aggiungasi, con riferimento alla posizione sostanziale della società ACEGAS-APS S.p.A. che si è costituita nel giudizio ed alla sua legittimazione passiva in ordine alla pretesa spiegata dall’appellante, che la stessa nasce dalla fusione tra ACEGAS S.p.A. e Azienda Padova Servizi A.P.S. S.p.A., e che, a mente dell’art. 2504 bis, 1° co., Cod. Civ., “La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.

Ed in questo senso, è dirimente il fatto che ACEGAS-APS si è formalmente costituita nell’odierno giudizio, proponendo finanche appello incidentale avverso la sentenza gravata.

5.2. Con la seconda eccezione, ACEGAS-APS rileva che la notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio di appello si è perfezionata, per la societàLa Ferlita, in data 19 maggio 2009 (data di presentazione dell’originale e della copia del ricorso all’U.N.E.P. pressola Corted’Appello di Roma e data di contestuale spedizione della copia del ricorso medesimo), per cui il termine ultimo (di quindici giorni) per il deposito del ricorso e dei relativi documenti sarebbe venuto a scadere il giorno 3 giugno 2009.

Il ricorso ed i documenti avversari sono stati, invece, depositati il giorno 8 giugno 2009, e quindi il ricorso in appello sarebbe irricevibile.

L’eccezione, fondata sulla tesi dell’applicabilità alla presente controversia della dimidiazione dei termini processuali disposta dall’art. 23 bis della L. 1034/71 , è destituita di fondamento.

Invero, la giurisprudenza anche di questa Sezione ha già avuto modo di precisare che “il dimezzamento dei termini processuali si applica ai soli giudizi impugnatori aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche e non anche alle controversie relative alle sole domande risarcitorie proposte in relazione a tali procedure” (Sez. VI, 23.6.2006, n. 3891; Sez. V, 2.9.2005, n. 4461 )

Detto orientamento, peraltro, è stato confermato anche dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, la quale ha affermato che “il giudizio risarcitorio non rientra tra quelli tassativamente enumerati al comma 1 dell’art. 23 bis Legge 1034/1971, le cui disposizioni acceleratorie- nella misura in cui derogano incisivamente all’ordinario regime processuale- risultano di stretta interpretazione e non possono essere applicate estensivamente al di fuori delle ipotesi individuate dal legislatore” (Cons. Stato, Ad. Plen., 30.07.2007, n. 9).

Ne consegue la palese infondatezza del rilievo.

6. Si può ora passare all’esame nel merito dell’appello principale.

6.1. DeduceLa Ferlital’erroneità della gravata sentenza, laddove ha ritenuto che nella specie la colpa della stazione appaltante sia da escludere, in quanto i profili di illegittimità che hanno comportato l’annullamento degli atti impugnati in primo grado sarebbero da addebitare ad un “errore scusabile”.

6.2. La censura merita accoglimento.

Ed invero, secondo il più recente insegnamento della giurisprudenza anche di questa Sezione, va rilevato che con sentenza in data 30 settembre 2010, C314/09,la Terza Sezionedella Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482) ha affermato che la vigente normativa europea che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici dì lavori, di forniture e di servizi non consente che il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da una Amministrazione pubblica che abbia violato le norme sulla disciplina degli appalti sia subordinato al carattere colpevole di tale violazione.

Secondola Corte, il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 2, n. 1, lett. c), dell’originaria direttiva 89/665/CEE può costituire, se del caso, un’alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività delle garanzie offerte soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata, così come non lo sono gli altri mezzi di ricorso previsti dal citato art. 2, n. 1, alla constatazione dell’esistenza dì un comportamento colpevole tenuto dall’Amministrazione aggiudicatrice.

Poco importa, per il giudice comunitario, che un ordinamento nazionale non faccia gravare sul ricorrente l’onere della prova dell’esistenza di una colpa dell’Amministrazione aggiudicatrice, ma la presuma a carico della stessa; infatti, dal momento in cui si consente a quest’ultima di vincere la presunzione di colpevolezza su di essa gravante, si genera ugualmente il rischio che il ricorrente pregiudicato da una decisione illegittima di un’Amministrazione aggiudicatrice venga comunque privato del diritto di ottenere un risarcimento per il danno causato da tale decisione, nel caso in cui l’Amministrazione riesca a vincere la suddetta eventuale presunzione di colpevolezza.

