CHIARIMENTI SULLA LEGITTIMAZIONE AL RICORSO DELL’AGCM A TUTELA DELLA CONCORRENZA

Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1760

Il ricorso all’AGCM ai sensi dell’art. 21-bis, l. n. 287 del 1990 non configura un’ipotesi di “giurisdizione oggettiva”, ma delinea piuttosto un potere d’azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche qualificate e differenziate, di matrice quindi soggettiva, sebbene provenga da un soggetto pubblico ad hoc che agisce a tutela di un determinato bene giuridico, la tutela della concorrenza e del mercato.

É coerente con il bene giuridico protetto dalla norma (la libertà di concorrenza ed il corretto funzionamento del mercato) e con le finalità che con esse si intende perseguire (la crescita e lo sviluppo economico) la previsione che l’accertamento della violazione delle nome in questione e il loro ripristino, per un verso, trascenda l’interesse specifico del singolo operatore del mercato e sia pertanto sottratto alla libera disponibilità dell’interessato, e per altro verso, la tutela debba avviarsi per quanto possibile immediatamente, in tal modo dovendo essere intesa la legittimazione ad agire dell’Autorità nei confronti dei regolamenti e dei provvedimenti generali (atti che, secondo i principi generali, in quanto in genere non immediatamente lesivi, possono essere impugnati solo unitamente ai provvedimenti di cui costituiscono applicazione).

L’art. 21-bis, sia pur nelle differenti prospettive di cui ai commi 1 e 2, non prevede due distinte forme di tutela del predetto bene giuridico, l’una con accesso diretto ed immediato al giudice e l’altra mediata alla fase pre-contenziosa. Piuttosto il legislatore, dopo aver fissato al primo comma il principio della legittimazione straordinaria dell’Autorità ad agire nei confronti degli atti amministrativi generali, regolamenti e provvedimenti violativi delle norme a tutela della concorrenza e a tutela del mercato, al secondo comma ha poi stabilito le modalità di concreto esercizio di tale legittimazione straordinaria, con ciò volendo evitare che una norma, astrattamente concepita quale (ulteriore) strumento per la ripresa e lo sviluppo economico, potesse dar luogo in concreto a nuove e diverse situazioni di confusione e contraddittorietà dell’azione amministrativa.

La funzione del parere motivato dell’AGCM è duplice: esso mira innanzitutto a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dell’Autorità, attraverso uno speciale esercizio del potere di autotutela (decisoria), in questo caso configurato come doveroso e giustificato proprio dalla particolare rilevanza dell’interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di quest’ultimo sia assicurata innanzitutto all’interno della stessa pubblica amministrazione e restando pertanto il ricorso all’autorità giudiziaria amministrativa l’extrema ratio; d’altro canto, la fase pre-contenziosa e il relativo parere, in coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente (ed esclusivamente) al giudice per la tutela di un interesse pubblico.

Come chiarito da autorevole dottrina vi sono nell’art. 21-bis almeno tre profili di specificità: (i) è necessario, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, dedurre un motivo e non è possibile invece richiamare un generico interesse alla tutela della concorrenza; (ii) il vizio deve consistere nella violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato; (iii) il ricorso, anziché buono alla tutela di qualsivoglia interesse pubblico, deve essere fondato sulla rilevanza e sulla constatazione della lesione di un ben determinato interesse di ordine generale assunto dall’ordinamento, ossia quello che corrisponde alla tutela della concorrenza e del mercato.

Il ricorso proposto dall’AGCM è inammissibile se l’Autorità formula un vizio motivo che non corrisponde alla violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, per quanto possa essere un vizio rilevante, persino riguardante la violazione di norme costituzionali come nel caso di specie, dove a ben vedere con il primo motivo AGCM deduce essenzialmente la violazione di principi e norme costituzionali. Infatti, la legittimazione dell’AGCM, proprio perché ha carattere eccezionale o comunque speciale, non può estendersi al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma in esame. Posto che la legittimazione ad agire attribuita all’AGCM ha carattere eccezionale, quando sia esercitata oltre i confini segnati dalla norma, il giudice deve quindi arrestarsi ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per carenza della legitimatio ad causam.

 

 

FATTO

1. Con ricorso ex art. 21-bis l. 287/1990 l’AGCM ha chiesto al Tar per il Friuli Venezia Giulia l’annullamento:

– della Delibera di Giunta della Regione Friuli Venezia Giulia n. 779 del 29 maggio 2020, recante «Criteri e modalità per la concessione di contributi a ristoro dei danni causati dall’emergenza Covid-19 a sostegno delle strutture ricettive turistiche, commerciali, artigianali nonché dei servizi alla persona, in attuazione dell’art. 5 della L.R. 12 marzo 2020 n. 3, recante misure a sostegno delle attività produttive. Approvazione definitiva»;

– della Delibera di Giunta della Regione Friuli Venezia Giulia n. 995 del 3 luglio 2020, recante «Estensione delle attività ammesse a contribuzione già individuate con Delibera n. 779/2020»;

– di ogni altro atto ad esse presupposto, connesso e conseguente.

