MORA E USURA: SI, NO…FORSE
Roberto Giovagnoli
Sommario: 1. La questione oggetto di dibattito. 2. La tesi secondo cui agli interessi moratori non si applica la disciplina dell’usura. 3. L’applicazione (almeno) della disciplina della clausola penale. 4. La tesi che ammette che gli interessi moratori rientrano nel campo di applicazione della disciplina dell’usura. 5. Le ulteriori divisioni nell’ambito della tesi che ammette la compatibilità tra mora e usura le modalità di calcolo. 5.1. Le modalità di calcolo. 5.2. La soglia da utilizzare per verificare se gli interessi moratori sono usurari. 5.3. Le conseguenze del superamento della soglia. 6. Conclusioni
1. La questione oggetto di dibattito
Il tema dei rapporti tra mora e usura è certamente uno dei più controversi nell’ambito del dibattitto dottrinale e giurisprudenziale che investe le obbligazioni pecuniarie. Il panorama delle opinioni è caratterizzato da così tante sfumature da rendere a volte difficile la visione nitida dei confini.
A fronte di uno scenario così incerto, anche grazie alla curiosità e alle sempre preziose sollecitazioni dei miei corsisti, mi è sembrato opportuno tentare di sintetizzare e schematizzare i principali orientamenti.
La questione, come è noto, consiste nello stabilire se gli interessi di mora debbano essere computati ai fini di verificare il superamento del c.d. tasso-soglia ai fini dell’applicazione della disciplina dell’usura.
Già sull’an possiamo riscontrare una prima radicale divaricazione, tra quanti escludono che gli interessi moratori rientrino nel campo di applicazione della disciplina dell’usura e, quanti, invece, ritengono che debbano esservi inclusi.
Ma è sul quomodo che si registrano forse le maggiori contrapposizioni, specie per ciò che concerne: a) le modalità di computo degli interessi moratori (come stabilirne cioè l’incidenza sul tasso complessivamente pagato dal debitore); b) l’individuazione del parametro con cui confrontarli per verificare se è stata superata la soglia d’usura; c) le conseguenze derivanti dal superamento della soglia d’usura.
2. La tesi secondo cui agli interessi moratori non si applica la disciplina dell’usura
L’orientamento negativo si fonda, in sintesi, sulle seguenti considerazioni:
a) gli interessi moratori non hanno funzione corrispettiva, ma risarcitoria: non rappresentano, quindi, remunerazione del credito, ma una forma di risarcimento del danno da ritardo;
b) essi sono dovuti solo in caso di inadempimento o di ritardo e, quindi, rappresentano, un costo solo eventuale del credito, che non è detto che il debitore sia costretto a pagare;
c) il diverso trattamento tra interessi moratori e corrispettivi troverebbe conferma nelle previsioni legislative che, al fine di sanzionare l’inadempimento del debitore di un’obbligazione pecuniaria, prevedono, in alcuni casi un tasso legale di mora particolarmente elevato (e spesso superiore alla soglia d’usura). Si fa riferimento, in particolare alla disciplina del ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, che prevede un tasso legale di mora pari al “tasso di riferimento” (che è il tasso riferimento applicato dalla BCE alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali) aumentato di otto punti percentuali (art. 2, co. 1, lett. c), d.lgs. n. 231/2002. Tale tasso di interesse è richiamato anche al di fuori dal campo delle transazioni commerciali tra imprese (o tra imprese e P.A.) dall’art. 1284, quarto comma, c.c., il quale prevede che, se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale il saggio degli interessi è pari a quello previsto dalla legislazione speciale, relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Il legislatore avrebbe, quindi, “legalizzato” una sorta di “mora usuraria”, che confermerebbe l’estraneità alla disciplina dell’usura agli interessi moratori convenzionali;
d) in base al c.d. principio di simmetria – recentemente affermato dalle Sezioni Unite 20 giugno 2018, n. 16603, con riferimento alla diversa questione della computabilità nel tasso effettivo globale pagato dal debitore della commissione di massimo scoperto – gli interessi di mora non possono essere considerati, in quanto non rilevati dalla Banca d’Italia (e, quindi, dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze) ai fini del calcolo del c.d. t.e.g.m., sulla cui base si calcola la soglia d’usura.
3. L’applicazione (almeno) della disciplina della clausola penale
All’interno della tesi che esclude la sottoposizione degli interessi moratori alla disciplina dell’usura si individuano, tuttavia, due diversi sotto-orientamenti.
