LA GIURISDIZIONE SUI PROVVEDIMENTI DI SOSPENSIONE DELLE CARICHE ELETTIVE ADOTTATI IN APPLICAZIONE DELLA C.D. LEGGE SEVERINO

In materia di contenzioso elettorale amministrativo, sono devolute al giudice ordinario le controversie concernenti l’ineleggibilità, la decadenza e l’incompatibilità, in quanto volte alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato passivo; né la giurisdizione dei giudice ordinario incontra limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perché anche in tale ipotesi la decisione verte non sull’annullamento dell’atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato attivo o passivo. In applicazione di tale principio le Sezioni Unite hanno ritenuto che rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. e non in quella del G.A. una controversia concernente il provvedimento con il quale il Prefetto, ai sensi dell’art. 11, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235,  ha dichiarato di aver accertato nei confronti di un Sindaco, la sussistenza della causa di sospensione dalla carica di cui all’art. 11, comma 1, lettera a) del medesimo decreto legislativo.

RITENUTO IN FATTO
1.  Con provvedimento n. 87831 del 1° ottobre 2014, il Prefetto della Provincia di Napoli ai sensi dell’art. 11, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 ha dichiarato di aver accertato nei confronti del Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, la sussistenza della causa di sospensione dalla carica di cui al medesimo art. 11, comma 1, lettera a) del medesimo decreto legislativo.
Nel decreto prefettizio si rappresentava che, con sentenza n. 3928/12 Reg. Gen., la seconda sezione del Tribunale di Roma aveva condannato in primo grado il predetto Sindaco di Napoli alia pena di anni uno e mesi tre di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per anni uno, con il benefìcio della sospensione condizionale della pena, per diverse ipotesi di reato riconducibili all’art. 323 cod. pen.
Trattandosi di fattispecie delittuosa per cui era prevista la sospensione di diritto dalle cariche elettive nei confronti di chi avesse riportato condanna, omessa la garanzia partecipativa di cui all’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, per esigenze di celerità ed attesa la natura vincolata del potere, il Prefetto di Napoli notificava all’organo che aveva proceduto alla convalida dell’elezione l’avvenuto accertamento dei presupposti di legge per la sospensione del Sindaco dalla carica.
2.  Con ricorso ritualmente notificato e depositato il giorno 8 ottobre 2014, il dottor Luigi De Magistris impugnava innanzi al TAR per la Campania il provvedimento prefettizio, chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari. Si costituivano in giudizio il Prefetto di Napoli, che, oltre a svolgere difese nel merito della controversia, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, assumendo trattarsi di questioni inerenti alla tutela di un diritto soggettivo la cui lesione sarebbe direttamente riconducibile alla legge.
Si costituiva in giudizio anche il Comune di Napoli, sostenendo le ragioni di parte ricorrente.
Spiegava altresì intervento ad opponendum il signor Manfredi Nappi, in qualità di cittadino elettore e di legale rappresentante della Associazione Lotta Piccole Illegalità  A.L.P.I.
All’esito della camera di consiglio del 22 ottobre 2014, il giudice adito, con ordinanza del 22-30 ottobre 2014, n. 1801, accoglieva provvisoriamente la domanda cautelare e sospendeva provvisoriamente gli effetti dell’impugnato provvedimento prefettizio fino alla camera di consiglio di ripresa del giudizio cautelare successiva alla definizione della questione di legittimità costituzionale contestualmente sollevata, avente ad oggetto l’art. 11, comma 1, lettera a), del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, in relazione all’art.10, comma 1, lettera c), del medesimo decreto legislativo, in riferimento agli artt. 2, 4, secondo comma, 51, primo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione.
3.  In data 3 novembre 2014, il Movimento Difesa del Cittadino, in persona del presidente pro-tempore, depositava presso il TAR per la Campania atto di intervento ad opponendum, chiedendo il rigetto del ricorso del De Magistris.
Successivi atti di intervento ad adiuvandum venivano depositati nel giudizio dinnanzi al TAR per la Campania dai seguenti soggetti: CIPS  Comitato Italiano Popolo Sovrano; Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI); Elpidio Capasso, nella qualità di consigliere metropolitano.
4.  Il Movimento Difesa del Cittadino proponeva altresì appello cautelare al Consiglio di Stato.
Altri appelli cautelari venivano proposti da Manfredi Nappi e dall’Associazione Lotta Piccole Illegalità- ALPI, e dal Ministero dell’Interno, UTG  Prefettura di Napoli.
Il Consiglio di Stato, sez. III, con ordinanza 20 novembre 2014, n.5343, riuniti i giudizi, precisava che poteva «prescindersi dall’esame delle eccezioni di inammissibilità dei ricorsi rubricati ai nn. 8841 e 8987 reg. sez. 2014» (il primo dei quali, come indicato nel provvedimento, è stato proposto dal Movimento Difesa del Cittadino), «su cui le stesse parti hanno ravvisato di non insistere nella presente fase contenziosa». Riteneva, quindi, in via pregiudiziale, quanto all’eccepito difetto di giurisdizione, che «lo stesso postula una diffusa e definitiva delibazione in sede di merito, tenuto conto, da un lato, che si tratta di sospensione di diritto (art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012), rispetto alla quale l’atto del Prefetto ha valore solo dichiarativo e, dall’altro alto, che detto evento non incide in via definitiva sul diritto di elettorato passivo ma, allo stato, sull’esercizio del mandato»; nel merito, respingeva gli appelli cautelari.
