Vanno rimesse all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni:
1) il rapporto tra atto di appello avverso il dispositivo e atto di appello avverso la motivazione e, in particolare, se sia ammissibile un appello avverso la motivazione della sentenza che viene strutturato come “motivi aggiunti” – che fanno in parte rinvio all’appello avverso il dispositivo – , anziché come appello autonomo. Si tratta di stabilire se si tratti di appelli autonomi l’uno dall’altro, o di un unico appello costituito da una fattispecie a formazione progressiva. L’accoglimento dell’una o dell’altra tesi ha importanti implicazioni in ordine alla forma e al contenuto del secondo appello, quello avverso la sentenza: se il rapporto è di autonomia, il secondo atto deve avere la forma o quantomeno la sostanza di appello autonomo contenente l’esposizione completa dei fatti e dei motivi, senza possibilità di fare rinvio all’appello avverso il dispositivo; se il rapporto è in termini di fattispecie a formazione progressiva, il secondo appello può operare una relatio all’appello avverso il dispositivo.
2) se, a parte il caso di questioni rilevabili d’ufficio, la c.d. graduazione dei motivi operata da una parte (cioè l’indicazione dell’ordine con il quale la parte ritiene che i motivi di ricorso debbano essere esaminati, dichiarando l’interesse all’accoglimento di alcuni di essi solo in via subordinata, per l’ipotesi in cui altri non vengano accolti) sia vincolante per il giudice e se lo sia anche quando la sua osservanza porti ad un risultato non in linea con la tutela piena dell’interesse pubblico, come potrebbe accadere quando il motivo proposto in via principale è diretto ad ottenere l’aggiudicazione e quello proposta in via subordinata è diretto a far cadere l’intera gara, denunciandone la radicale illegittimità;
3) in ordine alle formalità che la stazione appaltante, e per essa la commissione di gara, deve rispettare per assicurare la integrità dei plichi, e in ordine alle modalità di verbalizzazione di tali formalità, vanno rimesse all’Adunanza Plenaria le seguenti questioni:
3.1.) se nella verbalizzazione, sia sufficiente affermare genericamente che i plichi sono stati custoditi in luogo adeguato, o bisogna specificare in quale luogo sono stati custoditi e quale sia il soggetto responsabile della custodia;
3.2.) se nella verbalizzazione sia sufficiente affermare che i plichi sono integri, o occorra necessariamente affermare che sono stati debitamente custoditi;
3.3.) se la dichiarazione circa le modalità di custodia debba essere fatta solo nel primo verbale o debba essere ripetuta in ogni verbale, e se dunque sia o meno sufficiente che nei verbali successivi al primo si constati la integrità dei plichi, senza ripetere quali sono le modalità della custodia;
4.) se sia ammissibile l’impugnazione dell’aggiudicazione con cui il terzo classificato lamenta l’asserita anomalia dell’offerta aggiudicataria (la Sezione precisa di condividere la tesi secondo cui la legittimazione e l’interesse ad impugnare andrebbero riconosciuti solo alla seconda classificata, e non anche ai concorrenti dal terzo in poi);
5.) se sia ammissibile l’impugnazione proposta dal terzo classificato in relazione alla posizione del secondo classificato e diretta a denunciare che questo avrebbe dovuto essere sottoposto a giudizio di anomalia (la Sezione precisa di preferire la tesi negativa perché: (i) la stazione appaltante non aveva alcun obbligo di sottoporre a verifica di anomalia tale offerta; (ii) il giudice non può sostituire l’amministrazione nel compiere una verifica di anomalia per quest’ultima non doverosa).
6) in ordine al riparto di competenza tra r.u.p., commissione di gara e apposita commissione, quanto alla verifica di anomalia, va rimessa alla Plenaria la possibilità di puntualizzare il principio di diritto espresso dalla plenaria n. 36/2012 nel senso che quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sia che la verifica di anomalia sia obbligatoria sia che sia facoltativa, ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 3 dell’art. 86 codice appalti, la verifica di anomalia compete al r.u.p., che ha facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, non solo tra l’alternativa se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice (come statuito dalla plenaria n. 36/2012), ma anche tra le altre alternative previste dal combinato disposto dei commi 121, commi 4, 5 e 10, d.P.R. n. 207/2010, ossia l’avvalimento di uffici e organismi tecnici della stazione appaltanti ovvero la specifica commissione di cui all’art. 88, comma 1-bis, codice appalti.
00761/2013 REG.PROV.COLL.
N. 05312/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
con contestuale ordinanza che sottopone al contraddittorio delle parti questioni rilevate d’ufficio ex art. 73, comma 3, c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 5312 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da Cogit – Costruzioni Generali Italiane – s.p.a. in proprio e quale mandataria dell’a.t.i. con Carparelli Costruzioni s.r.l., Convertino s.r.l. Srb Costruzioni s.r.l., rappresentatee difesedall’avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;
contro
Autorità Portuale di Brindisi, rappresentata difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di
Consorzio Veneto Cooperativo-Coveco Coop s.p.a., Igeco Costruzioni s.p.a., rappresentate e difese dall’avv. Gabriella De Giorgi Cezzi, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
Dec s.p.a.;
Tecno-Sud Costruzioni s.r.l.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – LECCE, SEZIONE I n. 1339/2011, e del dispositivo di sentenza del T.A.R. PUGLIA – LECCE, SEZIONE I n. 1109/2011, resi tra le parti, concernenti AFFIDAMENTO LAVORI DI RIQUALIFICAZIONE RISTRUTTURAZIONE ED AMPLIAMENTO- TERMINAL COSTA MORENA
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Portuale di Brindisi e del Consorzio Veneto Cooperativo-Coveco Coop s.p.a. e di Igeco Costruzioni s.p.a.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2012 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l’avvocato Pellegrino, l’avvocato dello Stato Dettori e l’avvocato De Giorgi;
FATTO E DIRITTO
1. L’Autorità portuale di Brindisi, con bando 2010/S 118-178439 pubblicato in GUCE 19 giugno 2010 ha indetto una gara con procedura aperta avente ad oggetto l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei “lavori di riqualificazione del terminal di Costa Morena – ristrutturazione ed ampliamento” da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Con decreto del presidente dell’Autorità portuale 10 febbraio 2011 la gara è stata aggiudicata in via definitiva all’a.t.i. Consorzio Veneto Cooperativo (COVECO) s.c.p.a. – IGECO Costruzioni s.r.l. (d’ora innanzi a.t.i. COVECO).
L’aggiudicataria ha conseguito punti 80,90.
Al secondo posto si è classificata l’a.t.i. DEC – Tecnosud Costruzioni s.r.l. (d’ora innanzi a.t.i. DEC) con punti 78.68.
Al terzo posto si è classificata l’a.t.i. COGIT con punti 63,35.
La commissione di gara aveva rilevato non esservi offerte anomale ai sensi dell’art. 86, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti), ossia offerte soggette a verifica obbligatoria di anomalia.
Il responsabile unico del procedimento (d’ora innanzi r.u.p.), secondo quanto risulta dalla relazione finale del 9 febbraio2011, indichiarato esercizio dei poteri di cui all’art. 11, commi 5 e 12, codice appalti, ha avviato, ai sensi dell’art. 86, comma 3, codice appalti (verifica facoltativa dell’anomalia delle offerte) una verifica sulle “offerte tempi” e sulle “offerte economiche” in relazione alla prima e alla seconda classificata.
In particolare, l’a.t.i. COVECO, aggiudicataria, ha conseguito il massimo punteggio (pari a 25) per l’offerta “tempi”, in quanto ha offerto di redigere il progetto esecutivo in 5 giorni, con una riduzione pari al 91% rispetto al tempo stimato posto a base di gara (60 giorni), e ha offerto di eseguire i lavori in 150 giorni, con una riduzione pari al 70% rispetto al tempo stimato posto a base di gara (550 giorni).
A sua volta l’a.t.i. DEC, seconda classificata, ha offerto il massimo ribasso sul prezzo, pari al 26,719%, conseguendo così per l’offerta economica il massimo punteggio pari a 15.
Dalla verifica condotta dal r.u.p. è risultato quanto segue:
– quanto all’offerta economica:
– – l’a.t.i. COVECO prima classificata ha offerto un ribasso sul prezzo pari al 15,20%, inferiore alla media dei ribassi (pari al 17,783%);
– – l’a.t.i. DEC seconda classificata ha offerto un ribasso sul prezzo pari al 26,719%, che è stato il massimo ribasso in gara;
– quanto all’offerta tempi:
– – l’a.t.i. DEC ha offerto riduzioni temporali per la progettazione del 50% e per l’esecuzione dei lavori del 35,54% in linea con la media generale attestata rispettivamente al 47,06% per la progettazione e al 41,41% per la realizzazione dell’opera;
– – l’a.t.i. COVECO prima classificata ha offerto sia per la progettazione esecutiva che per l’esecuzione le riduzioni temporali sopra riportate, entrambe di gran lunga superiori alla media generale.
Il r.u.p. con nota 14 gennaio 2011 n.415 hachiesto chiarimenti alla prima classificata e acquisitili (nota COVECO 20 gennaio 2011) ha ritenuto congrui i tempi, confermando così le risultanze di gara.
2. L’a.t.i. terza classificata ha proposto ricorso al Tar Puglia – Lecce contro l’atto di aggiudicazione definitiva e contro gli atti di gara, e segnatamente contro il giudizio di non anomalia reso nei confronti della prima classificata.
2.1. Ha lamentato:
1) la illegittimità della condotta omissiva della commissione di gara, che avrebbe dovuto attivare la verifica di anomalia ai sensi dell’art. 86, comma 3, codice appalti;
2) la incompetenza del r.u.p. a condurre la verifica di anomalia, che avrebbe dovuto essere condotta dalla apposita commissione o a tutto concedere dalla commissione di gara;
3) l’illegittimità del giudizio di non anomalia nei confronti della prima classificata, in particolare il r.u.p. non avrebbe potuto prescindere dall’esame dell’offerta tecnica, e dai modesti punteggi attribuiti dalla commissione di gara all’a.t.i. aggiudicataria per il gruppo di progettazione (punti 2,55/10) e per l’organizzazione dell’impresa (punti 6.56/10); incoerente sarebbe pertanto il giudizio di non anomalia dei tempi di progettazione ed esecuzione, avuto riguardo alla modestia del gruppo di progettazione e dell’organizzazione dell’impresa; parimenti sarebbero incongrue le giustificazioni fornite quanto ai tempi di esecuzione;
4) l’anomalia sia dell’offerta prima classificata sia dell’offerta seconda classificata; quanto all’offerta della prima classificata, per incongruità dei tempi offerti, quanto all’offerta della seconda classificata, per aver indicato costi della manodopera desunti da tabelle non ufficiali (aggiornate al gennaio 2009) e inferiori ai minimi inderogabili, e per aver indicato prezzi per le lavorazioni desunti da prezziari non più attuali e comunque riferiti a preventivi ormai scaduti da tempo; in particolare l’a.t.i. DEC avrebbe offerto i seguenti costi:
– operaio specializzato 28,99 euro/ora;
– operaio qualificato 27,07 euro/ora;
– operaio comune 24,44 euro/ora.
