ESAME DI AVVOCATO 2019 10, 11 E 12 DICEMBRE 2019

11 DICEMBRE 2019 – DIRITTO PENALE

PARERE N. 1

Tizio, dipendente di una multinazionale, riceve dal suo superiore Mevio l’incarico di sorvegliare il collega di lavoro Caio ed impedire che lo stesso divulghi ad aziende concorrenti alcuni importanti segreti aziendali dei quali è a conoscenza.
Un giorno Tizio segue Caio nei locali dove è in corso di svolgimento una convention e nota che lo stesso, dopo essersi appartato con due persone, consegna loro una pen drive e ne riceve in cambio una busta, nella quale gli sembra di scorgere del denaro. Convinto di aver assistito alla consegna di materiale di proprietà aziendale in favore di personale riconducibile ad una società concorrente, Tizio, sentendosi autorizzato dall’ordine del proprio superiore gerarchico, interviene bruscamente e aggredisce il gruppo, pretendendo l’immediata consegna del supporto informatico. Ne nasce una colluttazione nel corso della quale Tizio, credendo di scorgere un’arma puntata nella sua direzione, impugna la pistola legalmente detenuta ed esplode un colpo in direzione di Caio, colpendolo in modo letale. Subito dopo, spaventato per l’accaduto, Tizio si dà alla fuga, portando con sé la pen drive caduta a terra durante la colluttazione.
Il candidato, assunte le vesti dell’avvocato di Tizio, individui le ipotesi di reato configurabili a carico del suo assistito, prospettando, altresì, la linea difensiva più utile alla difesa dello stesso.

 

SVOLGIMENTO

La legittima difesa putativa rileva al fine di escludere la rilevanza penale sia della prima condotta di Tizio (la sottrazione mediante violenza della pen drive) sia della seconda condotta (l’omicidio di Caio)

Nella prima fase, infatti, Tizio si rappresenta la rivelazione da parte di Caio di importanti segreti aziendali (pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un diritto altrui: quello della multinazionale per cui lavora) e la sua condotta (l’aggressione brusca nei confronti del gruppo di persone che sta procedendo allo scambio) costituisce una reazione che può considerarsi proporzionata rispetto all’offesa (considerando che si tratta – almeno nella convinzione di Tizio – di importanti segreti aziendali)

In questa fase, peraltro, non risulta che l’azione difensiva di Tizio, sebbene violenta, abbia procurato danni all’integrità fisica delle persone coinvolte.

La traccia non fornisce elementi sufficienti per stabilire se la convinzione di Tizio circa la sussistenza di uno scambio illecito di segreti aziendali sia o meno fondata. Ma la questione assume una limitata rilevanza: invero, l’errore sulla sussistenza della legittima difesa, escludendo il dolo (art. 59, co. 3), sarebbe comunque sufficiente per escludere che il fatto costituisca reato

Il fatto commesso in questa prima fase, quindi, sebbene tipico rispetto alla fattispecie di rapina propria (la violenza è contestuale e non successiva alla sottrazione), non costituisce reato per mancanza del dolo (escluso dall’errore sull’esistenza della legittima difesa) o dell’antigiuridicità (se l’offesa ipotizzata da Tizio dovesse risultare realmente esistente).

Nessun rilievo può invece assumere l’ordine impartito dal superiore gerarchico di Tizio, visto che l’efficacia scriminante ex art. 51, co. 2, c.p. dell’ordine legittimo rileva solo se lo stesso viene impartito da una pubblica autorità. Tuttavia, si tratta di un dato che può essere valorizzato al fine di giustificare l’eventuale errore di Tizio circa il contesto illecito in cui si è inserita la sua azione, circostanza rilevante anche al fine di valorizzare la natura non colpevole del successivo errore che conduce all’uccisione di Caio.

Nella seconda fase, quella che determina la morte di Caio, invece, la legittima difesa è sicuramente putativa (perché dalla traccia emerge che Caio non era armato). Si pone, quindi, il problema di verificare la natura (colposa o non colposa) dell’errore commesso da Tizio (visto che l’omicidio, a differenza della rapina, è punibile anche a titolo di colpa).

La concitazione del momento, la circostanza che il fatto avviene durante una colluttazione violenza, il contesto probabilmente illecito che fa da sfondo alla vicenda (lo scambio di importanti segreti aziendali) depongono a favore della natura non colpevole dell’errore di Tizio, che, quindi, ai sensi dell’art. 59, co. 3, andrebbe assolto dall’eventuale accusa di omicidio per difetto dell’elemento soggettivo.