5  Il Movimento Difesa del Cittadino, in persona del presidente protempore, con ricorso depositato il 25 novembre 2014, ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione, chiedendo l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
In relazione a detta istanza hanno proposto controricorso: Luigi De Magistris, chiedendone il rigetto; l’avv. Elpidio Capasso, eccependone l’improcedibilità e, comunque, l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza; il Comune di Napoli, deducendo l’inammissibilità e, in subordine, l’infondatezza dell’istanza; il Ministero dell’Interno, insistendo per l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati, parti del giudizio davanti al TAR.
6.  Richiesta delle proprie conclusioni, la Procura generale presso questa Corte ha concluso chiedendo: in via principale, che le S.U. accertino se i controricorsi di Luigi De Magistris e del Comune di Napoli siano stati notificati a Gaetano Troncone e, in caso negativo, dispongano l’integrazione del contraddittorio; in subordine, qualora sia provata detta notifica, accolgano l’istanza e dichiarino la giurisdizione del giudice ordinario, rimettendo le parti innanzi a questi.
7.  Il Movimento Difesa del Cittadino ha quindi provveduto a notificare a Troncone Gaetano copia del ricorso per regolamento preventivo, della requisitoria dei P.G., e del biglietto di cancelleria contenente l’avviso di trattazione del ricorso per l’adunanza camerale del 26 maggio 2015
Il Movimento Difesa del Cittadino, Luigi De Magistris e il Comune di Napoli hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Occorre preliminarmente rilevare che l’avvenuta notifica del ricorso per regolamento preventivo e delle conclusioni del P.G. a Gaetano Troncone, parte del giudizio pendente dinnanzi al TAR, ancorché sospeso, comporta che è venuta meno l’esigenza di integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, evidenziata dal P.G. nelle proprie conclusioni.
Peraltro, non può non ricordarsi che «in sede di regolamento di giurisdizione si configura il litisconsorzio necessario cosiddetto processuale relativamente a tutte le parti del processo, cui si riferisce la richiesta di regolamento, e in tale giudizio trova applicazione la norma l’art. 331 cod. proc. civ., in ordine alla integrazione del contraddittorio nel termine all’uopo fissato (con conseguente declaratoria di inammissibilità qualora tale ordine sia rimasto inosservato), essendo il regolamento di giurisdizione soggetto ai principi delle impugnazioni per quanto riguarda l’instaurazione del contraddittorio. La finalità di garantire la presenza di tutte le parti necessarie per il regolamento della giurisdizione, peraltro, può essere assicurata anche attraverso la notifica del controricorso proposto da uno dei soggetti costituiti nel procedimento introdotto da tale i- stanza. Ne consegue che, ove il ricorso per regolamento non risulti notificato ad una delle parti del giudizio “a quo”, ma a detta parte sia stato notificato il controricorso proposto da uno dei soggetti costituiti nel procedimento introdotto dall’istanza di regolamento, tale ultima notifica è di per sé sufficiente a consentire l’intervento della stessa parte nel giudizio per regolamento preventivo e ad escludere la necessità di ordinare l’integrazione del contraddittorio» (Cass., S.U., n. 7179 del 2014).
E, nella specie, oltre alla notifica del ricorso effettuata dal Movimento ricorrente a seguito della comunicazione della requisitoria del P.G., i controricorrenti Comune di Napoli e Luigi De Magistris hanno notificato il controricorso anche a Gaetano Troncone. Tanto basta per ritenere integro il contraddittorio nel presente giudizio.
2.  Sempre in via preliminare deve rilevarsi che la difesa del Comune di Napoli ha depositato, in sede di discjssione in camera di consiglio, atto di intervento spiegato nel giudizio amministrativo n. 4798/2014, pendente presso il TAR per la Campania, da Minozzi Maria Modesta, quale iscritta nelle liste elettorali e dei contribuenti del Comune di Napoli, rappresentando, quindi, l’opportunità della estensione del contraddittorio anche a questa parte.
L’istanza non può essere accolta.
Costituisce principio generale in tema di intervento volontario (vedi l’art. 28, comma 2, c.p.a., e l’art. 268 cod. proc. civ.), quello per cui chi interviene volontariamente in giudizio accetta lo stato e il grado in cui il giudizio si trova. Orbene, La Minozzi è intervenuta nel giudizio amministrativo pendente dinnanzi al TAR per la Campania con atto depositato presso la Segreteria di quel giudice il 25 maggio 2015, allorquando, cioè, il procedimento per regolamento di giurisdizione era non solo già stato proposto, ma ne era addirittura stata fissata l’udienza di discussione. Ciò, all’evidenza, comporta che non può essere disposto il differimento della trattazione del ricorso, anche perché la medesima parte, essendosi costituita nel giudizio amministrativo attualmente pendente, ben avrebbe potuto intervenire nel presente giudizio, impregiudicata, ovviamente, ogni valutazione in ordine all’ammissibilità del predetto intervento.