Invece, i prezzi previsti dalla Commissione regionale prezzi del provveditorato interregionale alle opere pubbliche perla Pugliaela Basilicata, per la provincia di Brindisi (luogo di esecuzione dei lavori) relativi al periodo dell’offerta (agosto 2010), sarebbero i seguenti:
– operaio specializzato 29,24 euro/ora;
– operaio qualificato 27,20 euro/ora;
– operaio comune 24,56 euro/ora.
Inoltre dall’analisi dei prezzi si evincerebbe che l’a.t.i. DEC quali nuovi prezzi (NPV.043, NPV.044, NPV.045) inserirebbe costi della manodopera ulteriormente inferiori e in particolare:
– operaio specializzato 23,10 euro/ora;
– operaio qualificato 22,10 euro/ora;
– operaio comune 19,93 euro/ora.
L’incidenza media del costo della manodopera sull’appalto sarebbe stimabile tra una percentuale minima del 30% e massima del 40% sicché, – considerato che l’importo a base d’asta era di euro 9.640.802,51 e che l’importo offerto dall’a.t.i. DEC è di euro 7.064.876,49 il cui 30% equivale a 2.119,462,95 – , sarebbe evidente che il ribasso offerto si fonda sull’illegittimo utilizzo di prezziari non aggiornati.
Inoltre anche per i prezzi delle lavorazioni l’a.t.i. DEC avrebbe utilizzato il prezziario dell’associazione regionale ingegneri e architetti di Puglia (ARIAP) aggiornato al secondo semestre 2009, invece che il prezziario ufficiale aggiornato periodicamente dalla Regione Puglia.
Infine, l’a.t.i. DEC avrebbe esibito in gara preventivi risalenti al 2008-2009, inizi del 2010, e quindi inattuali al momento della gara.
5) in via subordinata la violazione, da parte della commissione di gara, del principio di trasparenza, in quanto la commissione non avrebbe dato atto a verbale delle modalità di conservazione delle buste Ce D contenenti le offerte tempo e le offerte economiche; il che sarebbe accaduto dopo che le offerte tecniche erano state conosciute e valutate, conseguendo punteggi analoghi, laddove lo scarto che ha consentito il conseguimento della prima e seconda posizione sarebbe dovuto proprio alle offerte tecniche ed economiche, delle quali però non si avrebbe contezza della corretta conservazione.
Inoltre l’offerta tempo e l’offerta tecnica ed economica dell’a.t.i. COVECO sarebbe priva della data di sottoscrizione, e in un secondo momento sarebbero emerse copie con la data di sottoscrizione, e ciò sarebbe indizio della manomissione dei plichi.
6) Con il ricorso di primo grado è stato inoltre chiesto il risarcimento del danno, in primis in forma specifica, in subordine per equivalente.
3. Con successivi motivi aggiunti in primo grado l’a.t.i. COGIT terza classificata ha impugnato il silenzio – rigetto dell’Autorità portuale sull’istanza di autotutela e preavviso di ricorso presentati dalla stessa COGIT in data 10 marzo 2011, pervenuta all’Autorità portuale in data 16 marzo 2011.
Contro tale atto sono stati dedotti, quali vizi di illegittimità propri e derivati, gli stessi motivi articolati nel ricorso introduttivo.
4. Il Tar adito ha dichiarato il ricorso inammissibile, dapprima pubblicando il dispositivo (n. 1109/2011) e poi la sentenza.
Con la sentenza in epigrafe (Tar Puglia – Lecce, sez. I, 14 luglio 2011 n. 1339) il Tar ha fondato l’inammissibilità sui seguenti argomenti:
1) sarebbe affetta da “estrema genericità” la censura subordinata di violazione della trasparenza da parte della commissione di gara; l’offerta dell’a.t.i. aggiudicataria recherebbe, nell’originale, la data di sottoscrizione; non vi sarebbe prova della manomissione dei plichi, e la differenza tra le copie sarebbe imputabile all’utilizzo di diverse fotocopiatrici; inoltre l’inidonea attestazione nei verbali di gara sarebbe insufficiente a travolgere gli atti di gara occorrendo invece elementi indiziari della denunciata manomissione. Il verbale n. 8 attesta la integrità dei plichi contenenti le offerte tempi ed economiche, e ciò sarebbe sufficiente anche se non si dà atto delle modalità di conservazione dei plichi;
2) al fine della verifica dell’interesse al ricorso, il Tar procede a prova di resistenza e, verificato che l’offerta della seconda classificata non è anomala, dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della prima classificata, perché la ricorrente terza classificata non potrebbe comunque conseguire l’aggiudicazione, anche ove risultasse anomala l’offerta prima classificata, subentrando in tal caso nell’aggiudicazione la seconda classificata la cui offerta non è anomala;
3) quanto all’offerta della seconda classificata, secondo il Tar essa non sarebbe anomala perché:
3.1) le tabelle ministeriali sul costo del lavoro non conterrebbero i minimi inderogabili, ma solo parametri indicativi suscettibili di scostamento;
3.2) comunque, essendo minima la differenza tra prezzo offerto e tabelle ministeriali, vi sarebbe un complessivo scostamento per difetto pari a euro 18.317,52, che non inciderebbe sulla complessiva attendibilità dell’offerta;
3.3) non rileverebbe che l’offerta si fonda su preventivi non aggiornati, perché in tempi di contrazione della produzione, è ragionevole ritenere che i preventivi sarebbero stati confermati.
5. L’a.t.i. terza classificata, già ricorrente in primo grado, ha proposto anzitutto appello avverso il dispositivo di sentenza, e successivamente motivi aggiunti avverso la sentenza integrale.
5.1. Entrambi gli appelli sono stati ritualmente e tempestivamente notificati e depositati.
5.2. Sia l’appello avverso il dispositivo che l’appello avverso la sentenza sono corredati di domanda cautelare.
5.3. Sull’appello avverso il dispositivo è stato emesso il decreto presidenziale 24 giugno 2011 n. 2707, che ha respinto l’istanza cautelare e fissato per la camera di consiglio collegiale l’udienza del 5 luglio 2011; a tale data l’udienza cautelare è stata rinviata al 29 luglio 2011, per difetto di termini a difesa.
All’udienza del 29 luglio 2011 la trattazione dell’appello cautelare su dispositivo è stata rinviata essendo nel frattempo stata depositata la sentenza di primo grado ed essendo in corso di notifica i motivi aggiunti.
5.4. Sull’appello avverso la sentenza è stato dapprima reso il decreto presidenziale 8 agosto 2011 n. 3566 che ha accolto l’istanza cautelare al solo fine di inibire la stipula del contratto fino all’udienza cautelare collegiale e con fissazione dell’udienza cautelare collegiale alla data del 30 agosto 2011 (con la seguente motivazione:” considerato che la complessiva valutazione dei diversi interessi nella specie coinvolti induce a preferire l’opzione la quale consenta di pervenire alla delibazione cautelare nella competente sede collegiale re adhuc integra. Pertanto, l’amministrazione aggiudicatrice non potrà stipulare il contratto con l’ATI aggiudicataria fino alla decisione collegiale da parte di questo giudice di appello;
Considerato che gli effetti dell’accoglimento dell’istanza di provvedimenti cautelari d’urgenza di cui in epigrafe devono essere limitati al richiamato profilo inibitorio, mentre alcuna ulteriore pretesa può essere allo stato accampata dalla società ricorrente”).
All’udienza cautelare collegiale del 30 agosto 2011 la domanda cautelare è stata respinta con la seguente motivazione “Ritenuto, nell’esame proprio della fase cautelare, che l’appello non appare assistito da profili sufficienti di fumus boni iuris tali da superare la valutazione di inammissibilità ritenuta dal TAR; Ritenuti sussistere motivi per la compensazione tra le parti delle spese della presente fase cautelare” (Cons. St., sez. VI, 31 agosto 2011 n. 3705, ord.).
6. Con l’appello avverso il dispositivo vengono riproposti tutti i motivi di cui al ricorso di primo grado e si formulano ipotesi sulle possibili motivazioni del dispositivo di inammissibilità del ricorso, e si muovono censure alla ipotetica motivazione della dichiarata inammissibilità.
Inoltre si replica alle eccezioni sollevate dalle altre parti nel giudizio di primo grado.
7. Nell’atto di appello avverso la sentenza, che ha la forma dei “motivi aggiunti” viene dato per noto il contenuto dell’appello avverso il dispositivo, si omette l’esposizione dei fatti di causa e si espongono direttamente i motivi di ricorso muovendosi motivate critiche alla sentenza, critiche che possono così essere sintetizzate:
1) erroneamente la sentenza avrebbe esaminato per primo il motivo proposto in via subordinata, non tenendo conto dell’ordine di esame dei motivi di parte e della relativa graduazione (pag. 4 atto di motivi aggiunti in appello);
2) erroneamente la sentenza avrebbe affermato che il ricorso di primo grado non supera la prova di resistenza non avendo dimostrato la anomalia della offerta seconda classificata; infatti, il r.u.p. avrebbe rilevato l’anomalia della seconda classificata, ma poi non avrebbe proceduto alla verifica di anomalia; pertanto, con il ricorso di primo grado si chiedeva di far condurre alla stazione appaltante e per essa alla competente commissione la verifica di anomalia nei confronti della seconda classificata; ciò che si deduceva in primo grado era l’interesse strumentale a che venisse fatta dalla stazione appaltante la verifica di anomalia, e tale interesse strumentale non sarebbe sottoponibile a prova di resistenza;
3) pertanto il Tar si sarebbe dovuto limitare a dichiarare l’obbligo della stazione appaltante di compiere la verifica di anomalia nei confronti della seconda classificata, anziché condurla direttamente, come ha fatto, così inammissibilmente sostituendosi in una valutazione di merito riservata all’amministrazione;
4) il Tar ha errato ritenendo che una “commissione” avesse compiuto la verifica di anomalia nei confronti della seconda classificata mentre tale verifica non è mai stata fatta;
5) né rileverebbe a giustificare la verifica di anomalia condotta dal Tar la circostanza che nel ricorso di primo grado la ricorrente ha indicato gli elementi di anomalia delle offerte prima e seconda, perché tali elementi sarebbero stati indicati al solo fine di corroborare la tesi della sussistenza dell’obbligo della stazione appaltante di procedere a verifica di anomalia.
6) L’appello prosegue censurando nel merito gli argomenti della sentenza a sostegno della non anomalia dell’offerta seconda classificata, riproponendo i motivi di cui al ricorso di primo grado volti a dimostrare l’anomalia sia dell’offerta prima classificata che di quella seconda classificata.
7) Si ripropongono anche i motivi di primo grado, non esaminati dal Tar, relativi alla incompetenza del r.u.p. a condurre la verifica di anomalia.
8) Infine, in via dichiaratamente subordinata, si ripropone la censura di violazione della trasparenza da parte della commissione di gara, e si critica il capo di sentenza che tale censura ha disatteso.
Si osserva che la censura, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, non era generica ma solo sintetica.
Viene richiamata la giurisprudenza amministrativa in tema di modalità di conservazione dei plichi delle offerte e di verbalizzazione di tali modalità.
Inoltre la ricorrente avrebbe fornito anche elementi indiziari della manomissione dei plichi, atteso che l’offerta prima classificata inizialmente era priva della data di sottoscrizione, poi comparsa.
9) L’appello insiste infine nella richiesta di risarcimento in forma specifica mediante declaratoria di inefficacia del contratto (ove medio tempore stipulato) e subentro in esso della ricorrente, e in via subordinata nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente.
