LA “CHANCE” RISARCIBILE SOLO IN CASO DI CERTEZZA SULL’ESITO DELLA GARA

Nel caso di esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance, occorre fornire prova certa in ordine alla circostanza che lofferta del concorrente illegittimamente escluso sarebbe stata quella che avrebbe comportato lattribuzione dellaggiudicazione al concorrente medesimo, di modo che questi si vede privato sia del lucro, derivante dallesecuzione del contratto, sia dellacquisizione di un elemento curriculare positivo, da far valere in ulteriori e successive procedure di gara.

 

Nota: La sentenza in esame, richiedendo ai fini del risarcimento della chance, la certezza che l’offerta del concorrente sarebbe stata aggiudicataria, finisce, di fatto, per negare che la chance sia un bene della vita autonomo (sebbene strumentale) rispetto al bene finale. Sotto questo profilo appare porsi in controtendenza rispetto alla giurisprudenza prevalente (sia della Corte di Cassazione sia del Consiglio di Stato) favorevole, invece, a riconoscere alla chance una autonoma tutela risarcitoria anche in assenza di certezza sulla spettanza del bene della vita.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4093 del 2014, proposto da:

Societa’ per l’Aeroporto Civile di Bergamo – Orio al Serio (Sacbo) Spa, rappresentata e difesa dall’avv. Aristide Police, con domicilio eletto presso Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti 11;

contro

Impresa Cavalleri Ottavio Spa, Impresa Milesi Geom. Sergio Srl, C.I.C. Compagnia Italiana Costruzioni Spa, Assolari & C. Spa e Sirti Spa, Sirti Spa, rappresentati e difesi dagli avv. Stefano Vinti, Sonia Macchia, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia n. 88;

nei confronti di

Vitali Spa, Vallan Infrastrutture Spa, Impresa Edile Stradale Artifoni Spa, Carlo Gavazzi Impianti Spa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE II n. 00216/2014, resa tra le parti, concernente esclusione dalla gara d’appalto per l’esecuzione dei lavori relativi agli interventi di manutenzione straordinaria delle infrastrutture di volo dell’area di manovra per la realizzazione e ampliamento raccordo “g” e “f”

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Impresa Cavalleri Ottavio Spa e di Impresa Milesi Geom. Sergio Srl e di C.I.C. Compagnia Italiana Costruzioni Spa e di Assolari & C. Spa e Sirti Spa e di Sirti Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Aristide Police e Paola Chirulli su delega dell’avvocato Stefano Vinti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, la Società per l’aeroporto civile di Bergamo – Orio al Serio (SCABO s.p.a.), impugna la sentenza 26 febbraio 2014 n. 216, con la quale il TAR per la Lombardia, sede di Brescia, sez. II, in accoglimento del ricorso proposto dalla soc. Cavalleri Ottavio s.p.a., in proprio e quale mandataria di RTI, ha annullato:

– il provvedimento di esclusione del raggruppamento ricorrente dalla gara di appalto;

– la successiva aggiudicazione della gara all’ATRI Vitali s.p.a.;

– ha infine condannato la stazione appaltante al risarcimento del danno.

Oggetto della controversia è la gara di appalto, indetta dalla Società per l’aeroporto civile di Bergamo, per esecuzioni di lavori di manutenzione straordinaria delle infrastrutture di volo dell’area di manovra, realizzazione del nuovo raccordo F, ampliamento del piazzale nord e del raccordo G.