3.  Ancora in via preliminare deve rilevarsi che la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, secondo il costante orientamento delle S.U., non può ritenersi impedita dall’emanazione di un provvedimento cautelare nel corso del giudizio pendente davanti al TAR. Questo non costituisce, infatti, sentenza, neppure quando abbia delibato contestualmente la questione di giurisdizione, tranne che la stessa sia stata riferita al solo procedimento cautelare e il regolamento sia stato proposto per ragioni che attengono ad esso in via esclusiva, ipotesi, questa, non ricorrente nella specie (in tal senso, Cass., S.U., n. 14041 del 2014).
Queste Sezioni Unite hanno altresì affermato che la pronuncia, da parte del giudice amministrativo, sull’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato con il giudizio principale, non rende inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, proposto con riguardo a tale giudizio, ancorché nell’ordinanza che abbia provveduto sull’istanza cautelare sia stata delibata la questione di giurisdizione (Cass., S.U., n. 584 del 2014).
4.  Ed ancora, non costituisce ostacolo all’ammissibilità del proposto regolamento la circostanza che i! giudizio dinnanzi al TAR per la Campania è sospeso per avere il detto giudice rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, primo comma, lettera a), del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, in relazione all’art.10, primo comma, lettera c), del medesimo decreto legislativo perché la sua applicazione retroattiva si pone in contrasto con gli artt. 2, 4, secondo comma, 51, primo comma e 97, secondo comma della Costituzione.
Lo stato di sospensione del processo di merito, conseguente alla proposizione dell’incidente di costituzionalità, contrariamente a quanto dedotto dal Comune di Napoli, infatti, non impedisce la proponibilità del regolamento preventivo di giurisdizione. Tale stato, come già affermato da queste Sezioni Unite, non esclude la pendenza del giudizio e, benché impedisca il compimento di atti propri di quest’ultimo, non è di ostacolo al promovimento di un’autonoma fase processuale diretta alla verifica del potere giurisdizionale del giudice adito.
Queste Sezioni Unite, invero, hanno affermato il principio per cui «il regolamento preventivo di giurisdizione deve ritenersi esperibile anche in relazione a procedimento oggetto di sospensione necessaria, ivi inclusa quella derivante dalla rimessione alla Corte costituzionale della definizione di questione di legittimità costituzionale, tenuto conto che tale sospensione non esclude la pendenza della causa, e che il divieto di compiere atti processuali, nel periodo della sospensione (art. 298 cod. proc. civ.), riguarda gli atti che integrino sviluppo del giudizio sospeso, non il promovimento di un’autonoma fase del processo, rivolta alla verifica del potere giurisdizionale del giudice adito» (Cass., S.U., n. 5743 del 1987; di recente, con riguardo al caso di sospensione a seguito di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE, vedi Cass., S.U., n. 21109 del 2013).
5.  Non appare fondata, infine, neanche l’ultima eccezione di inammissibilità del ricorso del Movimento Difesa del Cittadino, formulata sul rilievo che detto ente non avrebbe acquisito la qualità di parte nel giudizio pendente dinnanzi ai TAR per la Campania, avendo spiegato intervento dopo la rimessione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in relazione al quale si chiede di regolare la giurisdizione.
Tale eccezione muove dal rilievo per cui, proprio secondo la Corte costituzionale, non è ammissibile nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale l’intervento da parte di chi, costituitosi nel giudizio principale dopo la dichiarazione di sospensione del giudizio principale ai sensi dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, non ha acquisito la qualità di parte del giudizio principale,
Come rilevato in precedenza, il Movimento Difesa del Cittadino ha spiegato intervento nel giudizio pendente dinnanzi al TAR per la Campania successivamente all’ordinanza con la quale tale giudice ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art 11, primo comma, lett. a), del d.lgs. n. 235 del 2012, in relazione all’art. 10, primo comma, lett. c), del medesimo decreto legislativo, disponendo la sospensione del processo.
Tale parte, tuttavia, ha proposto appello cautelare al Consiglio di Stato avverso la medesima ordinanza del TAR per la Campania con la quale è stata disposta la sospensione provvisoria della esecuzione del provvedimento prefettizio impugnato. Il Consiglio di Stato, come si è del pari già evidenziato, non ha pronunciato sulla eccezione di inammissibilità dell’appello cautelare proposto dal Movimento Difesa del Cittadino, argomentando, in proposito, sia sulla esigenza di una sollecita decisione, sia sul fatto che le parti resistenti avevano dichiarato di non insistere sulla- eccezione di inammissibilità,
Orbene, se è vero che, ai fini della proposizione del regolamento di giurisdizione, occorre l’assunzione della qualità di parte in senso formale (Cass. S.U. n. 20340 del 2005), è del pari certo che non è idonea ad interferire sull’ammissibilità del regolamento ogni deduzione concernente la validità dell’assunzione di detta qualità in capo al soggetto che lo ha proposto (Cass. S.U. n. 17823 del 2007; n. 20340 del 2005; n. 12167 del 1993).