8. Il Collegio ritiene che l’esame dell’appello necessita che siano affrontate numerose questioni processuali rilevabili d’ufficio, che in parte sono questioni nuove e di massima, in parte sono questioni su cui c’è contrasto di giurisprudenza. Inoltre anche alcune questioni di merito sottoposte dall’appello sono questioni su cui c’è contrasto di giurisprudenza.
Pertanto il Collegio, con la presente ordinanza, intende da un lato rilevare d’ufficio alcune questioni da sottoporre al contraddittorio delle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., e dall’altro lato deferire l’esame di tutte le questioni all’esame della plenaria, peraltro senza esonerarsi dall’indicare la propria posizione su ciascuna questione, a titolo di doverosa collaborazione con l’adunanza plenaria.
Verranno in particolare rilevate d’ufficio e sottoposte al contraddittorio delle parti tre questioni(parr. 9, 12, 13).
Verranno sottoposte alla plenaria sei questioni (parr. 9, 10, 11, 12,13, 14).
9. Una prima questione che il Collegio rileva d’ufficio, e che sottopone al contraddittorio delle parti e alla adunanza plenaria, attiene al rapporto tra atto di appello avverso il dispositivo e atto di appello avverso la motivazione, e alla ammissibilità di un appello avverso la motivazione della sentenza che viene strutturato come “motivi aggiunti” – che fanno in parte rinvio all’appello avverso il dispositivo – , anziché come appello autonomo.
9.1. Si tratta di questione che viene rimessa alla plenaria ai sensi dell’art. 99 comma 1 c.p.a. perché può dare luogo a contrasti di giurisprudenza nel delicato settore del contenzioso sui pubblici appalti.
9.2. Come è noto, nel rito speciale appalti, disciplinato dagli artt. 119 e ss. c.p.a., nel giudizio di primo grado è obbligatorio che il giudice prima pubblichi il dispositivo (entro sette giorni dalla data di deliberazione) e poi la sentenza (entro 23 giorni dalla deliberazione) (art. 120, comma 9, c.p.a.).
Conseguentemente, il dispositivo è atto immediatamente impugnabile (impugnazione facoltativa) ma si tratta di un appello tipicamente cautelare, con cui la parte chiede la sospensione della esecutività del dispositivo (art. 119, comma 6 c.p.a.).
Quando la parte si avvale della facoltà di impugnare immediatamente il dispositivo, deve fare riserva dei motivi che poi proporrà entro i consueti termini decorrenti dalla notificazione o pubblicazione della sentenza completa.
Va poi ricordato che ai sensi dell’art. 101 comma 1 c.p.a. l’appello deve contenere l’esposizione dei fatti e le specifiche censure contro la sentenza gravata.
9.3. Si pone allora la questione del rapporto tra appello avverso il dispositivo e appello (o motivi aggiunti) avverso la sentenza completa: si tratta di stabilire se si tratti di appelli autonomi l’uno dall’altro, o di un unico appello costituito da una fattispecie a formazione progressiva.
L’accoglimento dell’una o dell’altra tesi ha importanti implicazioni in ordine alla forma e al contenuto del secondo appello, quello avverso la sentenza: se il rapporto è di autonomia, il secondo atto deve avere la forma o quantomeno la sostanza di appello autonomo contenente l’esposizione completa dei fatti e dei motivi, senza possibilità di fare rinvio all’appello avverso il dispositivo; se il rapporto è in termini di fattispecie a formazione progressiva, il secondo appello può operare una relatio all’appello avverso il dispositivo.
9.4. La questione è rilevante nel caso di specie perché l’appello avverso la sentenza non ha struttura di appello autonomo, né sul piano formale né su quello sostanziale: sul piano formale, ha la forma di “motivi aggiunti” rispetto all’appello avverso il dispositivo; sul piano sostanziale, non contiene la esposizione dei fatti di causa, operando un espresso rinvio all’appello avverso il dispositivo.
9.5. La questione è rilevante anche sotto il più generale profilo della esatta delimitazione della materia del contendere e dell’ambito della cognizione del giudice amministrativo in sede di giudizio di merito: si tratta di stabilire se il giudice debba esaminare in ogni caso entrambi gli appelli (il che rileva se propongono censure diverse), o se l’esame debba essere circoscritto all’appello avverso la sentenza, dovendosi ritenere improcedibile o assorbito l’appello avverso il dispositivo.
9.6. La questione dell’esatta delimitazione della materia del contendere e dell’esatto ambito della cognizione del giudice è a sua volta rilevante, da una parte, sotto il profilo delle esigenze di economia processuale e sinteticità, e, dall’altra parte, sotto il profilo della necessità di un esame completo delle censure di parte, senza incorrere in vizi revocatori di omessa pronuncia.
9.7. Questo Collegio propende per la tesi della autonomia dei due appelli, quello avverso il dispositivo e quello avverso la sentenza.
A tale conclusione perviene alla luce del quadro normativo vigente, sia quanto alla portata e al contenuto dell’appello avverso il dispositivo, sia quanto alla portata e al contenuto dell’appello avverso la sentenza.
9.7.1. Quanto all’appello avverso il dispositivo, l’art. 119 comma 6 c.p.a. dispone che: “la parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione dell’esecutività del dispositivo, proponendo appello entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro tre mesi dalla sua pubblicazione. La mancata richiesta di sospensione dell’esecutività del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi”.
Dall’art. 119 comma 6 c.p.a. si evincono tre dati normativi che connotano l’appello avverso il dispositivo:
– è un appello con esclusiva funzione cautelare: sul piano testuale, la norma non dice che la parte può appellare il dispositivo tout court, ma dice che “la parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione dell’esecuzione del dispositivo, proponendo appello…con riserva dei motivi da proporsi…” a seguito della pubblicazione della sentenza; sul piano logico, nessun altra funzione se non quella cautelare potrebbe attribuirsi all’appello avverso il dispositivo, atteso che essendo ancora inesistente la sentenza da contestare in appello, il ricorso al giudice di appello non può che essere finalizzato al fine cautelare di bloccare gli atti impugnati in prime cure;
– è un appello facoltativo che non determina oneri o decadenze, potendo la parte proporre appello autonomo avverso la sentenza chiedendo in quella sede la tutela cautelare;
– se proposto, l’appello avverso il dispositivo onera la parte di proporre successivamente i motivi contro la sentenza, non essendo idoneo, il solo appello avverso il dispositivo, a contestare una sentenza ancora inesistente al momento della sua proposizione; sicché se la parte appella il dispositivo e poi non appella nei termini la sentenza, decade dalla possibilità di contestare la sentenza medesima.
9.7.2. Quanto all’appello avverso la sentenza, l’art. 119 c.p.a. disciplina i termini di impugnazione e afferma che in caso di appello avverso il dispositivo si fa “riserva dei motivi”. Soccorrono anche le regole sul processo amministrativo ordinario (art. 38 comma 1): l’appello avverso la sentenza ai sensi dell’art. 101 comma 1 c.p.a. deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti e le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata.
Va poi ricordato, ancorché non applicabile nel presente giudizio ratione temporis, l’art. 40 c.p.a. nel testo novellato dal d.lgs. n. 160/2012, che impone di indicare nel ricorso, distintamente, l’esposizione dei fatti e i motivi specifici di censura.
La disposizione è senz’altro applicabile anche nel giudizio di appello (art. 38, comma 1, c.p.a.).
9.7.3. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, sembra al Collegio che la questione sottoposta sia da risolvere nel senso della autonomia e non interscambiabilità dell’appello avverso il dispositivo e quello avverso la sentenza.
Il primo ha solo funzione cautelare, e deve essere esaminato in sede cautelare, mentre non concorre a determinare la materia del contendere quanto all’appello avverso la sentenza. Sicché, il giudice del merito deve esaminare solo l’appello avverso la sentenza e non anche l’appello avverso il dispositivo, che ha esaurito la sua funzione nella sede cautelare.
In tal senso si ricorda il precedente della V sez. secondo cui l’appello avverso il dispositivo ha portata esclusivamente cautelare mentre i successivi “motivi aggiunti” avverso la sentenza hanno natura di autonomo appello non cautelare, soggetto alla sospensione feriale dei termini .
Ciò ha le seguenti implicazioni pratiche:
a) i motivi contenuti nell’appello avverso il dispositivo e non riprodotti nell’appello avverso la sentenza si devono intendere abbandonati e non devono essere esaminati dal giudice del merito; l’omesso esame non dà luogo ad alcun vizio revocatorio di omessa pronuncia;
b) nel dispositivo della sentenza resa sull’appello avverso la sentenza, non occorre alcuna pronuncia sull’appello avverso il dispositivo, nemmeno in termini di improcedibilità o assorbimento, perché l’appello sul dispositivo è stato già esaminato nella sede cautelare;
c) l’appello avverso la sentenza deve avere la sostanza di appello autonomo, anche se può, per ragioni pratiche, avere la forma di “motivi aggiunti” all’appello avverso il dispositivo (al fine pratico di farlo confluire in un unico fascicolo processuale, anziché dare luogo ad autonomo fascicolo che dovrebbe essere riunito al primo); il che implica che deve contenere l’esposizione dei fatti e tutti i motivi di censura che si intendono proporre; tale appello avverso la sentenza, proposto dopo l’appello avverso il dispositivo, non può fare rinvio né per i fatti né per i motivi all’appello avverso il dispositivo.
9.7.4. Aderendo a tale soluzione, nel caso di specie andrebbe verificata l’ammissibilità dei “motivi aggiunti” all’appello avverso il dispositivo, che non contengono una esposizione dei fatti e richiamano in parte qua il primo appello.
Anche se si potrebbe senz’altro pervenire alla concessione di errore scusabile, attesa la novità della questione.
9.7.5. Peraltro il Collegio, pur propendendo per la tesi dell’autonomia dei due appelli, uno in funzione cautelare e uno relativo al merito, non può esimersi dall’indicare anche taluni argomenti esegetici che potrebbero far propendere per la tesi della fattispecie a formazione progressiva, da cui conseguirebbe la reciproca integrabilità degli appelli avverso dispositivo e sentenza al fine della delimitazione della materia del contendere.
Sul piano testuale, il già menzionato art. 119, comma 6, c.p.a., nel contemplare l’appello avverso il dispositivo, a fini cautelari, parla di “riserva dei motivi” da proporre dopo la pubblicazione della sentenza.
Si potrebbe pertanto ritenere che il secondo appello possa legittimamente contenere solo i “motivi” riservati in sede di appello avverso il dispositivo, e non debba pertanto contenere anche l’esposizione dei fatti, che potrebbe essere affidata al solo dispositivo.
Tale soluzione, peraltro, potrebbe salvare da inammissibilità, nel caso di specie, i motivi aggiunti (che non contengono l’esposizione dei fatti), ma non sembra implicare anche che i motivi di ricorso possano essere frammentati tra i due appelli; infatti sembrerebbe che comunque i motivi contro la sentenza debbano essere contenuti tutti nel secondo appello.
