SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE L’AGCM NON È UN GIUDICE. IMPLICAZIONI IN PUNTO DI SINDACATO DI FULL JURISDICTION

SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE L’AGCM NON È UN GIUDICE. IMPLICAZIONI IN PUNTO DI SINDACATO DI FULL JURISDICTION

Roberto Giovagnoli  

1.  La questione di costituzionalità sollevata dall’AGCM

Con ordinanza n. 1 del 3 maggio del 2018, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) aveva sollevato, per la prima volta nella sua storia, una questione di legittimità costituzionale in un procedimento sanzionatorio incardinato contro il Consiglio Notarile di Milano “accusato” di aver realizzato un’intesa restrittiva della concorrenza attraverso iniziative disciplinari nei confronti dei notai del distretto maggiormente produttivi ed economicamente performanti.

La questione di legittimità costituzionale aveva ad oggetto l’art. 93- ter, comma 1-bis della legge 16 febbraio 1913 n. 89, introdotto con la legge 27 dicembre 2017, n. 205, ai sensi del quale “Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare  si applica l’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287”.L’articolo 8, comma 2, prevede a sua volta: “ Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”.

Per effetto di tale norma, quindi, il potere disciplinare dei Consigli notarili è sottratto alle norme antitrust e, quindi, ai poteri di controllo e di sanzione dell’AGCM.

Nell’ordinanza di rimessione, l’AGCM, per giustificare la propria qualificazione in termini di “giudice” legittimato a sollevare questioni di costituzionalità in via incidentale, aveva marcato la peculiarità della funzione sanzionatoria ad essa affidata rispetto alle funzioni di regolazione attribuite alle altre Autorità indipendenti. La funzione sanzionatoria, secondo l’AGCM, è una funzione sostanzialmente giurisdizionale, nel cui esercizio l’Autorità è “terza” e “imparziale” (stante anche la separazione funzionale di competenze tra funzioni inquirenti – affidate agli uffici amministrative dipendenti dal segretario generale – e funzioni decisorie – affidate al collegio, guidato dal presidente –).

 

2. La sentenza costituzionale n. 13 del 2019: l’AGCM non è un giudice perché priva del requisito della terzietà

Con la pronuncia in esame, la Corte costituzionale ha negato che l’AGCM sia legittimata a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale nell’ambito del procedimento sanzionatorio diretto ad accertare un’intesa restrittiva della concorrenza.

La Corte rileva come, sebbene la giurisprudenza costituzionale abbia accolto una nozione “elastica” di giudice a quo, riconoscendo la legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale anche organi non incardinati in un ordine giudiziario, tuttavia, condizione imprescindibile per riconoscere la qualità di giudice è sempre l’essenziale requisito della terzietà, di cui l’AGCM è priva.

Il giudice delle leggi, in particolare, disattende il principale argomento che l’AGCM aveva utilizzato per sostenere la propria terzietà: quello fondato sulla separazione tra funzioni inquirenti (attribuite agli uffici amministrativi alle dipendenze del segretario generale) e funzioni decisorie (attribuite al collegio dei componenti, guidato dal presidente dell’Autorità).

La Corte costituzionale evidenzia come tale separazione non sia sostenibile attesa l’esistenza, ai sensi dell’art. 11, comma 5, della legge n. 287 del 1990, di un nesso funzionale tra Segretario e Presidente, cui il primo «risponde» anche del funzionamento dei servizi e degli uffici medesimi (nello stesso senso, nel caso dell’Autorità della concorrenza greca, la sentenza della Corte di giustizia, Grande sezione, 31 maggio 2005, C-53/03, Synetairismos Farmakopoion Aitolias & Akarnanias (Syfait) e altri).

Richiamando un principio enunciato dalla Corte di Cassazione con riferimento al Garante per la protezione dei dati personali, ma con ragionamento estensibile a tutte le amministrazioni indipendenti, la Corte costituzionale ricorda l’Autorità partecipa al giudizio di impugnativa di un suo atto, quale sia stato il procedimento che lo ha preceduto, per far valere davanti al giudice lo stesso interesse pubblico di cui è portatrice (Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 20 maggio 2002, n. 7341). Ed è proprio la posizione di parte processuale nel giudizi avverso i propri provvedimenti a determinare una ontologica incompatibilità rispetto alla posizione di giudice.

La Corte esclude anche la possibilità, prospettata dal rimettente, di una sua configurazione di giudice «ai limitati fini», per la ritenuta esigenza di garantire il rispetto del principio di costituzionalità e quindi di evitare l’esistenza di una zona franca (il controllo di costituzionalità sarebbe escluso) ovvero (e contraddittoriamente) una zona d’ombra (il controllo sarebbe «estremamente difficile», o più difficile o «poco agevole»). Tale esigenza non sussiste in quanto che esiste una sede giurisdizionale agevolmente accessibile in cui può essere promossa la questione di legittimità costituzionale, a maggior ragione se si considera che tra gli atti impugnabili ad opera dei terzi controinteressati, in base alle normali regole processuali in tema di interesse e legittimazione all’impugnazione, rientrano i provvedimenti di chiusura dell’istruttoria, anche detti negativi o assolutori (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29 luglio 2011, n. 15; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 22 giugno 2011, n. 3751; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 3 febbraio 2005, n. 280; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14 giugno 2004, n. 3865).

Così, nel caso di specie, l’eventuale atto di archiviazione dell’Autorità garante, che dovesse ritenere preclusa la prosecuzione del procedimento sanzionatorio nei confronti del Consiglio notarile di Milano in forza dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), potrebbe essere impugnato dal notaio segnalante e da quello interveniente, interessati alla prosecuzione del procedimento finalizzato all’accertamento della natura in tesi anticoncorrenziale e abusiva delle funzioni di vigilanza esercitate dal CNM e al conseguente ordine di eliminazione delle condotte integranti illecito antitrust.

 

3. Le implicazioni della sentenza della Corte costituzionale sull’annosa questione dell’intensità del sindacato giurisdizionale sugli atti sanzionatorio dell’AGCM.

La sentenza della Corte costituzionale ha importanti ripercussioni sulla questione, oggetto di un rinnovato interesse alla luce dell’incidenza delle fonti sovranazionali, dell’intensità del sindacato giurisdizionale che il G.A. deve esercitare sulle sanzioni irrogate dall’AGCM (che la Corte EDU, con la famosa sentenza Menarini, ha qualificato come “pene in senso sostanziale”, sottoponendole alle garanzie che la Convenzione (art. 7) offre all’incolpato di un illecito penale. Fra queste, come è noto, vi è il diritto a che sulla fondatezza dell’accusa penale si pronunci un tribunale indipendente e imparziale.

La Corte EDU (in particolare nella sentenza Grande Stevens) ha chiarito che la Convenzione non preclude che una sanzione (formalmente amministrativa ma sostanzialmente) penale possa essere applicata anche da un’Autorità che non presenti le caratteristiche sostanziali del giudice (indipendenza e terzietà); in questo caso, tuttavia, è necessario che il soggetto sanzionato abbia la possibilità di impugnare la sanzione di fronte a un giudice (terzo, indipendente e imparziale) il quale deve poter esercitare sulla sanzione un sindacato pieno (c.d. di full jurisdiction).

Da più parti, specie in dottrina (ma, di recente, anche in giurisprudenza), si mette in evidenza che il sindacato che il giudice amministrativo esercita sulle sanzioni dell’AGCM non è del tutto in linea con il concetto di full jurisdiction. Il giudice amministrativo esercita, infatti, un sindacato intrinseco di attendibilità in astratto (è sufficiente che la valutazione tecnica opinabile compiuta dall’AGCM sia tecnicamente attendibile, a prescindere dall’esistenza di soluzioni tecniche dotate di una maggiore attendibilità). Al contrario, secondo la tesi in esame, la full jurisdiction dovrebbe implicare il passaggio, ovviamente nel rispetto del principio dispositivo e dei motivi di ricorso, a un sindacato di maggiore attendibilità in concreto (in cui la valutazione tecnica dell’AGCM può essere censurata, anche se astrattamente attendibile, perché il giudice ritiene che la soluzione tecnica alternativa prospettata dal ricorrente sia dotata di un maggior grado di attendibilità).

Il tema, peraltro, interferisce anche con l’interpretazione di una recente novità normativa: l’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3 (Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014) ai sensi del quale: “Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione”. La dottrina ha segnalato l’ambiguità del riferimento alla mancanza di un “oggettivo margine di opinabilità” (le valutazioni tecniche dell’AGCM sono per natura opinabili), proponendo un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma de qua, al fine di renderla coerente al paradigma della full jurisdction.

 

Sull’argomento, per approfondimenti, si rinvia a Chieppa-Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, 2018, 345 e ss.; R. Giovagnoli, Autorità indipendenti e tecniche di sindacato giurisdizionale, in R. Giovagnoli (a cura di) Approfondimenti di diritto amministrativo, Itaedizioni, 2018, 125 e ss.; R. Giovagnoli, Temi di diritti civile, diritto penale e diritto amministrativo, in corso di pubblicazione per Itaedizioni, 2019, 345 e ss.

 

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Corte costituzionale, sentenza 31 gennaio 2019, n. 13 Pres. Lattanzi – Est. Coraggio

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato non è legittimata a sollevare questioni di legittimità costituzionale in via incidentale, in quanto priva del fondamentale requisito della terzietà, atteso che, anche nei procedimenti sanzionatori, cumula su di sé le sia funzioni inquirenti che quelle decisorie.

1.− Il Collegio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione all’art. 106, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come introdotto dall’art. 1, comma 495, lettera c), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), e dell’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).

1.1.− Il rimettente espone in punto di fatto che:

− in data 11 gennaio 2017 l’AGCM (d’ora in avanti anche: Autorità o Autorità garante) aveva avviato un procedimento istruttorio nei confronti del Consiglio notarile di Milano (d’ora in avanti anche: CNM), volto ad accertare la sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 (d’ora in avanti anche: legge antitrust), realizzata attraverso: a) richieste a tutti i notai del distretto di dati «concorrenzialmente» sensibili, al fine di fare emergere le posizioni di preminenza economica; b) iniziative disciplinari nei confronti dei notai maggiormente produttivi ed economicamente performanti, accompagnate da un’attività segnaletica volta a dare risalto a tali iniziative;

− in data 21 febbraio 2018 gli uffici istruttori dell’Autorità avevano trasmesso alle parti del procedimento la comunicazione delle risultanze istruttorie (d’ora in avanti anche: CRI), con cui avevano contestato al CNM di avere posto in essere delle condotte idonee ad inibire ai notai del distretto (e in particolare, a quelli più performanti) l’acquisizione di elevate quantità di lavoro, ricorrendo alla leva prezzo e/o a modalità innovative di offerta, condotte consistite, in particolare: a) nella richiesta di dati sensibili sotto il profilo antitrust, avendo il CNM adottato nel 2014 e nel 2016 un sistema di monitoraggio a tappeto sull’attività dei singoli notai, volto ad acquisire informazioni sempre più dettagliate sul loro comportamento economico (numero di atti stipulati, copia delle fatture, spese di gestione, dettaglio di svariate voci di costo, fatturato complessivo, etc.); b) nella mappatura dei notai monitorati, avendo il CNM elaborato i dati acquisiti al fine di porre in rilievo aspetti concorrenzialmente sensibili (tra gli altri, tabelle evidenzianti i livelli di «sperequazione» tra il numero di atti redatti dai notai del distretto; «tabelle excell» contenenti informazioni sui ricavi, sui costi e sull’organizzazione dell’attività; «indice Fatturato/Repertorio» da cui emergeva il rapporto tra i prezzi mediamente praticati dai singoli notai e la tariffa repertoriale; «Grafico dispersione fatturato» indicante il fatturato di ogni notaio, con evidenza di quelli più elevati; c) nel diffuso risalto (relazioni annuali, giornate di studio, audizioni, eccetera) del messaggio che occorreva «evitare sperequazioni» nella distribuzione del lavoro, evidenziando le ripercussioni negative per la categoria derivanti dalla concorrenza tra colleghi (condannando i «c.d. attifici» e le «politiche tariffarie molto, molto, molto, aggressive»);

− alla difesa del CNM, incentrata sulla funzionalità delle condotte contestate all’esercizio dei suoi poteri-doveri di vigilanza e disciplinari, gli uffici istruttori avevano replicato che le condotte medesime, in realtà, oltre ad essere carenti di proporzionalità e necessarietà, erano finalizzate a realizzare intenti anticompetitivi;

− a circa un anno dall’avvio dell’istruttoria e a ridosso dell’invio alle parti della CRI, la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) aveva introdotto nella legge n. 89 del 1913 (d’ora in avanti anche legge notarile) l’art. 93-ter, comma 1-bis, secondo cui «Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287»; in forza di tale ultima norma, «Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati»;

− nella CRI si sosteneva: 1) che la norma sopravvenuta non è applicabile ratione temporis alle condotte oggetto di accertamento; 2) in ogni caso, essa va interpretata in senso costituzionalmente e comunitariamente orientato: l’art. 106, paragrafo 2, TFUE, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, limiterebbe l’applicazione delle norme antitrust alle condotte di imprese incaricate dalla legge della gestione di servizi di interesse economico generale (d’ora in avanti anche: SIEG) solo in via eccezionale e una volta superato il test di proporzionalità, con la conseguenza che non sarebbe possibile sottrarre in via generale e astratta un intero segmento di attività dall’ambito di applicazione della disciplina antitrust; 3) in caso di diversa interpretazione della norma sopravvenuta, l’Autorità garante sarebbe tenuta alla sua disapplicazione per contrarietà agli artt. 101 e 106, TFUE, letti congiuntamente all’art. 4, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, e al Protocollo n. 27 sul mercato interno e la concorrenza, allegato al Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che conferma l’art. 3, lettera g), del Trattato CE;

− il CNM aveva invece fatto leva sulla disposizione in esame per porre la questione preliminare dell’incompetenza dell’Autorità a giudicare le condotte oggetto di istruttoria, dal momento che l’esercizio del potere-dovere di vigilanza sarebbe funzione pubblicistica sottratta all’applicazione della normativa antitrust; la norma sopravvenuta, poi, sarebbe applicabile al caso di specie, in virtù del principio tempus regit actum, essendo stata introdotta ad istruttoria in corso; essa, inoltre, non farebbe che codificare un principio immanente nell’ordinamento, già affermato dalla Corte di cassazione (si cita la sentenza della sezione seconda civile, 5 maggio 2016, n. 9041) e poi ribadito dalla Corte d’appello di Milano (si cita la sentenza della sezione prima, 6 aprile 2018), secondo cui il consiglio notarile che assume l’iniziativa del procedimento disciplinare espleta un SIEG ed è perciò esente dall’applicabilità delle norme antitrust, ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990.

1.2.− Ciò premesso in punto di fatto, il rimettente riferisce di essersi «lungamente interrogato» sulla propria legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale.

Rammenta il Collegio che, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale) e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), i presupposti perché possa essere sollevata questione di legittimità costituzionale sono che essa venga formulata da un «giudice» nell’ambito di un «giudizio».

Tali condizioni − prosegue il rimettente − sono state interpretate sin dalle prime pronunce della Corte costituzionale (si citano le sentenze n. 129 del 1957 e n. 4 del 1956) «in senso estensivo», non ravvisandosi la figura del giudice nei soli titolari degli organi di giurisdizione ordinaria e speciale, né richiedendosi che il giudizio sia solo quello che si svolge davanti ai suddetti organi.

La giurisprudenza della Corte costituzionale, cioè, avrebbe messo in luce come il sindacato «non abbia a esplicarsi in astratto, ma in relazione a concrete situazioni di fatto, alle quali siano da applicare norme di dubbia costituzionalità», da parte di organi che, «sebbene estranei alla organizzazione della giurisdizione», siano investiti di «funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge» e «siano all’uopo posti in posizione super partes». La ratio di fondo di tale indirizzo giurisprudenziale starebbe nella «esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte».

Alla stregua di queste coordinate, il rimettente ritiene di potere essere ricondotto al novero dei soggetti legittimati a sollevare questione di legittimità costituzionale, e ciò anche ove si ritenga preferibile l’indirizzo secondo cui devono ricorrere sia l’elemento soggettivo (il giudice) che quello oggettivo (il giudizio).

1.2.1.− Sotto il profilo soggettivo e in primo luogo, la composizione dell’Autorità garante sarebbe tale da porla in una posizione di indipendenza e neutralità, sottraendola a qualsiasi condizionamento esterno. L’art. 10 della legge antitrust prevede che i componenti dell’Autorità sono nominati d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica tra persone di notoria indipendenza e funzionalità, e tanto diversamente rispetto ad altre autorità indipendenti, i cui membri sono in tutto o in parte di nomina governativa.

La durata limitata del mandato (sette anni non rinnovabili), l’inamovibilità e il regime di incompatibilità costituirebbero, in secondo luogo, elementi importanti ai fini dell’indipendenza e terzietà dell’Autorità garante. La prima impedirebbe comportamenti opportunistici finalizzati ad ottenere una nuova nomina; il regime d’incompatibilità, invece, garantirebbe che i componenti non siano portatori di interessi diversi rispetto a quelli chiamati a tutelare nell’esercizio del mandato.

1.2.2.− Andrebbe poi evidenziato che l’AGCM è un’autorità amministrativa indipendente rientrante nel genus delle autorità di garanzia, svolgenti funzioni analoghe a quelle giurisdizionali, perché consistenti nella riconduzione di atti e fatti all’ambito di fattispecie astratte previste dalla legge antitrust, con esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine giuridico.

Nell’esercizio della funzione di tutela della concorrenza, che rappresenta il nucleo centrale della sua attività, l’Autorità − prosegue il rimettente − non sceglie (pondera) tra una pluralità di interessi concorrenti (a differenza della pubblica amministrazione in senso classico, che, pur in modo imparziale, è tenuta a bilanciare contrapposti interessi pubblici e privati), ma si limita, al pari di un giudice, ad applicare la legge al caso concreto. L’agire dell’Autorità, infatti, non è caratterizzato da profili di vera e propria discrezionalità amministrativa, potendosi al più ravvisare una discrezionalità tecnica nell’applicazione di regole di natura economica.

1.2.3.− La funzione in questione, inoltre, avrebbe sicura rilevanza costituzionale, posto che la libera concorrenza e il corretto funzionamento del mercato sono valori riconducibili all’art. 41 della Costituzione.

1.2.4.− Andrebbe ancora considerato che, a differenza di altre autorità indipendenti, l’AGCM non regola e controlla uno specifico settore economico, né persegue fini ulteriori rispetto a quello generale di tutela della concorrenza. Tale funzione di garanzia spiegherebbe il suo ruolo di terzietà, al pari del giudice.

1.2.5.− Altro elemento che deporrebbe per il carattere giurisdizionale delle funzioni svolte dall’Autorità sarebbe l’ampio spazio che nei procedimenti sanzionatori viene dato ai princìpi del contraddittorio e della parità delle armi, di chiara derivazione processuale.

In tali procedimenti, oltre al contraddittorio documentale, sarebbe garantito anche quello orale, sia all’inizio dell’istruttoria che, ai sensi dell’art. 14 della legge antitrust, prima della sua conclusione. Più in particolare, nel corso del procedimento volto all’irrogazione della sanzione, non solo sarebbe previsto un esteso accesso ai documenti e al fascicolo della «accusa», ma l’autorità inquirente (gli uffici) sarebbe tenuta (attraverso l’invio della CRI) a comunicare alla «difesa» (il sottoposto a procedura sanzionatoria) tutte le prove a carico e discarico, sollecitando sulle stesse il contraddittorio in un’audizione davanti all’organo decidente (il Collegio).

La possibilità di difendersi dalle contestazioni mosse nel corso di un’audizione orale renderebbe il procedimento antitrust rispettoso dei requisiti previsti dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848: proprio la mancanza di tale possibilità avrebbe per contro indotto la Corte europea dei diritti dell’uomo a ritenere che il procedimento sanzionatorio davanti alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) non soddisfacesse tutte le esigenze dell’art. 6 (si cita la sentenza della Corte EDU, seconda sezione, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia).

1.2.6.− Ancora, in base all’art. 15 della legge antitrust, l’Autorità, analogamente al giudice ordinario, potrebbe disporre l’inibitoria di alcuni comportamenti, intimando alle imprese di cessare l’infrazione e condannandole al pagamento di sanzioni pecuniarie, «il tutto con decisione che, ove non impugnata, è suscettibile di produrre effetti analoghi a quelli del giudicato».

1.2.7.− Vi sarebbe, poi, un’adeguata separazione tra gli uffici che svolgono l’attività istruttoria e di formulazione delle contestazioni e il Collegio competente ad assumere le decisioni: secondo il regolamento di organizzazione, infatti, i primi non dipenderebbero dal secondo ma dal Segretario generale, che sovrintende al loro funzionamento. Tale separazione non sarebbe solo organizzativa, ma inciderebbe sulle funzioni esercitate: gli uffici istruttori effettuano le indagini, i cui risultanti sono illustrati nella CRI, atto notificato alle parti del procedimento, su cui esse possono difendersi in forma scritta e nel corso dell’audizione orale davanti al Collegio, in contraddittorio con gli uffici medesimi.

Spetterebbe invece unicamente al Collegio il potere di decidere sull’esistenza dell’illecito e sull’irrogazione delle eventuali sanzioni, senza essere in alcun modo vincolato dalla proposta degli uffici. Andrebbe osservato, in tal senso, che sulla CRI il Collegio, nella fase di invio alle parti, esprime unicamente una valutazione di non manifesta infondatezza, restando poi libero di rigettare, modificare o recepire le proposte ivi formulate.

La funzione esercitata dall’Autorità in sede di applicazione della legge antitrust presenterebbe, dunque, «i connotati necessari per essere assimilata ad una funzione giurisdizionale, traducendosi in un’attività volta esclusivamente a garantire, in posizione di neutralità e di imparzialità, la riconducibilità delle condotte delle imprese nell’ambito della legge, al solo fine di tutelare un diritto oggettivo (quello della concorrenza) avente rilevanza generale».

1.2.8.− Vi sarebbe, peraltro, una ulteriore e decisiva considerazione che militerebbe in favore della legittimazione del rimettente, vale a dire la circostanza che, in caso contrario, l’ipotesi controversa sarebbe esclusa dal possibile sindacato della Corte costituzionale.

Ricorrerebbero, infatti, nel caso di specie «una serie di elementi che mostrano come l’accesso al sindacato della Corte sarebbe reso poco agevole, ponendosi la necessità di arricchire i meccanismi di introduzione delle questioni di legittimità costituzionale».

La norma sopravvenuta, nell’interpretazione fatta propria dal CNM e avallata dalla Corte d’appello di Milano con l’ordinanza del 6 aprile 2018, escluderebbe ex ante e in assenza di qualsiasi valutazione circa la concreta finalità perseguita dai consigli notarili l’applicabilità delle disposizioni in materia di tutela della concorrenza, con la conseguenza che l’Autorità dovrebbe chiudere il procedimento e dichiararsi incompetente.

Ciò avrebbe l’effetto di rendere «estremamente difficile» l’accesso al sindacato della Corte: infatti, ove non fosse riconosciuta la legittimazione dell’Autorità, la possibilità di sottoporre la norma al sindacato di costituzionalità sarebbe «rimessa solo alla eventuale iniziativa giurisdizionale, del tutto discrezionale, del soggetto privato segnalante, peraltro parte non necessaria del procedimento».

L’AGCM, dunque, dovrebbe essere ritenuta legittimata a sollevare la questione, in considerazione della «esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (si cita la sentenza di questa Corte n. 181 del 2015) e della finalità di evitare che nell’ordinamento vi siano «zone franche» dal controllo di costituzionalità.

L’AGCM, cioè, dovrebbe ritenersi operare come giudice nel corso di un processo, «ai limitati fini» dell’art. 1 della legge n. 1 del 1948 e dell’art. 3 della legge n. 87 del 1953 (si citano le sentenze n. 181 del 2015 e n. 226 del 1976).

1.3.− In punto di rilevanza, il rimettente osserva, in via preliminare, che, secondo la consolidata giurisprudenza nazionale e comunitaria, sono soggette al diritto antritrust anche le professioni regolamentate, comprese quelle notarili. Altrettanto pacifico sarebbe che i consigli notarili, in quanto enti rappresentativi di imprese che offrono sul mercato in modo indipendente e stabile i loro servizi professionali, costituiscono associazioni d’imprese ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge antitrust. Più precisamente, i consigli sarebbero organi di regolamentazione di una professione, il cui esercizio costituisce un’attività economica, e quindi sarebbero nella condizione di «regolare e orientare l’attività degli iscritti nell’offerta delle proprie prestazioni professionali incidendo sugli aspetti economici della medesima» (si cita la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, 18 luglio 2013, in causa C-136/12, Consiglio nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato).

La norma censurata avrebbe introdotto un «contesto di incertezza» in ordine alla competenza dell’Autorità ad esercitare i suoi poteri avverso le condotte dei consigli notarili, che, benché adottate nel formale contesto dell’attività di vigilanza, non ne condividano le finalità di tutela di interessi pubblici e che, in quanto incidenti sulle attività economiche dei notai, «sono suscettibili di rilevare ai sensi di tale legge».

In particolare, la questione sarebbe rilevante ai fini della decisione da adottare nel procedimento a quo, poiché dalla sua soluzione dipenderebbe la stessa possibilità che il Collegio esamini il merito della fattispecie, possibilità esclusa alla stregua dell’interpretazione fatta propria dal CNM e dalla Corte d’appello di Milano.

1.4.− In punto di non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che le norme censurate, là dove sottraggono un intero segmento di attività all’applicazione della legge antitrust sarebbero in contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza, e con l’art. 41 Cost.

«Per effetto» dell’art. 93-ter, comma 1-bis, infatti, sarebbe «sacrificato il nucleo essenziale delle regole in materia di concorrenza e, per tale via, della libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 della Costituzione, senza che sia stato effettuato alcun bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza. Il legislatore ha, in particolare, predisposto uno strumento assolutamente non proporzionato rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare, con il risultato di creare un contesto in cui non sussiste alcun equilibrio tra interessi diversi, ma solo l’inaccettabile sacrificio della libertà di iniziativa economica privata».

Ciò assumerebbe ancora più rilievo, ove si consideri che l’Autorità e la Commissione europea non hanno mai contestato l’esercizio della funzione disciplinare dei consigli notarili e degli ordini professionali, essendosi sempre limitate a verificare, caso per caso, se tale esercizio non avesse esorbitato dalle sottese finalità pubblicistiche, risultando non necessario e non proporzionato rispetto al loro conseguimento.

La misura introdotta dall’art. 93-ter, comma 1-bis, invece, non sarebbe necessaria né proporzionata rispetto alla finalità pubblica perseguita, che potrebbe, per contro, essere soddisfatta mediante una valutazione da svolgersi caso per caso sulla riconducibilità dell’attività dei consigli notarili alla funzione di vigilanza esclusa dalla normativa antitrust.

Infine, le norme censurate contrasterebbero con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 106, paragrafo 2, TFUE, che, secondo la giurisprudenza comunitaria, ammetterebbe deroghe alle disposizioni in materia di concorrenza solo ove necessarie per garantire l’adempimento della specifica missione affidata alle imprese incaricate della gestione dei SIEG, richiedendo che sia effettuato un test di proporzionalità: il diritto comunitario escluderebbe la possibilità di sottrarre in via generale ed astratta un intero settore di attività dall’ambito di applicazione delle norme antitrust.

2.− È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di legittimazione del rimettente.

2.1.− Rammenta il Presidente del Consiglio dei ministri che, in base alla consolidata giurisprudenza della Corte, le questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili allorché promanino da un «giudice» nel corso di un «giudizio».

Nonostante non manchino, specie nella giurisprudenza più risalente, letture non restrittive dei due requisiti, la Corte si sarebbe progressivamente attestata su una interpretazione più rigorosa, specie in riferimento alla loro necessaria compresenza (si cita la sentenza n. 164 del 2008).

Nella fattispecie in esame difetterebbero entrambi.

2.1.1.− Il Collegio dell’Autorità, in primo luogo, nonostante sia indiscutibile che la legge assicuri al Presidente e ai suoi componenti una particolare e qualificata indipendenza, non sarebbe un giudice e neppure un organo assimilabile ad un giudice «ai limitati fini» della proposizione della questione di legittimità costituzionale.

Se è vero – prosegue la difesa dello Stato – che l’indipendenza costituisce attributo necessario dei giudici, non è men vero che nelle organizzazioni statuali evolute tale condizione non inerisce esclusivamente alla giurisdizione, ma appartiene anche alle autorità amministrative indipendenti.

Tratto essenziale della giurisdizione è invece l’imparzialità o terzietà, ossia la condizione di separatezza nei confronti delle parti del procedimento e di indifferenza rispetto agli interessi in gioco. Secondo l’interveniente, tale requisito nel caso del Collegio dell’Autorità «è visibilmente da escludere».

In primo luogo e sul piano strutturale, la condizione di terzietà non potrebbe ravvisarsi in ragione del «rapporto di dipendenza funzionale dall’organo decidente di una delle parti del procedimento» (gli uffici istruttori), non essendo evidentemente sufficiente a influire in maniera determinante su tale rapporto il diaframma costituito dalla previsione che al funzionamento dei servizi e degli uffici debba sovraintendere il Segretario generale, poiché questi ne risponde al Presidente.

In secondo luogo e sul piano funzionale, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 (Regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), è il Collegio dell’Autorità che dispone l’avvio dell’istruttoria.

Ancora, sarebbe il Collegio che, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 217 del 1998, verificata la non manifesta infondatezza delle proposte formulate dagli uffici, autorizza l’invio della CRI alle imprese. Tale delibazione sommaria – «in sé forse non incompatibile» con il successivo esercizio di funzioni giudicanti – avverrebbe in via del tutto officiosa, senza le garanzie del contraddittorio proprie di un processo giurisdizionale.

Sarebbe poi dirimente la considerazione che l’Autorità è parte del giudizio di impugnazione delle proprie decisioni, mentre, ove si accedesse alla prospettiva contenuta nell’ordinanza di rimessione, la qualità di parte andrebbe riconosciuta agli uffici istruttori.

Tale ultima caratteristica − prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri − è chiaramente incompatibile con l’esercizio di funzioni giurisdizionali ed è propria degli organi amministrativi, essendo l’acquisto della qualità di parte processuale riservata, per definizione, ai portatori di un interesse sostanziale (non coincidente con quello meramente fattuale di un organo giurisdizionale a vedere confermati i suoi provvedimenti).

Osserva l’interveniente che tale argomento è stato ritenuto decisivo dalla Corte di giustizia per riconoscere carattere giurisdizionale al Consiglio nazionale forense italiano (si cita la sentenza della Grande sezione, 17 luglio 2014, in cause riunite C-58/13 e C-59/13, Torresi).

Andrebbe poi richiamato anche l’orientamento della CGUE che ha negato la legittimazione a sollevare questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE all’autorità garante della concorrenza greca, sulla base di argomenti estensibili al caso di specie (in particolare, in ragione della dipendenza funzionale degli uffici istruttori dal Presidente dell’organo e della possibilità che l’autorità nazionale venga spogliata del procedimento da parte della Commissione europea).

2.1.2.− In disparte la carenza del requisito soggettivo, sarebbe poi da escludere anche l’assimilazione del procedimento antitrust ad un «giudizio».

In sintesi, sarebbe evidente che, sul piano delle forme, il procedimento, pur garantendo la massima partecipazione dell’interessato, si mantiene nei confini di un modello di contraddittorio di tipo bilaterale, analogo a quello, necessariamente «rinforzato», che contraddistingue i procedimenti amministrativi volti all’accertamento degli illeciti e all’applicazione delle conseguenti sanzioni.

Il procedimento, soprattutto, non si concluderebbe con un provvedimento suscettibile di costituire giudicato. La definitività conseguente alla mancata impugnazione, pur presentando alcune caratteristiche comuni al giudicato (l’incontestabilità e la preclusione di un bis in idem procedimentale), non sarebbe ad esso equiparabile, ove si rifletta sulla possibilità di annullamento in autotutela che pacificamente caratterizza anche i provvedimenti dell’AGCM o di disapplicazione dell’atto da parte del giudice in relazione all’oggetto dedotto in un diverso giudizio (facoltà invece preclusa nel caso delle sentenze passate in giudicato dall’art. 2909 del codice civile).

Tali caratteristiche dei provvedimenti dell’Autorità, lungi dall’essere smentite, sarebbero confermate dal regime introdotto dal decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3 (Attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea), se è vero che, al fine di conferire efficacia vincolante, nei giudizi risarcitori, ad alcuni aspetti dell’accertamento contenuto in un provvedimento definitivo dell’AGCM che abbia rilevato l’esistenza di un cartello anticoncorrenziale o di un abuso di posizione dominante, è stata necessaria una previsione espressa ed eccezionale (che, quindi, confermerebbe, relativamente agli altri aspetti, che il provvedimento non può fare stato in giudizio).

Infine, non vi sarebbe alcuna evidenza dell’esigenza di evitare zone franche dal controllo di costituzionalità, essendo chiaro che un eventuale arresto procedimentale motivato con la sopravvenienza della norma censurata può essere impugnato da uno degli intervenienti e, in particolare, dal notaio segnalante, che nel conseguente giudizio amministrativo ben potrebbe fare valere eventuali profili di illegittimità costituzionale.

3.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 2 luglio 2018, si è costituito il Consiglio notarile di Milano, eccependo l’inammissibilità e non fondatezza delle questioni sollevate.

3.1.− Dopo avere riassunto i fatti di causa, il CNM ha eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità per difetto di legittimazione dell’AGCM, mancando sia il requisito soggettivo (il provenire la questione da un giudice) che quello oggettivo (l’essere stata essa sollevata nel corso di un giudizio).

3.1.1.− Dal punto di vista soggettivo, l’Autorità garante, in quanto autorità amministrativa indipendente, sarebbe un’amministrazione e le sue caratteristiche d’indipendenza, comuni ad altre autorità, non sarebbero sufficienti a qualificarla come giudice speciale, in caso contrario dovendosi ravvisare la sua illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 102 Cost.

3.1.1.1.− La diversità tra AGCM e giudici ordinari e speciali sarebbe dimostrata anche dal fatto che la prima, oltre alla funzione di accertamento degli illeciti concorrenziali, svolge anche altre funzioni, sicuramente estranee alla giurisdizione, quali quelle amministrative di regolazione (in tema di operazione di concentrazione ed accettazione di impegni), quelle amministrativo-consultive (di advocacy, previste dagli artt. 21, 21-bis e 22 della legge antitrust) ed altre sanzionatorie e pacificamente amministrative, come la repressione delle pratiche commerciali scorrette di cui agli artt. 19 e seguenti del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229).

3.1.1.2.− Il CNM rammenta, poi, che gli atti dell’AGCM sono impugnabili davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera l), dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), ed infatti nella prassi gli atti sanzionatori sono sempre impugnati davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

Il legislatore, inoltre, con l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, introdotto dall’art. 35, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, lungi dal riconoscere all’AGCM la qualità di giudice, le avrebbe attribuito quella opposta di parte processuale per l’impugnazione davanti al giudice amministrativo di atti amministrativi in contrasto con la tutela della concorrenza (in tal modo l’Autorità, solitamente operante quale parte resistente nel processo amministrativo, assumerebbe anche la qualità di ricorrente).

3.1.1.3.− Il CNM aggiunge che le procedure di nomina dei componenti le autorità indipendenti sono profondamente diverse dai sistemi di reclutamento nei ruoli della magistratura, sia ordinaria che speciale.

Il sistema di nomina congiunta da parte dei Presidenti di Senato e Camera era stato scelto nel 1990 in ragione di una convezione costituzionale vigente durante il periodo storico che si suole definire «Prima Repubblica», che assegnava una carica alla maggioranza e l’altra all’opposizione, in modo da garantire l’indipendenza dall’indirizzo politico governativo. Questa convenzione era tuttavia venuta meno negli anni successivi, il che aveva suscitato un dibattito anche sulla idoneità del metodo di nomina del Presidente e dei componenti dell’Autorità ad assicurare il livello di indipendenza richiesto dalla legge.

Né, ancora, risulta che al Presidente e ai componenti dell’Autorità garante siano assicurate specifiche garanzie di inamovibilità, che in ogni caso non sarebbero parificabili a quelle di rango costituzionale proprie della magistratura ordinaria e di quelle speciali.

3.1.1.4.− Contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, l’AGCM non potrebbe essere considerata terza rispetto alla contestazione mossa dai suoi uffici.

In primo luogo, il Segretario generale è nominato «su proposta» del Presidente e ad esso risponde del funzionamento dei servizi e degli uffici (art. 11, comma 5, della legge n. 287 del 1990), e tale «raccordo istituzionale» legherebbe uffici e Collegio in una «unità soggettiva indiscutibile».

In secondo luogo, il Collegio dell’Autorità, lungi dal restare estraneo al procedimento, ne sarebbe continuo «protagonista, orientandone lo sviluppo»: l’avvio dell’istruttoria, atto ampiamente motivato e recante quindi una prima inclinazione decisoria, è infatti di competenza del Collegio, che è poi chiamato, ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 217 del 1998, ad effettuare una valutazione di non manifesta infondatezza della bozza di CRI sottoposta dagli uffici.

In terzo luogo, l’ordinamento delle carriere, le promozioni, le assegnazioni di incarichi, inclusi quelli dirigenziali, e gli assetti organizzativi sarebbero tutti rimessi ad altrettante decisioni del Collegio.

3.1.1.5.− Il contraddittorio che si svolge innanzi all’Autorità sarebbe di tipo bilaterale, analogo a quello che caratterizza altri procedimenti volti all’accertamento di un illecito amministrativo ed all’irrogazione di una sanzione pecuniaria: da una parte l’AGCM e dall’altra le imprese, che già nell’atto di avvio sono incolpate di un abuso di posizione dominante o della partecipazione ad una intesa anticoncorrenziale. Potrebbero esservi anche altre parti private o pubbliche, in qualità di segnalanti o interventori, ma la garanzia, anche nei loro confronti, della parità delle armi non modificherebbe il carattere bilaterale del contraddittorio.

3.1.2.− Il CNM affronta, quindi, il profilo oggettivo della questione, ossia se sia possibile considerare il procedimento antitrust come un «giudizio».

3.1.2.1.− La risposta positiva del rimettente non sarebbe condivisibile, come dimostrato dal fatto che la stessa AGCM, dopo avere negato che il suo agire sia caratterizzato da profili di vera e propria discrezionalità amministrativa, ammette che si può al più «ravvisare una discrezionalità di tipo tecnico, derivante dall’applicazione di regole tecniche di natura economica».

La funzione esercitata dall’Autorità garante sarebbe, in realtà, una funzione di vigilanza e sanzionatoria di carattere amministrativo. La discrezionalità tecnica, ovvero l’adozione di valutazioni complesse ed opinabili, si sostanzierebbe in una operazione definita dalla giurisprudenza amministrativa di «doppia contestualizzazione»: dapprima, l’Autorità elabora un regola specifica discendente dal precetto, di contenuto generale, degli artt. 101 o 102 TFUE o degli artt. 2 o 3 della legge n. 287 del 1990, e solo dopo verifica se quella regola specifica, dedotta grazie a nozioni non giuridiche ma prevalentemente economiche, sia applicabile al caso concreto.

3.1.2.2.− Nemmeno − prosegue il CNM − sarebbe esatto negare che l’AGCM faccia ponderazione e bilanciamento di interessi pubblici e privati: la configurazione dell’illecito dipende anche dalla concorrente valutazione di situazioni come gli interessi dei consumatori, le conseguenze sul mercato, il rapporto tra decisione dell’Autorità e consumer welfare.

Emblematico di tali valutazioni discrezionali sarebbe il potere dell’Autorità di autorizzare, per un periodo limitato di tempo, intese o categorie di intese vietate ai sensi dell’art. 2 della legge antitrust, quando esse diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato, miglioramenti che possono consistere in un aumento della produzione, della sua qualità o della distribuzione o, più genericamente, nel progresso tecnologico in favore dei consumatori, tenendo presente anche la necessità di assicurare alle imprese la concorrenzialità sul piano internazionale (art. 4 della legge antitrust).

3.1.2.3.− Che non si tratti di mera applicazione della legge risulterebbe anche dal meccanismo di funzionamento del network istituito dal Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato (CE), network cui è conferito il compito di dare applicazione diretta agli artt. 101 e 102 TFUE e di cui anche AGCM è parte.

Tale rete di autorità a tutela della concorrenza – prosegue il CNM – è infatti guidata dalla Commissione europea, la quale, pur tenendo conto di tutte le particolarità dell’ordinamento comunitario, è un organo non giurisdizionale, e all’interno della rete si discute spesso della elaborazione di politiche della concorrenza e di selezione degli obiettivi da raggiungere, il che è incompatibile con l’attività giurisdizionale.

3.1.2.4.− Il CNM osserva, ancora, che il rimettente cerca di avvalorare la tesi della natura giurisdizionale delle funzioni svolte, sottolineando la diversità tra funzione di regolazione dei mercati (operante ex ante) e di vigilanza antitrust (operante ex post).

Tale distinzione, ormai «classica», sarebbe tuttavia «alquanto sottile», come dimostrato dalla vicinanza tra la funzione di vigilanza e quella di autorizzazione delle operazioni di concentrazione, pure rimessa all’Autorità e implicante − come è pacifico − poteri regolatori, nonché dall’istituto della chiusura dei procedimenti sanzionatori mediante l’accoglimento di impegni dell’impresa (art. 14-ter della legge antitrust), ove pure la complessa valutazione discrezionale sulla «idoneità» degli impegni medesimi darebbe luogo ad una funzione sostanzialmente regolatoria.

3.1.2.5.− Aggiunge il Consiglio notarile di Milano che la già illustrata carenza di terzietà dell’Autorità concorre a spiegare la mancanza non solo del requisito soggettivo ma anche di quello oggettivo.

Non sarebbe comprensibile su quali basi l’Autorità possa assimilare l’effetto dei suoi provvedimenti a quelli di un giudicato: il provvedimento sanzionatorio è un atto amministrativo, la cui definitività per mancata impugnazione produce effetti ben diversi da quelli discendenti dal giudicato.

La stessa AGCM, peraltro, nella prassi, riterrebbe applicabile alle sue decisioni l’istituto del ritiro in autotutela decisoria.

La circostanza che l’art. 7 del d.lgs. n. 3 del 2017, in applicazione dell’art. 9 della direttiva 104/2014/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea, abbia introdotto un eccezionale effetto vincolante – solo ad alcuni fini e con certi limiti – del provvedimento sanzionatorio in seno al giudizio civile risarcitorio, sarebbe la conferma ulteriore che esso non ha la forza del giudicato.

3.1.2.6.− Mancherebbe, ancora, l’esigenza di sostenere un’interpretazione estensiva della legittimazione ad adire la Corte costituzionale, perché non vi sarebbe il rischio di zone franche dal controllo di costituzionalità.

Ove la Corte negasse la legittimazione dell’Autorità, quest’ultima dovrebbe applicare la norma censurata ed escludere l’esistenza di un illecito; ciò non impedirebbe alle parti private intervenute nel procedimento di impugnare il provvedimento finale davanti al TAR Lazio, cui si potrebbe chiedere di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

Inoltre, i soggetti interessati potrebbero anche adire il giudice civile per chiedere il risarcimento di eventuali danni e, in ipotesi, per fare valere l’invalidità di atti derivanti da quelli funzionali all’esercizio dell’attività di vigilanza a fini disciplinari: così ancora una volta si schiuderebbe un giudizio nel quale la valutazione di non manifesta infondatezza «verrebbe compiuta da un vero giudice a quo».

La situazione prospettata dall’ordinanza di rimessione, per contro, creerebbe una sorta di inedito potere di impugnazione diretta della legge davanti alla Corte costituzionale da parte di un soggetto che è invece destinato ad essere fisiologicamente parte nel giudizio che si svolge dopo la decisione di sua competenza.

3.1.2.7.− Aggiunge il CNM che la stessa Corte di giustizia, chiamata a valutare la legittimazione a promuovere rinvio pregiudiziale dell’autorità garante della concorrenza e del mercato greca, si è pronunziata negativamente, escludendo la possibilità di qualificarla come organo giurisdizionale (si cita la sentenza del 31 maggio 2015, in causa 53/03, Synetairismos Farmakopoion Aitolias & Akarnanias (Syfait) e altri).

3.2.− Il Consiglio notarile di Milano ha poi eccepito l’inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione.

Essa potrebbe dirsi rilevante, solo ove l’AGCM avesse esplicitamente ritenuto che la condotta del medesimo Consiglio rientrasse nella fattispecie della delibera di associazione di imprese restrittiva della concorrenza. In altri termini, secondo il CNM, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale, il rimettente avrebbe dovuto spiegare perché non vi erano altre ragioni per ritenere insussistente l’illecito atte ad escludere la rilevanza.

3.3.− Nel merito, secondo il Consiglio notarile di Milano, la censura di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 106, paragrafo 2, TFUE, è infondata.

Osserva il CNM che il parametro interposto contempla una deroga alle regole di concorrenza poste dai Trattati per le imprese che operino, su incarico dello Stato, in settori di interesse economico generale, purché: a) le norme sulla concorrenza ostacolino l’adempimento della missione affidata e b) la restrizione della concorrenza realizzata per effetto della deroga non comprometta lo sviluppo degli scambi in misura contraria agli interessi dell’Unione.

In relazione all’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge notarile, sussisterebbero tutte le condizioni richieste dall’art. 106, paragrafo 2, TFUE, avente pacificamente efficacia diretta, affinché possa operare il regime derogatorio ivi previsto: i consigli notarili, infatti, svolgono, per espressa attribuzione dello Stato (operata con la legge n. 89 del 1913), servizi di interesse generale, in quanto nell’esercizio dei poteri di vigilanza «non regolano i servizi offerti dai notai sul mercato, ma, con prerogative tipiche dei pubblici poteri, adempiono, in sostanza, a una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà».

Secondo il CNM, le regole della concorrenza, se applicate, comprometterebbero l’adempimento della missione pubblica affidata dal legislatore ai consigli, perché consentirebbero agli iscritti di vanificare l’attività di vigilanza propedeutica all’instaurazione dei procedimenti disciplinari semplicemente assumendo l’idoneità dell’esercizio dei poteri consiliari a restringere – sia pure indirettamente – la libertà professionale degli iscritti. Del pari, proprio come accaduto nel caso di specie, la possibilità di invocare un riesame, «sotto la lente della disciplina antitrust», delle decisioni rese dagli organi giurisdizionali competenti a pronunciarsi sui procedimenti disciplinari notarili, finanche se definitive, porrebbe in discussione le fondamenta del sistema della giustizia disciplinare.

D’altra parte − rammenta il CNM − ancora prima dell’introduzione dell’art. 93-ter, comma 1-bis, i consigli notarili, secondo la giurisprudenza anche di legittimità, nell’esercizio dei poteri funzionali al promovimento del procedimento disciplinare, risultavano esentati dall’applicazione della normativa antitrust.

La Corte di cassazione, in particolare, era già giunta per via interpretativa all’approdo cristallizzato dal legislatore del 2017, il quale si sarebbe dunque limitato a introdurre «una norma di interpretazione autentica di una disposizione già vigente».

Per le ragioni sopra esposte, dunque, sarebbe infondata la tesi dell’AGCM secondo cui l’art. 93-ter, comma 1-bis, è in contrasto con l’art. 106, paragrafo 2, TFUE.

Il rischio di abusi da parte dei consigli, ossia l’eventualità dell’esercizio del potere di vigilanza per il perseguimento di fini diversi rispetto allo scopo istituzionale, oltre ad essere irrilevante ai fini della prospettazione della questione di legittimità costituzionale, sarebbe scongiurato dall’esistenza nella legge notarile di un adeguato sistema di controllo giurisdizionale.

3.4.− La censura di violazione degli artt. 3 e 41 Cost. sarebbe inammissibile per difetto di motivazione.

Il rimettente, in particolare, si sarebbe limitato ad affermare, con riferimento all’art. 3 Cost., che il legislatore avrebbe predisposto uno strumento non proporzionato alla finalità pubblica perseguita, sacrificando ingiustamente ed arbitrariamente la libertà d’iniziativa economica.

Al di là di tale tautologica affermazione, l’AGCM non avrebbe fornito un’adeguata illustrazione delle ragioni per cui la norma recata dall’art. 93-ter, comma 1-bis, sarebbe arbitraria e non proporzionata, né avrebbe esperito il necessario tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme, il che, parimenti, renderebbe la questione inammissibile.

3.4.1.− La censura sarebbe in ogni caso non fondata.

Afferma il Consiglio notarile di Milano che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la libertà di concorrenza non riceve dall’ordinamento una protezione assoluta, essendo suscettibile di limitazioni giustificate da ragioni di utilità sociale (art. 41, secondo comma, Cost.) e da fini sociali (art. 41, terzo comma, Cost.), a condizione che tali limitazioni siano conformi al principio di ragionevolezza, sub specie di non arbitrarietà e non palese incongruità.

Alla luce di tali princìpi, la scelta del legislatore di sottrarre all’applicazione della legge n. 287 del 1990 gli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare sarebbe costituzionalmente legittima.

I consigli notarili, infatti, hanno il potere di vigilanza sull’osservanza, da parte dei notai, delle disposizioni di legge e di deontologia, nonché il potere di promuovere l’azione disciplinare, e tali funzioni consiliari hanno una precisa rilevanza pubblicistica, essendo preordinate a garantire il perseguimento dei fini sociali o di utilità sociale connessi all’adempimento del munus di notaio: la serietà e certezza dei traffici giuridici, la prevenzione del contenzioso tra le parti e tra le parti ed i terzi in ordine all’assetto dei rapporti giuridici risultanti dagli atti rogati, il controllo sulla legalità degli atti, sulla situazione soggettiva e sulla volontà dei paciscenti.

La garanzia di tali interessi generali della collettività esigerebbe che i consigli siano liberi di compiere ogni atto funzionale al promovimento del procedimento disciplinare senza sottostare all’applicazione della normativa antitrust.

Quanto, poi, alla «non palese incongruità» della disciplina censurata, il CNM rammenta che: 1) la sottrazione alla normativa antitrust vale solo per gli atti strettamente connessi all’esercizio della funzione disciplinare; 2) la giurisprudenza ritiene che la stretta connessione non si configuri ove le imprese affidatarie dei SIEG deviino dallo scopo istituzionale; 3) il controllo giurisdizionale sugli atti del consiglio è pieno ed esteso anche agli atti propedeutici all’esercizio del potere disciplinare – in particolare a quelli adottati ai sensi degli artt. 93, 93-bis e 93-ter della legge notarile – ed è per ciò solo idoneo a scongiurare il rischio di abusi o sviamenti di potere.

4.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 luglio 2018, si è costituito il notaio P. D.M. (d’ora in avanti anche: notaio segnalante o segnalante), aderendo alle argomentazioni esposte dal rimettente e concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate.

4.1.− Il notaio P. D.M. ha in primo luogo fatto presente, in punto di fatto, di avere assunto nel procedimento innanzi all’Autorità il ruolo di «segnalante» e che l’art. 93-ter della legge notarile è stato introdotto – «dichiaratamente su pressione degli organi professionali» – proprio in pendenza del procedimento istruttorio avviato nei confronti del CNM, a seguito del suo esposto.

4.2.− Dopo avere dettagliatamente ricostruito lo svolgersi del procedimento a quo, il notaio segnalante si è soffermato sulla legittimazione dell’AGCM a sollevare in via incidentale questione di legittimità costituzionale.

4.2.1.− Come sottolineato dal rimettente, la Corte costituzionale, muovendo dalla ratio che informa il sindacato di legittimità costituzionale in via incidentale, avrebbe dato un’interpretazione estensiva dei requisiti di accesso, arrivando a ritenere che «per aversi giudizio a quo è sufficiente che sussista esercizio di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge da parte di soggetti, pure estranei all’organizzazione della giurisdizione, posti in posizione super partes» (si citano le sentenze n. 387 del 1996, n. 226 del 1976 e n. 83 del 1966).

Coerentemente con tali coordinate, la Corte avrebbe riconosciuto la legittimazione ad alcuni soggetti «ai limitati fini» della proposizione della questione incidentale di legittimità costituzionale, come, ad esempio, nel caso delle sezioni di controllo della Corte dei conti nell’esercizio della funzione amministrativa di controllo preventivo sugli atti del governo (si citano le sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976) e nel caso del collegio arbitrale (si cita la sentenza n. 376 del 2001).

4.2.2.− Così ricostruita la figura del giudice a quo, sarebbe evidente come l’AGCM «possa pienamente rientrare entro il perimetro tracciato dalla giurisprudenza costituzionale».

4.2.2.1.− In primo luogo non potrebbe dubitarsi della natura imparziale e indipendente dell’Autorità, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale con riferimento anche ad altre autorità amministrative indipendenti (si citano le sentenze n. 41 del 2013, n. 482 e n. 57 del 1995) e come evincibile dall’art. 10 della legge antitrust, secondo cui «L’Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione».

Sarebbe evidente, poi, l’estraneità dell’AGCM rispetto al circuito Parlamento- Governo-Pubblica amministrazione, comprovata dalla circostanza che i suoi componenti sono scelti da soggetti istituzionali terzi e per un periodo di tempo che eccede la durata dell’organo politico che detiene il potere di nomina. Andrebbe altresì considerato che i membri dell’Autorità «non possono esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza, né possono essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura. I dipendenti statali sono collocati fuori ruolo per l’intera durata del mandato» (art. 10, comma 3, della legge antitrust).

4.2.2.2.− Non potrebbe sostenersi, poi, che l’AGCM sia priva di un sufficiente grado di indipendenza interna, da intendersi nel senso della separazione tra funzione istruttoria e decisoria, poiché ai sensi dell’art. 11 della legge antitrust, il funzionamento dei servizi e degli uffici è affidato al Segretario generale, il quale è nominato, su proposta del Presidente, dal Ministro dello sviluppo economico, ovvero da un soggetto diverso rispetto a Presidente e membri del Collegio.

Ai medesimi uffici − prosegue il segnalante − è attribuito lo svolgimento dell’istruzione del procedimento: essi, in particolare, procedono all’avvio dell’istruttoria e allo svolgimento di tutte le attività ad essa funzionali (come ad esempio le ispezioni), e a conclusione della medesima trasmettono al Collegio la CRI, sulla quale esso si limita a formulare una valutazione di non manifesta infondatezza; in caso di esito negativo di tale ultima valutazione, si apre innanzi al Collegio la fase decisoria, caratterizzata da tutte le garanzie del contraddittorio proprie di un procedimento giurisdizionale.

4.2.3.− Viste le funzioni esercitate dall’AGCM, non potrebbe negarsi la sua natura paragiurisdizionale: l’Autorità, infatti, sarebbe chiamata a valutare, da una posizione di sostanziale equidistanza dai diversi interessi portati alla sua attenzione, fattispecie concrete alla luce di parametri fissati dalla legge, secondo il sillogismo proprio dell’attività giurisdizionale, e tale valutazione sarebbe svolta senza dare alcuna prevalenza all’interesse pubblico, diversamente da quanto accade nello schema classico della comparazione degli interessi in cui si sostanzia l’operato della pubblica amministrazione.

L’esito dell’accertamento demandato all’Autorità, poi, si estrinsecherebbe in un provvedimento dal carattere decisorio relativo ad una specifica situazione giuridica soggettiva, idoneo ad acquisire definitività ove non impugnato.

4.2.4.− Le attribuzioni dell’Autorità si situerebbero in un «ambiente di sicuro spessore costituzionale».

Osserva il notaio segnalante come sia la stessa legge istitutiva dell’AGCM a chiarire che la disciplina della concorrenza si esplica «in attuazione dell’art. 41 Cost. e a tutela del diritto di iniziativa economica»: in considerazione delle funzioni esercitate, l’AGCM dovrebbe essere considerato il principale garante del diritto costituzionalmente tutelato ad una iniziativa economica libera.

Il fondamento costituzionale dell’Autorità, poi, andrebbe rinvenuto soprattutto negli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impongono il rispetto degli obblighi discendenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea.

È nel «testo sostanzialmente costituzionale», costituito dai tre blocchi del TUE, del TFUE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che andrebbe rintracciato l’effettivo fondamento delle Autorità indipendenti.

4.2.5.− Secondo il notaio P. D.M., la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe affermato che la procedura dinanzi all’AGCM è rispettosa dei requisiti prescritti dall’art. 6 CEDU, atteso che l’Autorità può qualificarsi come un «tribunale» indipendente ed imparziale ai sensi della menzionata disposizione convenzionale e posto, altresì, che i relativi procedimenti, svolgendosi nel rigoroso rispetto del principio del contraddittorio, soddisfano pienamente le esigenze di equità processuale ivi sancite (si cita la sentenza della Corte EDU, sezione seconda, 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics srl contro Italia).

In particolare, ai fini del giudizio convenzionale, le procedure di nomina del Presidente e dei componenti del Collegio, la durata settennale del mandato (non rinnovabile), l’inamovibilità e le ipotesi di incompatibilità sarebbero indici incontrovertibili del carattere indipendente dell’Autorità.

Da un punto di vista oggettivo, la netta separazione – tanto organizzativa quanto funzionale – esistente tra gli uffici istruttori e il Collegio, ovvero l’organo chiamato ad assumere le decisioni, e l’assenza di vincolatività delle proposte formulate dai primi nella CRI escluderebbero ogni carenza di imparzialità oggettiva.

Dal punto di vista procedurale, la facoltà riconosciuta al sottoposto al procedimento antitrust di replicare alle argomentazioni e deduzioni dell’accusa, di conoscere tutte le prove a suo carico e discarico e di chiedere la fissazione di un’audizione orale dinanzi al Collegio assicurerebbero il diritto al contraddittorio sia documentale sia orale e il rispetto del principio della parità delle armi (si cita, a contrario, Corte EDU, sezione seconda, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia).

4.2.6.− Il segnalante, pur consapevole dell’autonomia delle nozioni di organo giurisdizionale accolte dalla Corte costituzionale e dalla Corte di giustizia, ritiene rilevante la circostanza che l’AGCM possieda tutti i requisiti prescritti dalla giurisprudenza della seconda per potersi qualificare come organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Né potrebbero rilevare, in senso contrario, la stretta collaborazione intercorrente tra l’AGCM e la Commissione europea e la possibilità che, ai sensi dell’art. 11, n. 6, del Regolamento (CE) n. 1/2003, la prima sia privata della sua competenza in favore della seconda, avendo l’Autorità agito nel caso di specie esclusivamente sulla base della normativa nazionale.

4.3.− Nel merito, il segnalante osserva quanto segue:

− come sottolineato nell’ordinanza di rimessione, il principio di ragionevolezza postula che l’intervento legislativo, incidente su beni costituzionalmente protetti, quale la libertà di iniziativa economica privata, sia coerente rispetto all’obiettivo perseguito e non comporti effetti ultronei e sproporzionati;

− nel caso di specie, l’irragionevolezza sarebbe evidente, da un lato, nel fatto che non è ravvisabile alcun obiettivo collegamento tra le finalità assertivamente perseguite (la tutela dei valori deontologici) e il regime introdotto (una deroga ex lege, volta a inibire, in toto ed a priori, l’applicazione delle norme antitrust ad iniziative disciplinari di organi professionali); e, dall’altro, nel rilievo che l’effetto prodotto (il sacrificio di un «nucleo essenziale delle regole in materia di concorrenza») sarebbe ultroneo rispetto alla finalità perseguita;

− non vi sarebbe alcun conflitto fra disciplina concorrenziale e disciplina deontologica tale da richiedere la previsione di una deroga volta a preservare l’ambito disciplinare da una supposta invasione di campo da parte dell’autorità (europea o nazionale) antitrust;

− al contrario, i due regimi, purché correttamente interpretati, coesisterebbero: l’azione disciplinare può esplicarsi in presenza di effettive violazioni deontologiche, dando luogo all’irrogazione delle relative sanzioni, mentre l’intervento antitrust si svolge ogniqualvolta risulti che «in singoli casi si sia verificato un accordo concorrenziale poi tradottosi anche in forma di uno o più provvedimenti disciplinari»;

− quanto all’asserita violazione dell’art. 117, primo comma Cost., la qualificazione ex lege degli atti funzionali al promovimento dell’azione disciplinare come SIEG, operata dal comma 1-bis dell’art. 93-ter, si porrebbe manifestamente al di fuori della consolidata interpretazione dell’art. 106, paragrafo 2, TFUE, operata dalla Corte di giustizia, dal momento che gli atti disciplinari non costituiscono una prestazione di beni o servizi su un mercato; che in relazione ad essi non si riscontrano, ovviamente, market failures; che non vi è stato uno specifico mandato ad hoc per l’assolvimento del servizio; che, in ogni caso, anche ad ammettere che possano ricorrere i presupposti per il conferimento di un SIEG, la deroga prevista dalla citata disposizione comunitaria imporrebbe un’applicazione restrittiva coerente con rigorosi canoni di necessità e proporzionalità, da applicarsi sulla base di un apposito accertamento in concreto.

4.4.− Per il caso in cui la Corte deneghi la legittimazione dell’Autorità, il notaio P. D.M. ritiene doveroso svolgere alcune considerazioni.

Andrebbe verificato, in particolare, se la distonia fra il comma 1-bis dell’art. 93-ter della legge notarile e l’art. 106, paragrafo 2, TFUE non possa essere risolta mediante ricorso alla interpretazione comunitariamente conforme ovvero alla disapplicazione della norma interna confliggente con il parametro europeo.

Secondo il notaio segnalante, l’ordinanza non si sarebbe interrogata al riguardo, probabilmente perché nell’istruttoria si è dedotta l’applicazione dell’art. 2 della legge antitrust e non della corrispondente norma europea (l’art. 101 TFUE).

Andrebbe tuttavia tracciata una distinzione tra l’istruttoria in cui la norma di legge è stata invocata e la legge medesima: la prima sarebbe vicenda di rilevanza locale soggetta al parametro domestico, mentre la seconda, proprio perché destinata ad operare con riguardo a un numero indeterminato di ipotesi replicabili su scala nazionale, sarebbe suscettibile di incidere, anche solo potenzialmente, sul «commercio fra stati membri», presentando quindi i tipici connotati di una fattispecie rilevante per le norme del Trattato.

Ne consegue che il rimettente avrebbe potuto tentare la via dell’interpretazione conforme, ritenendo che la qualificazione di SIEG operata dal comma 1-bis dell’art. 93-ter non valga con riferimento a quegli atti che, in esito ad un accertamento da svolgersi caso per caso da parte dell’autorità antitrust, rivelino un esercizio strumentale di prerogative (solo formalmente) disciplinari; ovvero, in alternativa, disapplicare la norma nazionale contraria agli invocati parametri europei direttamente applicabili.

5.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 luglio 2018, si è costituito il notaio R. G., aderendo alle argomentazioni esposte dall’Autorità rimettente e concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate.

5.1.− In punto di fatto il notaio R. G. ha premesso:

− di esercitare la professione in Milano sin dal 1990 e di avere nel tempo attuato misure organizzative, anche attraverso l’utilizzo strumenti informatici, allo scopo di rendere più spedito e meno costoso il ricorso alle procedure contrattuali previste dalla legge e, in particolare, nel settore della «portabilità» dei mutui;

− di avere ricevuto negli ultimi anni migliaia di atti, in particolare quietanze di surroga rilasciate dalla banca cedente alla banca cessionaria, così diventando uno dei notai più «performanti» del distretto e sullo stesso piano nazionale;

− di avere subito irrituali iniziative disciplinari da parte del Consiglio nazionale del notariato (d’ora innanzi anche: CNN o Consiglio nazionale), che aveva cercato di frenare la sua attività con l’intento esplicito di promuovere una «perequazione» dei proventi tra i notai del distretto, cioè con uno scopo esplicitamente anticoncorrenziale;

− di essere stato indotto dal palese intento persecutorio di tali iniziative ad intervenire nel procedimento a quo già avviato dall’AGCM nei confronti del CNN (su segnalazione di altro notaio del distretto del pari sottoposto a procedimento disciplinare) per intesa restrittiva della concorrenza;

5.2.− Ciò premesso in punto di fatto, il notaio interveniente nel procedimento a quo ha aderito alla tesi del rimettente circa la sua legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale, rammentando come la Corte costituzionale sin dall’inizio della sua attività abbia inteso in modo non restrittivo i requisiti del giudice e del giudizio, e ciò al fine di tutelare il preminente interesse pubblico al rispetto della Costituzione.

Seguendo questa traiettoria, la Corte avrebbe dunque ammesso, ad esempio, la legittimazione degli arbitri, osservando che essi, pur se estranei alla organizzazione della giurisdizione, svolgono, in posizione super partes, «funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge» (si cita la sentenza n. 376 del 2001).

Anche nel caso di specie ricorrerebbe l’ipotesi di un organo, di per sé estraneo all’organizzazione della giurisdizione, investito di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge e all’uopo posto in posizione super partes.

Anche in questo caso, inoltre, varrebbe la considerazione che, ove si negasse la legittimazione del rimettente, ne risulterebbe frustrata «l’esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (si cita la sentenza n. 226 del 1976).

Pur essendovi un’altra sede in cui sollevare la questione (il giudizio di impugnazione avverso i provvedimenti dell’AGCM), negare la legittimazione dell’Autorità equivarrebbe, come nel caso degli arbitri, a precludere la tempestiva soluzione del dubbio di costituzionalità che investe, in radice, la norma che consente di instaurare procedimenti sanzionatori nei confronti dei consigli notarili.

Inoltre, ove fosse negata la legittimazione, l’Autorità garante non avrebbe altra scelta che disapplicare la normativa sospettata d’incostituzionalità sulla base delle norme europee, previo, se del caso, rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

5.2.1.− L’AGCM, infatti, soddisferebbe i requisiti che, secondo la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, devono ricorrere per la legittimazione al rinvio pregiudiziale.

La Corte di giustizia avrebbe già implicitamente riconosciuto la legittimazione in capo ad autorità amministrative indipendenti di altri Stati membri, anche aventi funzione di garanzia a tutela della concorrenza, come nel caso dell’autorità spagnola.

Ove, viceversa, la Corte di giustizia ha negato la legittimazione di un’autorità amministrativa indipendente, lo avrebbe fatto in ragione delle carenze dei requisiti necessari alla qualifica di «organo giurisdizionale» specifiche di quell’autorità: così, nel caso dell’autorità greca per la concorrenza, la legittimazione sarebbe stata negata per le insufficienti garanzie d’indipendenza nella procedura di nomina dei suoi membri, per possibili ingerenze del potere esecutivo e per l’assenza di una chiara separazione funzionale tra gli uffici istruttori e quelli decisori, tutti elementi non riscontrabili nel caso dell’AGCM.

Con riferimento a quest’ultima, andrebbe per contro sottolineata la chiara ed adeguata separazione organizzativa e funzionale tra gli uffici istruttori e il Collegio, poiché i primi dipendono (non dal secondo bensì) dal Segretario generale, che sovraintende al loro funzionamento; nonché la circostanza che il Collegio decide in piena autonomia e indipendenza, senza alcuna soggezione o vincolo decisorio rispetto alle risultanze istruttorie.

5.2.2.− La Corte EDU avrebbe avuto modo di pronunciarsi sulle autorità amministrative italiane in due casi.

Nel caso Menarini, avente ad oggetto una pretesa violazione del diritto di accesso al giudice in riferimento alla giurisdizione amministrativa, la Corte si sarebbe occupata solo indirettamente dell’AGCM, limitandosi ad un’apodittica affermazione che la sanzione pecuniaria contestata non era stata emessa «par un juge».

Al contrario, nel caso Grande Stevens, la Corte di Strasburgo si sarebbe occupata dei requisiti della CONSOB, soffermandosi funditus sull’analisi della pertinente normativa e valutando le sue caratteristiche strutturali e di funzionamento. La Corte EDU avrebbe quindi escluso la natura di tribunale di quell’autorità, constatando la violazione del principio del contraddittorio, per via della mancanza di comunicazione delle risultanze istruttorie agli interessati e di un’udienza pubblica, nonché l’assenza del requisito dell’imparzialità, in ragione della inadeguata separazione organico-funzionale tra uffici istruttori e decisori.

Tutti questi elementi, invece, ricorrerebbero nel caso dell’AGCM, che pertanto andrebbe qualificata come tribunale anche ai fini dell’applicazione dell’art. 6 CEDU.

5.3.− Nel merito, il notaio R. G. premette che l’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge notarile è frutto di tre emendamenti identici, proposti da vari deputati di partiti diversi ed opposti, al disegno della legge di bilancio 2018: si tratterebbe, palesemente, di una di quelle «intrusioni» nelle leggi finanziarie e di bilancio che nulla hanno a che fare con l’oggetto del progetto di legge, espressione della cattiva e diffusa prassi parlamentare volta a far passare disposizioni eterogenee frutto di interessi particolaristici attraverso l’iter privilegiato che hanno le leggi annuali in materia di finanza pubblica.

Ciò premesso, il notaio R. G. osserva che, secondo alcuni, con la disposizione censurata il legislatore si sarebbe limitato a sancire in via di interpretazione autentica il significato dell’art. 8, comma 2, della legge antitrust, quale già chiarito dalla Corte di cassazione con la sentenza 5 maggio 2016, n. 9041, secondo cui il consiglio notarile, nell’esercizio della funzione disciplinare, esercita un SIEG, restando perciò esente dall’applicabilità delle norme antitrust.

In quell’occasione la Cassazione avrebbe ritenuto che la deroga all’operatività delle disposizioni a tutela della concorrenza sia ravvisabile solo per i comportamenti strettamente connessi all’adempimento degli specifici compiti affidati al consiglio notarile.

La norma censurata pretenderebbe, invece, di estendere tale esenzione a tutti gli «atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare», cioè a tutte le attività intese a tal fine, anche quando, come nel caso di specie, si tratti di un’attività conoscitiva chiaramente intesa a limitare la concorrenza e di procedimenti disciplinari strumentalmente avviati allo stesso fine.

5.3.1.− La deroga introdotta dal comma 1-bis dell’art. 93-ter della legge notarile, secondo il notaio R. G., si porrebbe in frontale contrasto con l’art. 106, paragrafo 2, TFUE e, per il suo tramite, con l’art. 117, primo comma, Cost.

Ai sensi dell’art. 106, paragrafo 2, TFUE, le imprese incaricate della gestione di SIEG – come gli organi del notariato – o aventi carattere di monopolio fiscale «sono sottoposte alle norme dei Trattati, e in particolare alle regole di concorrenza», sia pure «nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata».

La norma recata dall’art. l06, paragrafo 2, TFUE (e parallelamente quella dell’art. 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990, che costituisce trasposizione della prima nell’ordinamento nazionale), in quanto avente natura derogatoria rispetto a quelle dei Trattati poste a tutela della concorrenza, non potrebbe che essere interpretata in senso restrittivo, come confermato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia: le attività contrastanti con la disciplina antitrust dovrebbero non soltanto essere astrattamente riconducibili ai compiti istituzionali di interesse pubblico assegnati alle imprese esercenti un SIEG, ma anche risultare concretamente indispensabili allo svolgimento di quei compiti e non eccedere quanto necessario a quel fine.

5.3.2.− Sul piano dei parametri interni, secondo il notaio R.G., le norme censurate violano gli artt. 3 e 41 Cost.

Quest’ultimo, garantendo la libertà di iniziativa economica privata (di cui il mercato concorrenziale costituisce una condizione) e la utilità sociale (di cui, a sua volta, la tutela della concorrenza è un profilo), esigerebbe che le eccezioni alla regola della concorrenza siano limitate ai casi in cui sia concretamente necessario assicurare lo svolgimento di funzioni e il soddisfacimento di finalità di pubblico interesse.

Nella specie, al contrario, la norma impugnata escluderebbe, in astratto e a priori, gli atti degli organi notarili dal controllo sulla osservanza delle regole concorrenziali.

Quanto all’art. 3 Cost., andrebbe rammentato quanto affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui le esigenze di utilità sociale vanno bilanciate con la concorrenza ed è necessario che la loro individuazione non sia arbitraria e che esse non siano perseguite mediante misure palesemente incongrue (si cita la sentenza n. 270 del 2010).

6.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 luglio 2018, si è costituito il Centro Istruttorie spa (CISPA), aderendo alle argomentazioni esposte dall’Autorità rimettente e concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate.

6.1.− Il CISPA, premesso di essere intervenuto nel procedimento sanzionatorio avviato dall’Antitrust nei confronti del CNM su notizia del notaio segnalante, ha dedotto che la portata oggettiva delle norme censurate dall’AGCM è stata ivi oggetto di ampia discussione.

Da un lato, l’Autorità riterrebbe che la deroga in esame, rettamente interpretata, non sottragga in via generale e astratta un’intera categoria di atti dall’ambito di applicazione della disciplina antitrust, ma consenta di limitarne l’applicazione nei soli casi eccezionali in cui le condotte aventi effetti anticoncorrenziali siano strettamente necessarie e proporzionate al raggiungimento dell’obiettivo di interesse generale da perseguire.

Dall’altro, secondo il CNM, le norme in questione dovrebbero essere interpretate nel senso che, ogniqualvolta i consigli notarili agiscono in adempimento del potere-dovere di vigilanza disciplinare loro affidato dalla legge, essi sarebbero sottratti all’applicazione della normativa antitrust, e ciò a prescindere dalla concreta analisi circa la necessità e proporzionalità delle condotte poste in essere al raggiungimento delle finalità di interesse generale che i consigli sono chiamati a perseguire.

6.2.− Il CISPA, dopo avere premesso che per consolidata giurisprudenza europea e nazionale le professioni regolamentate – incluse quelle notarili – sono soggette all’applicazione del diritto antitrust anche nel caso in cui perseguano obiettivi di interesse generale, deduce che la deroga oggetto di esame non potrebbe essere utilizzata per garantire tout court, e senza valutazioni da compiersi caso per caso, una esenzione di un intero settore economico dalla applicazione della normativa antitrust.

L’art. 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990 – trasponendo nel nostro ordinamento l’art. 106 TFUE – prevederebbe dei limiti all’applicazione della disciplina antitrust per le imprese esercenti SIEG, solo ed esclusivamente per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento dei compiti ad esse affidati, e tale disposizione, in quanto derogatoria rispetto al generale divieto di condotte anticoncorrenziali, andrebbe interpretata, coerentemente con la giurisprudenza della Corte di giustizia, in maniera restrittiva, verificando con rigore la necessità e la proporzionalità dell’esenzione per il raggiungimento delle finalità di pubblico interesse.

Qualora, per contro, si accogliesse l’interpretazione estensiva patrocinata dal CNM, l’Autorità non sarebbe mai competente a conoscere delle condotte tenute dai consigli notarili in sede disciplinare, con la conseguenza che basterebbe celare comportamenti anticoncorrenziali con la veste formale di atti del procedimento disciplinare al fine di ottenere la completa immunità dall’applicazione della disciplina antitrust.

6.3.− L’interpretazione fornita dal CNM sarebbe in insanabile contrasto con l’art. 41 Cost., che garantisce la libertà dell’iniziativa economica privata, che trova nella normativa sulla concorrenza una delle sue articolazioni fondamentali.

Nella sentenza n. 270 del 2010 la Corte costituzionale avrebbe chiarito come il legislatore nel bilanciamento tra la tutela della concorrenza e gli altri interessi rilevanti sia chiamato ad assicurare la coerenza con i princìpi dell’ordinamento europeo e, in particolare, con il Protocollo n. 27 sul mercato interno e la concorrenza, allegato al Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che conferma l’art. 3, lettera g, del Trattato CE, in forza del quale «il mercato interno ai sensi dell’art. 3 del Trattato dell’Unione europea comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata».

In tale contesto, qualsiasi misura del legislatore nazionale che rechi pregiudizio al sistema concorrenziale del mercato interno avrebbe natura derogatoria ed eccezionale, e in quanto tale dovrebbe essere l’unico mezzo in grado di garantire al giusto la tutela degli altri interessi costituzionali coinvolti.

6.4.− Nell’interpretazione offerta dal CNM le norme oggetto del giudizio di costituzionalità violerebbero anche l’art. 3 Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza: esse, infatti, imporrebbero il sacrificio della concorrenza in assenza di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali.

6.5.− Le norme censurate, poi, nell’interpretazione offerta dal CNM, violerebbero anche l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in netto contrasto sia con l’art. 101 TFUE, che prevede il generale divieto di intese restrittive che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri, sia con l’art. 106, paragrafo 2, TFUE, che, secondo la Corte di giustizia, impone di verificare caso per caso la proporzionalità dell’esenzione dalla normativa antitrust in favore delle imprese affidatarie di SIEG.

7.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 luglio 2018, è intervenuto il Consiglio nazionale del notariato, eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza della questione sollevata.

7.1.− Dopo avere ricostruito lo svolgimento del procedimento a quo e i contenuti dell’ordinanza di rimessione, il CNN ha dedotto la propria evidente legittimazione ad intervenire nel giudizio di costituzionalità.

L’interveniente rammenta che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, possono intervenire nel giudizio incidentale le sole parti del giudizio principale e i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura.

La questione controversa nel procedimento amministrativo a quo – prosegue il CNN – è l’applicabilità o meno delle norme sulla concorrenza agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare nei confronti dei notai. Il procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 93-ter, comma 1, della legge notarile, è avviato dal consiglio notarile di afferenza, se viene rilevata l’inosservanza, oltre che di leggi e regolamenti, anche «di princìpi e norme deontologiche elaborati dal Consiglio nazionale del notariato». In tali ipotesi l’elemento costitutivo del fatto disciplinarmente rilevante deriva da una determinazione del CNN, cui spetta in via esclusiva, in forza dell’art. 2, lettera f), della legge 3 agosto 1949, n. 577 (Istituzione del Consiglio nazionale del notariato e modificazioni alle norme sull’amministrazione della Cassa nazionale del notariato), la funzione di elaborare princìpi di deontologia professionale.

Sarebbe dunque di «piana evidenza» che l’esito del giudizio di costituzionalità è destinato ad avere un’incidenza diretta sull’esercizio delle attribuzioni del CNN, perché assoggettare alla legge antitrust gli atti dei consigli notarili funzionali al promovimento dell’azione disciplinare equivarrebbe a comprimere la portata precettiva dei princìpi e delle norme di deontologia professionale elaborate dal Consiglio nazionale. Di qui l’ammissibilità del suo intervento.

La conferma di tale ammissibilità si ritrarrebbe dalla sentenza n. 171 del 1996, ove la Corte ha ammesso a intervenire nel giudizio incidentale il Consiglio nazionale forense, benché non fosse parte del giudizio a quo, osservando che le questioni di costituzionalità sollevate incidevano sullo statuto degli avvocati e dei procuratori e il loro esito non era quindi indifferente all’esercizio delle attribuzioni di quel Consiglio.

Infine ed «in via del tutto residuale», secondo l’interveniente, è innegabile il coinvolgimento degli interessi generali della categoria notarile, il che dovrebbe legittimare ex se l’intervento del CNN, in quanto organismo cui la legge affida la rappresentanza istituzionale dell’intera categoria dei notai.

7.2.− Il Consiglio nazionale interveniente ha poi eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di legittimazione dell’AGCM.

7.2.1.– In primo luogo, l’Autorità non sarebbe un giudice ma una semplice amministrazione al pari di tutte le altre autorità amministrative indipendenti.

Numerosi sarebbero gli indici che depongono in tal senso: 1) l’espressa qualificazione legislativa delle autorità indipendenti come amministrazioni, operata dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa); 2) la sottoposizione dei provvedimenti (ossia di atti estrinsecazione del potere amministrativo) al sindacato del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133 comma 1, lettera l), dell’Allegato 1 del d.lgs. n. 104 del 2010 (su questa «insormontabile difficoltà» l’ordinanza tacerebbe del tutto); 3) la sottoposizione al controllo anche del giudice contabile, ai sensi dell’art. 10, comma 7, della legge n. 287 del 1990; 4) l’obbligo del rispetto dei princìpi del diritto amministrativo e, ove non derogate dalle discipline di settore, delle disposizioni «comuni» sul procedimento amministrativo.

Lo stesso potere sanzionatorio riconosciuto alle autorità indipendenti, quale strumento repressivo e preventivo di vigilanza, sarebbe un tipico potere amministrativo: la sanzione sarebbe sempre irrogata mediante un provvedimento esercizio di una potestà amministrativa, cui la Corte costituzionale tuttora riconosce autonomia dal diritto penale (si citano le sentenze n. 68 e n. 43 del 2017, n. 49 del 2015).

La giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai dubitato che tutte le funzioni dell’AGCM siano formalmente e sostanzialmente amministrative, come nel caso della recente sentenza n. 269 del 2017, ove le funzioni dell’Autorità – e in particolare quella di vigilanza sul mercato oggetto della presente controversia – sono definite come «servizio pubblico» e come «attività dell’Amministrazione».

Afferma poi il CNN che, «Senza addentrarsi nel tema della discrezionalità tecnica, della sua natura, del conseguente ambito dello scrutinio del giudice amministrativo, delle analogie con la discrezionalità amministrativa e delle differenze con il potere di apprezzamento del giudice», secondo la giurisprudenza amministrativa, nel caso delle valutazioni delle autorità indipendenti, la discrezionalità tecnica non esclude affatto un potere di adozione di una scelta di opportunità.

L’Autorità, in ogni caso, non sarebbe affatto paragonabile al giudice, chiamato ad applicare in via generale la legge e non a tutelare uno specifico interesse pubblico (nella specie quello, sia pur rilevante, della concorrenza), e ciò sarebbe tanto più vero nel caso di valutazioni che non rispondono alle norme delle cosiddette «scienze dure», bensì a criteri elastici tipici delle valutazioni socio-economiche (come le nozioni di «mercato rilevante» o di «posizione dominante», di violazioni «hard core» o «leggere»).

Che l’AGCM mantenga uno spazio insopprimibile di discrezionalità amministrativa sarebbe poi pacifico in giurisprudenza quanto meno in relazione a tre profili della sua attività, di immediata rilevanza nel caso di specie: 1) la determinazione del quantum delle sanzioni in caso di violazione delle norme antitrust, da operarsi non secondo valutazioni di carattere tecnico-scientifico ma in applicazione dei princìpi di ragionevolezza e proporzionalità, ossia «i cardini della comune azione amministrativa»; 2) la decisione sugli “impegni”, ai sensi dell’art. 14-ter della legge antitrust, ossia la decisione sulla proposta con cui i soggetti vigilati si dichiarano disposti a cessare le attività anticoncorrenziali e a porre rimedio agli effetti già prodotti; 3) l’adozione delle norme di organizzazione e funzionamento, ai sensi dell’art. 10, comma 6, della legge n. 287 del 1990.

Proprio le norme di autorganizzazione sarebbero di particolare rilievo, ove si consideri che la delibera del 6 settembre 2012, n. 23863, di adozione della «Comunicazione sulle procedure di applicazione dell’articolo 14-ter della legge 10 ottobre n. 287», afferma che la decisione sull’accoglimento degli impegni deve essere assunta tenendo conto anche «dell’interesse dell’Autorità al proseguimento del procedimento istruttorio» (ossia di quell’interesse che il rimettente esclude in capo a se stesso); e che la delibera 22 ottobre 2014, n. 25152, recante «Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90», all’art. 1, comma 2, afferma che, «nell’esercizio del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie, l’Autorità dispone di un ampio margine di discrezionalità».

Alla luce di tali dati normativi e giurisprudenziali, non sarebbe revocabile in dubbio che l’AGCM svolge le sue funzioni esercitando non solo discrezionalità tecnica ma anche amministrativa, assumendo decisioni tipiche di una pubblica amministrazione.

Andrebbe poi considerato che all’Autorità, al di là di quanto stabiliscono le singole norme della legge antitrust (in particolare, l’art. 4, comma 2), spettano i generali poteri di revoca e di autoannullamento di cui sono titolari tutte le amministrazioni e non i giudici.

7.2.2.− Osserva il CNN come l’AGCM affermi di essere legittimata a sollevare questione di legittimità costituzionale alla luce della ratio di fondo della giurisprudenza costituzionale sull’art. 23 della legge n. 87 del 1953, ossia quella di evitare zone franche dal controllo di costituzionalità.

Secondo l’interveniente, tuttavia, nel caso di specie non solo non sussisterebbe alcuna zona franca o cono d’ombra, ma la stessa Autorità riconoscerebbe che «il solo problema è che il sindacato di costituzionalità sarebbe “difficile”».

Come affermato dalla Corte costituzionale (si citano le sentenze n. 35 del 2017, n. 1 del 2014, n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976) e come chiarito in dottrina, tuttavia, le zone franche si avrebbero nei casi in cui la disposizione censurata non trovi applicazione innanzi al giudice comune, sicché nell’ordinamento difetta un’autorità giurisdizionale che possa prospettare il dubbio di legittimità costituzionale, ovvero nei casi in cui non vi sia un interesse che possa muovere un soggetto di diritto ad instaurare una controversia nel corso della quale il giudicante possa essere chiamato a fare applicazione della disposizione sospettata d’incostituzionalità.

Tali circostanze, tuttavia, non ricorrerebbero nel caso di specie, poiché il giudice amministrativo è competente a scrutinare tutti gli atti della pubblica amministrazione, ivi compresa la delibera di anticipata chiusura del procedimento antitrust resa in applicazione dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge notarile; perché il promovimento della quaestio di legittimità costituzionale non presenterebbe alcun onere maggiore (né di ordine processuale, né di ordine sostanziale) rispetto al promovimento di qualsiasi altra questione incidentale; perché il rimedio da attivare da parte del privato sarebbe di tipo comune e ordinario; perché l’autorità giudiziaria chiamata a sollevare la questione sarebbe terza e indipendente; perché, diversamente da quanto accade nei procedimenti di parificazione dei bilanci pubblici, la disposizione censurata potrebbe essere oggetto di un’effettiva (e non improbabile o «difficile») controversia tra diversi soggetti di diritto portatori di interessi contrapposti.

Seguendo la tesi dell’Autorità, per contro, si sovvertirebbe il modello dello scrutinio di costituzionalità incidentale, successivo e concreto. Per il solo perseguimento dell’interesse alla concorrenza nel mercato (che sarebbe così discriminatoriamente sovraordinato rispetto a tutti gli altri interessi costituzionali), si disegnerebbe un modello preventivo e astratto, in cui l’AGCM non assumerebbe la veste di giudice rimettente ma di parte privilegiata, dotata del potere di accesso diretto alla Corte costituzionale.

7.2.3.− Nemmeno potrebbe condividersi la tesi del rimettente, secondo cui la sua legittimazione deriverebbe anche dalla funzione, di rilevanza costituzionale, di tutela della concorrenza assegnatagli dal legislatore.

Non sarebbe la funzione (né il suo rilievo costituzionale) ad assicurare a qualsivoglia soggetto istituzionale la qualità di giudice incaricato di sovrintendere a un giudizio: l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), ad esempio, tutela il diritto costituzionale alla tutela previdenziale e assistenziale, ma non per questo si può immaginare che, eventualmente in sede di esame del ricorso amministrativo, possa sollevare una quaestio avente ad oggetto una norma in materia previdenziale.

7.2.4.− Anche l’argomentazione facente leva sull’applicazione del principio del contraddittorio non sarebbe idonea a fondare l’ammissibilità della questione, per il semplice motivo che esso è un principio generale del procedimento amministrativo e perché, comunque, quello innanzi l’AGCM non è pieno e non è paragonabile a quello giudiziale (come riconosciuto dal rimettente, quando ricorda che il soggetto privato segnalante non è parte necessaria del procedimento).

Rammenta il CNN che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il più intenso livello di contraddittorio è quello previsto dalla legge processuale, ossia il contraddittorio «orizzontale e paritario» (tra due parti in posizioni di parità rispetto ad un decidente terzo e imparziale), mentre il contraddittorio procedimentale è normalmente di tipo «verticale» (tra l’interessato e l’Amministrazione, titolare del potere e collocata su un piano non paritario) ed ha essenzialmente una funzione collaborativa e partecipativa, piuttosto che difensiva.

7.2.5.− Osserva ancora l’interveniente che altro argomento utilizzato dall’Autorità a sostegno della sua legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale è l’analogia tra gli effetti prodotti dai suoi provvedimenti e quelli del giudicato.

Anche questo argomento sarebbe fallace, poiché gli effetti dei provvedimenti dell’AGCM non sarebbero diversi da quelli prodotti da ogni altro provvedimento amministrativo, una volta decorsi i termini d’impugnazione.

Essi non sono analoghi al giudicato, come dimostra il rilievo già svolto che l’Autorità garante, al pari di tutte le pubbliche amministrazioni, è titolare del potere di autotutela, che non è compatibile con la condizione di certezza e stabilità dei rapporti giuridici e di definitiva garanzia dell’accertamento di un diritto (o di un interesse legittimo) che è prodotta dal giudicato.

7.2.6.− Nemmeno avrebbe rilievo la dedotta posizione d’indipendenza dei componenti del Collegio, poiché essa può ben essere un tratto caratterizzante molteplici autorità amministrative, mentre l’indipendenza del giudice avrebbe una sua particolarità, tipica, che la colloca su un piano distinto da quello di tutti gli altri soggetti istituzionali.

Tale rilievo – prosegue l’interveniente – emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che, con la sentenza del 31 maggio 2005, in causa 53/03, Syfait e altri, si è dichiarata «non competente» a rispondere alle questioni sottopostele dall’autorità greca per la concorrenza, concernenti l’interpretazione dell’art. 102 TFUE, in materia di abuso di posizione dominante, sulla base del duplice rilievo che i (pur presenti) presidi a garanzia dell’indipendenza e dell’imparzialità dei componenti non erano sufficienti a connotare l’amministrazione statale come soggetto terzo rispetto al Governo, e, soprattutto, che «un’autorità garante della concorrenza quale l’Epitropi Antagonismou è tenuta a lavorare in stretta collaborazione con la Commissione delle Comunità europee e, ai sensi dell’art. 11, n. 6, del Regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002 , può essere privata della propria competenza da una decisione della Commissione».

Tale ultimo aspetto, in particolare, escluderebbe la proponibilità della questione pregiudiziale, che può essere sollevata solo «da un organo chiamato a statuire su una controversia pendente dinanzi ad esso nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale».

7.2.7.− In definitiva, secondo il CNN, l’AGCM, come sostenuto in dottrina, sarebbe un’amministrazione pubblica che svolge attività di amministrazione contenziosa e i procedimenti in esame potrebbero al più essere qualificati come «quasi giurisdizionali» (ma pur sempre amministrativi).

7.3.− Nel merito, le censure sarebbero infondate.

7.3.1.− Rammenta il CNN che la Corte costituzionale con la sentenza n. 270 del 2010 ha chiarito che: 1) la libertà di concorrenza costituisce un valore basilare della libertà di iniziativa economica funzionale alla protezione degli interessi dei consumatori; 2) il primo comma dell’art. 41 Cost. è in stretto collegamento logico-sistematico con l’art. 3 Cost.; 3) l’art. 41 Cost., «stabilendo che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con “l’utilità sociale” ed in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana, e prevedendo che l’attività economica pubblica e privata può essere indirizzata e coordinata a “fini sociali”, consente una regolazione strumentale a garantire la tutela anche di interessi diversi rispetto a quelli correlati all’assetto concorrenziale del mercato garantito».

Tanto accadrebbe nel caso di specie, in cui la tutela dell’iniziativa economica privata necessariamente recede di fronte all’esigenza prevalente di garantire certezza nei rapporti giuridici, esigenza che è istituzionalmente connessa alla figura professionale dei notai, depositari della publica fides e dotati di poteri di certificazione erga omnes di atti e situazioni giuridiche fondamentali per la convivenza civile.

Sarebbe del tutto ragionevole, dunque, che la vigilanza e il controllo sugli atti e sulla condotta dei singoli notai, nonché l’esercizio della funzione disciplinare siano affidati agli enti esponenziali della categoria; e che l’ordinamento del notariato, sebbene non impermeabile ai princìpi della libertà di iniziativa economica e del libero esplicarsi del gioco della concorrenza, sia anzitutto volto a garantire la legittimità e la qualità dei servizi resi, in direzione della protezione degli interessi dei consumatori.

Ancora, a testimonianza della ragionevolezza delle disposizioni censurate, dovrebbe considerarsi che dalla qualità e dall’efficienza della funzione notarile (al cui rispetto è preordinata la funzione di vigilanza sottratta alla concorrenza) deriverebbero la riduzione dei costi sociali dovuti alla prevenzione del contenzioso e maggiori garanzie in termini di certezza delle transazioni e degli atti redatti dai notai, il che risponderebbe alle ragioni di utilità sociale e ai fini sociali, contemplati, rispettivamente, dai commi secondo e terzo dell’art. 41 Cost.

7.3.2.− Priva di fondatezza, oltre che apodittica, sarebbe la censura di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 106, paragrafo 2, TFUE.

Il rimettente, infatti, non si sarebbe premurato di effettuare il test di proporzionalità secondo i noti canoni impiegati sia dalla Corte di giustizia che dalla Corte costituzionale, giungendo per saltum alla inaccettabile conclusione della loro incompatibilità con il diritto eurounitario e costituzionale.

Al di là dell’inammissibilità della censura, secondo il CNN, il principio di proporzionalità è pienamente rispettato, dal momento che l’esercizio del potere disciplinare da parte del consiglio notarile integra un SIEG e la sua specifica missione consisterebbe nella tutela di interessi che vanno ben al di là di quelli della categoria su cui sono chiamati a vigilare, nella salvaguardia del pubblico interesse all’esercizio di funzioni notarili di alta qualità e nella soggezione uniforme di tutti i notai ai princìpi deontologici elaborati dal CNN.

8.− I notai P.D.M. e R.G., il CISPA e il CNN hanno depositato memorie illustrative con cui hanno insistito nelle proprie argomentazioni e replicato a quelle avversarie, prendendo, in particolare, nuovamente posizione sulla questione della legittimazione dell’AGCM (tutti tranne il CISPA) e sulla diretta applicabilità o meno dell’art. 106, paragrafo 2, TFUE, invocato dal rimettente quale parametro interposto.

La CISPA ha poi dedotto che il sopravvenuto art. 93-ter, comma 1-bis, non si applicherebbe alle condotte oggetto del procedimento sanzionatorio a quo ma solo a quelle successive all’entrata in vigore della legge.

 

Considerato in diritto

1.− Il Collegio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, della Costituzione − quest’ultimo in relazione all’art. 106, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili) e dell’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).

1.1.− La prima delle due disposizioni censurate, introdotta dall’art. 1, comma 495, lettera c), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), prevede che «Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’articolo 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287».

A sua volta, l’art. 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990 (d’ora in avanti anche: legge antitrust), in conformità all’art. 106, paragrafo 2, TFUE, prevede che «Le disposizioni di cui ai precedenti articoli non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati».

1.2.− Secondo il rimettente, tali disposizioni, sottraendo all’applicazione della legge antitrust gli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare posti in essere dai consigli notarili, violano, in primo luogo, gli artt. 3 e 41 Cost., perché la deroga al nucleo essenziale delle regole sulla concorrenza opera per un intero segmento di attività e senza che sia consentito «alcun bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza».

Esse violerebbero, in secondo luogo, l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 106, paragrafo 2, TFUE, perché il parametro interposto consentirebbe la deroga alle norme di tutela della concorrenza solo ove sia necessaria per garantire l’adempimento della specifica missione affidata alle imprese incaricate della gestione di un servizio economico d’interesse generale e sia rispettosa del principio di proporzionalità, secondo una valutazione da operarsi non in astratto ma in concreto e caso per caso.

2.− In via preliminare, va confermata l’ordinanza dibattimentale, letta all’udienza pubblica del 4 dicembre 2018 e allegata alla presente sentenza, con la quale è stato dichiarato ammissibile l’intervento del Consiglio nazionale del notariato (CNN).

La costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, si vedano le sentenze n. 180 del 2018, n. 275 e n. 85 del 2017; nonché le ordinanze allegate alle sentenze n. 29 e n. 16 del 2017, n. 237 e n. 82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291 del 2001) è nel senso che la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale).

Si è anche precisato, però, che a tale disciplina è possibile derogare − senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità − a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura.

Tale è il caso di specie, poiché, da un lato, la questione di legittimità costituzionale cade su disposizioni che esonerano dall’ambito di applicazione delle norme sugli illeciti concorrenziali gli atti dei consigli notarili funzionali al promovimento del procedimento disciplinare, e il Consiglio nazionale del notariato è per legge attributario del compito, di rilievo pubblicistico, di elaborazione dei princìpi e delle norme deontologiche applicate in sede disciplinare dai consigli medesimi; e, dall’altro, il CNN è rappresentante istituzionale del notariato italiano (sentenze n. 180 del 2018 e n. 171 del 1996).

3.− Il rimettente e le parti, fatta eccezione per il Centro Istruttorie spa, hanno trattato funditus la questione preliminare della legittimazione dell’AGCM (d’ora in avanti anche: Autorità garante o Autorità) a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale.

3.1.− Questa Corte, nel vagliare l’esistenza dei presupposti perché, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale) e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), possa essere sollevata questione di legittimità costituzionale in via incidentale, è andata approfondendo sin dall’inizio della sua attività le nozioni di «giudice» e di «giudizio».

Si deve rilevare, in generale, che in questa operazione ermeneutica le due nozioni sono state intese in modo elastico e avuto riguardo alle peculiari esigenze del caso concreto, tutte le volte che il rimettente si collocava istituzionalmente negli interstizi delle categorie dell’amministrazione e della giurisdizione, ossia in quella che si è andata delineando come una “zona grigia”, alimentata dai concorrenti ed inversi fenomeni storici della “giurisdizionalizzazione” dell’amministrazione e della “amministrativizzazione” della giurisdizione; e ciò nel dichiarato obiettivo di consentire il più ampio accesso possibile alla giustizia costituzionale ed escludere l’esistenza di “zone franche” dal controllo di costituzionalità.

3.2.− Dalla giurisprudenza costituzionale emergono peraltro delle direttrici che permettono la ricostruzione del quadro normativo e la risoluzione dei casi dubbi.

Si è chiarito, in primo luogo, che «i termini “giudizio” e “causa” tanto nella legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, quanto nella legge 11 marzo 1953, n. 87 (art. 23) e nelle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, vengono adoperati in maniera generica e con vario significato» e che, pur avendo il nostro ordinamento «condizionato la proponibilità della questione di legittimità costituzionale alla esistenza di un procedimento o di un giudizio, è vero altresì che il preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalità insidierebbero), insieme con l’altro dell’osservanza della Costituzione, vieta che dalla distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai confini sovente incerti e contestati), si traggano conseguenze così gravi» (sentenza n 129 del 1957), quale l’esclusione del controllo di costituzionalità (nello stesso senso, si vedano le successive sentenze n. 226 del 1976 e n. 121 del 1966).

Questa tendenza, evidentemente volta all’affermazione piena del principio di costituzionalità, tocca il suo apice in quelle sentenze che ravvisano i requisiti di accesso in presenza di mere “zone d’ombra”, ossia di situazioni in cui l’allargamento dei concetti di giudice o giudizio appare necessaria non solo per attrarre al controllo di costituzionalità un’area che altrimenti ne resterebbe esclusa ma anche per ammettere «al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (sentenze n. 89 del 2017, n. 181 del 2015 e n. 226 del 1976).

Essa, poi, si coglie in quel filone giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza n. 12 del 1971 e sino ai giorni nostri (si vedano, da ultimo, le sentenze n. 262 e n. 213 del 2017), utilizza le categorie del giudice e del giudizio «ai limitati fini» o «ai soli fini» della legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale, così implicitamente ammettendo che esse possano differire da quelle valide ad altri, anche più generali, fini.

In tal modo è stato possibile consentire il giudizio incidentale di costituzionalità pur in presenza di aspetti di volta in volta soggettivamente o oggettivamente di difficile riconduzione a generali e predeterminati schemi concettuali.

Si è così affermato che, «per aversi giudizio a quo, è sufficiente che sussista esercizio di “funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge” da parte di soggetti, “pure estranei all’organizzazione della giurisdizione”, “posti in posizione super partes” (sentenze n. 387 del 1996, n. 226 del 1976 e n. 83 del 1966)» (sentenza n. 376 del 2001).

Peraltro, in caso di organi creati dopo l’entrata in vigore della Costituzione, il rischio di un aggiramento del divieto di istituzione di nuovi giudici speciali posto dall’art. 102, secondo comma, Cost., è stato ben presente a questa Corte, che infatti ha tratto dal divieto in parola un argomento decisivo per escludere nei casi dubbi la natura giurisdizionale del rimettente (sentenze n. 387 del 1996 e n. 44 del 1968).

4.− Dalla sia pure elastica giurisprudenza di questa Corte, emerge, dunque, per quanto qui rileva, che sono stati considerati legittimati a sollevare questione di legittimità costituzionale anche organi non incardinati in un ordine giudiziario ma sempre in presenza dell’essenziale requisito della terzietà.

5.− Nel caso dell’Autorità rimettente tale requisito manca.

Essa − come è noto − è parte (resistente) del processo amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione dei suoi provvedimenti, ai sensi degli artt. 133, comma 1, lettera l), e 134, comma 1, lettera c), dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), che prevedono la giurisdizione esclusiva sui provvedimenti delle autorità indipendenti e quella di merito per le sanzioni pecuniarie irrogate.

I provvedimenti dell’Antitrust sono dunque sottoposti al vaglio del giudice amministrativo, al pari di qualsiasi altro provvedimento, e tra gli atti impugnabili ad opera dei terzi controinteressati, in base alle normali regole processuali in tema di interesse e legittimazione all’impugnazione, rientrano i provvedimenti di chiusura dell’istruttoria, anche detti negativi o assolutori (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29 luglio 2011, n. 15; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 22 giugno 2011, n. 3751; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 3 febbraio 2005, n. 280; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14 giugno 2004, n. 3865).

L’Autorità, inoltre, in forza dell’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, introdotto dall’art. 35, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anche assunto la inedita posizione di parte processuale ricorrente per l’impugnazione davanti al giudice amministrativo degli atti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.

Non può non osservarsi, poi, che la legittimazione a stare in giudizio spetta all’Autorità e non ai suoi uffici inquirenti, perché, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, non può ravvisarsi una netta separazione tra gli uffici e il Collegio, attesa l’esistenza, ai sensi dell’art. 11, comma 5, della legge n. 287 del 1990, di un nesso funzionale tra Segretario e Presidente, cui il primo «risponde» anche del funzionamento dei servizi e degli uffici medesimi (nello stesso senso, nel caso dell’Autorità della concorrenza greca, la sentenza della Corte di giustizia, Grande sezione, 31 maggio 2005, C-53/03, Synetairismos Farmakopoion Aitolias & Akarnanias (Syfait) e altri).

6.− La tesi del rimettente contrasta, dunque, con quanto questa Corte ha affermato e cioè che gli organi giurisdizionali sono «estranei per definizione alla situazione sostanziale» (sentenza n. 243 del 1989), che la posizione del giudice esclude qualsiasi, anche indiretto, interesse alla causa da decidere (sentenza n. 18 del 1989), che il giudice «non può essere considerato super partes quando appare portatore di uno degli interessi in conflitto dal momento che la censura investe proprio il provvedimento da lui emesso» (sentenza n. 128 del 1974), che «uno dei dati che danno carattere giurisdizionale ad un organo è l’estraneità dell’interesse in ordine al quale esso dà la sua pronunzia» (sentenza n. 110 del 1967).

Alla stregua di tali principi è stata ad esempio negata la legittimazione del pubblico ministero a sollevare questione di legittimità costituzionale (si vedano la sentenza n. 40 del 1963 e l’ordinanza n. 249 del 1990).

6.1.− Tale ontologica incompatibilità tra la posizione di giudice e di parte processuale nel giudizio avverso i propri provvedimenti è stata poi affermata, a proposito del Consiglio nazionale forense, sia dalla Corte di cassazione (tra le tante, Cassazione, sezione prima civile, sentenza 21 maggio 2018, n. 12461; sezioni unite, sentenza 24 gennaio 2013, n. 1716), che dalla Corte di giustizia, con la sentenza della Grande sezione, 17 luglio 2014, C-58/13, Torresi, secondo cui, «a differenza di un Consiglio dell’ordine degli avvocati locale che, nell’ambito del procedimento avviato dal ricorso contro una decisione del Consiglio dell’ordine medesimo, è una parte dinanzi al Consiglio nazionale forense, quest’ultimo non può essere parte nel procedimento avviato dinanzi alla Corte suprema di cassazione contro la decisione in merito al ricorso avverso il Consiglio dell’ordine interessato. Il Consiglio Nazionale Forense possiede pertanto, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte (v. sentenza Wilson, EU:C:2006:587, punto 49), la posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso».

Specularmente, con riferimento al Garante per la protezione dei dati personali, ma con ragionamento estensibile a tutte le amministrazioni indipendenti, si è affermato che l’Autorità partecipa al giudizio di impugnativa di un suo atto, quale sia stato il procedimento che lo ha preceduto, per far valere davanti al giudice lo stesso interesse pubblico di cui è portatrice (Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 20 maggio 2002, n. 7341).

7.− Le considerazioni che precedono escludono anche la possibilità, prospettata dal rimettente, di una sua configurazione di giudice «ai limitati fini» per la ritenuta esigenza di garantire il rispetto del principio di costituzionalità e quindi di evitare l’esistenza di una zona franca (il controllo di costituzionalità sarebbe escluso) ovvero (e contraddittoriamente) una zona d’ombra (il controllo sarebbe «estremamente difficile», o più difficile o «poco agevole»).

Si è visto, infatti, che esiste una sede giurisdizionale agevolmente accessibile in cui può essere promossa la questione di legittimità costituzionale.

Così, nel caso di specie, l’eventuale atto di archiviazione dell’Autorità garante, che dovesse ritenere preclusa la prosecuzione del procedimento sanzionatorio nei confronti del Consiglio notarile di Milano in forza dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), potrebbe essere impugnato dal notaio segnalante e da quello interveniente, interessati alla prosecuzione del procedimento finalizzato all’accertamento della natura in tesi anticoncorrenziale e abusiva delle funzioni di vigilanza esercitate dal CNM e al conseguente ordine di eliminazione delle condotte integranti illecito antitrust.

7.1.− Non vale poi obiettare, come fa il rimettente, che, ove non fosse riconosciuta la sua legittimazione, «la possibilità di sottoporre la suddetta previsione al sindacato di costituzionalità sarebbe rimessa solo alla eventuale iniziativa giurisdizionale, del tutto discrezionale, del soggetto privato segnalante, peraltro parte non necessaria del procedimento», poiché ciò risponde alla stessa struttura del giudizio incidentale di costituzionalità.

8.− La veste processuale di parte riflette, del resto, la natura del potere attribuito all’Autorità: una funzione amministrativa discrezionale, il cui esercizio comporta la ponderazione dell’interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in gioco.

Essa, infatti, al pari di tutte le amministrazioni, è portatrice di un interesse pubblico specifico, che è quello alla tutela della concorrenza e del mercato (artt. 1 e 10 della legge n. 287 del 1990), e quindi non è in posizione di indifferenza e neutralità rispetto agli interessi e alle posizioni soggettive che vengono in rilievo nello svolgimento della sua attività istituzionale (si veda, in questo senso, già Consiglio di Stato, commissione speciale, parere 29 maggio 1998, n. 988/97).

Ciò emerge con particolare evidenza nei rilevanti poteri pararegolatori e consultivi attribuiti all’Autorità garante (artt. 21, 22, 23 e 24 della legge antitrust e art. 23-bis, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria») e nell’ampio margine di discrezionalità amministrativa che connota istituti quali le autorizzazioni in deroga di intese vietate, l’accettazione degli “impegni” e i cosiddetti programmi di clemenza (rispettivamente, artt. 4, 14-ter e 15, comma 2-bis, della legge antitrust).

8.1.− Si aggiunga che l’attività dell’Autorità garante si sviluppa nell’ambito di un contraddittorio che non si differenzia – se non per la sua intensità – da quello procedimentale classico e che resta di natura verticale, proprio perché il privato si confronta con un soggetto che, nell’irrogazione della sanzione, in quanto titolare di un ben definito interesse pubblico, non è in posizione di parità (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 26 marzo 2015, n. 1596; sezione VI, sentenza 11 gennaio 2016, n. 38).

9.− Si deve pertanto concludere che le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge n. 89 del 1913 e dell’art. 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990, sollevate dall’AGCM, sono inammissibili per difetto di legittimazione del rimettente.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93-ter, comma 1-bis, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come introdotto dall’art. 1, comma 495, lettera c), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), e dell’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), sollevate in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, primo comma, della Costituzione − quest’ultimo in relazione all’art. 106, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 − dal Collegio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018.