Di recente, questa Corte ha affermato che non è di ostacolo all’ammissione del regolamento di giurisdizione la circostanza che la parte che lo abbia proposto sia stata successivamente estromessa dal giudizio di merito, dovendosi a tali fini avere riguardo alla situazione esistente al momento della proposizione del ricorso (Cass., S.U., n. 10094 del 2015).
In tale contesto, appare indubitabile che il Movimento Difesa del Cittadino abbia acquisito la qualità di parte del giudizio pendente dinnanzi al TAR, anche perché nel nuovo processo amministrativo la concessione della misura cautelare, ai sensi dell’art. 55, comma 11, del decreto legislativo n. 104 del 2010, comporta l’instaurazione del giudizio di merito senza necessità di ulteriori adempimenti (vedi in tal senso, Corte cost. n. 200 del 2014, nella quale si è quindi affermato che la questione di legittimità costituzionale sollevata contestualmente alla adozione della sospensione del provvedimento impugnato non è intempestiva rispetto a tale sede contenziosa, essendo ora il giudice provvisto di piena potestà decisoria).
D’altra parte, poiché secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato l’intervento è ammissibile anche qualora il giudizio verta in stato di sospensione conseguente ad un rinvio pregiudiziale (Cons. stato, sez. III, 16 novembre 2012, n. 5788, fattispecie, all’evidenza, omologa a quella della sospensione determinata dalla proposizione di un incidente di costituzionalità), e poiché nel giudizio di merito cui inerisce l’istanza di regolamento il giudice dell’appello cautelare neppure si è pronunciato sull’ammissibilità dell’intervento, ma ha deciso i ricorsi nel merito (Cons. Stato, sez. IlI, con ordinanza 20 novembre 2014, n.5343), deve concludersi nel senso dell’inesistenza di ragioni esaminabili in questa sede che possano incidere sulla legittimazione al ricorso.
Del tutto legittimamente, quindi, il Movimento Difesa del Cittadino ha proposto il presente regolamento di giurisdizione, atteso che anche la parte che sia divenuta tale nel giudizio di merito per effetto di intervento volontario è legittimata alla proposizione del ricorso per regolamento di giurisdizione (Cass. S.U. n. 17823 del 2007).
5.1.  Sotto altro profilo, non può non osservarsi che l’eventuale carenza di legittimazione del ricorrente Movimento non farebbe venire meno la necessità di una pronuncia sulla giurisdizione in relazione alla controversia pendente, ancorché in stato di sospensione per pregiudiziale costituzionale, dinnanzi al TAR per la Campania.
E ciò in quanto la medesima richiesta di dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario è stata fatta nel presente giudizio dal Ministero dell’interno e dalla Prefettura di Napoli. In proposito è sufficiente ricordare l’orientamento per cui «la dichiarazione d’improcedibilità dell’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, non depositata nel termine stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., non osta all’ammissibilità di una successiva richiesta di regolamento, che può essere avanzata anche dalla controparte nella stessa fase processuale; a tal fine, non è rilevante che essa sia stata proposta con (controricorso e) ricorso incidentale, stante l’ininfluenza dell’adozione di una forma processuale non utilizzabile
io  nell’ambito del procedimento per regolamento di giurisdizione, ove quell’atto possa convertirsi in un ricorso autonomo per regolamento di giurisdizione, presentandone i prescritti requisiti e contenendo la richiesta di una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulla questione di giurisdizione» (Cass., S.U., n. 17935 del 2013; vedi anche Cass., S.U., n. 14767 del 2002; Cass., S.U., n. 21470 del 2005).
6.  Nel merito, appare opportuno riportare le argomentazioni sviluppate dalla Procura generale nelle conclusioni ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ.:
« la questione del riparto della giurisdizione in riferimento all’impugnazione del provvedimento che abbia disposto, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 235 del 2012, la sospensione di diritto dalla carica di un amministratore locale che abbia riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all’articolo 10, comma 1, lettere a), b) e c), di detto decreto legislativo è stata già affrontata e risolta in modo discordante dalla giurisprudenza amministrativa ed ha costituito oggetto anche di decisioni rese dal giudice ordinario (sia pure in riferimento alla sospensione dell’art. 8, d.lgs. n. 235 del 2012, non dell’art. 11, ma le differenze concernenti la carica di riferimento non rilevano ai fini qui d’interesse).
6.1. Un primo orientamento  al quale vanno ricondotte le pronunce cautelari rese nel processo in relazione al quale è stata proposta l’istanza di regolamento in esame  ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo (g.a.):
a) senza affrontare la questione, ma rigettando la domanda cautelare, limitandosi a ritenere manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata (TAR Puglia, sez. Lecce, n. 2257 del 2013; Cons. Stato, sez. Ili, n. 730 del 2014), ovvero decidendo la domanda nel merito (TRGA di Trento, n. 13 del 2005; TAR per il Veneto n. 407 del 2014; Cons. Stato, sez. Ili, n. 5065 del 2014);
b) in via meramente delibativa e limitandosi ad un mero accenno al fatto che la sospensione «non incide in via definitiva sul diritto di elettorato passivo ma, allo stato, sull’esercizio del mandato» (Cons. Stato, sez. Ili, n. 5343 del 2014); c) valorizzando la circostanza che l’effetto sospensivo si determina esclusivamente «una volta emanato il decreto prefettizio», non essendo la sentenza di condanna sufficiente a determinare la sospensione, occorrendo «un’indefettibile presupposta attività di verifica e di controllo i cui esiti convergono in un atto di natura provvedimentale che, integrando il precetto normativo, ne determina l’applicazione al caso concreto» (TAR per la Campania n. 1801 del 2014).