Un altro elemento a favore della tesi della fattispecie a formazione progressiva si desume dalla prassi in tema di debenza del contributo unificato. Secondo la circolare del segretariato generale della giustizia amministrativa 25 luglio2011, incaso di appello separato avverso dispositivo e sentenza, va pagato un unico contributo, al momento dell’appello avverso il dispositivo (nel caso di specie il contributo unificato è stato versato sia in sede di appello avverso il dispositivo, nella somma di euro 2000 e sia in sede di appello avverso la sentenza nella somma di euro 4000).
Ora, se si considera che non viene ritenuto dovuto il contributo unificato per la domanda cautelare, la tesi che impone il versamento del contributo unificato al momento dell’appello avverso il dispositivo, contraddice alla soluzione che l’appello avverso il dispositivo è un appello esclusivamente cautelare, e fa propendere per la tesi secondo cui è un appello anche di merito, destinato a completarsi e fare corpo con il successivo appello avverso la sentenza.
10. La seconda questione che il Collegio rimette all’esame della plenaria (e che in qualche modo è suggerita dallo stesso appello, pag. 4) attiene all’ordine di esame dei motivi di ricorso, che la parte abbia graduato.
Ciò, ovviamente, fuori dai casi in cui con i motivi di ricorso si sottopongano questioni che il giudice può rilevare d’ufficio, e che hanno un ordine prioritario e non sono suscettibili di graduazione vincolante ad opera delle parti.
10.1. Nel caso di specie si è al di fuori di tale ipotesi, più semplicemente la parte ha proposto più motivi di merito, indicandone una graduazione e chiedendo l’esame di un motivo in via subordinata al mancato accoglimento degli altri.
10.2. Invece il Tar, non rispettando la graduazione proposta dalla parte, ha esaminato per primo proprio il motivo proposto in via subordinata.
Il Tar non ha spiegato la ragione della sua scelta, ma si deve ritenere che abbia implicitamente aderito alla tesi secondo cui quando, in una procedura concorsuale (gara di appalto, concorso a pubblico impiego, gara per la concessione di finanziamenti), la parte ricorrente propone una pluralità di motivi contro i diversi atti del procedimento, occorrerebbe esaminare per primi i motivi che si dirigono contro gli atti più a monte nella procedura e il cui accoglimento meglio soddisfa l’interesse pubblico alla legittimità dell’azione amministrativa; p.es. nel caso di vizi dedotti contro il bando e contro l’aggiudicazione, dovrebbero essere esaminati per primi i vizi contro il bando e dopo gli altri motivi.
E’ a tale logica che si è ispirato implicitamente il Tar, che ha esaminato per prime le censure contro la custodia delle offerte, che, se accolte, avrebbero comportato il travolgimento dell’intera gara.
10.3. A tale tesi se ne contrappone però un’altra, secondo cui il giudice nell’esaminare i motivi di ricorso è vincolato alla graduazione indicata dalla parte (sempre che non ci siano questioni rilevabili d’ufficio), in funzione della effettività e satisfattività della tutela. Così, nell’esempio appena fatto della impugnazione del bando e dell’aggiudicazione, andrebbero esaminati prima i motivi contro l’aggiudicazione e poi quelli contro il bando, perché per la parte è più satisfattivo ottenere l’annullamento della sola aggiudicazione (così potendo concorrere alla gara e all’aggiudicazione) piuttosto che l’annullamento del bando (che implicando il rifacimento della gara impedisce alla parte di ottenere quella aggiudicazione, dandole solo la chance di partecipare ad una nuova gara, se e quando la amministrazione la bandirà).
Così, nel caso di specie, per la parte sarebbe più satisfattivo l’accoglimento delle sole censure contro l’aggiudicazione, anziché l’accoglimento delle censure contro l’operato della commissione che, avuto riguardo al loro contenuto (violazione della integrità dei plichi e rischio di manomissione delle offerte), implicherebbero il rifacimento della intera gara.
10.4. Su tale questione il Collegio rileva che non vi è unanimità di posizioni da parte della giurisprudenza, pur sembrando prevalere la tesi secondo cui va rispettata la graduazione dei motivi indicata dalle parti.
Anche il Collegio ritiene preferibile la tesi prevalente, specie alla luce del cod. proc. amm.
Espone tuttavia le due tesi e rimette la soluzione della questione all’adunanza plenaria.
10.5. Va premesso che la graduazione è un ordine dato ai motivi dalla parte, in funzione del proprio interesse. La graduazione serve a segnalare che l’esame e accoglimento di alcuni motivi ha, per la parte, importanza prioritaria, e che i motivi indicati come subordinati o graduati per ultimi, hanno minore importanza e se ne chiede l’esame solo in caso di mancato accoglimento di quelli prioritari.
Se la parte ha graduato i motivi, si pone la questione se la graduazione sia vincolante o meno per il giudice.
L’art. 99 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno recato dall’art. 39, c. 1, c.p.a., pone il principio della domanda, e l’art. 112 c.p.c. il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Peraltro nessuna di tali norme pone espressamente un vincolo del giudice a rispettare la graduazione dei motivi.
Il giudice incontra il vincolo di doversi pronunciare nei limiti della domanda, su tutta la domanda e non oltre essa, il che significa che deve rendere una pronuncia satisfattiva.
Inoltre il c.p.a. ha accentuato il connotato di processo di parti del processo amministrativo, e dunque il principio dispositivo.
Da tali considerazioni segue che la graduazione va tendenzialmente rispettata dal giudice in funzione dei principi dispositivo, di satisfattività e di completezza, con il temperamento delle questioni rilevabili d’ufficio.
Se determinate questioni sono rilevabili di ufficio, la graduazione dei motivi indicata dalle parti non è vincolante e non può derogare l’ordine legale.
10.6. Invero, il principio dispositivo che caratterizza il giudizio amministrativo comporta che il ricorrente abbia la possibilità di indicare l’ordine con il quale ritiene che i motivi di ricorso debbano essere esaminati, dichiarando l’interesse all’accoglimento di alcuni di essi solo in via subordinata, per l’ipotesi in cui altri non vengano accolti.
10.7. Ulteriore questione, che viene in rilievo nel caso specifico, e su cui c’è contrasto di giurisprudenza, è se la graduazione dei motivi sia vincolante quando la sua osservanza porti ad un risultato non in linea con la tutela piena dell’interesse pubblico.
Sul punto prima del c.p.a. si è delineato un contrasto tra V e VI sezione del Consiglio di Stato, negli ultimi anni, in quanto la sesta sezione dà il massimo rilievo al principio dispositivo mentre la quinta sezione dà maggior rilievo alla tutela dell’interesse pubblico: il c.p.a. non offre spunti puntuali per la soluzione di tale contrasto, ma piuttosto lascia spazio a considerazioni di sistema.
Secondo la giurisprudenza della sesta sezione in linea generale il principio dispositivo che caratterizza ogni tipo di processo ad impulso di parte, ed il giudizio amministrativo in particolare, comporta che il ricorrente abbia il potere di scegliere le domande da proporre e la possibilità di indicare l’ordine con il quale ritiene che i motivi, all’interno della domanda, debbano essere esaminati, dichiarando l’interesse all’accoglimento di alcuni di essi solo in via subordinata, per l’ipotesi in cui altri non vengano accolti.
Avuto riguardo a processi in materia di appalti, la sesta sezione ha dato rilievo al risultato maggiormente satisfattivo per l’interesse del ricorrente piuttosto che per l’interesse pubblico, ritenendo che in presenza di un motivo diretto ad escludere il primo classificato di una gara di appalto e di altro motivo tendente ad una rinnovazione (parziale o totale) delle operazioni di gara, l’accoglimento del primo motivo è maggiormente satisfattivo per l’interesse del ricorrente secondo classificato rispetto all’accoglimento dell’altro motivo, e il giudice pertanto deve preferire l’accoglimento del primo motivo . Ancora, nella stessa logica, la sesta sezione ha ritenuto che a fronte di un motivo diretto contro l’aggiudicazione, e di un altro motivo, espressamente proposto in via subordinata, contro il bando, va esaminato per primo il motivo contro l’aggiudicazione e, se lo stesso è accolto, va assorbito il motivo diretto contro il bando ; infatti nel caso specifico l’accoglimento del motivo contro l’aggiudicazione aveva come conseguenza immediata e diretta l’aggiudicazione in favore del ricorrente, invece l’esame ulteriore anche del motivo contro il bando avrebbe avuto come conseguenza l’annullamento dell’intera gara, sicché il ricorrente non avrebbe conseguito l’aggiudicazione, ma solo una chance di vittoria se ed in quanto la stazione appaltante avesse bandito nuovamente la gara.
In tali ipotesi, pertanto, i motivi che denunciavano vizi che, se ritenuti sussistenti, avrebbero comportato il rinnovo dell’intera gara, anche se in astratto fondati, non sono stati presi in esame, perché si è ritenuto maggiormente satisfattivo per l’interesse del ricorrente ottenere l’esclusione dell’aggiudicatario e dunque l’aggiudicazione in proprio favore, anziché il rinnovo dell’intera gara. È stato pertanto anteposto l’interesse del ricorrente all’interesse pubblico che sarebbe stato quello di rimuovere tutti i vizi della procedura.
Analogamente, nel contenzioso elettorale, si pone la questione se vada data priorità al motivo che tende all’annullamento del solo risultato elettorale, o a quello che tende al rinnovo delle intere operazioni elettorali. Nell’ottica del principio dispositivo, nel 2006 il Consiglio di Stato ha optato per la prima soluzione; ha così statuito: nell’ipotesi in cui le domande avanzate siano più e diverse per il rispettivo petitum, tale facoltà del giudicante trova il suo limite nel principio dispositivo, che governa anche il processo amministrativo, in applicazione del quale compete al ricorrente indicare al giudice quale delle domande proposte egli ritenga più ampiamente satisfattiva del suo interesse; in altre parole, la discrezionalità del giudice di ordinare l’esame della materia del contendere secondo un determinato ordine logico resta pur sempre correlata all’interesse di cui il ricorrente chiede tutela; cosicché quando più siano gli interessi o diverso sia il mezzo di tutela in relazione all’intensità dello stesso interesse, tanto da risolversi nella proposizione di domande aventi petitum diverso, l’esercizio di quella discrezionalità è consentito al giudicante soltanto riguardo alle questioni sollevate ed ai motivi di censura dedotti nell’ambito della stessa domanda (nel caso di specie, gli originari ricorrenti hanno chiesto, secondo quanto letteralmente indicato nell’epigrafe, nel corpo e nelle conclusioni, del ricorso di primo grado “la rettifica e/o l’annullamento … delle risultanze delle operazioni, elettorali … e conseguentemente … la declaratoria del pieno titolo del ricorrente ad essere eletto sindaco … ovvero, in via alternativa/gradata … l’annullamento delle operazioni elettorali …”, cioè due diverse domande tra di loro incompatibili, giacché quella di correzione del risultato presuppone la conservazione del procedimento elettorale nel suo complesso) .
10.8. A tale orientamento si contrappone un indirizzo espresso nel 2009 dalla V sezione, indirizzo che riconosce al giudice amministrativo ampi poteri officiosi nella scelta dei motivi di ricorso ai quali dare priorità e che, in materia di procedure concorsuali, si uniforma in particolare al criterio ispirato alla priorità dell’esame di quelle questioni che evidenziano, in astratto, una più radicale illegittimità della procedura.
Secondola Vsezione, il principio dispositivo non può essere condiviso nella sua assolutezza ma deve essere coordinato con l’opposta tesi, sviluppata dalla giurisprudenza tradizionale, secondo cui rientra nel potere del giudice amministrativo, riveniente dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione pubblica, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato.