La sentenza impugnata afferma in particolare:

– sussiste l’interesse alla pronuncia da parte del raggruppamento ricorrente (ancorchè la Soc. Cavalleri sia stata ammessa a concordato preventivo e, quindi, non avrebbe potuto eseguire la commessa, in quanto mandataria del raggruppamento), in quanto “al giudice amministrativo non è demandato di accertare se oggi il raggruppamento potrebbe eseguire il contratto e, quindi, ottenere il risarcimento del danno per essersi visto illegittimamente precludere tale possibilità, bensì di stabilire se al momento in cui il raggruppamento è stato escluso, esso avrebbe dovuto essere individuato come aggiudicatario definitivo e, quindi, possa oggi pretendere il risarcimento del danno generato dall’illegittimità della mancata aggiudicazione del giugno 2013”

– “qualora nell’ambito dell’ATI prescelta (di tipo misto) non si eccedano mai i requisiti di qualificazione posseduti, è irrilevante, con riferimento ad una specifica lavorazione, ancorché prevalente, che vi sia o meno corrispondenza con la quota di partecipazione all’ATI, atteso che ciò non pone in discussione il possesso della qualificazione richiesta, pur se la quota di lavori risulti inferiore alla quota dichiarata di partecipazione all’ATI”;

– “l’art. 92 del regolamento di cui al DPR 207/2010 ha introdotto un principio mai normato prima (in quanto l’art. 37 del DPR 163/2006 prevede solo l’obbligo di corrispondenza tra quota di partecipazione e quota di esecuzione), la cui interpretazione è compatibile con l’ordinamento solo se tale da imporre la mera coincidenza tra quota di partecipazione e quota di lavori da eseguire. Né è dato comprendere perché . . . la situazione sarebbe diversa se ciascuna impresa fosse qualificata per eseguire l’intera lavorazione e non anche per eseguire una percentuale di lavorazione superiore a quella comunque assunta. A prescindere dalla circostanza che, nel caso di specie, delle cinque imprese raggruppate quattro erano in possesso della qualificazione per eseguire l’intera lavorazione ed una possedeva la qualifica immediatamente inferiore, in ogni caso risulterebbe comunque garantito l’interesse della stazione appaltante a contrarre con soggetti sufficientemente qualificati: ogni impresa avrebbe, infatti, una qualificazione ben superiore a quella minima di legge, salvo eseguire una parte inferiore di lavorazione. Ne discende, dunque, l’illegittimità dell’esclusione della ricorrente dalla gara e della caducazione della aggiudicazione provvisoria a suo favore”.

Dichiarata l’illegittimità della esclusione del RTI Cavalleri dalla gara e l’illegittimità del’aggiudicazione definitiva disposta in favore del RTI Vitali, la sentenza – esclusa la possibilità di reintegrazione in forma specifica – ha accolto la domanda di risarcimento del danno per equivalente, procedendo alla relativa quantificazione e conseguente condanna della stazione appaltante. (v. pagg. 27 – 30).

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando per palese irragionevolezza e manifesta illogicità poste a base della motivazione, nonché per travisamento delle circostanze di fatto poste a fondamento della decisione, nella parte in cui è stata respinta l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia in conseguenza dell’avvio della procedura di ammissione a concordato preventivo ex art. 161 l.f., nei confronti della Ottavio Cavalleri s.p.a.; ciò in quanto “una volta dimostrata l’assenza di ogni collegamento (in punto di fatto e in diritto) tra l’esclusione della Cavalleri dalla gara e l’apertura di procedimento di concordato preventivo, sia meritevole di integrale riforma il capo della sentenza in cui si ritiene dimostrata la permanenza dell’interesse alla pronuncia”. Tale collegamento non sussiste sia in quanto “è da escludesi che alla data del 10 luglio 2013 l’ATI Cavalleri avrebbe potuto stipulare il contratto”; sia in quanto “nella stessa domanda di ammissione al concordato presentata dalla Cavalleri non compare il sia pur minimo riferimento all’appalto indetto da SACBO); sia per la “insostenibilità in concreto della posizione debitoria della Cavalleri”;