Diversamente, un contrario indirizzo ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario (g.o.):
a.1) senza affrontare espressamente la questione, risolvendola implicitamente (Cons. Stato, sez. IV, n. 4022 del 2013; analogamente, Corte d’appello di Bari 29.2.2015, n. 284, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, d.lgs. n. 235 del 2012 e 7, legge n. 190 del 2012, decidendo quindi un’istanza sia pure di sospensione dalla carica di consigliere regionale);
b-1) sostenendo che le controversie concernenti la decadenza, l’ineleggibilità e l’incompatibilità, in quanto hanno ad oggetto questioni inerenti l’elettorato passivo, come tali, concernono la tutela di posizioni di diritto soggettivo perfetto ed hanno ritenuto che «la sospensione dalla carica sia assimilabile, per continenza» a queste, reputando riservata la relativa controversia al g.o. (TAR per il Molise n. 437 del 2013; analogamente, sia pure in riferimento all’art. 59, d.lgs. n. 267 del 2000, TAR per la Basilicata n. 396 del 2011).
6.2. Ritenute, quindi, superabili le questioni preliminari in punto di ammissibilità dell’istanza  alle condizioni e nei termini sopra precisati  nel merito, risulta palese l’impossibilità di desumere argomenti rilevanti per la decisione della questione dalle pronunce richiamate sub 6.1-a), poiché queste hanno ritenuto la giurisdizione del g.a. in modo meramente assertivo.
L’indirizzo sintetizzato sub 6.1 ,-b) non sembra, invece, persuasivo.
La valorizzazione dell’incidenza del provvedimento prefettizio sul mandato appare un evidente artificio dialettico. Lo svolgimento di quest’ultimo costituisce, infatti, sempre una mera conseguenza dell’assunzione della carica, rispetto alla quale è preliminare ed assorbente la questione del diritto a ricoprirla, che involge appunto solo ed esclusivamente un diritto soggettivo perfetto.
L’argomentazione svolta sub c) non appare poi convincente già solo in considerazione dell’orientamento della giurisprudenza amministrativa che, proprio con riferimento alle controversie in materia elettorale (sia pure con riguardo ad una causa di incandidabilità conseguente all’irrogazione di una misura di prevenzione), ha sottolineato che il «criterio di riparto della giurisdizione, fondato sulla consistenza effettiva della posizione giuridica dedotta in giudizio, non trova deroga allorché il ricorrente, affermandosi titolare di un interesse legittimo, richieda al giudice l’annullamento di un atto amministrativo qualificandolo come autoritati- vo», poiché anche qualora «s’impugnino provvedimenti amministrativi la decisione verte sul diritto soggettivo all’elettorato attivo o passivo» (C.G.A.R.S. n. 18 del 2013).
In ogni caso, dirimente nel senso dell’irrilevanza della suindicata argomentazione è il principio, costantemente enunciato dalle S.U., secondo cui «in materia di contenzioso elettorale amministrativo, sono devolute al giudice ordinario le controversie concernenti l’ineleggibilità, la decadenza e l’incompatibilità, in quanto volte alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato passivo; né la giurisdizione dei giudice ordinario incontra limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perché anche in tale ipotesi la decisione verte non sull’annullamento dell’atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all’elettorato attivo o passivo» (così, da ultimo, S. U. n. 5574 del 2012 ed ivi l’indicazione degli ulteriori precedenti che l’hanno affermato; analogamente, in particolare, v. comunque S.U. n. 11646 del 2003).
In applicazione di detto principio, non rileva quindi che l’applicazione della norma e l’operatività della causa di cessazione sia mediata dalla pronuncia di un provvedimento amministrativo (come nella specie) che ha peraltro carattere vincolato, conseguendo la sospensione direttamente ed esclusivamente alla pronuncia di condanna per determinati reati. L’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 235 del 2012 stabilisce, infatti, che «sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell’articolo 10: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all’articolo 10, comma 1, lettere a), b) e c) », prevedendo poi il comma 5 un’attività meramente esecutiva del prefetto. In ogni caso, in virtù del principio enunciato dalle S.U. sopra richiamato, nonostante l’impugnazione del provvedimento de! prefetto, la decisione verte solo ed esclusivamente su un diritto soggettivo perfetto.
Nessuna limitazione della giurisdizione del g.o. può poi desumersi dalla considerazione che l’art. 22 della legge n. 150 del 2011 riconduce a questa le «controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali» (in particolare, in virtù del comma 1, «Le controversie previste dall’articolo 82, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, quelle previste dall’articolo 7, secondo comma, della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, quelle previste dall’articolo 19 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, e quelle previste dall’articolo 70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo»), enfatizzando che la sospensione non sarebbe compresa in nessuna di tali ipotesi.