Sulla base di tali premesse si è affermato che, impugnata una graduatoria concorsuale, il ricorrente non può pretendere che sia esaminata prima la censura che conduca al conseguimento della nomina o dell’aggiudicazione e poi, in caso di mancato accoglimento, far valere un motivo di illegittimità riguardante l’intera procedura; ciò sul rilievo secondo cui non si può conseguire una nomina o una aggiudicazione a seguito di una selezione la cui procedura sia integralmente invalida.
In tal caso, infatti, il giudice procede nell’ordine logico segnato da quei motivi che evidenziano in astratto una più radicale illegittimità del provvedimento, comunque idonei, in caso di accoglimento, a soddisfare l’interesse sostanziale dedotto in giudizio, e il principio dispositivo e la conseguente graduazione dei motivi non può vincolare il giudice fino a fargli alterare l’ordine logico delle questioni .
10.9. Tale orientamento della V sezione è espressione di una giurisprudenza tradizionale risalente negli anni che afferma che spetta al giudice amministrativo individuare l’ordine di esame dei motivi dedotti dal ricorrente, sulla base della loro consistenza oggettiva, e del rapporto fra gli stessi esistente sul piano logico giuridico, non alterabile dalla mera richiesta dell’interessato .
Tale giurisprudenza più risalente tende ed escludere che la graduazione dei motivi prospettata nel ricorso abbia carattere vincolante per il giudice al quale soltanto spetta il compito di decidere l’ordine di trattazione delle censure .
Tale orientamento è maggiormente preoccupato di assicurare una coerente tutela all’interesse pubblico, sembrando incoerente se non paradossale che il ricorrente vittorioso consegua l’aggiudicazione sulla scorta di una procedura il cui bando è viziato.
10.10. Anche tale più restrittivo orientamento, tuttavia, afferma che il potere officioso del giudice amministrativo deve essere esercitato nell’ambito di motivi sollevati all’interno di una medesima domanda; quando invece vengono avanzate più domande, diverse per petitum, tale facoltà incontra un limite nel principio dispositivo che non consente al giudice di superare le vincolanti indicazioni del ricorrente .
È però da capire cosa si intenda per domande diverse. Sembra chiaro che sono diverse le domande di annullamento e di risarcimento, e che pertanto le stesse possano essere graduate in ordine di importanza.
Se si chiede l’annullamento di una pluralità di atti della stessa sequenza procedimentale, è da chiedersi se la domanda di annullamento è una sola (perché unico è il procedimento) o se vi sono tante domande di annullamento quanti sono gli atti impugnati. Così, per ritornare al caso di impugnazione contestuale di aggiudicazione e bando di gara, ci si chiede se vi sono due domande, che possono essere graduate, o se la domanda è unica, con la conseguente problematica della graduabilità o meno vincolante per il giudice.
10.11. Il c.p.a. non fornisce indicazioni espresse sulla questione della graduazione dei motivi.
Esso, tuttavia, ancorato come è ai principi dispositivo e di effettività della tutela, sembra far propendere più per la prima che per la seconda soluzione.
Uno spunto puntuale si trae anche dalla disciplina del rito speciale degli appalti, dal quale si desume che il subentro nel contratto non è una pronuncia che il giudice può disporre automaticamente quando annulla l’aggiudicazione, ma solo se c’è domanda di parte in tal senso (art. 124, c. 1 e 2, c.p.a.). Indizio, questo, che il principio dispositivo è considerato prevalente sulla tutela coerente dell’interesse pubblico (che in tal caso potrebbe esigere che rimosso un aggiudicatario se ne faccia subito un altro nella persona del ricorrente vittorioso).
In definitiva, da un esame complessivo del sistema ordinamentale si evince il principio per cui nei processi connotati da parità delle parti e principio dispositivo, l’ordine dei motivi vincola il giudice, laddove nei processi connotati da un primato dell’interesse pubblico l’ordine dei motivi non è vincolante per il giudice.
Nei giudizi di costituzionalità, ad es., secondo il costante insegnamento della Corte cost., a fronte del denunciato contrasto delle norme impugnate con uno o più parametri costituzionali, rientra nella discrezionalità della Corte la scelta dell’ordine di esame dei differenti parametri, e, inoltre, dichiarata l’incostituzionalità della norma alla luce di un determinato parametro,la Cortepuò dichiarare assorbiti gli altri, per difetto di rilevanza, e per ragioni di economia processuale .
Un dubbio residua per il vizio di incompetenza, che nel regime processuale anteriore al c.p.a. giustificava l’assorbimento di tutti gli altri motivi (art.26 l. Tar).
La previsione non è riprodotta nel c.p.a. che tuttavia vieta al giudice di pronunciarsi in caso di potere amministrativo non ancora esercitato dalla p.a. (art. 34, comma 2, c.p.a.).
Tale previsione ripropone, anche nel vigore del c.p.a., il dibattito sull’ordine di esame dei motivi quando è dedotto il vizio di incompetenza.
Secondo una lettura oggettiva dell’art. 34, comma 2 c.p.a., i poteri sono quelli mai esercitati da alcuna autorità, secondo una lettura soggettiva, il riferimento è anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente. Nel caso di atto adottato da autorità incompetente, a ben vedere si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché sembrerebbe che il giudice non possa fare altro che dichiarare il vizio di incompetenza e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il potere.
Giova inoltre la considerazione che se il giudice ritiene che l’autorità che ha adottato l’atto è incompetente, tale vizio è radicale e assorbente di ogni altra questione, sicché si profilano elementi per l’assorbimento logico.
Resta perciò dubbio se il principio dispositivo consenta alla parte di graduare e proporre in via subordinata il vizio di incompetenza, vincolando così il giudice nell’ordine di esame dei motivi, o se a fronte di un vizio di incompetenza il giudice debba sempre esaminarlo prima degli altri motivi, assorbendo le altre censure in caso di suo accoglimento.
11. Il motivo di ricorso e di appello attenente alla integrità dei plichi, oltre a far porre la questione di cui sopra in ordine alla sua posizione nell’ordine di esame dei motivi (se per primo o per ultimo) pone anche una questione di merito su cui c’è contrasto di giurisprudenza e che pertanto si rimette all’esame della plenaria.
11.1. Anzitutto il Collegio rileva che, contrariamente a quanto affermato dal Tar, la censura non può essere considerata affetta da “estrema genericità” e pertanto inammissibile.
Può discutersi se la censura sia fondata o infondata, ma non può declinarsene la genericità, avendo la parte fornito elementi concreti attinenti alle modalità di verbalizzazione e alle diverse versioni dell’offerta aggiudicataria, che fanno sospettare una manomissione dei plichi.
11.2. Quanto al riferito contrasto di giurisprudenza, il Collegio rileva che non vi è sempre univocità di posizioni, nella giurisprudenza di questo Consesso, in ordine alle formalità che la stazione appaltante, e per essa la commissione di gara, deve rispettare per assicurare la integrità dei plichi, e in ordine alle modalità di verbalizzazione di tali formalità.
11.3. La giurisprudenza che sembra assolutamente prevalente richiede un certo rigore in ordine alle misure da adottare per garantire la conservazione e integrità dei plichi contenenti le offerte, in modo che ne sia assicurata la segretezza, e esige che le cautele adottate siano puntualmente indicate nel verbale.
Viene considerato preciso obbligo del seggio di gara predisporre particolari cautele a tutela della integrità e della conservazione dei plichi contenenti le offerte tecniche ed economiche e farne esplicita menzione nel verbale di gara .
L’eventuale omissione non potrebbe essere sanata dalla dichiarazione postuma del presidente e del segretario della Commissione sulla conservazione, in cassaforte, della documentazione, atteso che tale dichiarazione non vale a sostituire le funzioni del verbale di gara, che è sottoscritto dai componenti della commissione e che, comunque, anche tale cautela non soddisfa le richiamate esigenze, in mancanza della prova di sigillatura delle buste.
Le affermazioni testé riportate discendono, in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, dalla stessa ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente cui assegnare l’appalto con la p.a., in quanto l’integrità dei plichi contenti le offerte delle imprese partecipanti è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle stesse e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi, consacrati dall’art. 97 Cost., di buon andamento e imparzialità cui deve conformarsi l’azione amministrativa .
Secondo tale orientamento:
– andrebbe individuato un soggetto responsabile della custodia dei plichi o un consegnatario degli stessi;
– sarebbe illegittimo un verbale che si limitasse genericamente a dare atto che “tutta la documentazione di gara unitamente alle offerte presentate dai concorrenti verrà custodita presso i locali del Settore amministrazione generale” senza peraltro precisare se i plichi (e in particolare le buste con l’offerta tecnica) vengano risigillati o comunque richiusi in modo adeguato così da evitare qualsivoglia ipotesi di manomissione ;
– la commissione deve adottare le cautele idonee a garantire la segretezza degli atti di gara e a prevenire rischi di manomissioni, indicando nel verbale tali cautele e dando atto a verbale della integrità dei plichi;
– dal verbale deve risultare il nominativo di colui cui siano materialmente consegnati i plichi, che ne assume le conseguenti responsabilità, ovvero – con chiarezza e univocità – deve risultare l’ufficio cui sono consegnati e all’interno del quale essi vanno conservati (con individuazione immediata del suo responsabile): in qualsiasi momento, ogni autorità giurisdizionale o amministrativa (a seconda dei casi e delle relative funzioni, anche di vigilanza) dalla lettura dei verbali di consegna deve poter agevolmente accertare quali siano stati i passaggi dei plichi, ove essi siano stati collocati nel corso del tempo, chi abbia posto mano su di essi e ogni altra circostanza attinente alla loro integrità e conservazione;
– si tratta di una regola che, pur in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, è agevolmente desumibile da basilari criteri di legalità e trasparenza, nonché dalla stessa ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente cui assegnare l’appalto: non v’è dubbio, infatti, che l’integrità dei plichi contenenti le offerte delle imprese partecipanti è al contempo la condizione di segretezza delle stesse e la garanzia del pieno dispiegarsi del principio della par condicio di tutti i concorrenti, per l’effettivo rispetto dei principi enunciati dall’art. 97 Cost., di buon andamento e di imparzialità cui deve conformarsi l’azione amministrativa;
– poiché le cautele sono idonee solo se assicurano la conservazione dei plichi in luogo chiuso, non accessibile al pubblico, e con individuazione di un soggetto o ufficio responsabile dell’inaccessibilità del luogo a terzi, anche se non occorrono ‘formule sacramentali’ la verbalizzazione è legittima se, oltre a indicare le cautele adottate, indica, sotto la responsabilità dei verbalizzanti, che le cautele sono state efficaci in quanto i plichi sono integri .
Secondo tale orientamento, le garanzie a cautela della integrità dei plichi integrerebbero una fattispecie di pericolo, non una fattispecie di danno. Sarebbe sufficiente che dalle risultanze processuali emerga che, per inosservanza di norme precauzionali, la documentazione di gara sia rimasta esposta al rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara, senza che a carico dell’interessato possa configurarsi un onere – del resto impossibile da adempiere – di provare un concreto evento di danno .