b) error in iudicando; falsa applicazione artt. 38, co. 1, lett. a) e 37 d.lgs. n. 163/2006, in materia di divieto di partecipare alle procedure di modificazione dei ruoli nell’associazione temporanea d’impresa; error in iudicando in conseguenza della irragionevole, illogica, contraddittoria motivazione, anche con riferimento all’ord., del TAR Lombardia – Brescia n. 463/2013, nella parte in cui è stata respinta l’eccezione di inammissibilità della domanda risarcitoria per effetto dell’ammissione a concordato preventivo ex art. 161 l.f. della Cavalleri s.p.a.; ciò in quanto “la Cavalleri non è mai stata ammessa al concordato con continuità aziendale”, e quindi “l’effetto paradossale della sentenza è dunque quello di riconoscere una tutela risarcitoria (per equivalente) nei confronti di un soggetto di cui si è accertato incontrovertibilmente il difetto dei requisiti soggettivi per stipulare il contratto alla data di proposizione del ricorso (e, comunque, a quella in cui sarebbe stato possibile ipotizzare l’effettiva stipula del contratto);

c) error in iudicando; erroneità e irragionevolezza della motivazione nella parte in cui il TAR ha ritenuto di poter applicare alla fattispecie il controverso principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato nel parere n. 3014/2013; error in iudicando; violazione art,. 92, co. 2, DPR n. 207/2010;

d) error in iudicando, in conseguenza della irragionevole, illogica e contraddittoria motivazione nella parte in cui è stato riconosciuto un presunto danno per perdita di chanche a favore dell’ATI Cavalleri e un asserito danno curriculare alla Ottavio Cavalleri s.p.a.;

e) in subordine: error in procedendo e in iudicando; erroneità della sentenza per non avere rilevato l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica al Ministero competente.

Si sono costituiti in giudizio l’impresa Cavalleri Ottavio s.p.a., in proprio e quale mandataria del RTI e le altre imprese del raggruppamento, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata, in relazione ai primi due motivi di impugnazione proposti con i quali si evidenzia, con pluralità di argomentazioni, l’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, stante il difetto di interesse della parte ricorrente.

Il Collegio ritiene, innanzi tutto, opportuno ribadire principi già da esso espressi in tema di risarcimento del danno conseguente ad annullamento dell’atto amministrativo, con particolare riguardo al risarcimento del danno da cd. perdita di chance (Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2012 n. 1957), esponendo considerazioni dalle quali non vi è motivo di discostasi nella presente sede.

Ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il danno è risarcibile soltanto laddove esso consiste in un danno/evento ingiusto, tale essendo quello consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva.

Deve trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela e che inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale.

Tale danno ingiusto deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato, e, nel caso in cui la posizione di interesse legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, esso deve concernere l’ingiusto diniego o la ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto.

Secondo questo Consiglio di Stato (sez. V, 2 febbraio 2008 n. 490) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.

In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. “da perdita di chance” a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l’atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una “eventualità” di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004 n. 5440; sez. V, 25 febbraio 2003 n. 1014; sez. VI, 23 luglio 2009 n. 4628; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007 n. 15947).

In ogni caso, non si è ritenuto configurabile un danno risarcibile per equivalente, allorché, per effetto dell’annullamento del provvedimento amministrativo (nel caso considerato, aggiudicazione), vi sia ripetizione della attività amministrativa, e quindi il ripristino della chance del concorrente (Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011 n. 854; 24 gennaio 2011 n. 462; 28 agosto 2009 n. 5105).

Quanto al requisito soggettivo della colpa, questa deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni ad essa imputabili (anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato), delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009 n. 3827).

In definitiva, può affermarsi che, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua “certezza”, la quale presuppone:

– in primis, l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale della quale possa assumersi essere intervenuta una lesione; e laddove vi è esercizio di potere tale posizione sostanziale è l’interesse legittimo;

– in secondo, l’esistenza di una lesione, che sussiste sia laddove questo possa essere a tutta evidenza e concretamente riscontrato, sia laddove vi sia “una rilevante probabilità del risultato utile” frustrata dall’agire illegittimo dell’amministrazione.

Quanto a questo secondo aspetto, l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:

– o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, con riferimento alle gare d’appalto, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);

– o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza;

– ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. “più probabile che non” (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).