E’, infatti, evidente che, come sottolineato dall’orientamento sub 6.1-£>_2), la sospensione è «assimilabile, per continenza, alle suddette questioni di ineleggibilità, incandidabilità, decadenza». Inoltre, può aggiungersi, la mera circostanza della temporaneità degli effetti della causa che impedisce di rivestire la carica in nessun modo è idonea a far rifluire la situazione giuridica di diritto soggettivo ad una posizione di interesse legittimo, così da radicare la giurisdizione al g.a. Di rilievo è poi anche la constatazione che, quando il legislatore ha reputato di estendere la giurisdizione del g.a. avverso provvedimenti pure lesivi del diritto a partecipare al procedimento elettorale, ciò ha fatto espressamente (cfr. art. 129, d.lgs. n. 104 del 2010), come invece non è accaduto nella fattispecie in esame,
In altri e conclusivi termini, l’atto impugnato incide sul diritto soggettivo (ed. petitum sostanziale, che si identifica non solo e non tanto in base alla concreta statuizione chiesta al Giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione giuridica dedotta in giudizio) del ricorrente a ricoprire la carica di Sindaco, senza incorrere nella sospensione, disposta in conseguenza di una condanna penale, di primo grado e non definitiva. La sospensione si differenzia poi rispetto alla decadenza soltanto perché a tempo determinato e non a tempo indeterminato e, come sopra accennato, poiché il più contiene il meno, anche la controversia che questa concerne spetta alla cognizione del g.o., appunto perché attiene ad una posizione giuridica di diritto soggettivo, tutelato dall’art. 51 della Costituzione, perfetto e non degradabile in interesse legittimo».
7.  Il Collegio condivide pienamente le argomentazioni e le conclusioni del P.G., non apparendo le deduzioni svolte dai controricorrenti in sede di memoria e in sede di discussione in camera di consiglio idonee ad indurre a conclusioni differenti.
7.1.  Non vale, innanzi tutto, a radicare la giurisdizione amministrativa la evocata configurazione del decreto prefettizio con il quale viene disposta la sospensione come provvedimento “costitutivo” (in tal senso è stata evocata Cass. n. 16052 del 2009, secondo cui «la sospensione di diritto dalla carica di consigliere comunale, a seguito di sentenza di condanna non definitiva per uno dei delitti previsti dall’art. 59, comma 1, lett. a), del d. Igs. 18 agosto 2000, n. 267, non decorre dalla data della pubblicazione della sentenza di condanna, ma dalla comunicazione del provvedimento di sospensione emesso dal Prefetto al Consiglio comunale; ciò sulla base dell’interpretazione letterale e della ratio della disposizione, anche alla luce dei successivi commi 3 e 4 dello stesso art. 59, secondo cui l’intervento del Prefetto non è meramente dichiarativo, ma costitutivo dell’efficacia della sospensione»).
Invero, la citata sentenza è intervenuta in un giudizio svoltosi dinnanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, nel quale in alcun modo si è dubitato che l’adozione del decreto di sospensione da parte del prefetto, costitutivo dell’effetto della sospensione, fosse impugnabile dinnanzi al giudice ordinario. Non è, quindi, la mera previsione dell’adozione di un decreto da parte del Prefetto che possa indurre a ritenere che la giurisdizione spetti al giudice amministrativo.
In effetti, così come il previgente art. 59 del d.lgs. n. 267 del 2000, anche l’art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012 configura il provvedimento prefettizio come un provvedimento vincolato (di tale natura del provvedimento, del resto, è lo stesso prefetto di Napoli nel provvedimento in questione ad affermare che, «per la natura vincolata del provvedimento e del suo contenuto, lo stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»). Il comma 1 del citato articolo 11 prevede, infatti «sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1: (…)»; il comma 2 stabilisce che «la sospensione di diritto consegue, altresì, quando e’ disposta l’applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale nonché di cui all’articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale»; il comma 4 dispone che «la sospensione cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi. Nel caso in cui l’appello proposto dall’interessato avverso la sentenza di condanna sia rigettato anche con sentenza non definitiva, decorre un ulteriore periodo di sospensione che cessa di produrre effetti trascorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto»; il comma 6 dispone che «a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione sono comunicati al prefetto, il quale, accertata la sussistenza di una causa di sospensione, provvede a notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina»; il comma 7, per quanto qui rileva, stabilisce, infine, che «la sospensione cessa nel caso in cui nei confronti dell’interessato venga meno l’efficacia della misura coercitiva di cui al comma 1, ovvero venga emessa sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca delia misura di prevenzione o sentenza di annullamento ancorché con rinvio».
A ben vedere, quindi, la interpretazione per cui il decreto del Prefetto ha effetto costitutivo della sospensione non vale a conformare il provvedimento di sospensione  che incide sul diritto di elettorato passivo del soggetto eletto alla carica di sindaco  come espressivo di qualsivoglia discrezionalità in capo al detto organo amministrativo.
