IL CONSIGLIO DI STATO ANNULLA PER DIFETTO DI RAGIONEVOLEZZA ALCUNI ARTICOLI DEL REGOLAMENTO APPALTI

1. La norma regolamentare, pur non potendo, per il suo carattere di generalità e astrattezza, provocare un pregiudizio immediato in capo al singolo (che sarà inciso solo dal provvedimento applicativo), può, tuttavia, essere fonte di prescrizioni che colpiscono indistintamente e in maniera indifferenziata, l’interesse omogeneo di tutti gli appartenenti alla categoria. È questo interesse omogeneo che è oggetto della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare l’ente esponenziale della categoria, il quale, quindi, è legittimato ad impugnarlo senza necessità di attendere l’atto applicativo.

 

2. Il giudice amministrativo nella valutazione del vizio di eccesso di potere accerta che l’esercizio della funzione non è avvenuto in coerenza con le norme attributive di tale potere, attraverso una serie di standard di controllo o figure sintomatiche. Tali standard di controllo, cui il giudice deve ricorrere ogni volta che valuta la coerenza del provvedimento con una clausola generale, ovvero con una norma a concetto indefinito, implicano una astrazione, per cui la regola del caso diviene regola di un numero indefinito di casi e consente così al giudice amministrativo di mantenere il proprio controllo nell’ambito della legittimità e di evitare ogni valutazione sul merito del provvedimento.

Standard di controllo del principio di eguaglianza, sotto l’aspetto della ragionevolezza, sono la coerenza logica intrinseca del provvedimento, la congruità dell’istruttoria, l’esatta individuazione dei fatti rilevanti, la disparità di trattamento.

 

3. Il sistema normativo risultante dagli articoli  109, comma 2, (alla luce di quanto previsto dal citato allegato A e, in particolare, dalla Tabella sintetica della categorie) e 107, comma 2, del d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE») risulta connotato da profili di contraddittorietà ed illogicità. Tali norme, in particolare, non hanno adeguatamente considerato che la qualificazione per una categoria OG comprende, nella normalità dei casi, l’idoneità allo svolgimento di una serie di prestazioni specialistiche che sono necessarie e complementari nello svolgimento degli interventi descritti dalla categoria generale.

Al contrario, in sede di adozione del regolamento, l’individuazione delle opere specialistiche a qualificazione obbligatoria avrebbe richiesto una più attenta valutazione, al fine di realizzare un più equilibrato contemperamento tra due opposte esigenze: da un lato, consentire all’impresa munita della qualificazione OG di potere svolgere direttamente una serie di lavorazioni complementari e normalmente necessarie per completare quello che è l’intervento che costituisce l’oggetto principale della sua qualificazione; dall’altro, imporre, invece, il ricorso a qualificazioni specialistiche in presenza di interventi, che, per la loro rilevante complessità tecnica o per il loro notevole contenuto tecnologico, richiedono competenze particolari.

Le norme impugnate non realizzano un adeguato punto di equilibrio tra queste due opposte esigenze ma si limitano, in maniera, come si è detto, contraddittoria e illogica, a imporre il ricorso pressoché generalizzato alle competenze dell’impresa specialistica, così sacrificando illegittimamente gli interessi delle imprese generali.

 

4. L’art. 85, comma 1, lett. b), nn. 2 e 3, del d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 è illegittimo per violazione del principio di ragionevolezza. Il regolamento, infatti, dopo aver fissato il principio dell’utilizzabilità dei lavori subappaltati anche per la qualificazione della categoria scorporabile, detta poi una disciplina attuativa destinata a dare luogo a significative disparità di trattamento (a seconda che venga superato o meno il limite percentuale previsto), che si rivelano prive di adeguata giustificazione e quindi irragionevoli.