Nel caso dei procedimenti di gara o di concorso, la posizione giuridica sostanziale del partecipante assurge sicuramente ad interesse legittimo (pretensivo) con riferimento all’ammissione a partecipare alla gara o alle prove del concorso medesimo, ovvero in relazione ad una valutazione delle prove o dell’offerta svolte non immune da vizi di legittimità.

Tali situazioni giuridiche, tuttavia, possono ricevere tutela – sol che il titolare la richieda onerandosi del rispetto delle norme procedurali previste – eminentemente sul piano ripristinatorio, mediante annullamento del provvedimento illegittimo e, prima ancora, mediante l’adozione di provvedimenti cautelari da parte del giudice.

Ciò in quanto, nell’interesse legittimo pretensivo, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione) non è un “bene” già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644).

E’ del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un “vulnus” per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus – afferendo, a tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità di conseguimento di una utilitas – non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della “chance di conseguimento dell’utilità finale”.

E ciò con la sola eccezione – come affermano le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 6594/2011, ma in tal senso già la sent. n. 500/1999) – di ipotesi di istanze obiettivamente fondate, tali definibili sulla base della situazione concreta dell’istante, dell’assetto normativo applicabile al caso di specie, e del concreto modus agendi, in ipotesi analoghe, della Pubblica Amministrazione.

In questo senso deve essere interpretata anche quella giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 5 settembre 2005 n. 6), che afferma come “anche con riferimento alla perdita di altre occasioni da parte dell’impresa, sembra preferibile conformarsi al criterio equitativo . . . (già adottato qualche volta dalla giurisprudenza amministrativa), riconoscimento al concorrente dell’utile economico che sarebbe derivato dalla gestione del servizio messo in gara nella misura del 10% dell’ammontare dell’offerta”, o che aggiunge altre voci di danno risarcibile, tra le quali il cd. danno curriculare (Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751; sez. V., 23 luglio 2009 n. 4594).

Nel caso di esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di chance, occorre fornire prova certa in ordine alla circostanza che l’offerta del concorrente illegittimamente escluso sarebbe stata quella che avrebbe comportato l’attribuzione dell’aggiudicazione al concorrente medesimo, di modo che questi si vede privato sia del “lucro”, derivante dall’esecuzione del contratto, sia dell’acquisizione di un elemento curriculare positivo, da far valere in ulteriori e successive procedure di gara.

Il risultato interpretativo ora esposto non costituisce, peraltro, una “singolarità” dell’interesse legittimo e delle sue possibilità di tutela risarcitoria.

Al contrario, esso sembra trovare indiretta conferma nella giurisprudenza, anche del giudice civile, in tema di responsabilità precontrattuale, dove (peraltro con ben più accentuato fondamento) uno dei potenziali contraenti confida nella positiva conclusione del contratto.

Ebbene, in questi casi – che pure sono fondati sul ben più pregnante affidamento ingenerato in uno dei potenziali contraenti dal comportamento dell’altra parte, e per i quali non è ovviamente prevista alcuna altra forma di tutela, e segnatamente quella ripristinatoria – la giurisprudenza àncora il risarcimento del danno al cd. “danno emergente per spese sostenute” (oltre alle eventuali occasioni contrattuali perse, in ordine alle quali occorre fornire prova rigorosa); e ciò in quanto questo si colloca nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 1977 n. 73; Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2008 n. 6264). Esula, dunque, dalla ricostruzione del danno risarcibile, ogni profilo di “lucro cessante” (cui occorre riportare il danno da perdita di chance).

3. Nel caso di specie, ed in applicazione dei sopraesposti principi giurisprudenziali, difetta l’interesse ad agire – il che rende inammissibile il ricorso instaurativo del giudizio di I grado – in quanto il raggruppamento ricorrente, in ragione di vicende afferenti all’assetto aziendale della impresa mandataria, ammessa a concordato preventivo – non avrebbe potuto in ogni caso stipulare (e quindi eseguire) il contratto di appalto.