7.2.  Né a diversa conclusione possono indurre le considerazioni svolte dalla difesa dei controricorrenti De Magistris, Comune di Napoli e Elpidio Capasso con riferimento alla incidenza del provvedimento di sospensione del Sindaco sul funzionamento dell’organo elettivo piuttosto che sul diritto di elettorato passivo del soggetto eletto a quella carica. Si è sostenuto che il provvedimento di sospensione non inciderebbe sul diritto di elettorato passivo, e quindi sulla candidabilità o eleggibilità dell’eletto, ma costituirebbe una scelta del legislatore volta ad attuare il contemperamento tra la posizione soggettiva del singolo eletto e l’interesse pubblico a che i titolari di cariche elettive non siano condannati, con sentenza non definitiva, per determinati reati.
In proposito, si è fatto riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 1996, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lett. e), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), come modificato dall’art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), nella parte in cui prevede la non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali di coloro per i quali, in relazione ai delitti indicati nella precedente lettera a), è stato disposto il giudizio, ovvero per coloro che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per il giudizio.
In particolare, di tale sentenza sono state sottolineate sia l’affermazione per cui «finalità di ordine cautelare  le uniche che possono farsi valere in presenza di un procedimento penale non ancora conclusosi con una sentenza definitiva di condanna  valgono a giustificare misure interdittive provvisorie, che incidono sull’esercizio di funzioni pubbliche da parte dei titolari di uffici, e anche dei titolari di cariche elettive, ma non possono giustificare il divieto di partecipare alle elezioni»; sia quella secondo cui «la previsione della sospensione appare adeyuata a tutelare le pubbliche funzioni, mentre la non candidabilità risulta sproporzionata rispetto ai valori salvaguardati dalla legge n. 16, con particolare riguardo al buon andamento e alla libera autodeterminazione degli organi elettivi locali».
Da tali passaggi motivazionali della citata sentenza della Corte costituzionale si è desunto che nel mentre la misura della decadenza, applicabile ai sensi del decreto legislativo n. 235 del 2012, incide sul diritto soggettivo di elettorato passivo, la sospensione dalle funzioni in via cautelare atterrebbe piuttosto al profilo del buon andamento della pubblica amministrazione e sarebbe quindi riferibile all’art. 97 Cost., con conseguente devoluzione della giurisdizione delle controversie relative ai provvedimenti di sospensione alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.
In particolare, si è ulteriormente evidenziato, la giurisdizione dovrebbe essere attribuita al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 119, comma 1, lett. e), c.p.a., che, sotto la rubrica «rito abbreviato comune a determinate materie», dispone che «le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a: (….) i provvedimenti di scioglimento degli organi di governo degli enti locali e quelli connessi, che riguardano la loro formazione e il loro funzionamento».
8.  Il Collegio ritiene che le richiamate argomentazioni non possano condurre all’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine aile controversie concernenti il decreto prefettizio di sospensione dalla carica di sindaco ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012.
8.1.  Appare in primo luogo non predicabile l’attrazione del giudizio relativo alla sospensione disposta ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012 nell’ambito di operatività del citato art. 119 c.p.a. Certamente, infatti, siffatta controversia non attiene allo scioglimento degli organi di governo degli enti locali (artt. 141 e ss d.lgs. n. 267 del 2000), essendo invece relativa alla temporanea sospensione dalla carica delia persona che, per effetto delle elezioni, quella carica è stata chiamata a ricoprire. Né può ritenersi che vengano in rilievo profili attinenti alla formazione degli organi, dovendo le controversie relative essere identificate in quelle che, per quanto in questa sede rileva e secondo la già richiamata giurisprudenza di queste Sezioni Unite, attengono alle operazioni elettorali.
Né, infine, potrebbe ipotizzarsi che la sospensione dalla carica di sindaco, ai sensi del citato art. 11, possa essere ricondotta nell’ambito delle controversie attinenti al funzionamento degli organi degli enti locali. In proposito, appare sufficiente rilevare che il d.lgs. n. 267 del 2000 dispone all’art. 38, comma 2, che «il funzionamento dei consigli (comunali), nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, è disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte», mentre altre disposizioni prevedono le modalità di formazione della giunta da parte del sindaco eletto a suffragio universale e diretto (artt. 46 e 47) e le competenze e il funzionamento della giunta (art. 48).
Il quadro normativo ora succintamente richiamato induce a ritenere che certamente la sospensione temporanea del sindaco ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012, tanto più se detta sospensione trova fondamento in una condanna non definitiva non riferibile all’esercizio delle funzioni di sindaco, non possa in alcun modo essere inclusa tra i provvedimenti inerenti al funzionamento degli organi degli enti locali.
8.2.  Al contrario di quanto sostenuto dai controricorrenti, deve ribadirsi che il provvedimento di sospensione incide sul diritto di elettorato passivo, atteso che questo non si esaurisce con la partecipazione all’elezione ma, ovviamente, si estende allo svolgimento delle funzioni per le quali si è stati eletti. Il provvedimento amministrativo che venga a disporre la sospensione dalla carica per il periodo di diciotto mesi, dunque, incide direttamente su tale diritto soggettivo.