2. Il primo giudice ha così sintetizzato le premesse in fatto:

– in data 24 agosto 2020, il titolare di una trattoria di Udine, iscritta nel registro delle imprese della città ma avente sede legale a Roma, ha segnalato presunti profili discriminatori prodotti dalla delibera della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia n. 779 del 29 maggio 2020 recante la concessione di contributi a ristoro dei danni causati dall’emergenza Covid-19 a sostegno delle strutture ricettive turistiche, commerciali, artigianali nonché dei servizi alla persona aventi sede legale sul territorio regionale;

– successivamente, con delibera della Giunta regionale n. 995 del 3 luglio 2020, è stata disposta l’estensione delle attività ammesse a contribuzione, già individuate con la citata delibera n. 779/2020;

– detti provvedimenti regionali subordinano espressamente il diritto a ricevere i contributi a fondo perduto, stanziati dalla Regione, alla condizione che le strutture recettive turistiche e gli esercizi commerciali oggetto di contributo abbiano sede legale (oltre che operativa) sul territorio regionale;

– l’Autorità, ritenendo che le citate delibere – per quanto concerne detta condizione – presentassero criticità concorrenziali, nell’adunanza del 13 ottobre 2020 ha deliberato di esprimere un parere motivato ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 287/90 che è stato trasmesso alla Regione in data 20 ottobre 2020;

– in data 30 novembre 2020 la Regione ha fatto pervenire all’Autorità le proprie osservazioni al parere, sostenendo la legittimità del proprio operato sulla base di considerazioni volte a escludere l’esistenza di qualsiasi restrizione concorrenziale nello specifico collegamento territoriale tra le attività economiche ed il sostegno finanziario previsto;

– l’Autorità – preso atto del mancato adeguamento della Regione al parere ricevuto e ritenendo non condivisibili le motivazioni addotte dalla Regione – in data 15 dicembre 2020 ha deliberato di proporre ricorso al Tar.

2.1 A sostegno del ricorso si deducevano:

I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 117, comma 2, lett. e), Costituzione. Violazione dei principi in materia di tutela concorrenza e di proporzionalità. Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento di fatto.

Si sosteneva che la previsione del controverso requisito, escludendo operatori con sede legale fuori dalla regione, producesse una compartimentazione a livello di mercato limitata agli ambiti regionali che viola i principi in materia di tutela della concorrenza.

II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12 del d.lgs. n. 59/10 e dell’art. all’art. 34 del d.l. n. 201/2011 (c.d. decreto Salva Italia) – Violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi nel mercato interno, di cui agli artt. 49 e 56 TFUE.

2.2 L’Amministrazione regionale si è costituta nel giudizio di primo grado eccependo preliminarmente che non sarebbe stato provato il rispetto del termine di 60 giorni entro cui deve essere adottato, ex art. 21-bis l. 287/90, il parere preliminare alla fase contenziosa (termine decorrente dalla segnalazione ricevuta) e contestando, nel merito, la fondatezza del gravame.

3. Con sentenza in forma semplificata n. 8/2021 il Tar per il Friuli ha rigettato il ricorso.

4. Avverso la sentenza del Tar per il Friuli ha proposto appello l’AGCM per i motivi che saranno più avanti esaminati.

5. Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia chiedendo il rigetto dell’appello.

6. All’udienza del 9 febbraio 2022 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello si lamenta: Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 117, comma 2, lett. e), Costituzione. Violazione dei principi in materia di tutela concorrenza e di proporzionalità. Eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento di fatti.

1.1 L’appellante sostiene che:

– la motivazione della sentenza appare, oltre che apodittica e perplessa, viziata da un evidente fraintendimento di fondo circa il profilo di restrittività delle menzionate deliberazioni nn. 779/2020 e 995/2020, censurato dall’Autorità alla luce dei principi di concorrenza di cui all’art. 117, comma 2, della Costituzione, nonché di quelli di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione;

– le deliberazioni nn. 779/2020 e 995/2020 sono idonee a limitare indebitamente la platea dei soggetti che possono beneficiare del contributo pubblico di cui è causa; ciò in esclusiva applicazione di criteri discriminatori su base territoriale, e dunque vietati dagli artt. 3, 41 e 117, comma 2, lett. e), Cost. nella misura in cui individuano come possibili beneficiari unicamente gli operatori economici aventi cumulativamente sede legale e operativa nel territorio della regione;

– per effetto delle delibere di cui è causa, soggetti che svolgono analoghe attività nella Regione ed operanti nello stesso mercato vengano trattati in modo oggettivamente differenziato, con ciò alterando le dinamiche concorrenziali senza alcuna giustificazione obiettiva;