Traccia n. 2

Il diciannovenne Caio conosce su facebook la tredicenne Mevia e tra i due inizia una fitta corrispondenza via chat, senza che mai avvenga un incontro effettivo.
Caio, dopo qualche tempo, chiede a Mevia di inviargli delle foto in cui lei mostri le sue parti intime. Mevia gli invia le foto richieste e, a sua volta, chiede a Caio di inviarle qualche foto in cui anch’egli sia nudo. Caio le invia una foto in cui lui stesso e il suo amico coetaneo Sempronio, nel corso di una festa, posavano ubriachi e in slip: foto che Sempronio aveva proibito a Caio di diffondere. La madre di Mevia, avendo per caso scoperto sul computer della ragazza la fitta corrispondenza intercorsa con Caio e le foto che i due si erano scambiati, denuncia il giovane. Successivamente anche Sempronio, avendo appreso dalla stampa locale che Caio aveva inviato a Mevia la foto che lui aveva vietato di diffondere, denuncia l’amico.
Il candidato, assunte le vesti dell’avvocato di Caio, individui le ipotesi di reato configurabili a carico del suo assistito, prospettando, altresì, la linea difensiva più utile alla difesa dello stesso.

 

SVOLGIMENTO

L’art. 600-ter c.p. punisce chiunque produce materiale pedopornografico utilizzando minori di anni diciotto. Alla nozione di utilizzazione fa riferimento anche il successivo art. 600-quater che punisce la detenzione di materiale pedopornografico.

Si pone il problema di definire il concetto di “utilizzazione”.

Le Sezioni Unite con sentenza 15 novembre 2018, n. 51815 — dopo aver escluso la necessità del pericolo concreto di diffusione per l’integrazione del reato di pornografia minorile — hanno comunque, sottolineato che l’utilizzazione implica la strumentalizzazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuale, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali altrui.

Si devono, insomma distinguere le condotte di produzione aventi un carattere abusivo, per la posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore o per le modalità attraverso le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, violenza, minaccia, inganno) o per il fine commerciale che sottende la produzione, o per l’età dei minori coinvolti, qualora questa sia inferiore a quella del consenso sessuale.

Il concetto di utilizzazione presuppone, quindi, la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato.

Va, ancora, aggiunto che la Suprema Corte (Cass. sez. III, 21 marzo 2016, n. 11675) ha affermato che il presupposto necessario per la configurabilità di tutte le fattispecie di reato prevista dall’art. 600-ter è la condizione di alterità e diversità tra il soggetto che ha prodotto il materiale pedopornografico e il minore ivi rapprsentato, escludendo, così, la rilevanza penale delle condotte che hanno ad oggetto il c.d. selfie pedo-pornografico.

È vero che in parte questo principio risulta attentato da Cass. n. 28862/2019, la quale — occupandosi però di una fattispecie sensibilmente diversa in punto di fatto (selfie pedo-pornografici realizzati dalla minore su richiesta della madre, che poi pubblicava tali materiali su siti erotici finalizzati ad incontri sessuali a pagamento) — ha affermato che risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600-ter, comma primo, n. 1, cod. pen. anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo.

Nel caso di specie, tuttavia, tale le circostanze di fatto evidenziate dalla traccia sono tali da escludere che il rapporto tra Caio e Mevia sia caratterizzata da quel differenziale di potere che il concetto di utilizzazione necessariamente presuppone: significativa la circostanza che lo scambio delle foto avviene all’esito di una fitta corrispondenza e, soprattutto, che anche Mevia chiede a Caio di inviargli delle foto che lo ritraggono nudo, il che evidenzia una situazione di “sostanziale parità”, nonostante la differenza di età.

È vero che Mevia (tredicenne) non ha ancora raggiunto l’età del consenso sessuale, ma non può trascurarsi la circostanza che Caio, sebbene maggiorenne, ha solo diciannove anni, solo due anni in più, quindi, rispetto al limite al di sotto del quale persino il rapporto sessuale con una minorenne consenziente che abbia compiuto tredici anni sarebbe privo di rilevanza penale (609-quater, co. 4, c.p.)

Anche la diffusione della foto di Sempronio è evidentemente priva di rilevanza penale rispetto alla fattispecie di cessione di materiale pedopornografico, decisiva è la circostanza che Sempronio è coetaneo di Mevio, quindi maggiorenne. Peraltro Sempronio è ritratto in slip e senza allusioni a condotte sessuali, il che ragionevolmente esclude che si tratti di materiale pornografico

Sotto diverso profilo, la cessione a persona determinata di una fotografia senza il consenso del soggetto ritratto non costituisce reato, potendo al più rilevare solto il profilo civilistico per la violazione del diritto alla privacy.