Giova, innanzi tutto, sottolineare in punto di fatto che:

– in data 14 maggio 2013, l’ATI Cavalleri conseguiva l’aggiudicazione provvisoria della gara;

– con diffida 22 maggio 2013 la concorrente ATI Vitali intimava alla stazione appaltante di non disporre l’aggiudicazione definitiva, in quanto l’offerta dell’ATI Cavalleri era da considerare non conforme a quanto disposto dall’art. 92 DPR n. 207/2010;

– con nota 26 giugno 2013, la stazione appaltante, concludendo la verifica dell’aggiudicazione provvisoria, procedeva ad escludere la ricorrente dalla gara;

– con nota 27 giugno 2013, la stazione appaltante procedeva all’aggiudicazione della gara alla ATI Vitali s.p.a.;

– il 10 luglio 2013, la spa Ottavio Cavalleri presentava domanda per l’ammissione al concordato preventivo ex art. 161, co. 6, l.f., e in data 11 luglio 2013 la stessa società si è posta in liquidazione volontaria;

– proposto ricorso giurisdizionale (depositato il 31 luglio 2013), il TAR Brescia, con ordinanza 3 settembre 2013 n. 463, accoglieva la domanda cautelare proposta dall’ATI Cavallleri;

– in data 30 settembre 2013, le imprese dell’ATI Cavalleri depositavano presso la SACBO il recesso della Cavalleri ed un nuovo impegno a costituire l’ATI per l’esecuzione dell’appalto, individuando come mandataria la CIC s.p.a., che assumeva interamente le quote della Cavalleri;

– con ordinanza 17 ottobre 2013 n. 4090, questo Consiglio di Stato, sez. VI, riformava l’ordinanza cautelare pronunciata in I grado;

– infine, il 18 ottobre 2013 si è proceduto alla stipula del contratto tra la SACBO e la ATI Vitali.

Tanto precisato in punto di fatto, il Collegio ritiene che la ricorrente in I grado, non potendo essa comunque procedere alla stipulazione (ed esecuzione) del contratto – e dunque ottenere il risultato utile connesso alla realizzazione dell’interesse pretensivo derivante dal conseguimento dell’aggiudicazione definitiva, – non abbia alcun interesse ad agire né nei confronti degli atti che hanno determinato – illegittimamente o meno – la sua esclusione dalla gara, né nei confronti degli atti che hanno aggiudicato in via definitiva la gara medesima alla ATI Vitali s.p.a.

Ed infatti, per un verso, intanto sussiste l’interesse ad agire nei confronti di un provvedimento amministrativo, per la piena realizzazione di un interesse pretensivo del quale il ricorrente sia titolare, in quanto per il tramite dell’annullamento questi possa ottenere il conseguimento del risultato utile (bene della vita) che costituisce il cd. lato interno della posizione giuridica sostanziale.

Per altro verso, intanto sussiste l’interesse ad agire per la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per equivalente in quanto il ricorrente non possa più conseguire il predetto risultato utile per effetto della tutela ripristinatoria, e ciò a causa di vicende che trovano la propria ragione in fatti ed atti non riconducibili alla sfera giuridica del medesimo ricorrente.

Qualora, dunque, il ricorrente non possa conseguire, per il tramite della tutela giurisdizionale e l’annullamento dell’atto, il risultato utile inerente alla sua posizione giuridica sostanziale, non può farsi luogo nemmeno ad azione per risarcimento del danno per equivalente (non essendovi stata, in realtà, effettiva lesione della posizione giuridica sostanziale).

Non può dunque, essere condivisa la sentenza impugnata, laddove essa afferma che

“al giudice amministrativo non è demandato di accertare se oggi il raggruppamento potrebbe eseguire il contratto e, quindi, ottenere il risarcimento del danno per essersi visto illegittimamente precludere tale possibilità, bensì di stabilire se al momento in cui il raggruppamento è stato escluso, esso avrebbe dovuto essere individuato come aggiudicatario definitivo e, quindi, possa oggi pretendere il risarcimento del danno generato dall’illegittimità della mancata aggiudicazione del giugno 2013”

Ed infatti, il risultato utile dell’aggiudicazione non è il profitto derivante dall’esecuzione del contratto, bensì il conseguimento della legittimazione ad essere parte contrattuale dell’amministrazione appaltante, e dunque a stipulare il contratto.