– «l’eccezionalità della situazione epidemiologica con la sua grave ricaduta sul tessuto economico regionale e sulle relative dinamiche di mercato», diversamente da quanto sostenuto dai giudici di prime cure, comunque impatta su tutte le imprese operanti sul territorio, e non giustifica perciò la concessione ai soli operatori economici insediati unicamente sul territorio regionale;

– tale limitazione comporta, dunque, immotivatamente e irragionevolmente l’esclusione di imprese che, pur avendo sede legale fuori regione, sono anch’esse operative nel territorio e che, al pari di quelle che operano solo sul territorio regionale, fanno parte dello stesso tessuto economico regionale e concorrono alla salvaguardia dell’esplicarsi della libera concorrenza sul mercato;

– la circostanza di non avere sede legale nel territorio regionale non implica necessariamente il fatto di avere più sedi operative in diverse Regioni – come il Tar sembra ritenere – ben potendo un’impresa avere un’unica sede operativa in Friuli ed esclusivamente la sede legale in altra regione; – l’esigenza della salvaguardia di una corretta dinamica concorrenziale – richiamata dallo stesso Tar – comporta una “apertura del mercato” e non l’opposto;

– ed essa è ancor più necessaria nella predetta fase emergenziale, in cui le imprese sono maggiormente esposte dal punto di vista economico di fronte ad interventi pubblici discriminatori, quale quello in esame;

– in numerosi precedenti interventi di cd. advocacy, l’Autorità ha evidenziato che tali requisiti territoriali costituiscono «un freno ingiustificato e artificioso allo sviluppo dimensionale delle imprese» e che la previsione di un requisito legato alla sede legale appare idoneo a escludere operatori con sede legale e/o altre sedi operative fuori dalla regione interessata, «producendo una compartimentazione a livello di mercato …. limitata agli ambiti regionali»;

– l’Autorità ha sempre ritenuto giustificabile, sul piano antitrust, che, in un’ottica di rispetto dei limiti di competenza territoriale, gli enti concedano l’utilizzo dei propri fondi … a favore esclusivamente di imprese operanti nel territorio (…), ma l’AGCM ha anche evidenziato che ciò risulta legittimo nella misura in cui non costituisca una limitazione della libertà di impresa nei confronti di soggetti che operano in ambito regionale, pur avendo sede legale fuori dalla Regione;

– non valgono a superare i rilievi dell’Autorità le argomentazioni addotte dal Tar sulle caratteristiche della misura, in quanto né l’entità (contenuta) dei sussidi, né loro natura (contributi una tantum ed eccezionali), né l’asserita (e apodittica) inidoneità a creare una barriera all’esercizio dell’attività, sono circostanze sufficienti a giustificare l’adozione di una misura selettiva in favore di alcuni operatori di ciascuna categoria interessata, laddove essa crei, per le ragioni viste, ingiustificate discriminazioni;

– del tutto immotivata è l’affermazione dei giudici di prime cure secondo cui la limitazione del beneficio ai soli operatori aventi la sede nella regione sarebbe volta ad «evitare (…) la scomparsa di imprese e di soggetti economici insediati unicamente sul territorio regionale e che, proprio per tale ragione, cioè per non essere plurilocalizzati, potrebbero essere più vulnerabili e meno resilienti alla crisi socio-economica». Infatti, la circostanza di avere sede legale ed operativa in una data regione non esclude in re ipsa la possibilità di avere anche ulteriori sedi operative fuori da tale regione;

– la localizzazione di un’impresa in un solo territorio, piuttosto che in più ambiti regionali, non comporta di per sé una maggiore vulnerabilità sotto il profilo economico, né è indice, in assenza di altri parametri – quali quelli del tipo di attività, del fatturato dell’impresa e della reddittività delle attività – di una minore resilienza alla crisi economica finanziaria rispetto agli imprenditori “plurilocalizzati”;

– è all’evidenza contradditoria la tesi accolta dal Tar secondo cui, da una parte, la misura sarebbe un sussidio volto a garantire la sopravvivenza delle imprese più vulnerabili e, d’altro canto, essa sarebbe inidonea a ostacolare l’attività degli operatori esclusi; operatori che, invece, al pari degli altri hanno la necessità di superare la situazione emergenziale;

– risulta errata la conclusione del Tar secondo cui, nel caso di specie, non sarebbe ostacolato il corretto esplicarsi di competitività tra soggetti economici operanti sul territorio regionale;

-in particolare, considerato che la situazione di crisi riguarda tutti gli operatori e non solo quelli aventi sede nel Friuli, sarebbe del tutto illogica l’affermazione secondo la quale «l’eccezionalità della situazione epidemiologica con la sua grave ricaduta sul tessuto economico regionale e sulle relative dinamiche di mercato giustifica il sussidio concesso ai soli operatori economici insediati unicamente sul territorio regionale»;

– la statuizione del Tar è censurabile, anche ove si tenga conto della circostanza che la stessa Corte Costituzionale, proprio con riferimento ad una legge della Regione Friuli (n.18/2005, art. 77, comma 3-quinquies), nell’accogliere le censure promosse in riferimento all’art. 3 Cost., ha evidenziato come, «il radicamento territoriale non possa assumere un’importanza tale da escludere qualsiasi rilievo dello stato di bisogno […] Tra l’altro, l’introduzione di requisiti basati sulla residenza, specie se prolungata, finisce per costituire una limitazione, sia pure fattuale, alla circolazione tra le regioni, violando così il divieto di cui all’art. 120, primo comma, Cost.» (cfr. sentenza n. 281 del 2020 e precedente sentenza n. 107 del 2018).