Risulta in proposito pertinente il rilievo, svolto dalla difesa erariale in sede di discussione, che nell’atto introduttivo dinnanzi al TAR per la Campania il ricorrente De Magistris ha affermato che: «la sospensione dalla carica di Sindaco incide sull’esercizio della libera scelta esercitata dal ricorrente all’atto della candidatura e sul diritto di voto dei cittadini, ossia in una materia di diritti inviolabili dell’individuo (art. 2 Cost.)» (pag. 5 del ricorso); «la sospensione dalla carica, che seppur rispondente ad un’esigenza cautelare, deriva dalle cause di incandidabilità, tanto da essere misura riferita ad un’ipotesi di incandidabilità, nella specie sopravvenuta, che il legislatore non ha disciplinato autonomamente ma come effetto automatico della condanna non definitiva per uno dei reati che comportano la incandidabilità» (pag. 9); «la Corte costituzionale ha più volte espressamente chiarito che il diritto di elettorato passivo è “ricondotto alla sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 della Costituzione (…)”, sicché nella interpretazione della norma va sempre preferita quella che non comprima quel diritto inviolabile« (pagg. 10 e 11); «una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 10, comma 1, lett. c), e dell’art. 11, comma 1, lett. a) del d. Lgs. 31.12.2012, n. 235, deve portare ad affermare il principio che quel diritto inviolabile non è leso se la Legge Severino trova applicazione alle sentenze “successive alla candidatura” (come dice la legge delega) ma pur sempre se quelle sentenze riguardino reati che “al momento di quella candidatura” il candidato sapeva che avrebbero comportato la sospensione» (pagg. 11 e 12); «il provvedimento impugnato incide irrimediabilmente sul mantenimento della carica elettiva, se non altro perché la durata della sospensione non è conciliabile con la durata naturale del mandato elettivo e con le gravi ripercussioni che essa produce sull’immagine del ricorrente. La concessione delle misure cautelari permetterebbe di costituire non effetti nuovi ma di mantenere in capo al ricorrente quelle funzioni di Sindaco che la sovranità popolare, nel rispetto dei principi democratici, gli ha riconosciuto con ampia maggioranza» (pag. 31).
Da tali affermazioni emerge chiaramente che lo stesso ricorrente, chiedendo l’annullamento del decreto prefettizio, ha inteso tutelare il proprio diritto soggettivo di elettorato passivo, compromesso temporaneamente dal provvedimento di sospensione.
Non può dunque negarsi che tale provvedimento incida sul diritto soggettivo del sindaco all’espletamento delle funzioni che gli sono state affidate per effetto dell’elezione e che concorrono, all’evidenza, ad integrare il diritto di elettorato passivo dello stesso.
8.3.  Peraltro, non appare contestabile che l’elezione alla carica di sindaco comporti l’assunzione di funzioni pubbliche e che lo svolgimento di tali funzioni costituisca elemento che deve essere valutato alla luce del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Invero, una volta che un cittadino sia eletto, le vicende soggettive che lo riguardano e che possono incidere sullo svolgimento delle funzioni per le quali egli è stato eletto pongono un problema rilevante non solo dal punto di vista del diritto di elettorato passivo, del quale anche l’espletamento delle funzioni elettive costituisce espressione, ma anche dal punto di vista del buon andamento dell’ente locale. Si pone, cioè, un problema di bilanciamento tra il diritto di elettorato passivo e il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Sono, quindi, condivisibili le osservazioni dei controricorrenti che hanno affermato, con riguardo al provvedimento di sospensione di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012, l’esistenza anche di profili rilevanti ai sensi dell’art. 97 Cost.
Tuttavia, da tale inerenza non pare possa discendere l’effetto dai medesimi controricorrenti auspicato, e cioè quello della devoluzione delle controversie concernenti il provvedimento prefettizio di sospensione nell’ambito della giurisdizione amministrativa. In realtà, il bilanciamento tra i due valori costituzionali risulta effettuato dal legislatore nel senso della chiara prevalenza della riferibilità del provvedimento alla sfera dell’elettorato passivo. Invero, nella configurazione legislativa dell’istituto non è attribuita alla P.A. alcuna discrezionalità in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione; la sospensione opera di diritto al solo verificarsi delle condizioni legislativamente previste e per il tempo previsto dal legislatore; al Prefetto non è attribuito alcun autonomo apprezzamento in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione e non è consentito di modularne la decorrenza o la durata sulla base della ponderazione di concorrenti interessi pubblici.
Nella valutazione della incidenza di una sopravvenuta sentenza non definitiva di condanna per i reati espressamente indicati, l’opzione del legislatore è dunque chiaramente orientata nel senso di una temporanea compressione del diritto soggettivo dell’eletto allo svolgimento del mandato, per un tempo predefinito e secondo modalità del pari interamente delineate dalla legge, sicché le controversie relative alla sospensione.disposta ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235 del 2012 sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
9.  In conclusione, deve affermarsi che la giurisdizione sulla controversia pendente dinnanzi al TAR per la Campania spetta al giudice ordinario, dinnanzi al quale vanno rimesse le parti, previa riassunzione nei termini di legge.
10.  I rilevati contrasti giurisprudenziali proprio sulla questione di giurisdizione costituiscono ragione idonea a giustificare la compensazione delle spese del procedimento.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, dinnanzi al quale rimette le parti, previa riassunzione nei termini di legge. Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, in data 26 maggio 2015.
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2015.