La decisione qui riassunta, pur non introducendo elementi di novità rispetto ad altra precedente decisione della stessa Corte in data 14 ottobre 2004, C275/03, che aveva sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei danni cagionati da violazioni del diritto comunitario in materia di pubblici appalti all’allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti dl diritto pubblico fossero stati commessi colposamente o dolosamente, ribadisce in modo chiaro e univoco che, in materia di appalti pubblici, da un lato non possa gravare sul ricorrente danneggiato l’onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo sia conseguenza di una colpa dell’Amministrazione; dall’altro lato, che non possa l’Amministrazione sottrarsi all’obbligo di risarcire i danni cagionati da un suo provvedimento illegittimo adducendo l’inesistenza a proprio carico di elementi di dolo o di colpa.

In altre parole, la regola comunitaria vigente in materia di risarcimento dei danno per illegittimità accertate in materia di appalti pubblici per avere assunto provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi configurerebbe una responsabilità non avente natura né contrattuale né extracontrattuale, ma oggettiva, sottratta ad ogni possibile esimente, poiché derivante da principio generale funzionale a garantire la piena ed effettiva tutela degli interessi delle imprese, a protezione della concorrenza, nel settore degli appalti pubblici.

Intesa in questo senso, è dunque evidente che tale regola non può essere circoscritta ai soli appalti comunitari ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto comunitario in materia dì effettività della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi di diritto comunitario hanno diretta rilevanza ed incidenza, non fosse altro che per il richiamo che ad essi viene fatto dal nostro legislatore nel Codice appalti (art 2 d. lgs. 163 / 06).

La sistematica della colpa si trova oggi,quindi, a dover essere rimeditata non solo in generale , alla luce della novella azione di condanna al risarcimento positivizzata dal Codice del processo amministrativo (ex art. 30), questione che esula dal perimetro del presente giudizio; ma soprattutto, come detto, in relazione alla responsabilità civile della P.A. nel campo degli appalti pubblici, rispetto al quale il giudice comunitario ha mostrato di confermare l’orientamento invalso già a partire dalla pronuncia resa in occasione del caso Brasserie du pécheur – Factortame (CGE 5 marzo 1996, Cause riunite C46/93 e C48/93), secondo cui si deve configurare la responsabilità in senso oggettivo, atteso che il rimedio risarcitorio contemplato dalla direttiva 89/665/CEE può effettivamente rivelarsi un efficace mezzo di ristoro soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’Amministrazione aggiudicatrice.

In questo modo si conferisce massima importanza ai principi di equivalenza e, soprattutto, di effettività, garantendo nel contempo in tutto il territorio dell’Unione un’uniforme disciplina degli appalti pubblici.

L’effettività del comando normativo non viene perseguita attraverso prescrizioni di regolazione dei procedimenti amministrativi, ma avviene attraverso il versante delle garanzie, giurisdizionali o paragiurisdizionali: la direttiva 89/665, nei suoi considerando ( e ancor più le successive direttive di codificazione attualmente vigenti, nonché la nuova direttiva ricorsi 66/2007/CE), rileva l’assenza, sia sul piano dei diritti nazionali che su quello del diritto comunitario, di adeguati strumenti di garanzia dell’applicazione effettiva della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici, determinando un freno alla partecipazione delle imprese comunitarie alle gare e, dunque, incidendo sulla libera circolazione dei servizi.

Il fatto che manchino rimedi validi ed efficaci avverso le violazioni del diritto comunitario riduce la concorrenza comunitaria e determina un allontanamento dai finì del Trattato, improntata in questo settore ai principi della massima concorrenza e della non discriminazione.

La disciplina comunitaria della concorrenza è rivolta, infatti, essenzialmente alla tutela delle posizioni soggettive delle imprese, cui dovrebbe corrispondere in capo alla Pubblica Amministrazione l’obbligo di tenere un corretto comportamento verso i concorrenti alle gare pubbliche; tale intento rischierebbe con ogni probabilità di essere frustato da una disciplina nazionale che subordinasse l’ottenimento del risarcimento dei danni, da parte dell’offerente offeso, al previo positivo riscontro dell’elemento soggettivo della responsabilità della Pubblica Amministrazione.

L’ordinamento comunitario dimostra che ciò che rileva é l’ingiustizia del danno e non l’elemento della colpevolezza; ciò determina ipso facto la creazione di un diritto amministrativo comune a tutti gli Stati membri nel quale i principi che si elaborano a livello comunitario, in applicazione dei Trattati, trovano humus negli ordinamenti interni, e costituiscono una sorta di sussunzione unificante di regole riscontrabili in tali ordinamenti.

In questo processo di astrazione è inevitabile che i principi di diritto interno vengano sostituiti da principi caratterizzati da più larga acquisizione, poiché il ravvicinamento e l’armonizzazione normativa premia il principio maggiormente condiviso, come è quello della responsabilità piena della P.A. senza aree di franchigia.