1.2 L’appellante sostiene inoltre che:

– le delibere sono state adottate dalla Regione ai sensi dell’art. 5 della L.R. n. 3/2020, recante “Prime misure urgenti per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19” che, sulla base della sola presentazione della domanda, permette di concedere contributi a imprese dei settori ricettivo, turistico, commercio, artigianato e dei servizi connessi a tali settori, nonché a favore di artisti e liberi professionisti;

– l’indebita restrizione contestata in questa sede, pertanto, non deriva affatto dall’art. 5 della L.R. n. 3/2020, cui le menzionate Deliberazioni di Giunta si richiamano, in quanto la disposizione non contempla alcuna limitazione in ordine ai destinatari ivi indicati, bensì proprio dalla Delibera n. 779/2020, oggetto di segnalazione, nonché dalla successiva Delibera n. 995/2020 che ha rinnovato la previsione dei requisiti territoriali legati alla sede, operativa e legale in Regione, introdotta dalla citata Delibera n. 779/2020;

– l’art. 2, comma 1, dell’Allegato alla delibera 779/2020 infatti ha espressamente introdotto detta limitazione, prevedendo la concessione di contributi a fondo perduto a tutte «le strutture recettive turistiche e gli esercizi commerciali (che) devono avere sede legale e sedi operative sul territorio regionale, e le attività di prestazione di servizi alla persona devono essere svolte sul territorio regionale medesimo»;

– a sua volta, la Delibera n. 779/2020 precisa che si tratta di contributi ai sensi della sezione 3.1. (Aiuti sotto forma di sovvenzioni dirette, anticipi rimborsabili o agevolazioni fiscali) del Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economica nell’attuale emergenza del COVID-19 di cui alla comunicazione della Commissione europea C (2020) 1863 final del 19 marzo 2020 (art. 4 dell’Allegato alla Delibera n. 779/2020), per un importo da 500€ a 4000€, in base alla tipologia di attività (art. 3). Nei sette giorni successivi all’approvazione della delibera in esame, vengono definiti gli aspetti procedurali con Decreto del Direttore centrale attività produttive per concedere contributi fino all’esaurimento delle risorse disponibili (art. 6);

– il Decreto Direttoriale n. 1384 del 4 giugno 2020 ha stabilito così che i contributi fossero concessi ed erogati secondo l’ordine cronologico di presentazione della domanda fino alle ore 20.00 del 26 giugno 2020, sempre nei limiti delle risorse disponibili;

– infine, con Delibera n. 995 del 3 luglio 2020, la Regione Friuli Venezia Giulia ha individuato ulteriori categorie di attività colpite dalla crisi prodotta dal Covid-19 e ha rivalutato l’entità del contributo per alcuni operatori, dando «atto che, trattandosi di una sostanziale prosecuzione della linea contributiva di cui alla deliberazione 779/2020, i criteri e modalità approvati con suddetta deliberazione sono da intendersi integralmente richiamati e applicabili anche al procedimento contributivo a favore delle ulteriori attività produttive individuate con l’allegato alla presente deliberazione»;

– conseguentemente, la Delibera n. 995/2020 – la quale, come già detto, individua una nuova finestra temporale per presentare le domande, tra il 7 e il 15 luglio 2020 – ha confermato la restrizione concorrenziale dello specifico collegamento territoriale tra la sede legale delle imprese attività economica ed il sostegno economico previsto dalle delibere in esame;

– alla luce di quanto esposto risulta inconferente il richiamo, operato nella sentenza impugnata, ai principi affermati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 63/2008 e 98/2017 sulla competenza regionale in materia di commercio in quanto, come visto, la restrizione in esame non discende dalla legge regionale, né l’intervento dell’Autorità si pone in contrasto con l’esercizio della competenza regionale, richiedendo, piuttosto, un suo esercizio armonioso con la tutela della concorrenza a livello locale e nazionale;

– del resto, questa condizione è stata esplicitata nel parere proprio per sottolineare che l’Autorità ritenga giustificabile, sul piano antitrust, che, in un’ottica di rispetto dei limiti di competenza territoriale, gli enti concedano l’utilizzo dei propri fondi a favore esclusivamente di imprese operanti nel territorio, sempreché, ovviamente, la concessione dei fondi non sia ancorata al criterio della sede legale.