Sicché la mancanza delle suddette cautele non riveste un ruolo puramente indiziario ed idoneo ad inficiare la procura di gara in assenza di una specifica e concreta irregolarità derivata dalla omissione di cui si discetta; è, viceversa, sufficiente che vi sia la prova in atti che la documentazione di gara sia rimasta esposta al rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara .
La giurisprudenza ha affermato che tali oneri di custodia e verbalizzazione sussistono anche in mancanza di espressa previsione di legge: la commissione di gara deve predisporre specifiche cautele a tutela dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti le offerte, di cui deve farsi menzione nel verbale di gara; tale tutela – oltre a dover essere assicurata in astratto, e cioè a prescindere dalla circostanza che sia stata poi dimostrata una effettiva manomissione dei plichi – si impone anche in mancanza di apposita previsione da parte del legislatore, discendendo necessariamente dalla stessa ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente nei contratti delle p.a., in quanto l’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti all’incanto è uno degli elementi sintomatici della segretezza delle offerte e della par condicio di tutti i concorrenti .
11.4. Secondo un meno severo orientamento, che appare oggi minoritario ma che tuttavia viene seguito anche di recente sia dal Consiglio di Stato sia da alcuni Tar, la mancanza delle su citate cautele assume solo un ruolo indiziario rispetto alla dimostrazione di elementi che facciano dubitare della corretta conservazione, occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione dell’integrità e segretezza dei plichi.
Invero, se il verbale indichi che i plichi sono conservati in luogo chiuso, senza ulteriori specificazioni, ma in ciascun verbale si dichiari che “i plichi pervenuti risultano tutti integri e debitamente sigillati e firmati sui lembi di chiusura”, facendo il verbale prova fino a querela di falso, si deve escludere che sia avvenuta una manomissione e che le operazioni di gara siano illegittime.
Da parte del Consiglio di Stato si è affermato che la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione .
Tale pronuncia a sua volta richiama precedenti conformi e afferma di non ignorare il contrario rigoroso orientamento, che tuttavia dichiara di non condividere perché “ritiene tale rigoroso e formalistico indirizzo, quanto al caso di specie, non risponda al criterio di logicità e buon andamento cui deve uniformarsi l’attività della p.a., considerato anche che parte appellante non ha fornito il minimo principio di prova della eventuale manomissione dei plichi o quanto meno di un concreto pericolo di manomissione”.
Da parte dei Tar si è affermato che l’obbligo di garantire la non manomissione dei documenti di gara è da presumere assolto dalla stazione appaltante mediante le normali precauzioni per la custodia degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei plichi; pertanto la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, laddove il concreto andamento della medesima ovvero ulteriori elementi non inducano a dubitare della corretta conservazione dei plichi .
11.5. Ad avviso del Collegio è da seguire l’impostazione prevalente, più rigorosa e garantista.
Avuto riguardo al caso di specie, pertanto, andrebbe senz’altro riformato il principio di diritto opposto esposto nella sentenza appellata, a pag. 5 laddove si afferma “venendo poi alla rilevata assenza di sufficienti garanzie in ordine alla conservazione dei plichi, osserva come non sia sufficiente a travolgere gli atti di una procedura l’assenza di idonee attestazioni nei verbali di gara, dovendo tale assenza essere integrata da elementi indiziari che portino a ritenere che si sia verificata la manomissione”.
11.6. Tuttavia il Collegio rileva che pur nell’ambito dell’orientamento più severo, non è del tutto chiaro quale sia l’esatto “decalogo” delle modalità di conservazione e verbalizzazione dei plichi.
Ci si chiede, in particolare se:
– nella verbalizzazione, sia sufficiente affermare genericamente che i plichi sono stati custoditi in luogo adeguato, o bisogna specificare in quale luogo sono stati custoditi e quale sia il soggetto responsabile della custodia;
– nella verbalizzazione sia sufficiente affermare che i plichi sono integri, o occorra necessariamente affermare che sono stati debitamente custoditi;
– la dichiarazione circa le modalità di custodia debba essere fatta solo nel primo verbale o debba essere ripetuta in ogni verbale, e se dunque sia o meno sufficiente che nei verbali successivi al primo si constati la integrità dei plichi, senza ripetere quali sono le modalità della custodia.
11.7. Nel fare applicazione dei sopraesposti principi al caso di specie, occorre verificare quali sono state in concreto le modalità di custodia dei plichi e la verbalizzazione di dette modalità.
Nel verbale n. 1la Commissionedi gara si limita ad affermare che i plichi sono integri.
Nei verbali nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7, la Commissionedichiara di “aver prelevato i plichi contenenti le offerte dal luogo dove gli stessi sono stati depositati e custoditi in condizioni di totale sicurezza a garanzia delle operazioni di gara”, e attesta l’integrità dei plichi, senza però indicare né il luogo esatto né il responsabile della custodia.
Tali verbali non sono peraltro contestati dalla ricorrente, che circoscrive le sue censure al verbale n. 8, relativo alla seduta pubblica in cui sono state aperte le buste contenenti le offerte tempo e le offerte economiche (rispettivamente plichi C e plichi D).
In tale verbale la commissione si limita ad affermare che i plichi sono integri ma a differenza dei verbali precedenti nulla dice circa le modalità di custodia dei plichi.
11.8. E’ evidente che se si segue il più rigoroso orientamento, ne deriverebbe l’illegittimità dell’operato della commissione di gara e della stazione appaltante, che non hanno indicato nel verbale n. 8 le modalità di custodia dei plichi, e non hanno mai indicato né nel verbale 8 né nei precedenti quale era il luogo di custodia e quale era il soggetto responsabile della custodia.
11.9. Si potrebbe però in contrario argomentare che la dichiarazione di integrità dei plichi, resa in verbale dalla commissione, fa piena prova fino a querela di falso ed esonera dall’indicare le modalità di custodia dei plichi, specie se tali modalità sono già state indicate nel primo verbale.
11.10. Anche se si potrebbe replicare che la custodia dei plichi deve perdurare per tutta la durata delle operazioni di gara e che le modalità di custodia potrebbero essere modificate in corso di gara (p.es. spostamento dei plichi da una stanza ad un’altra) sicché in ogni singolo verbale occorre indicare dove i plichi sono stati custoditi e con che modalità, rispetto alla seduta precedente, non essendo sufficiente una indicazione delle modalità di custodia solo nel primo verbale.
11.11. Si rimette pertanto all’esame della plenaria:
– anzitutto la questione se debba essere seguito l’orientamento più rigoroso o quello meno rigoroso in tema di modalità di verbalizzazione delle operazioni di custodia dei plichi;
– in subordine, ove la plenaria confermi l’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza secondo cui è necessario custodire i plichi e darne atto a verbale, e l’omessa custodia e verbalizzazione inficiano di per sé le operazioni di gara, anche in difetto di indizi specifici di manomissione dei plichi, la questione di quali debbano essere le esatte modalità di custodia dei plichi e le modalità di verbalizzazione in ordine alle operazioni di custodia dei plichi.
12. Va poi rilevata d’ufficio e sottoposta al contraddittorio delle parti nonché deferita alla adunanza plenaria la questione della ammissibilità del secondo motivo di appello, con cui si lamenta che il Tar avrebbe frainteso la portata delle censure di cui al ricorso di primo grado, e avrebbe compiuto un non consentito sindacato di merito sostituendosi all’amministrazione nella verifica di anomalia, laddove si sarebbe dovuto limitare ad affermare che la stazione appaltante aveva l’obbligo di compiere la verifica di anomalia nei confronti della seconda classificata.
12.1. Il Collegio concorda con l’appellante che il Tar si è illegittimamente sostituito alla stazione appaltante nel compiere la verifica di anomalia dell’offerta, ma questo ad avviso del Collegio non è un vizio che possa proporre l’appellante, ma è una questione rilevabile d’ufficio dal giudice di appello, e che afferisce anche alla stessa ammissibilità del ricorso di primo grado, come si vedrà nel seguente paragrafo (par. 13) della presente ordinanza.
12.2. Qui il Collegio intende evidenziare che la censura come prospettata dall’appellante è inammissibile perché concreta un venire contra factum proprium e una emendatio libelli rispetto al ricorso di primo grado.
12.3. Ad avviso del Collegio con il ricorso di primo grado è stato chiesto al giudice di primo grado proprio di condurre la verifica di anomalia in sostituzione della stazione appaltante.
E tanto si evince dall’esame della causa petendi e del petitum del ricorso di primo grado.
Quanto alla causa petendi, il ricorso di primo grado si dilunga nell’indicare le ragioni per cui le offerte prima e seconda classificata sarebbero anomale.
Quanto al petitum il ricorso di primo grado non chiede di dichiararsi l’obbligo della stazione appaltante di procedere a verifica di anomalia sull’offerta seconda classificata, ma chiede ben di più e in particolare l’aggiudicazione della gara in proprio favore, con attribuzione del contratto, e in subordine il risarcimento del danno per equivalente.
Tale petitum è del tutto incompatibile con l’assunto, dedotto in appello, secondo cui in primo grado si voleva solo tutelare l’interesse strumentale a che la stazione appaltante procedesse a verifica di anomalia sull’offerta seconda classificata. Se così fosse stato, il petitum avrebbe dovuto essere “dichiararsi l’obbligo della stazione appaltante di procedere a verifica di anomalia” e non si poteva certo chiedere il subentro nel contratto e il risarcimento del danno.
Pertanto, se ciò che è stato chiesto in primo grado al giudice è stato di compiere la verifica di anomalia, la parte richiedente non può ora in appello dolersi, secundum eventum litis, che il giudice abbia condotto la verifica di anomalia in sostituzione dell’amministrazione (e in modo diverso dalle aspettative della ricorrente).
Il motivo di ricorso sembra pertanto inammissibile.
13. Ciò non toglie che il giudice di appello, che può rilevare per la prima volta d’ufficio in appello le questioni di rito relative al ricorso di primo grado, diverse dalla giurisdizione e dalla competenza , possa rilevare d’ufficio, nella specie, l’ammissibilità del ricorso di primo grado nella parte in cui sottopone al giudice questioni di merito amministrativo che implicherebbero una inammissibile sostituzione del giudice all’amministrazione.
13.1. E con questo il Collegio passa a rilevare d’ufficio (sottoponendola al contraddittorio delle parti) e a sottoporre all’esame dell’adunanza plenaria una ulteriore questione, che può dar luogo a contrasto di giurisprudenza, attinente all’ambito della tutela del c.d. interesse strumentale nel processo amministrativo.
13.2. Nel caso di specie, è bene premettere che il criterio di aggiudicazione era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il codice appalti indica in quali casi la verifica di anomalia è doverosa per la stazione appaltante, indicando diversi presupposti a seconda che il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso o quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Nel primo caso vanno sottoposte a verifica di anomalia le offerte che presentano un ribasso di importo pari o superiore alla c.d. soglia di anomalia determinata con i criteri di legge (art. 86, comma 1, codice appalti).
Nel secondo caso la verifica di anomalia è obbligatoria nei confronti delle offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, siano entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara (art. 86, comma 2).
In ogni caso, vale a dire quale che sia il criterio di aggiudicazione, le stazioni appaltanti hanno la facoltà (non l’obbligo) di valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa (art. 86, comma 3).