Se – per vicende intervenute tra aggiudicazione e stipulazione del contratto– l’aggiudicatario non è più in condizioni di essere parte del contratto, egli non è in grado di conseguire l’utilitas propria dell’interesse legittimo pretensivo del quale era titolare.

Ne consegue che la verifica del se il raggruppamento escluso – come vuole il giudice di I grado – “avrebbe dovuto essere individuato come aggiudicatario”, comporta verificare la sussistenza dell’interesse ad agire per ottenere il risultato utile dell’esercizio del potere amministrativo concretizzantesi nell’emanazione a suo favore dell’aggiudicazione.

Ma se tale conseguimento non può intervenire per cause sopravvenute riguardanti la sfera giuridica del ricorrente, allora non vi può essere interesse ad agire né in ripristinatorio (e, dunque, per ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo), né tantomeno in risarcitorio, in quanto, in tale ultimo caso, si otterrebbe il paradossale risultato di riconoscere una riparazione per equivalente in difetto di possibilità di riparazione in via diretta.

Fermo quanto sin qui considerato, nel caso di specie, l’impossibile conseguimento dell’utilitas non deriva né dal provvedimento illegittimo (nel senso di ricollegare la necessità del concordato preventivo alla illegittima mancata aggiudicazione), né dal ritardo nell’emanazione del provvedimento.

In disparte tale ultima ipotesi, che a tutta evidenza non ricorre, agli atti di causa non risultano elementi probatori che consentano di inquadrare le vicende aziendali della impresa Cavalleri come conseguenza della mancata aggiudicazione dell’appalto. Difetta, in sostanza, la prova del nesso di causalità tra l’atto impugnato e la crisi aziendale, laddove – per principi enunciati dalla giurisprudenza amministrativa, ma anche per per tradizionale esegesi dell’art. 2043 c.c., il .danno ingiusto deve essere ricollegabile con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato; esso deve essere “certo” e non meramente probabile, e conseguenza “certa” dell’atto amministrativo illegittimo.

Su tali aspetti, la sentenza impugnata – dopo avere individuato, in modo già definito non condivisibile – un danno come mera conseguenza della mancata aggiudicazione (pag. 20):

– per un verso, si limita ad osservare, facendo proprie rappresentazioni non comprovate della parte ricorrente, che la domanda di preconcordato è stata presentata dalla Cavalleri il 10 luglio 2013 “ragionevolmente proprio in ragione della mancata aggiudicazione” (pag. 19);

– per altro verso individua un “evidente nesso causale” nel fatto che “ciò che è determinante è che il raggruppamento temporaneo avrebbe, potenzialmente, potuto procedere all’esecuzione dell’appalto, se ne avesse conseguito l’aggiudicazione in via definitiva, così come sarebbe dovuto accadere se SACBO non avesse proceduto all’illegittima sua esclusione dalla gara” (pagg. 28 – 29). Ma, in questo secondo caso, l’argomentazione appare in contraddizione con la precedente, posto che non è plausibile per un verso, sostenere (ancorchè senza comprovare) che il danno deriva dal provvedimento illegittimo in quanto causativo della crisi aziendale (e dunque dell’impossibilità di eseguire il contratto), e per altro verso, affermare che il danno consiste nel non avere illegittimamente disposto l’aggiudicazione, non consentendo l’esecuzione di un contratto che l’impresa era pronta e in grado di eseguire.

Per le ragioni esposte, ed in accoglimento dei primi due motivi proposti, l’appello deve essere accolto, e, in conseguente riforma della sentenza impugnata, occorre dichiarare l’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, atteso il difetto di interesse della parte ricorrente.

Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Società per l’aeroporto civile di Bergamo – Orio al Serio (n. 4093/2014 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara l’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Compensa tra le parti le spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 20/01/2015.