2. Con il secondo motivo di appello si lamenta: Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12 del d.lgs. n. 59/10 e dell’art. all’art. 34 del d.l. n. 201/2011 (c.d. decreto Salva Italia) – Violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi nel mercato interno, di cui agli artt. 49, 56 e 107 TFUE.

2.1 L’appellante sostiene che:

– il richiamo alla disciplina in materia di aiuti di Stato da parte del Tar pare del tutto inconferente;

– nel caso in esame non si discute della legittimità dei sussidi ai sensi della disciplina europea sugli aiuti di Stato – del resto non richiamata nel parere motivato dell’Autorità – ma della discriminatorietà del criterio di selezione dei soggetti destinatari del beneficio, tutti operanti all’interno della stessa regione;

– la valutazione della compatibilità con il mercato interno (e dunque con l’art. 107, par. 2, del TFUE) di un asserito aiuto di Stato spetta esclusivamente alla Commissione europea, essendo i poteri dei giudici nazionali delimitati e definiti dalla giurisprudenza europea così come dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato;

– in materia di aiuti di Stato i giudici nazionali sono chiamati solo a trarre le conseguenze dell’eventuale violazione dell’art. 108, par. 3, TFUE, non potendo invece dare diretta applicazione all’art. 107 TFUE esprimendosi sull’eventuale compatibilità di un aiuto con il mercato interno;

– anche laddove venisse in rilievo la disciplina europea sugli aiuti, di certo la misura regionale contestata dall’Autorità non potrebbe ritenersi con essa compatibile;

– in base alla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia un asserito aiuto di Stato comunque non potrà ritenersi compatibile con il mercato interno laddove violi altre disposizioni del Trattato, come ad esempio, nel caso di specie, quelle sulla libera circolazione;

– diversamente da quanto sostenuto dal Tar, l’eccezionalità della situazione pandemica e la sua ricaduta sul tessuto economico regionale non vale a giustificare “una limitata deroga ai principi di tutela della concorrenza”, in quanto, come sopra visto, la situazione pandemica e la sua ricaduta sul tessuto regionale investe tutte le imprese ivi operanti, compresi gli operatori “plurilocalizzati”;

anche tale argomento, dunque risulta inconferente con il caso di specie, con conseguente ulteriore vizio motivazionale della decisione impugnata.

2.3 L’appellante sostiene inoltre che:

– è corretta la valutazione svolta dall’Autorità (ed erronea la pronuncia impugnata) anche sotto il profilo della illegittimità delle delibere in quanto in contrasto con i principi della libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE, e di libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché con le norme di liberalizzazione intervenute proprio per sancire e tutelare la libertà di iniziativa economica, riconducibili agli artt. 10 e 12 del d.lgs. n. 59/10, che ha recepito la c.d. Direttiva Servizi 2006/123/CE, e all’art. 34 del d.l. n. 201/2011 (c.d. decreto Salva Italia), in forza del quale «ogni misura adottata dai pubblici poteri e idonea a incidere sul libero gioco della concorrenza è giustificata solo ove si dimostri che la stessa è necessaria e adeguata rispetto alla finalità di interesse pubblico perseguita, nel senso che tale finalità non può trovare realizzazione attraverso misure alternative meno invasive»;

– la giurisprudenza amministrativa, ormai monoliticamente, ritiene necessario applicare le norme conformemente ai principi comunitari in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza derivanti dalla direttiva 123/2006;

– detti principi assumono rilevanza nel caso in esame, atteso che anche i parametri normativi di liberalizzazione individuati nel parere sono idonei a rappresentare la necessità che le risorse pubbliche siano assegnate in modo da non creare discriminazioni ingiustificate;

– tale condizione non risulta soddisfatta nelle delibere impugnate le quali, invece, introducono una restrizione concorrenziale priva di una ragionevole giustificazione sotto il profilo dell’interesse pubblico;

– in conclusione appare evidente l’illegittimità dei provvedimenti in esame in quanto restrittivi della concorrenza e suscettibili di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno.

3. I motivi di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.

3.1 Conviene ricostruire brevemente la ratio sottesa alla legittimazione ad agire riconosciuta all’AGCM dall’art. 21-bis della legge 287/1990.

3.1.1 Nel contesto economico e normativo degli ultimi anni, nel quale le competenze dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si sono estese dal diritto antitrust a quello dei consumatori fino all’adozione del cosiddetto rating di legalità, i poteri di enforcement sono stati affiancati dell’accresciuto ruolo delle cosiddette funzioni di advocacy nelle attività di contrasto agli illeciti concorrenziali (cfr. Cons. Stato, sez. VI – 30/05/2014, n. 2818).