Quanto al procedimento di verifica di anomalia, per ragioni di economia procedimentale è stabilito che la stazione appaltante sottopone a verifica la prima migliore offerta sospetta di anomalia e solo se la ritiene anomala procede a verifica della successiva migliore offerta e così via fino ad individuare la migliore offerta non anomala; in alternativa la stazione appaltante, purché se ne sia riservata la facoltà nel bando di gara, può procedere contemporaneamente alla verifica di anomalia delle migliori offerte non oltre la quinta (art. 88, comma 7).
13.3. Nel caso di specie, non è in discussione che la verifica di anomalia non era doverosa, ma facoltativa; la parte appellante non ha mai dimostrato e neppure dedotto che vi fossero i presupposti di cui all’art. 88, comma 2, codice appalti, per la verifica obbligatoria di anomalia.
13.4. La stazione appaltante non aveva pertanto obbligo, ma facoltà discrezionale, di procedere a verifica di anomalia.
13.5. Ove anche, poi, la verifica di anomalia fosse stata in astratto doverosa, comunque nel caso specifico non vi era alcun obbligo, perché, ai sensi del citato art. 88, comma 7, codice appalti, la stazione appaltante ben può limitarsi a verificare l’offerta prima classificata, e non procedere oltre se ritiene la offerta prima classificata non anomala.
Tanto è avvenuto nel caso di specie, in cui il r.u.p. ha ritenuto sospette, ai sensi dell’art. 88 comma 3, due offerte, la prima e la seconda, ma si è poi limitato a svolgere la verifica di anomalia solo sulla prima e non anche sulla seconda, perché ha ritenuto la prima offerta non anomala.
13.6. Il ricorso di primo grado è stato proposto dalla terza classificata in gara, che si duole da un lato che vi sarebbe stato un obbligo di compiere la verifica di anomalia sulla offerta seconda classificata, e dall’altro lato che l’offerta seconda classificata sarebbe anomala.
Tanto, sull’assunto che se la terza classificata riesce a inficiare la posizione della seconda classificata, scala in classifica dalla terza alla seconda posizione e può così contestare la posizione della prima classificata.
13.7. Ragionando in astratto, non solo la terza classificata potrebbe agire in tal modo, ma anche, in ipotesi, la quinta classificata, o addirittura l’ultima classificata, che si lamentassero in giudizio dell’anomalia, rispettivamente, delle prime quattro offerte, di tutte le offerte che precedono l’ultima classificata.
13.8. Il problema di fondo è che in tal modo si deduce in giudizio un interesse “strumentale” o anche “sostanziale”, che tuttavia è disancorato dalla denuncia di una illegittimità dell’operato dell’amministrazione, come è invece necessario.
13.9. Infatti, non si può ritenere illegittima la condotta “omissiva” della stazione appaltante che verifica solo l’offerta prima classificata e ritenendola non anomala non verifica le altre offerte. Sicché non si può chiedere ed ottenere in giudizio la condanna della stazione appaltante a verificare le offerte successive alla prima, non sussistendo il relativo obbligo finché è in gara e non anomala l’offerta prima classificata.
13.10. Ma neppure si può chiedere in giudizio che il giudice compia la verifica di anomalia sulle offerte successive alla prima, in sostituzione dell’amministrazione.
Infatti, il giudice si può sostituire all’amministrazione pronunciandosi sulla fondatezza della pretesa solo se ricorrono due condizioni:
– che l’inerzia dell’amministrazione sia illegittima (art. 31, comma 1, c.p.a.);
– che non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione (art. 31, comma 3, c.p.a.).
Vi è poi una clausola di chiusura del sistema, contenuta nell’art. 34, comma 2, c.p.a., a tenore del quale “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.
Ora, nel caso in questione, da un lato l’amministrazione non ha l’obbligo di procedere nella verifica di anomalia di tutte le offerte in gara, e nemmeno della seconda classificata, se ritiene non anomala la prima.
E, in secondo luogo, l’attività di verifica delle offerte anomale, pur non essendo una attività discrezionale in senso proprio, è una attività che richiede complessi accertamenti istruttori, riservati all’amministrazione.
13.11. Il giudice può verificare la legittimità della verifica di anomalia già compiuta dall’amministrazione, ma non può, nel giudizio di cognizione, sostituirsi all’amministrazione compiendo per la prima volta la verifica di anomalia.
A ciò ostano numerosi elementi di fatto e di diritto:
a) in base al già citato art. 34, comma 2, c.p.a. il giudice non si può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati;
b) si tratta di accertamenti tecnici complessi riservati in prima battuta all’amministrazione;
c) la verifica di anomalia/non anomalia è una operazione complessa e complessiva, che postula l’esame di tutte le componenti dell’offerta; laddove la verifica di anomalia chiesta al giudice è circoscritta dal principio della domanda e verterebbe solo sugli elementi dedotti dalle parti in causa, così essendo inevitabilmente parziale e incompleta;
d) la verifica di anomalia avviene mediante un procedimento amministrativo in contraddittorio con l’interessato, che deve essere messo in condizione di presentare le sue giustificazioni; questo non accade nel processo amministrativo, e non è accaduto nel presente processo amministrativo, in cui l’a.t.i. seconda classificata non si è costituita in giudizio, non avendone alcun interesse, e la terza classificata contesta l’anomalia della sua offerta, sicché il giudice dovrebbe compiere una verifica di anomalia senza la presenza dell’unico soggetto legittimato a produrre giustificazioni.
13.12. Non va infine trascurato il preciso confine della c.d. giurisdizione di merito in cui il giudice può sostituirsi all’amministrazione: non vi rientra il contenzioso sulle gare di appalto, se non sotto il limitato profilo in cui il giudice applica sanzioni alternative alla caducazione del contratto (art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a.), e forse, – ma sarebbe un caso di giurisdizione di merito innominata -, il profilo della pronuncia del giudice sulla sorte del contratto di appalto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione.
Sicché, la sostituzione del giudice amministrativo alla stazione appaltante nella verifica di anomalia, nell’ambito di un giudizio di cognizione e di sola legittimità, esporrebbe inevitabilmente le sentenze del giudice amministrativo ad annullamento da parte della Corte di cassazione per violazione dei limiti costituzionali della giurisdizione amministrativa.
13.13. Il Collegio ritiene che la tutela del c.d. interesse strumentale debba essere conciliata con altri basilari principi del processo amministrativo:
a) il processo amministrativo quale giurisdizione di diritto soggettivo e non di diritto oggettivo;
b) la necessità di un interesse concreto e attuale al ricorso;
c) la necessità che il sindacato del giudice amministrativo si mantenga nei confini della legittimità, attesa la tassatività dei casi in cui il giudice amministrativo può sostituirsi alla pubblica amministrazione.
Ad avviso di questo Collegio, nel processo amministrativo sui pubblici appalti la legittimazione e l’interesse a ricorrere contro l’aggiudicazione vanno riconosciuti, alla luce dei principi generali in tema di interesse concreto e attuale, a:
a) al solo secondo classificato, se si deducono vizi dell’offerta aggiudicataria, che possono far cadere la sola offerta aggiudicataria;
b) a tutti i soggetti ammessi alla gara, se si deducono vizi del bando, o della costituzione della commissione, o vizi della gara nel suo complesso, che possono far cadere l’intera gara.
Ne consegue che in capo ai soggetti classificati dal terzo posto a seguire, non sussiste la legittimazione e l’interesse a contestare l’aggiudicazione (per anomalia dell’offerta aggiudicataria), perché non possono essi stessi conseguire l’aggiudicazione, che andrebbe alla seconda classificata.
Neppure sussiste la legittimazione e l’interesse a contestare la mancata esclusione per anomalia della offerta seconda classificata, o delle offerte successive alla seconda, fintanto che la stazione appaltante non le ha verificate (avendo ritenuto non anomala la prima classificata), perché la stazione appaltante non aveva l’obbligo di verificazione di tali offerte (sicché non può essere affermato in giudizio l’obbligo di provvedere), e perché il giudice amministrativo non può compiere una verifica di anomalia in giudizio in sostituzione della stazione appaltante.
13.14. Non può a tale ricostruzione obiettarsi che in tal modo, a fronte di una conclamata anomalia della prima e della seconda classificata, non rilevate dalla stazione appaltante, la terza classificata subirebbe un vuoto di tutela e neppure sarebbe tutelato l’interesse pubblico ad una aggiudicazione legittima.
Il processo amministrativo è infatti una giurisdizione di diritto soggettivo e non di diritto oggettivo, ancorata al principio della domanda, della legittimazione e dell’interesse; i meccanismi processuali in tema di legittimazione e interesse al ricorso non possono essere derogati in funzione di una tutela oggettiva dell’interesse pubblico che esula dalle funzioni del processo amministrativo (v. anche Cons. St., ad. plen. n. 4/2011).
Sicché l’aggiudicazione affetta da vizi propri della sola offerta e non dell’intera gara o del bando, può essere impugnata solo dal concorrente secondo classificato; l’aggiudicazione, come nella specie, in favore di un’offerta asseritamente anomala, può essere impugnata solo dal secondo classificato.
13.15. Si può solo consentire che i concorrenti posti in graduatoria dal terzo posto in poi, spieghino intervento ad adiuvandum nel ricorso promosso contro l’aggiudicazione dal secondo classificato.
Se, poi, nel giudizio promosso dal secondo classificato, la sentenza annulla l’aggiudicazione per anomalia dell’offerta prima classificata, la stazione appaltante, prima di aggiudicare la gara al secondo classificato, dovrebbe procedere a verifica di anomalia, ricorrendone i presupposti di legge. Il giudizio di non anomalia del secondo classificato, divenuto primo, potrebbe essere a questo punto, e solo a questo punto, impugnato dal terzo classificato.
13.16. I concorrenti in posizione dalla terza in poi, oltre a poter intervenire ad adiuvandum nel processo amministrativo promosso dal secondo classificato, possono:
– sollecitare l’esercizio dell’autotutela (peraltro non doverosa) da parte della stazione appaltante;
– presentare denuncia al giudice penale e/o al giudice contabile.
13.17. Da tale ricostruzione dovrebbe conseguire, nel caso di specie, la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado e relativi motivi aggiunti, nella parte in cui contestano l’aggiudicazione nei confronti del primo e secondo classificato per anomalia dell’offerta; in particolare:
– andrebbe dichiarata inammissibile l’impugnazione dell’aggiudicazione perché essendo essa contestata per asserita anomalia dell’offerta aggiudicataria, la legittimazione e l’interesse ad impugnare vanno riconosciuti solo alla seconda classificata, e non anche ai concorrenti dal terzo in poi;
– andrebbe dichiarata inammissibile l’impugnazione in relazione alla posizione del secondo classificato perché: (i) la stazione appaltante non aveva alcun obbligo di sottoporre a verifica di anomalia tale offerta; (ii) il giudice non può sostituire l’amministrazione nel compiere una verifica di anomalia per quest’ultima non doverosa.
13.18. In tale prospettiva, il ricorso di primo grado resterebbe ammissibile solo quanto alla censura relativa all’operato della commissione di gara quanto alla mancanza di garanzie in ordine alla custodia e integrità dei plichi.
13.19. Anche tale questione, che può dar luogo a contrasti di giurisprudenza, e di notevole impatto sistematico, relativamente al confine della giurisdizione di merito del giudice amministrativo e al limite della tutela del c.d. interesse strumentale, viene rimessa all’esame della plenaria.