L’irragionevolezza della disposizione censurata si coglie nel confronto tra la disciplina in essa contenuta (i lavori subappaltati sono utilizzabili nel limite del 10 per cento) e la regola generale che stabilisce l’utilizzabilità per intero dei lavori subappaltati fino all’importo del 30 o 40 per cento. L’irragionevolezza della normativa che si occupa dell’ipotesi in cui l’impresa “superi” il limite del 30 o 40 per cento deriva, in altri termini, dal confronto di tale disciplina con il suo tertium comparationis, rappresentato, nella specie, dalla disciplina destinata ad applicarsi ove i suddetti limiti percentuali siano rispettati.

Ed infatti, una volta fissato il principio secondo cui anche in caso di subappalto i lavori subappaltati sono utilizzabili, nei limiti del 30 o 40 per cento, ai fini della qualificazione nella categoria scorporabile, non vi sono valide ragioni che giustifichino la non applicazione di tale regola ove l’importo dato in subappalto superi dette percentuali.

Al contrario, il principio di ragionevolezza imporrebbe che, anche in tale caso, l’importo dei lavori subappaltati, decurtato dalla quota eccedente il 30 o 40 per cento, possa essere utilizzato ai fini della qualificazione nella categoria non scorporabile. In caso contrario verrebbero altrimenti a crearsi irragionevoli disparità di trattamento a fronte di situazioni sostanzialmente analoghe.

 

5. Non è vero che dalla normativa comunitaria o dal confronto con le normative nazionali degli altri Stati membri dell’Unione europea si ricava il principio dell’utilizzabilità senza limiti dei lavori subappaltati.

Giova al riguardo evidenziare che i lavori subappaltati sono materialmente eseguiti dall’impresa subappaltatrice, non dall’impresa subappaltante. Il sistema comunitario sembra, al contrario, fondarsi sul principio secondo cui ciò che rileva per la dimostrazione della capacità tecnica delle imprese sono i lavori eseguiti (e, quindi, quelli svolti direttamente).

 

6. Non sono fondate le censure verso l’art. 86, comma 1, del regolamento nella parte in cui prevede che l’attribuzione delle categorie di qualificazione relative ai lavori eseguiti nei certificati di esecuzione lavori di cui all’art. 83, comma 4, debba essere effettuata esclusivamente con riferimento alle categorie richieste dal bando o nell’avviso o nella lettera di invito. La norma censurata è mossa da un evidente intento antielusivo e moralizzatore: sono infatti evidenti i rischi di comportamenti fraudolenti che potrebbero realizzarsi ove fosse consentito il rilascio di certificati di esecuzioni anche per lavori che non sono indicati nel bando.

La scelta normativa appare, quindi, legittima perché introduce un limite (quello secondo cui una lavorazione è certificabile solo se indicata nel bando) che rispetta i requisiti di idoneità e proporzionalità rispetto allo scopo perseguito, consistente nell’evitare il rilascio di certificati non totalmente corrispondenti ai lavori realmente eseguiti.

 

7. Non sono fondate le censure verso l’art. 79, comma 12, del regolamento nella parte in cui prevede che, al fine della qualificazione nelle categorie specializzate, l’impresa debba dimostrare, con l’estratto autentico del libro unico del lavoro, che nel proprio organico sia presente un certo numero di operai qualificati (in proporzione alle classifiche di iscrizione), assunti con contratto di lavoro subordinato e muniti di patentino certificato. La norma censurata introduce, infatti, un criterio relativo alla capacità tecnica che, sebbene non espressamente nominato nella direttiva comunitaria n. 2004/18, non si pone, comunque, in contrasto con essa.

È vero che la norma comunitaria si limita a menzionare l’organico medio senza richiedere una specifica qualificazione professionale per i soggetti che di tale organico fanno parte (e, quindi, senza richiedere, come fa invece la disposizione regolamentare impugnata, una specifica qualificazione professionali degli operai).

È tuttavia evidente che la norma comunitaria, nel momento in cui consente di desumere la capacità tecnica dall’organico medio, non esclude, ma, anzi, in qualche modo presuppone, la rilevanza della qualità professionale dei lavoratori che fanno parte dell’organico dell’impresa. L’organico medio, infatti, può essere sintomo di capacità tecnica non sotto il profilo meramente quantitativo, ma anche e soprattutto sotto quello qualitativo, nel senso che, intanto si può desumere, dalla dichiarazione relativa all’organico medio, che l’impresa abbia una determinata capacità tecnica, in quanto quell’organico riveli una composizione professionalmente qualificata.