Gli ostacoli alla concorrenza, infatti, possono derivare non solo dal comportamento anticoncorrenziale delle imprese ma anche dagli interventi normativi e regolamentari sui mercati svolti da enti e amministrazioni pubbliche che operano a livello statale o territoriale. Esiste un parallelismo tra le restrizioni della concorrenza che possono essere realizzate dalle imprese e quelle derivanti da norme dal momento che anche queste ultime possono produrre la fissazione di tariffe ovvero limitare gli accessi al mercato o, ancora, discriminare tra imprese e così via.

3.1.2 In questo quadro si inserisce l’art. 21-bis della legge 287/1990 (inserito dall’art. 35, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201), che, sotto la rubrica «Poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza» così recita:

«1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.

2. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni.

3. Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».

3.1.3 La Corte Costituzionale (sentenza n. 20/2013) ha chiarito che sarebbe inesatto parlare di «nuovo e generalizzato controllo di legittimità», là dove la norma citata – integrando i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all’Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287 del 1990 – prevede un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato (cfr. art. 21, comma 1, l. 287/1990: «Allo scopo di contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del mercato, l’Autorità individua i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale determinano distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale») e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato». Esso si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso. La detta disposizione, dunque, ha un perimetro ben individuato.

3.1.4 Il ricorso ai sensi dell’art. 21-bis, l. n.287 del 1990 non configura un’ipotesi di “giurisdizione oggettiva”, ma delinea piuttosto un potere d’azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche qualificate e differenziate, di matrice quindi soggettiva, sebbene provenga da un soggetto pubblico ad hoc che agisce a tutela di un determinato bene giuridico, la tutela della concorrenza e del mercato (i primi commentatori hanno evocato, per assonanza, da un lato, in ambito nazionale, la figura del PM nel giudizio civile, legittimato ad agire in casi limitati, per lo più a tutela di interessi superindividuali, come tradizionalmente è avvenuto in materia di famiglia e di società; dall’altro, in ambito UE, la Commissione europea al cospetto delle infrazioni comunitarie degli Stati membri).

3.1.5 Come chiarito da Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n.2246, l’art. 21-bis della l. n.287del 1990, anche in considerazione della sostanziale unicità ed unitarietà del bene giuridico protetto (libertà della concorrenza e del mercato), sia pur nelle differenti prospettive di cui ai commi 1 e 2, non prevede due distinte forme di tutela del predetto bene giuridico, l’una con accesso diretto ed immediato al giudice e l’altra mediata alla fase pre-contenziosa. Piuttosto il legislatore, dopo aver fissato al primo comma il principio della legittimazione straordinaria dell’Autorità ad agire nei confronti degli atti amministrativi generali, regolamenti e provvedimenti violativi delle norme a tutela della concorrenza e a tutela del mercato, al secondo comma ha poi stabilito le modalità di concreto esercizio di tale legittimazione straordinaria, con ciò volendo evitare che una norma, astrattamente concepita quale (ulteriore) strumento per la ripresa e lo sviluppo economico, potesse dar luogo in concreto a nuove e diverse situazioni di confusione e contraddittorietà dell’azione amministrativa.

Ogni elemento della disposizione assolve ad una specifica funzione, individuando e tutelando uno specifico interesse pubblico.

Il primo comma infatti, attribuisce una peculiare legitimatio ad causam all’Autorità nei confronti degli atti amministrativi generali, dei regolamenti e dei provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, in tal modo evidenziando la natura di speciale interesse pubblico generale della tutela della concorrenza e del mercato, quale condizione essenziale per l’ordinato sviluppo economico e sociale e per il progresso della collettività, in armonia del resto con i principi comunitari.

É coerente con il bene giuridico protetto dalla norma (la libertà di concorrenza ed il corretto funzionamento del mercato) e con le finalità che con esse si intende perseguire (la crescita e lo sviluppo economico) la previsione che l’accertamento della violazione delle nome in questione e il loro ripristino, per un verso, trascenda l’interesse specifico del singolo operatore del mercato e sia pertanto sottratto alla libera disponibilità dell’interessato (il che giustifica la disposizione nella parte in cui ammette sostanzialmente una legittimazione ad agire concorrente, dell’Autorità e dei singoli interessati, quanto ai provvedimenti lesivi del predetto bene giuridico), e, per altro verso, la tutela debba avviarsi per quanto possibile immediatamente, in tal modo dovendo essere intesa la legittimazione ad agire dell’Autorità nei confronti dei regolamenti e dei provvedimenti generali (atti che, secondo i principi generali, in quanto in genere non immediatamente lesivi, possono essere impugnati solo unitamente ai provvedimenti di cui costituiscono applicazione).

Il secondo comma, coerentemente con il principio di legalità predicato dall’articolo 97 della Costituzione, cui è improntata tutta l’attività della pubblica amministrazione, disciplina (e delimita, procedimentalizzandolo) il potere attribuito alla Autorità in relazione agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, dalla stessa ritenuti violativi delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.