Peraltro, l’assenza, nella disciplina comunitaria degli appalti, di qualsivoglia riferimento ad un’indagine in ordine all’elemento soggettivo della responsabilità, lungi dall’essere una dimenticanza, si spiega ponendo mente al fatto che, di norma, la via del risarcimento per equivalente viene percorsa qualora risulti preclusa quella della tutela in forma specifica; la reintegrazione in forma specifica rappresenta, peraltro, in ambito ‘amministrativo l’obiettivo tendenzialmente primario da perseguire e il risarcimento per equivalente costituisce invece una misura residuale, di norma subordinata all’impossibilità parziale o totale di giungere alla correzione del potere amministrativo, come dimostra, d’altra parte, anche la vicenda giurisprudenziale e normativa relativa alla dichiarazione di inefficacia del contratto d’appalto, come da ultimo risolta per effetto del d.lgs. n. 53/2O1O, le cui previsioni sono confluite nel Codice del processo amministrativo agli artt. 121 e ss.

In tal modo, dunque, il ricorrente che non ottiene direttamente il bene della vita a cui aspira, ossia la riedizione della gara o l’aggiudicazione definiva può aspirare alla monetizzazione del pregiudizio subito; se, tuttavia, anche tale ultima via di ristoro venisse resa impraticabile o assolutamente impervia, il privato rischierebbe di restare sprovvisto di qualsiasi forma di tutela.

Quanto prefigurato è esattamente ciò che accade qualora una normativa nazionale subordini il risarcimento del danno al positivo riscontro della colpa della stazione appaltante.

Nel caso dl specie, superata in questo modo la questione della colpa da cui si può, dunque, prescindere per configurare la risarcibilità dei danni per equivalente in materia appalti pubblici, il Collegio ritiene sussistenti anche tutte le altre componenti dell’illecito e cioè: l’illegittimità dell’agire comunale, dedotto sulla base della decisione questo Consiglio n. 4190/2001 citata; il nesso di causalità, atteso che, l’appalto avrebbe dovuto aggiudicarsi all’appellante; infine, il danno, consistente nella mancata esecuzione del contratto.

7. Acclarata la fondatezza della pretesa risarcitoria, resta da quantificare nello specifico l’ammontare del danno subito dall’appellante.

7.1. Al riguardo rileva il Collegio che, esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, non essendo oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, è necessaria la prova, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis dall’esibizione dell’offerta economica presentata al seggio di gara; tale principio trova, infatti, conferma nell’art. 124 del codice del processo amministrativo che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno (per equivalente) subito e provato.

Occorre, quindi, verificare se parte ricorrente ha rispettato il principio basilare sancito dall’art. 2697 c.c, secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda: come noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove, che devono avere ad oggetto circostanze di fatto precise, e si debbono disattendere le domande risarcitorie formulate in maniera del tutto generica, senza alcuna allegazione degli elementi presupposti.

Il Collegio ritiene dl sciogliere positivamente il quesito, poiché gli elementi prodotti in giudizio sono sufficienti ad emettere una pronuncia che statuisca sul quantum spettante a titolo di riparazione pecuniaria, ai fini della formulazione della proposta risarcitoria da parte del Comune e l’eventuale raggiungimento di un accordo con la ricorrente ex art. 34, comma 4, c.p.a.

In particolare la stazione appaltante dovrà:

– attenersi all’offerta economica presentata dall’appellante in sede di gara;

– valorizzare sul punto l’elaborato contenente le giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono a formare l’importo complessivo esibito;

– determinare il margine di guadagno che residua dopo l’applicazione del ribasso indicato in sede di gara;

– tenere conto del danno curriculare, da liquidare in via equitativa in un importo non superiore all’1% del prezzo posto a base d’asta.

Il suddetto parametro dovrà inoltre tenere conto del fatto che, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, come nella specie, il mancato utile spetta nella misura integrale solo se si dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione.

In difetto di tale dimostrazione, che compete comunque al concorrente fornire, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, considerato anche che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V , 20 aprile 2012, n. 2317).

Pertanto, è ragionevole stabilire una detrazione dal risarcimento del mancato utile nella misura del 50%, laddove l’appellante non fornisca la dimostrazione anzidetta.

Conclusivamente , alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto, con conseguente risarcimento del danno ai sensi della motivazione, maggiorato di interessi e rivalutazione.

8. Per le ragioni esposte, l’appello incidentale va respinto; quello principale va accolto e, per l’effetto, va riformata la sentenza gravata nei sensi di cui in motivazione.

Sussistono giusti motivi, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese nei due gradi di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe così dispone:

– respinge l’appello incidentale;

– accoglie l’appello principale e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso proposto daLa Ferlitain primo grado, con conseguente condanna della società resistente al risarcimento del danno in favore dell’appellante da liquidarsi come in motivazione.

Spese compensate nei due gradi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Trovato, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE        IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)