14. Per la ipotesi in cui la plenaria non condividesse la prospettazione dell’ordinanza di rimessione e ritenesse ammissibili le censure di cui al ricorso di primo grado relative alla anomalia delle prime due offerte, il Collegio rimette all’esame della plenaria una ulteriore questione su cui il contrasto di giurisprudenza non sembra definitivamente sopito.
14.1. Si tratta della questione sollevata con il ricorso di primo grado, non esaminata dal Tar, e riproposta in appello, del riparto di competenza tra r.u.p., commissione di gara, apposita commissione, quanto alla verifica di anomalia.
14.2. Secondo il quadro normativo, quale risulta dall’art. 88, commi 1-bis e 3, codice appalti, e dall’art. 121, regolamento esecutivo (d.P.R. n. 207/2010), la competenza a condurre la verifica di anomalia spetta alla stazione appaltante, e per essa al r.u.p. e non invece alla commissione di gara. A supporto del r.u.p. può essere istituita una apposita commissione, diversa da quella di gara, per esaminare le giustificazioni. La nomina può essere chiesta dal r.u.p., che può scegliere se avvalersi della commissione di gara, degli uffici o organismi tecnici della stazione appaltante, ovvero chiedere la nomina della specifica commissione (art. 121, comma 5, d.P.R. n. 207/2010).
14.3. L’adunanza plenaria di questo Consesso, a composizione di un contrasto di giurisprudenza (divisa tra la tesi secondo cui quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la competenza spetta al r.u.p. e la tesi secondo cui spetta alla commissione di gara), ha espresso il principio di diritto secondo cui “Nelle gara d’appalto da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è legittima la verifica di anomalia dell’offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante. Infatti, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 121 del d.P.R. 5 ottobre 2010, nr. 207, è attribuita al responsabile del procedimento facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice” .
14.4. Tale principio di diritto non è tuttavia completamente risolutivo del caso di specie, sotto due profili.
La decisione della plenaria afferma che quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quando si procede a verifica obbligatoria di anomalia ai sensi dell’art. 86, comma 2, codice appalti, il r.u.p. avrebbe facoltà di scegliere se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice. Non avrebbe invece facoltà di chiedere la costituzione di apposita commissione ai sensi dell’art. 88, comma 1-bis, codice appalti.
14.5. Nel caso di specie, invece, il bando aveva previsto la possibilità di ricorso ad apposita commissione, ai sensi dell’art. 88, comma 1-bis, codice appalti e si verteva in tema di verifica facoltativa di anomalia ai sensi dell’art. 86, comma 3, codice appalti.
14.6. La suindicata preclusione, secondo la plenaria, emergerebbe dal regolamento. Osserva testualmente la plenaria “Più di recente, la disciplina è stata arricchita dal pure citato art. 121 del d.P.R. nr. 207 del 2010.
Dal tenore letterale della norma regolamentare risulta evidente che il legislatore ha inteso attribuire al R.U.P. facoltà di scelta in ordine allo svolgimento della verifica di anomalia, potendo egli alternativamente:
– per le gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso, provvedere personalmente, avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante, ovvero delegare la commissione di gara, ove costituita, o ancora istituire la speciale commissione di cui al comma 1-bis dell’art. 88;
– per le gare da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, provvedere personalmente ovvero delegare la commissione aggiudicatrice (sempre esistente in questo tipo di procedure ai sensi dell’art. 84 del Codice). (…)La tesi dell’odierno appellante è che, prima e indipendentemente dalle specificazioni introdotte in sede regolamentare, il comma 1-bis dell’art. 88 sia applicabile unicamente alle gare da aggiudicare con il criterio del prezzo più basso, e non anche a quelle da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: per queste ultime, sarebbe prevalente il già richiamato principio che individua nella commissione aggiudicatrice l’organo competente in via esclusiva per qualsiasi attività valutativa (e, quindi, anche per quelle connesse alla verifica di congruità delle offerte).
(…) 5. L’adunanza plenaria ritiene di non condividere tale impostazione.
5.1. Innanzi tutto, non può non convenirsi con il rilievo dell’Amministrazione appellata secondo cui nella formulazione testuale della disposizione di cui al comma 1-bis non è dato rinvenire traccia espressa di un’ipotetica circoscrizione della previsione alle sole gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso, o comunque di una loro differenziazione di regime per quanto qui interessa rispetto alle gare da aggiudicare col prezzo economicamente più vantaggiosa.
5.1.1. È solo nella norma regolamentare, per vero, che viene introdotta una disciplina diversificata per le due tipologie di procedure, essendo limitato il possibile ricorso alla speciale commissione di cui al comma 1-bis, in alternativa alle altre opzioni rimesse al R.U.P., alle sole gare da aggiudicare col criterio del prezzo più basso; mentre per quelle da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa il legislatore, evidentemente per ragioni di economicità dell’azione amministrativa, ha ritenuto che, laddove il R.U.P. non ritenga di procedere direttamente alla verifica, debba sempre essere incaricata la commissione di cui all’art. 84”.
14.7. Ad avviso del Collegio tale ricostruzione della disposizione regolamentare operata dalla plenaria merita di essere rimeditata.
Infatti l’art. 121 del regolamento n. 207/2010 prevede in modo inequivoco la possibilità per il r.u.p. di chiedere la costituzione della speciale commissione di cui all’art. 88 comma 1-bis codice quale che sia il criterio di aggiudicazione, e dunque anche nel caso di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa.
E, invero, la possibilità per il r.u.p. di chiedere la costituzione di tale commissione è prevista nel comma 4 dell’art. 121, regolamento, con specifico riferimento al criterio di aggiudicazione al prezzo più basso.
Tuttavia, il comma 10 del medesimo art. 121 disciplina il procedimento di verifica di anomalia quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, nel caso di verifica obbligatoria ai sensi dell’art. 86, comma 2, codice appalti. Oltre a stabilire che il r.u.p. può condurre la verifica direttamente o avvalendosi della commissione di gara, sono espressamente richiamati i commi da3 a6 dell’art. 121, e dunque la possibilità, per il r.u.p., di chiedere la costituzione della commissione speciale.
14.8. Formalmente, il regolamento non disciplina il procedimento di verifica di anomalia e dunque la possibilità di ricorrere alla speciale commissione, nel caso di verifica di anomalia facoltativa ai sensi dell’art. 86, comma 3, codice appalti.
E’ questo il caso che ricorre nella vicenda per cui è processo.
Ma ad avviso del Collegio il silenzio del regolamento è supplito dalla regola generale di cui all’art. 88, comma 1-bis, codice appalti, che non pone limiti alla possibilità di istituire una apposita commissione per la verifica di anomalia, prescindendo sia dal criterio di aggiudicazione, sia dalla circostanza che la verifica di anomalia sia obbligatoria ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 86 ovvero facoltativa ai sensi del comma 3 del citato art. 86.
14.9. Pertanto, il Collegio sottopone alla plenaria la possibilità di puntualizzare il principio di diritto espresso dalla plenaria n. 36/2012 nel senso che quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sia che la verifica di anomalia sia obbligatoria sia che sia facoltativa, ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 3 dell’art. 86 codice appalti, la verifica di anomalia compete al r.u.p., che ha facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, non solo tra l’alternativa se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice (come statuito dalla plenaria n. 36/2012), ma anche tra le altre alternative previste dal combinato disposto dei commi 121, commi 4, 5 e 10, d.P.R. n. 207/2010, ossia l’avvalimento di uffici e organismi tecnici della stazione appaltanti ovvero la specifica commissione di cui all’art. 88, comma 1-bis, codice appalti.
14.10. Venendo al caso specifico, poi, si pongono ulteriori questioni in tema di riparto di competenza tra r.u.p., commissione di gara e commissione speciale, che necessitano di puntualizzazione da parte della plenaria, rispetto ai principi espressi nella decisione n. 36/2012.
14.11. Con il ricorso di primo grado (le cui censure sono riproposte in appello) si assume che poiché l’art. 8 del disciplinare di gara prevedeva che ai sensi degli artt. 87, 88 e 89 codice appalti “la commissione all’uopo nominata” avrebbe dovuto procedere alla verifica di anomalia.
Assume l’appellante che a tutto concedere la verifica di anomalia avrebbe dovuto condurla la commissione aggiudicatrice.
In effetti nel corso di gara non risulta nominata una apposita commissione, ma risulta nominata la commissione di gara (con decreto presidenziale 27 agosto 2010 n. 297), che viene “incaricata, altresì, di svolgere, ove richiesto, l’esame delle giustificazioni relative alla verifica della congruità dell0offerta, ai sensi degli artt. 86 e 88 del d.lgs. 163/2006”.
14.12. Ad avviso del Collegio gli atti di gara, ancorché non chiarissimi, necessitano, in ossequio al principio esegetico di conservazione, di essere interpretati nel senso di avere un significato legittimo piuttosto che uno illegittimo, coerente con le norme primarie e regolamentari.
Secondo quanto si evince dalle norme primarie e secondarie, come interpretate dalla plenaria n. 36/2012, il r.u.p. è il “vero e proprio “motore” della procedura selettiva”.
La competenza a verificare l’anomalia delle offerte spetta per legge e regolamento al r.u.p., e spetta al r.u.p. scegliere se compiere la verifica di anomalia in prima persona, o avvalersi della commissione di gara o degli organi tecnici della stazione appaltante, o di apposita specifica commissione.
Pertanto, gli atti di gara e, segnatamente, l’art. 8 del disciplinare e l’atto di nomina della commissione di gara, sembrano da interpretare nel senso che:
– laddove menzionano la nomina di una commissione speciale per la verifica di anomalia, sottintendono che la nomina non è obbligatoria, ma eventuale, a richiesta del r.u.p. ai sensi dell’art. 121, comma 4, regolamento n. 207/2010;
– laddove, nel nominare la commissione di gara, la incaricano della verifica di anomalia “ove richiesto” sottintendono “ove richiesto dal r.u.p.” senza spostare la competenza dal r.u.p. alla commissione di gara.
In definitiva, l’ordine di competenze è stabilito dalla legge o in base alla legge (art. 97, comma 2, Cost.) e non è derogabile dagli atti di gara, sicché le competenza di r.u.p., commissione di gara e commissione speciale in materia di verifica di anomalia non sono a geometria variabile e interscambiabili; la competenza primaria è del r.u.p. e sono in via ausiliaria e su specifica richiesta e scelta del r.u.p., della commissione di gara o della commissione speciale.
Aderendo a tale prospettazione, ne conseguirebbe la reiezione del motivo di ricorso incentrato sulla incompetenza del r.u.p.
14.13. In conclusione, si chiede alla plenaria di chiarire se la competenza del r.u.p. a condurre la verifica di anomalia, desumibile dall’art. 88 codice appalti e dall’art. 121 regolamento n. 207/2010, e sancita dalla plenaria n. 36/2012, sia inderogabile da parte degli atti di gara che non possono attribuirla a diversi organi, si ché gli atti di gara ambigui sono da interpretare nel senso della competenza del r.u.p.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe:
– rimette l’esame dell’appello all’esame della adunanza plenaria nei sensi di cui in motivazione;
– rileva d’ufficio e sottopone al contraddittorio delle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., le questioni indicate nei paragrafi 9, 12, 13 della motivazione;
– manda alla segreteria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti in causa;
– manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’adunanza plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)