Secondo l’intenzione del legislatore, così come si ricava dall’esame della norma, il fondamentale e innovativo ruolo attribuito all’Autorità circa il controllo sull’effettivo ed efficace dispiegarsi della libertà della concorrenza e del mercato impone che il potere di agire in giudizio contro gli atti lesivi di tali principi sia preceduto da una fase pre – contenziosa, caratterizzata dall’emissione, da parte dell’Autorità, di un parere motivato rivolto alla pubblica amministrazione, parere in cui ragionevolmente sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicano i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato.

La funzione del predetto parere motivato è in realtà duplice: esso mira innanzitutto a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dell’Autorità, attraverso uno speciale esercizio del potere di autotutela (decisoria), in questo caso configurato come doveroso e giustificato proprio dalla particolare rilevanza dell’interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di quest’ultimo sia assicurata innanzitutto all’interno della stessa pubblica amministrazione e restando pertanto il ricorso all’autorità giudiziaria amministrativa l’extrema ratio (non essendo stata d’altra parte dotata l’Autorità di poteri coercitivi nei confronti dell’amministrazione pubblica che non intenda conformarsi al predetto parere motivato); d’altro canto, la fase pre – contenziosa e il relativo parere, in coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente (ed esclusivamente) al giudice per la tutela di un interesse pubblico.

3.1.6 Significative anche le considerazioni svolte da Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016 n.323: dalla serena lettura della norma s’evince la peculiare legitimatio ad causam che concede all’AGCM per agire in giudizio contro atti generali, regolamenti e provvedimenti amministrativi ritenuti lesivi della libertà di concorrenza. L’adizione del Giudice, da parte di tal Autorità, è necessariamente preceduta, a pena d’inammissibilità, da una fase precontenziosa caratterizzata dall’emanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla P.A. i cui atti sono sospettati di tal lesione. Nel parere sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato, donde la duplice funzione di esso, di cui si è già detto.

3.1.7 Come si è anche già detto, l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 riconosce un’eccezionale legittimatio ad causam in favore dell’AGCM, in funzione del bene giuridico tutelato (si veda la già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 2246/2014).

Autorevole dottrina ha chiarito che vi sono nell’art. 21-bis almeno tre profili di specificità: (i) è necessario, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, dedurre un motivo e non è possibile invece richiamare un generico interesse alla tutela della concorrenza; (ii) il vizio deve consistere nella violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato; (iii) il ricorso, anziché buono alla tutela di qualsivoglia interesse pubblico, deve essere fondato sulla rilevanza e sulla constatazione della lesione di un ben determinato interesse di ordine generale assunto dall’ordinamento, ossia quello che corrisponde alla tutela della concorrenza e del mercato.

3.1.8 Il ricorso proposto dall’AGCM è inammissibile se l’Autorità formula un vizio motivo che non corrisponde alla violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, per quanto possa essere un vizio rilevante, persino riguardante la violazione di norme costituzionali come nel caso di specie, dove a ben vedere con il primo motivo AGCM deduce essenzialmente la violazione di principi e norme costituzionali (in particolare l’art. 3, assumendo il carattere discriminatorio e irragionevole dei provvedimenti impugnati). Infatti, la legittimazione dell’AGCM, proprio perché ha carattere eccezionale o comunque speciale, non può estendersi al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma in esame. Posto che la legittimazione ad agire attribuita all’AGCM ha carattere eccezionale, quando sia esercitata oltre i confini segnati dalla norma, il giudice deve quindi arrestarsi ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per carenza della legitimatio ad causam.

3.2 Le considerazioni appena svolte sono dirimenti nel caso di specie.

Infatti, anche accedendo ad una nozione ampia della formula di legge “violazione di norme a tutela della concorrenza del mercato”, come suggerito dalla prevalente dottrina e come sin qui affermatosi nella giurisprudenza (che anche questo Collegio condivide), per cui non rileva solo la violazione delle norme anti-trust in senso stretto ma anche di quelle preordinate alla “promozione” della concorrenza e in particolare alla liberalizzazione dei mercati e all’incentivo della libertà economica (sulla scorta dell’ampia nozione della materia della tutela della concorrenza, di cui all’art. 117 Cost., accolta da Corte cost. 272/2004), non di meno gli atti qui impugnati non contengono disposizioni (di cui sia dimostrato che sono) concretamente ed effettivamente idonee a falsare in maniera apprezzabile la concorrenza, o ad impedirne la promozione, ovvero in altro modo a violare norme a tutela del mercato, che è la premessa in difetto della quale cade la legittimazione ad agire dell’Autorità a norma dell’art. 21-bis.