Sotto questo profilo, quindi, la norma censurata, nel richiedere una determinata qualifica professionale degli operati che compongono l’organico, si limita a specificare senza contraddirlo, ma anzi, valorizzandone la ratio, il criterio individuato dalla disposizione comunitaria.

 

8. L’art. 79, comma 20, del regolamento, nella parte in cui prevede che, “per ottenere la qualificazione nelle categorie OS 13, OS 18-A, OS 18-B e OS 32, l’impresa deve altresì dimostrare di disporre di un adeguato stabilimento industriale specificamente adibito alla produzione dei beni oggetto della categoria”. È, infatti, del tutto ragionevole che le attrezzature, i materiali e gli equipaggiamenti tecnici vengano considerati non in sé, ma nella misura in cui sono organizzati nell’ambito di una struttura fisica destinata alla produzione e, quindi, in definitiva, all’interno di uno stabilimento.

 

9. È infondato il motivo diretto all’annullamento dell’art. 79, comma 17, del regolamento, censurato nella parte in cui prevede che “per i lavori della categoria OS 12-A, ai fini del collaudo, l’esecutore presenta una certificazione del produttore dei beni oggetto della categoria attestante il corretto montaggio e la corretta installazione degli stessi”. In un’ottica di maggiore garanzia per la stazione appaltante, la norma si limita a prevedere che i beni oggetto dei lavori appartenenti alla categoria in esame non potranno essere oggetto di collaudo (dalla stazione appaltante) se il produttore de beni oggetto della categoria non certifichi che sono stati correttamente montati ed installati.

Dunque la norma non viola il principio che riserva alla stazione appaltante il collaudo, atteso che la richiesta certificazione (di corretta esecuzione e montaggio) non sostituisce il collaudo, ma, semmai, si limita a precederlo.

La norma sfugge anche alle censure di irragionevolezza, limitandosi a prevedere una garanzia aggiuntiva (che assicura il corretto montaggio e la corretta installazione dei beni) funzionale ad una specifica esigenza della stazione appaltante, che si traduce, per l’impresa, in un onere certamente proporzionato rispetto al fine di interesse pubblico tramite esso perseguito. Si consideri al riguardo che la categoria OS 12-A (barriere stradali di sicurezza) “riguarda la fornitura, la posa in opera e la manutenzione o ristrutturazione dei dispositivi quali barriere, attenuatori d’urto, recinzioni e simili, finalizzati al contenimento ed alla sicurezza del flusso veicolare stradale”.

 

10. Infondato il motivo diretto all’annullamento dell’art. 92, comma 2, del regolamento. La disposizione va infatti interpretata in maniera conforme agli orientamenti giurisprudenziali formatisi in argomento, e, cioè, nel senso che debba sussistere una corrispondenza non solo tra la quota di partecipazione all’ATI e la quota di esecuzione, ma anche rispetto alla misura dei requisiti di qualificazione posseduti dall’impresa. Dunque questi ultimi devono essere sufficienti a coprire la quota di partecipazione all’ATI e la quota di esecuzione lavori indicata in sede di gara.

 

11. Il ricorso straordinario ha carattere impugnatorio e il thema decidendum rimane cristallizzato dalla domanda di annullamento contenuta nel ricorso originariamente proposto. Il thema decidendum è, quindi, rappresentato dalla domanda di annullamento di quello specifico atto formalmente impugnato con il ricorso introduttivo. Ciò implica che, ove nel corso del giudizio tale atto venga sostituito o modificato, le censure inizialmente proposte non si trasferiscono automaticamente nei confronti del nuovo atto, anche se questo continua ad avere un contenuto non satisfattivo delle pretese dei ricorrenti.

 

3014 CdS commissione speciale 26 giugno 2013 (226.43 Kb)