Vi è, infatti, una tesi minoritaria che esclude in radice la possibilità di sottoporre la clausola che prevede gli interessi moratori ad un controllo di equità e una tesi (maggioritaria e preferibile) che, invece, qualificando la pattuizione di interessi moratori alla stregua di una clausola penale (che forfettizza il danno da ritardo), applica la relativa disciplina e ammette, quindi, il potere del giudice (esercitabile anche d’ufficio) di ridurne l’importo in caso di manifesta iniquità (spesso individuando il limite di equità proprio nella soglia d’usura).
4. La tesi che ammette che gli interessi moratori rientrano nel campo di applicazione della disciplina dell’usura
Le tesi che, invece, ammettono che gli interessi moratori debbano essere considerati nel t.e.g. pagato dal debitore (per verificare se supera la soglia d’usura), valorizzano i seguenti argomenti:
a) l’art. 1, co. 1, d.l. n. 394 del 2000 (convertito nella legge n. 24 del 2001), nell’interpretare autenticamente l’art. 644, ha stabilito che : “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. (…) si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”;
b) il dato letterale (“a qualunque titolo”) troverebbe conferma nei lavori preparatori della L. n. 24 del 2001: nella relazione che accompagnò, nella XIII legislatura, l’esame in aula del D.D.L. n. S-4941 si legge, infatti, al p. 4, che il decreto aveva lo scopo di chiarire come si dovesse valutare la usurarietà di qualunque tipo di tasso di interesse, “sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio”;
c) escludere gli interessi moratori dalla disciplina dell’usura condurrebbe a risultati paradossali: per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento; per altro verso potrebbe consentire pratiche fraudolente, come quella di fissare termini di adempimento brevissimi, per far scattare la mora e lucrare interessi non soggetti ad alcun limite;
d) non vi sarebbe realmente una diversità di funzione tra interessi corrispettivi e interessi moratori, essendo entrambi diretti a remunerare il capitale e a ristorare il differimento nel tempo del godimento di un capitale: essi differiscono dunque nella fonte (solo il contratto nel primo caso, il contratto e la mora nel secondo) e nella decorrenza (immediata per i primi, differita ed eventuale per i secondi), ma non nella funzione (così di recente Cass., sez. III, 30 ottobre 2018, n. 27442).
5. Le ulteriori divisioni nell’ambito della tesi che ammette la compatibilità tra mora e usura
L’orientamento che ammette gli interessi moratori nel campo di applicazione della disciplina sull’usura è, tuttavia, estremamente variegato al suo interno. Le posizioni, come si è accennato all’inizio, si diversificano per almeno tre profili che riguardano: 1) le modalità di computo degli interessi moratori (come stabilirne cioè l’incidenza sul tasso complessivamente pagato dal debitore); 2) l’individuazione del parametro con cui confrontarli per verificare se è stata superata la soglia d’usura; 3) le conseguenze derivanti da detto superamento.
5.1. Le modalità di calcolo
Per quanto riguarda le modalità di computo, si registrano tre diverse posizioni:
1) il tasso di interesse di mora va sommato al tasso di interesse corrispettivo (ad esempio, se il tasso di interesse corrispettivo è il 3% e il tasso di mora è il 6%, il tasso complessivo sarebbe del 9%)
2) il tasso di interesse di mora va considerato autonomamente (senza sommatoria);
3) andrebbe considerata l’incidenza percentuale degli interessi moratori effettivamente pagati sull’importo complessivo del prestito, per poi sommarli agli interessi corrispettivi. Ciò in quanto mentre gli interessi corrispettivi si pagano su tutto il capitale, quelli moratori si pagano solo sulle rate mensili rimaste inadempiute.
Ad esempio, supponiamo che il capitale prestato è pari a 117,6, da restituire con un interesse corrispettivo pari a circa il 2%. L’importo complessivo da restituire (comprensivo degli interessi corrispettivi del 2%) è 120 (arrotondando i decimali), che deve essere restituito in dodici rate ciascuna di importo pari a 10 (ogni rata include al suo interno gli interessi corrispettivi).
Le prime undici rate sono pagate tempestivamente. L’ultima è pagata in ritardo (dopo un anno) e scatta l’interesse di mora (ad un tasso del 5%), che costringe, così il debitore a pagare 10,5. L’importo degli interessi moratori è 0,5.
Ora, nell’esempio fatto il tasso di mora è del 5%. Sarebbe, però, errato sommare 2 + 5 e confrontare il risultato (7%) con la soglia d’usura.
L’interesse moratario del 5% viene pagato, infatti, solo sull’ultima rata (il cui importo è 10) non su tutto il capitale.
La somma degli interessi (corrispettivi più moratori) pagati è 2,9 che si ottiene sommando l’importo degli interessi corrispettivi (2,4) all’importo degli interessi moratori (0,5).
2,9 rapportato a 117,6 (il capitale prestato) esprime una percentuale di 2,46%
Il tasso di interesse complessivamente pagato è dunque 2,46% e questo è il tasso effettivo da confrontare la soglia d’usura. L’incidenza degli interessi moratori sull’ultima rata è stata (rapportata all’intero finanziamento) dello 0,46%
5.2. La soglia da utilizzare per verificare se gli interessi moratori sono usurari
Anche rispetto alla soglia “legale” da utilizzare per stabilire se gli interessi moratori sono usurari si ravvisano diversità di vedute.
Secondo una prima tesi, il tasso di interesse (calcolato con una delle tre modalità di cui al precedente paragrafo) va confrontato con il tasso-soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento. Questa tesi è stata recentemente accolta da Cass. n. 27442/2018, secondo cui, “è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di ‘mora-soglia’, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia”. La L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, stabilisce infatti che la rilevazione dei tassi medi debba avvenire per “operazioni della stessa natura”. Secondo questa tesi, con l’atecnico lemma “operazioni”, la legge ha inteso riferirsi alle varie tipologie contrattuali. Ma il patto di interessi moratori convenzionali ultralegali non può dirsi una “operazione”, e tanto meno un tipo contrattuale. Esso può, infatti, accedere a qualsiasi tipo di contratto, ed essere previsto per qualsiasi tipo di obbligazione pecuniaria: corrispettivi, provvigioni, rate di mutuo, premi assicurativi, e via dicendo.
È, dunque, più che normale che il decreto ministeriale non rilevi la misura media degli interessi convenzionali di mora, dal momento che la legge ha ritenuto di imporre al Ministero dell’Economia la rilevazione dei tassi di interessi omogenei per tipo di contratto, e non dei tassi di interessi omogenei per titolo giuridico.
Secondo un’altra tesi, invece, per evitare il confronto tra tassi disomogenei (il tasso di mora applicato al debitore e i tassi soglia, determinati, senza tenere conto dei tassi moratori), ed ai fini dell’individuazione, comunque, di un parametro di riferimento, occorre tenere conto del fatto che la Banca d’Italia, pur non includendo la media degli interessi moratori ai fini del calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto, nel 2009, una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali. Al tasso-soglia “ufficiale” andrebbe, quindi, aggiunta tale percentuale (così, di recente, Trib. Roma, Sez. XVII, 7 dicembre 2018, che dissente espressamente dalla diversa soluzione indicata da Cass. n. 27442/2018 e richiama a sostegno il principio di simmetria enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 16303/2018).
5.3. Le conseguenze del superamento della soglia
Anche in ordine alle conseguenze del superamento del parametro di riferimento si registrano differenze.
Pure in relazione a tale aspetto, volendo schematizzare, possono individuarsi tre posizioni:
a) non sono dovuti né gli interessi moratori, né gli interessi corrispettivi (tesi che non appare, però, praticabile, perché il debitore potrebbe essere indotto all’inadempimento al fine di superare la soglia di usura e, quindi, liberarsi anche degli interessi corrispettivi);
b) gli interessi corrispettivi continuano ad essere dovuti; gli interessi moratori non sono più dovuti (tesi che appare coerente con la premessa della omogeneità funzionale delle due categorie di interessi e con il metodo della valutazione separata dei due tassi);
c) gli interessi corrispettivi continuano ad essere dovuti; gli interessi moratori non sono più dovuto al tasso usurario, ma al tasso di interesse legale, secondo le norme generali. Questa tesi è stata recentemente accolta dalla già citata sentenza della Cassazione n. 27442/2018, la quale, dopo aver fondato tutta la motivazione sull’identità funzionale tra interessi corrispettivi e interessi moratori, poi conclude, inaspettatamente, nel senso di ritenere che l’art. 1815, co. 2, c.c. non può applicarsi agli interessi moratori, in quanto la norma fa riferimento solo agli interessi corrispettivi.
6. Conclusioni
Il rapido “viaggio” nel magma degli orientamenti interpretativi rivela che il tema dei rapporti tra mora e usura (a oltre vent’anni dalla riforma del 1996) è ancora dominato da una disarmante incertezza, anche a livello giurisprudenziale.
Tra tesi negative e tesi possibiliste, considerando le diverse conclusioni per ciò che attiene alle modalità di calcolo, al tasso-soglia e alle conseguenze del superamento, abbiamo individuato più di dieci diverse posizioni. Se a ciò si aggiunge che a volte le diverse “sottotesi” si incrociano fra loro, il risultato rischia di assomigliare a una matassa intricata. Quanto basta, forse, per rendere il tema accattivante. Ma forse troppo, se si pensa alla tanto agognata prevedibilità delle decisioni giudiziarie.