Sono, in questo senso e con talune precisazioni, condivisibili le conclusioni raggiunte dal primo giudice:

– la concessione dei contributi a fondo perduto di cui trattasi è stata eccezionalmente prevista dalla legge regionale n. 3 del 2020 a favore dei settori ricettivo, turistico, commercio e dei relativi servizi, a ristoro dei danni causati dall’emergenza Covid-19;

– le deliberazioni impugnate hanno fissato l’entità dei contributi stessi in misura variabile, secondo le diverse tipologie e settori di attività economica colpita dalla crisi, da euro 500 ad euro 4000 (cfr. l’art. 3 dei criteri approvati dalla delibera 779/2020 e la relativa tabella allegata);

– il contestato requisito per accedere ai contributi, non previsto dalla legge regionale ma introdotto nei provvedimenti (avere la sede legale nel territorio regionale, anziché la sola presenza sul territorio di unità locali o sedi operative) per quanto discutibile non è dimostrato che sia in grado di alterare la concorrenza, anche tenuto conto dell’estrema esiguità dell’importo dei contributi, una tantum erogati a soggetti operanti in settori riconducibili a materie di competenza regionale, nell’eccezionalità della situazione di crisi indotta dalla pandemia;

– la modestia delle somme immesse nel circuito economico regionale non raggiunge la soglia della rilevanza, ai fini della tutela della concorrenza, esplicando un’efficienza così marginale che non appare in grado di falsare di per sé solo il libero esercizio delle attività, né il corretto esplicarsi di competitività tra soggetti economici operanti sul territorio regionale, secondo che siano unicamente insediati nella regione oppure si tratti di imprese “plurilocalizzate”, aventi sede legale esterna alla regione ed unità locali o sedi operative sul territorio regionale;

– il Collegio non ignora come autorevole dottrina consideri la regola de minimis del diritto antitust comunitario come una regola di carattere organizzativo, dettata per selezionare gli interventi delle autorità amministrative, ma non di carattere sostanziale, per cui non inciderebbe sulla fattispecie e, soprattutto, non impedirebbe al giudice, ordinario o amministrativo, di accertare illeciti antitrust per quanto de minimis; ma anche seguendo tale orientamento, si dovrebbe rilevare come AGCM nel caso di specie non abbia offerto in concreto elementi idonei a dimostrare (ad esempio sulla base di analisi economiche) che l’esclusione, dal beneficio una tantum, delle imprese (operanti in Friuli ma) aventi sede legale fuori dalla regione sia “idonea a incidere sul libero gioco della concorrenza” (per riprendere la formula dell’art. 34 del d.l. 201/2011 citata nel parere dell’AGCM), in particolare ostacolandone l’attività;

– in ogni caso le ragioni di politica socio-economica sottese alle deliberazioni impugnate (ed alla legge regionale, di cui esse fanno applicazione) sono evidentemente orientate alla conservazione e non all’alterazione del mercato concorrenziale e ad evitare, per quanto possibile in relazione alla citata scarsità delle risorse messe a disposizione dalla finanza regionale, la scomparsa di imprese e di soggetti economici insediati unicamente sul territorio regionale e che, proprio per tale ragione, cioè per non essere “plurilocalizzati”, potrebbero essere più vulnerabili e meno resilienti alla crisi socio-economica;

– l’eccezionalità della situazione pandemica e delle sue ricadute sul tessuto economico regionale giustificherebbero una limitata deroga (più che ai principi di tutela della concorrenza in senso stretto) ai canoni di parità di trattamento invocati dall’Autorità ricorrente;

– in analogia al tema della disciplina comunitaria relativa agli aiuti di Stato, (art. 107, par. 2, lett b, del TFUE) “Sono compatibili con il mercato interno: […] b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali”;

– fermo restando che nessuna barriera e nemmeno alcun vincolo vengono introdotti dalle delibere impugnate all’operatività di soggetti economici “plurilocalizzati” aventi sede legale esterna alla regione, l’eccezionalità della situazione epidemiologica con la sua grave ricaduta sul tessuto economico regionale e sulle relative dinamiche di mercato giustificherebbe il sussidio concesso ai soli operatori economici insediati unicamente sul territorio regionale.

3.3 L’art. 21-bis della l. 287/1990 ha introdotto uno strumento importante nell’ordinamento, fondante una legittimazione ad agire speciale che integra e si aggiunge a quella in capo ai singoli soggetti dell’ordinamento (e che in questa vicenda ben avrebbero potuto far valere profili di irragionevolezza e di discriminazione dei provvedimenti adottati, deducendo quei vizi che ad AGCM è precluso dedurre). Esso va utilizzato nelle ipotesi in cui gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica violino (non qualunque norma, persino se di rango costituzionale, ma) le norme a tutela della concorrenza e del mercato che, per quanto interpretate estensivamente, sono pur sempre un parametro circoscritto.

4. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato, confermandosi la sentenza di primo grado, sebbene con una motivazione in parte diversa, nel senso che il ricorso di primo grado andava dichiarato piuttosto inammissibile, non essendo legittimata l’Autorità a far valere vizi, per quanto rilevanti, non concernenti tuttavia la violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta, confermando la sentenza di primo grado, sebbene con motivazione in parte diversa.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2023 con l’intervento dei magistrati: